Mafia: un affare di stato [il monito oscuro]

 

C’è poco da inquietarsi per le cazzate di Grillo: se lo stato ha pensato che fosse opportuno entrare in trattativa con la mafia evidentemente ha riconosciuto alla mafia non solo una morale ma perfino il diritto di residenza.

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Succede solo in Italia.

Solo in Italia il presidente della repubblica può testimoniare in un processo per mafia da diretto interessato, può chiedere e ottenere che una parte significativa della sua vita politica possa essere nascosta ai cittadini che rappresenta.
Così come andò per le intercettazioni delle telefonate con Mancino distrutte dopo qualche ora dalla sua seconda elezione, anche questa la prima della storia di questa repubblica perché il contenuto fu giudicato irrilevante ma noi non sapremo mai se è vero, anche oggi Napolitano ha potuto imporre i suoi diktat, ovvero pretendere la testimonianza occulta che gli è stata concessa nonostante e malgrado la Costituzione non preveda che un cittadino possa scegliere di mettersi in una posizione superiore a quella degli altri.
Questo paese è una farsa, quello che succede qui non potrebbe accadere in nessun altrove dove la democrazia, la legge uguale per tutti, vengono messe in pratica anche coi potenti. Anzi, soprattutto con loro.
Mi chiedo, alla luce di questa vicenda di cui molti purtroppo non percepiscono la gravità, che senso abbia parlare ancora di politica.
Un presidente della repubblica che deve testimoniare in un processo di mafia si dovrebbe dimettere quattro minuti dopo ché cinque già sono troppi.
Solo perché non lo ha fatto prima.

 

“Si conosce solo l’orario d’inizio. Le dieci di stamattina, nella sala del Bronzino nota anche come “sala oscura”, perché non ha finestre sul mondo esterno. Poi tutto quello che accadrà al piano nobile del Quirinale sarà ignoto, in una sorta di blackout di stampo nordcoreano. Persino la disposizione di persone, una quarantina, tavoli e poltrone non è ammesso sapere. Giorgio Napolitano testimonierà al “buio” sulla trattativa tra Stato e mafia. Fino all’ultimo si sono moltiplicati gli appelli per dare trasparenza all’esame davanti alla Corte d’Appello di Palermo, in trasferta eccezionale a Roma. Il più autorevole ieri sul Corriere della Sera , a firma del quirinalista di via Solferino, Marzio Breda. Sembrava così che in giornata si fosse aperto uno spiraglio, ma alle sei di sera dagli uffici del consigliere per la stampa e per la comunicazione la risposta è stata laconica: “Non sono ammessi giornalisti”. Stop. [Il Fatto Quotidiano]

«Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire» [Napolitano scrive alla Corte d’Assise di Palermo, 25 Novembre 2013]

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In questo paese, spiace per i detrattori tout court, il problema non è Grillo che lancia la sua ennesima boutade sulla mafia ma è uno stato che con la mafia ci ha trattato per ragioni sue e che non sono – evidentemente – quelle di chi per combattere la mafia è morto né le nostre di cittadini che abbiamo il diritto di sapere quanto è stato ed è coinvolto e in che misura il presidente della repubblica di questo paese nella trattativa con la mafia tutt’altro che presunta.
Un chiarimento che non avverrà perché intorno al presidente della repubblica è stato steso un cordone protettivo, una censura intollerabile per una democrazia, qualcosa che in qualsiasi altro paese democratico nessuno avrebbe mai potuto pensare di poter fare ma in Italia sì.
Ecco perché vi prendono e ci prendono per il culo quando fanno credere che il problema sia quello che dice Grillo e non quello che ha fatto e fa lo stato.
E chi guarda con commozione e rispetto alle vittime della mafia di questo paese, quelli che Grillo è sempre brutto e cattivo dovrebbero ricordarsi che oggi, a distanza di anni, dal periodo in cui la mafia faceva saltare i palazzi e le autostrade, scioglieva i bambini nell’acido c’è un presidente del consiglio che insieme ad un amico stretto della mafia, quella montagna di merda lì, può invece rovesciare le fondamenta di questa nostra già fragilissima democrazia. E lo farà.

 

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Per chi è abituato a parlare quando nessuno glielo chiede e vieppiù quando nemmeno dovrebbe, rispetto a situazioni e contesti in cui non è richiesto il suo autorevole parere [anzi], non dovrebbe essere difficile rispondere a una ventina di domande su qualcosa che invece lo riguarda eccome e che conosce bene.
Mai vista, ma soprattutto sentita già dalla voce tanta servile deferenza da parte dei giornalisti costretti a dire, per dare il minimo sindacale delle notizie, che oggi Napolitano dovrà rispondere ai magistrati di Palermo quale teste nel processo sulla trattativa stato mafia; magistrati dei quali è il capo supremo e quindi da lui sarebbe stato naturale aspettarsi un atteggiamento non ostile ma rispettoso di quello che la magistratura rappresenta, Napolitano dovrebbe essere l’esempio per tutti e la risposta a chi per decenni ha insultato la magistratura colpevole di fare quello che fanno i giudici in tutti i paesi civili: processare imputati accusati di reati e assolverli o condannarli sulla base dell’evidenza delle prove.
In questo paese c’è un sacco di gente nei settori che contano, soprattutto quello dell’informazione, ben disposta ma soprattutto predisposta naturalmente ad inchinarsi al potente e a fare in modo che non abbia di che preoccuparsi di nulla, gente che anticipa gesti di servilismo non richiesto, gente che rispetto a quello che accadrà oggi ne ha dette di ogni, inventandosele anche, per convincere gli italiani che non è normale che s’interroghi il presidente della repubblica in un processo di mafia, mentre l’anormalità è esattamente il contrario, ovvero non è normale che possa diventare presidente della repubblica un personaggio che ha dei trascorsi di coinvolgimento tale da rendere necessaria la sua testimonianza in un processo di mafia. Un evento mai successo prima nella storia di questo paese.

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Oggi è ancora più chiaro che gli investitori stranieri rinunciano all’Italia quale partner economico perché c’è l’articolo 18 e perché scioperano gli assistenti di volo per fare un dispetto al cretinetti amico del bugiardo seriale.
Non lo fanno mica perché questo era, è e resterà a dispetto di chiunque andrà al potere il paese zimbello del mondo. Credevate che fosse finita con berlusconi eh? Io però l’avevo detto, perché berlusconi continua a non essere la causa ma la conseguenza della mancanza di una netta presa di posizione dello stato contro le organizzazioni mafiose. Chi in questo paese  ha provato a combattere la mafia sul serio è morto ammazzato dalla mafia dopo essere stato abbandonato, lasciato solo da quello stato che avrebbe dovuto garantire e tutelare i veri servitori dello stato, non trattare con l’antistato. La solitudine è uno dei temi ricorrenti di tante affermazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato per fortuna nostra e loro ancora vivi sono stati abbandonati dallo stato nonostante le ripetute minacce da parte della mafia e, nel caso di Scarpinato anche da pezzi dello stato corrotti. I Magistrati antimafia di questo paese accerchiati e impediti non solo dalle organizzazioni criminali che contrastano ma anche dallo stato che dovrebbe agevolarli nel lavoro ma non lo fa perché evidentemente non può. Il perché non può è scritto a chiare lettere anche nelle attività pubbliche che hanno a che fare con lo stato. Domenica sera Milena Gabanelli in un’altra puntata di Report da far studiare ai ragazzini a scuola ci ha raccontato che sono mafia, corruzione e criminalità tutte quelle cose che vengono ammantate con la definizione di grandi opere, mentre altro non sono che il furto reiterato e perpetuato dallo stato ai danni dei cittadini che non hanno bisogno di opere grandi ma delle necessità quotidiane che vengono negate, perché le risorse che uno stato serio dovrebbe investire a favore delle esigenze e dei bisogni del paese vengono invece canalizzate in quell’altrove che poi si traduce nei rapporti fra le istituzioni che rappresentano il paese con la malavita ordinaria, quella che ha, evidentemente, mezzi e strumenti per tenere sotto ricatto quei rappresentanti dello stato che peraltro non oppongono mai resistenza: s’offrono. Ed ecco che la mafia non fa più saltare autostrade e palazzi perché non è più necessario, perché c’è chi garantisce anche alla mafia la possibilità di continuare ad essere in una tranquilla convivenza, quella che auspicava Lunardi l’ex ministro di un governo di berlusconi: l’amico di dell’utri e di mangano, persone non vicine alla mafia ma proprio dentro la mafia.

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Nota a margine: Se ci fosse un giornalismo degno in questo paese si eviterebbero anche un mucchio di polemiche inutili, perché le persone si fiderebbero di quello che leggono sui giornali e di ciò che viene riportato dai telegiornali.
Io non sono pagata per scrivere quello che vedo e le relative opinioni su quello che accade, chi si esprime da una radio, dalle televisioni e sui giornali sì: viene pagato non per raccontare cose, perlopiù balle, menzogne e falsità basandosi sulle sue simpatie ma su quello che realmente le persone dicono e fanno.
Per fare chiarezza e perché la gente capisca e possa poi costruirsi un’opinione il più possibile vicina alla realtà, non per armare casini e polemiche di cui si parlerà giorni e giorni ovunque: per radio, in televisione, sui giornali e che trasformano i social nella consueta arena da derby.
Questo piccolo preambolo solo per dire che servi non si nasce, lo si diventa, ma volendo si può anche decidere di smettere: come con l’alcool, il fumo e tutte le dipendenze che rischiano di avere poi delle ricadute sulla collettività, come la propaganda oscena che molti fanno dai canali che hanno a disposizione.
La propaganda è un male sociale, un danno collettivo e sarebbe l’ora e anche il caso che un certo giornalismo abituato a servire i vari padroni pensi ad un modo onesto per guadagnarsi lo stipendio facendo quello che fa normalmente il giornalismo nei paesi semplicemente normali; mettersi al servizio dei cittadini, non del padroncino di turno.

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Al cittadino non far sapere – Marco Travaglio, 28 ottobre

L’altro giorno anche i giornali italiani hanno celebrato Ben Bradlee, il leggendario direttore del Washington Post scomparso a 93 anni che era entrato nella storia del giornalismo e della politica pubblicando i Pentagon Papers sulla sporca guerra in Vietnam e poi l’inchiesta di Bernstein & Woodward che scoperchiò lo scandalo Watergate e abbatté il presidente Nixon, sempre in barba alla ragion di Stato e in nome della ragion di cronaca. Sono gli stessi giornali che da due anni tacciono su uno scandalo che fa impallidire il Watergate e riguarda non la Casa Bianca, ma il Quirinale a proposito della trattativa fra lo Stato e la mafia. Hanno nascosto il ruolo di Giorgio Napolitano nelle manovre del consigliere D’Ambrosio per sottrarre l’inchiesta alla Procura di Palermo. Hanno ribaltato la verità, trasformando i pm da vittime in aggressori del Colle.

Hanno chiesto a gran voce la distruzione delle telefonate Napolitano-Mancino, onde evitare il rischio di inciampare in una notizia e di doverla pubblicare. Hanno sorvolato sulla vergogna di uno Stato che, tramite i suoi massimi rappresentanti, non ha mai solidarizzato con i pm condannati a morte da Riina, depistati e minacciati con pizzini e strane visite in case e uffici da uomini di servizi e apparati (deviati, si fa per dire). Si sono arrampicati sugli specchi per sostenere l’insostenibile esclusione degli imputati dall’udienza al Quirinale per la testimonianza di Napolitano dinanzi alla Corte d’Assise, ai pm e ai legali degli imputati. E ora non dicono una parola sull’ultima vergogna: il divieto di accesso e di ascolto in quell’udienza imposto dal Quirinale alla stampa (cioè ai cittadini).   Solo il Corriere e solo ieri è intervenuto per chiedere che i giornalisti possano assistere alla scena, mai accaduta prima, di un capo dello Stato italiano sentito come teste in un processo di mafia. Una richiesta di trasparenza condivisibile, ma supportata da motivazioni assurde: “conviene alla massima istituzione del Paese” per evitare “interpretazioni strumentali, illazioni fuorvianti, inquinamenti della realtà, suggeriti da una campagna culminata nella morte per infarto di D’Ambrosio e in una sfida tra poteri… in grado di ledere il prestigio e l’autorevolezza del supremo organo costituzionale”. Cioè: la stampa dev’essere presente non per informare i cittadini di ciò che dirà o non dirà il Presidente sulla pagina più nera della storia recente, ma per salvargli la faccia dalla “spettacolarizzazione del processo” (che peraltro, per legge, sarebbe pubblico), da “letture manipolate e virali” dei “professionisti della controinformazione a caccia di scandali, a costo di inventarli”. Come se ci fosse bisogno di inventarli, gli scandali. Come se la stampa più serva del mondo (in fondo alle classifiche della libertà d’informazione) si divertisse a mettere in cattiva luce il Presidente (ma quando mai). Come se il compito dei giornali fosse di surrogare l’ufficio stampa del Colle.   Naturalmente il Corriere ce l’ha col Fatto, che ha il brutto vizio di scrivere quello che gli altri occultano e financo “accostare la testimonianza del presidente perfino al caso Clinton-Lewinsky”. Già: il paragone è azzardato. Infatti Clinton doveva rispondere dei suoi rapporti orali con una stagista, non degli “indicibili accordi” fra Stato e mafia (orali e scritti in un papello) che il suo consigliere afferma di aver confidato a Napolitano. Il video dell’interrogatorio di Clinton dinanzi al procuratore Starr fece il giro del mondo, su tutte le tv e i siti Internet, e qualche miliardo di persone poté farsi un’idea della sincerità del presidente Usa da ogni smorfia e piega del suo volto. Invece la deposizione di Napolitano non la vedrà nessuno, perché non sarà neppure filmata. Far notare questo sconcio, per il Corriere, è roba da “quarto potere che gioca sul vittimismo” e “deraglia dalle regole base della deontologia”. Chissà come avrebbe reagito il vecchio Ben Bradlee se i nostri maestrini di deontologia gli avessero spiegato il giornalismo come manutenzione al monumento equestre di un presidente.

 

 

 

 

La Chiesa che condanna le mafie

Di quale chiesa parliamo, quella che ha seppellito un boss criminale in una chiesa che per toglierlo da lì ci sono voluti vent’anni durante i quali è stato impossibile indagare sul perché un criminale avesse potuto trovare spazio in una basilica al pari di papi e santi?

E di quale stato parliamo, quello che fa fare le leggi per gli onesti ad un delinquente amico stretto della mafia criminale, quella che fa saltare autostrade e palazzi e scioglie bambini e donne nell’acido? 

 

CASELLI: “IL PAPA È IL NEMICO” 

Già procuratore capo di Palermo e numero uno del Dap il magistrato ritiene che sia “importante che la Chiesa non ceda, che non faccia passi indietro” rispetto al gesto dei mafiosi di non partecipare alla messa. “La coraggiosa denuncia del Papa non deve restare isolata, va sostenuta da tutta la Chiesa. Altrimenti rischia di essere occasionale e quindi sterile. Guai se l’inchino fosse accettato. E se il vescovo Francesco Milito ha già detto che prenderà provvedimenti, auspico che faccia la stessa cosa lo Stato”.

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Se dei carabinieri, forse per la prima volta nella storia di questo paese, compiono il gesto palese, evidente ma non sufficiente  perché TUTTI i cittadini onesti avrebbero dovuto girare le spalle al solito gesto di riverenza al padrino mafioso,  di abbandonare una processione religiosa dove si è ripetuto l’atto, che ormai, salvo rare eccezioni coraggiose, è diventato anch’esso parte del folklore di far fare l’inchino al mafioso ad una statua che può rappresentare un santo o una delle figure della sacra famiglia i provvedimenti seri non li deve prendere il vescovo ma lo stato.
Perché questa è una questione di stato, non religiosa.
E’ un’abitudine che si è incistata nella subcultura popolare dove tutto si mescola, anche la criminalità sanguinaria alla religione.
E alla criminalità mafiosa ci deve pensare lo stato non chi, anche dalla parte della chiesa, ha sempre guardato con indifferenza e ancorché riverenza, rendendolo qualcosa di normale, l’atto di fedeltà della religione alla criminalità mafiosa.

MA

In fin dei conti è giusto, ognuno si sceglie i suoi rappresentanti, e quello che si fa fare ad un pezzo di gesso è semplicemente quello che ha sempre fatto la maggior parte della gente: inchinarsi davanti alla delinquenza e alla criminalità. Per paura, convenienza, perché qualcuno lo ha fatto prima e qualcun altro ha pensato di dover portare avanti questa tradizione. Perché se la maggior parte della gente avesse alzato la testa invece di chinarla in segno di rispetto forse qualcosa di questo paese si potrebbe ancora salvare. E invece non si salva niente nel paese dove anche lo stato si è inchinato davanti alla mafia quando, per mezzo di certi suoi rappresentanti alti e altissimi, ha pensato che fosse più proficuo trattare con la criminalità mafiosa, piuttosto di combatterla sul serio. E non si salva niente dove ad un amico della mafia si chiede di collaborare alla stesura delle leggi, alla riforma di quella Costituzione dove nessuno aveva previsto che bisognasse stringere accordi, e la mano, ai referenti della mafia.

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Oppido, parroco: “Cacciate cronista del Fatto”
Solidarietà Cei – E la Dda apre un’inchiesta
Figlia boss: “Orgogliosa di mio padre” (video)

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LA FEDE CRIMINALE – Roberto Saviano

Gli affiliati alle ‘ndrine rinchiusi nel carcere di Larino hanno deciso di non partecipare più alla messa. Da settimane attuano una sorta di sciopero religioso.

DOPO la scomunica pronunciata da Papa Francesco per i detenuti è inutile — hanno detto al cappellano don Marco — andare a messa — È inutile quando si è stati esclusi dai sacramenti. L’anatema di Bergoglio è giunto potente e inaspettato nelle carceri che ospitano gli uomini di ‘ndrangheta. Gran parte del mondo ha interpretato la scomunica come una mossa teologica, un’operazione morale fatta più per principio che per reale contrasto alle organizzazioni criminali. Un gesto morale considerato importante per dare una nuova direzione alla Chiesa ma che difficilmente avrebbe potuto incidere nei comportamenti dei padrini, degli affiliati, dalla manovalanza mafiosa. Quale danno avrebbe mai recato ad un boss una condanna metafisica che non ha manette, non ha sequestri di beni, non ha ergastoli ma che semplicemente esclude spiritualmente dalla comunità cristiana e dai suoi sacramenti?
Da queste domande era nata la diffidenza di molti che temevano che la presa di posizione del Papa contro i clan fosse inutile. Un gesto bello, nobile, ma innocuo. Ma non è così e la “protesta” dei duecento detenuti affiliati lo dimostra. Intanto è una prima volta, un unico nella storia criminale e non è affatto quello che potrebbe sembrare ad una prima lettura: ossia una semplice conseguenza della scomunica. Quando si tratta di organizzazioni mafiose ogni azione, ogni parola, ogni gesto non può esser letto nel suo significato più semplice e elementare. Dev’essere inserito nella complessa grammatica simbolica che è la comunicazione dei clan.
Questo sciopero della messa non parla ai preti, non parla alla direttrice del carcere, non parla nemmeno al Papa. Questo sciopero non dice: «Il Papa ci ha tolto la patente di cristiani, non possiamo più battere le strade della messa e della comunione ». Perché questo è falso. Papa Francesco nel suo viaggio in Calabria ha fatto un gesto comunicativamente geniale, è andato a trovare i detenuti nel carcere di Castrovillari e ha detto loro «anche io sbaglio, anche io ho bisogno di perdono»: è in questa frase la vera forza della sua dichiarazione di scomunica. Non è contro l’uomo che in carcere appartiene all’organizzazione ma contro l’organizzazione. La scomunica non è all’assassino, all’estorsore, all’affiliato, al sindaco corrotto, al giudice compromesso, al boss, la scomunica è contro chi continua a sostenere l’organizzazione. La scomunica è all’assassinio, all’estorsione, alla tangente, alla corruzione quindi alla prassi mafiosa.
Quella degli affiliati non è quindi una sorta di protesta contro una Chiesa che ha abbandonato in contraddizione con il vangelo («ero carcerato e siete venuti a trovarmi») il conforto ai detenuti. È un manifesto. È una dichiarazione di obbedienza alla ‘ndrangheta, la riconferma del giuramento di fedeltà alla Santa. Questo sciopero è un gesto che deve arrivare all’organizzazione stessa. La scelta di andare a messa nonostante la scomunica avrebbe potuto far apparire gli affiliati sulla strada del tradimento, alla ricerca di quel nuovo percorso di pentimento che Francesco gli ha indicato.
Sottolineano: siamo scomunicati perché ‘ndranghetisti, e nessuna occasione simbolica è lasciata sfuggire dagli uomini dei clan per ribadire soprattutto dalle segrete di un carcere la loro fedeltà. Si sciopera contro la messa in questo caso per dichiararsi ancora uomini d’onore e non lasciare alcun sospetto di allontanamento dalle regole dell’Onorata Società. Quando ci si affilia la “santina” di San Michele Arcangelo viene fatta bruciare tra le mani unite e aperte a forma coppa e le parole pronunciate sono definitive: «In nome di nostro Signore Gesù Cristo giuro dinanzi a questa società di essere fedele con i miei compagni e di rinnegare padre, madre, sorelle e fratelli e se necessario, anche il mio stesso sangue».
La scomunica di Papa Francesco sta diventando un meccanismo in grado di alzare come un grimaldello le inaccessibili blindate che isolano i codici mafiosi dal resto della società civile. Bisogna insistere e agire, isolare quelle parti di chiesa saldate alla cultura mafiosa che ancora resistono, come dimostra quel che è accaduto sempre ieri a Oppido Mamertina, in Calabria, dove la processione ha reso l’omaggio alla casa di don Giuseppe Mazzagatti. Un “inchino” dovuto per non alterare un vecchio boss che ancora tiene (rispetto alle giovani generazioni) al vecchio rito e che — come in molti hanno lasciato trapelare — da decenni finanzia feste patronali e iniziative religiose nel suo territorio.
Nell’Italia della crisi i simboli contano come reale e spessa sostanza, non sono un orpello di facciata. Alla scomunica religiosa deve seguire una scomunica civile assoluta, che permetta l’esclusione del meccanismo mafioso dalle dinamiche quotidiane, economiche, sociali. Un’esclusione vera, radicale, definitiva.

Da La Repubblica del 07/07/2014.

 

 

Inconsapevole un cazzo

Sottotitolo:  un ringraziamento ai giudici che non si arrendono, che lavorano per superare l’insormontabile della vergogna, delle leggi monnezza, dello stato che quando si esprime per bocca del suo alto rappresentante non lo fa per complimentarsi con chi riesce anche a fermare il potente quando è delinquente ma solo e soltanto per dire a loro di mettersi da parte, di non rendersi protagonisti, di lavorare con lentezza per non dare troppo fastidio. Fino ad un anno fa definire berlusconi “delinquente” poteva costare anche una denuncia per diffamazione, oggi no. Si può serenamente chiamare delinquente un delinquente vero e questo solo grazie ai giudici, non a quell’accozzaglia cialtrona che lo doveva battere e fermare politicamente.

 

Chi nella politica ha retto il sacco in tutti questi anni di corruzione, ruberie, favoritismi,  favoreggiamenti, appalti truccati, soldi pubblici spesi perfino per comprare vibratori, coperture anche per mezzo di leggi dello stato  non è migliore di chi ha materialmente commesso i reati. Se la politica proteggesse e tutelasse i cittadini – che poi sarebbe l’unica cosa che dovrebbe fare –  quanto lo ha fatto e lo fa – ancora – coi criminali che si è sempre messa in casa questo sarebbe un paese perfetto. Il più bello del mondo. Non siamo noi i manettari forcaioli: sono loro i delinquenti. E non smettono.

L’immagine dell’Italia la guastano le fiction di mafia e camorra e la condanna di berlusconi. Per non parlare dell’arresto di Scajola, già ministro dell’interno [quello  che al G8 di Genova, dopo la morte di Carlo Giuliani, diede l’ordine di sparare contro chiunque avesse provato a violare la zona rossa], ovvero il delegato alla sicurezza nazionale a cui però stava più a cuore quella di un ‘ndranghetista latitante. Bisogna leggere chi è Matacena, cos’ha fatto e come sia possibile che in questo paese i politici, i ministri, attuali ed ex [vero Nonna Pina Cancellieri?] debbano avere rapporti stretti con gente che persone normali si vergognerebbero di conoscere di vista.
Non, invece, uno stato che con la mafia e la camorra e tutte le loro derivazioni si è messo sottobraccio e ha coronato questo rassemblement, questo gioioso trait d’union, questa liaison che dura da centocinquant’anni fra lo stato e la malavita permettendo a berlusconi l’amico della mafia, di dell’utri il fondatore di forza Italia, quello che si teneva in casa Mangano  a fare da governante ai figli, di mettersi a capotavola del banchetto e che continua a servirgli le pietanze per primo così come si fa con l’ospite d’onore
.#Gomorra non è solo Napoli, Gomorra è l’Italia, da Bolzano a Palermo.

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SCAJOLA ARRESTATO DALL’ANTIMAFIA – Avrebbe favorito la latitanza dell’ex Pdl Matacena. Berlusconi si dice “addolorato”  

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Nuova tangentopoli sugli appalti Expo Arrestati Paris, Frigerio e Primo Greganti 

Per i pm è un’associazione a delinquere per pilotare i bandi: “Ci sono intercettazioni clamorose”
In carcere anche ex senatore Pdl Grillo. “Cene ad Arcore con Berlusconi e contatti con Cesare Previti” [Il Fatto Quotidiano]

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E, a proposito dell’intervista mattutina di berlusconi a Radio Capital che, essendo un network nazionale qualcuno avrà avuto modo di ascoltare,  io posso anche sforzarmi di capire questa esigenza di intervistare anche berlusconi se qualcuno ai piani alti lo ha permesso. Ormai ‘sta croce ce la dobbiamo portare fino all’ultimo. Ma quello che mi rifiuto di capire sono i toni cordiali, amichevoli, è questo parlarci come se niente fosse, è permettergli di fare ancora e ancora la parte della vittima che non è. E’ parlargli d’altro e farlo parlare d’altro e non degli stracazzacci suoi che sono tantissimi. E’ chiamarlo presidente con riverenza. E’ questa sottospecie di giornalismo, il più pericoloso perché svolto all’interno di una radio apparentemente leggera e che viene ascoltata da tanta gente e per mezzo della quale, escluso il breve sipario dell’ottimo Massimo Rocca [che ringrazio] viene fatta ormai da tempo la propaganda più strisciante pro tutto fuorché pro chi si oppone a quel tutto che viene presentato invece come il mostro cattivo. Mentre col mostro cattivo, quello vero, ci si parla simpaticamente così come si fa coi vecchi amici.

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SILVIO ’O MARIUOLO  – Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano 

Sentite questa. Martedi sera, a Roma, la senatrice pd Anna Finocchiaro si batte accanto al soave ministro Boschi per ottenere il primo via libera della commissione alla riforma del Senato che giunge grazie al sì di Silvio Berlusconi a sua volta convinto da una telefonata di Renzi. È la stessa senatrice pd Anna Finocchiaro che mercoledì mattina, a Napoli, nell’aula del processo per la compravendita dei senatori testimonia contro lo stesso Berlusconi confermando, prove alla mano, il tentativo di corruzione messo in atto dall’ex Cavaliere nel 2008 per far cadere il governo Prodi. Nella patria della trattativa stadio-mafia nulla dovrebbe più sorprendere, ma qui siamo di fronte a qualcosa di mai visto se non a teatro, nelle pochade con i mariti cornuti che quando trovano l’amante della moglie dentro l’armadio prima l’invitano a cena e poi chiamano i gendarmi. Che Berlusconi sia stato l’amante di una certa sinistra pragmatica e riformista è noto fin dai tempi della bicamerale dalemiana: prodigo di regalini il sultano di Arcore, ma anche incline ai tradimenti. La stessa attrazione fatale che ha sedotto Matteo Renzi quando a gennaio s’incontrò con il leader di Forza Italia al Nazareno per sugellare insieme il famoso patto sulle riforme. A nulla valsero le proteste: ma è un pregiudicato per reati gravissimi, ma è stato cacciato dal Parlamento, ma è Berlusconi! Niente, all’amor non si comanda. Anche l’altra sera, solo dopo una struggente telefonata, il premier ha convinto il condannato ai servizi sociali a concedere i suoi preziosi voti. Perché meravigliarsi se poi costui, tra una visita e l’altra a Cesano Boscone, si pavoneggia in tv definendosi “padre della patria”? Che poi qualche anno fa abbia cercato di corrompere qualche senatore pd, poco male. Lui è un po’ il Genny ‘a Carogna della politica. Delinque, ma a fin di bene. Sempre sotto gli occhi di Renzi, s’intende.

 

La serva è ladra e la padrona è cleptomane (Trilussa)

Nicola Cosentino nel settembre 2008 venne pubblicamente accusato di aver avuto un ruolo di primo piano nell’ambito del riciclaggio abusivo di rifiuti tossici attraverso la società per lo smaltimento dei rifiuti Eco4, come emerse dalle rivelazioni di Gaetano Vassallo, un imprenditore reo confesso di aver smaltito abusivamente rifiuti tossici in Campania attraverso la corruzione di politici e funzionari.  Quando Vassallo si presenta ai magistrati dell’Antimafia di Napoli è il primo aprile. Mancano due settimane alle elezioni, tante cose dovevano ancora accadere. Due mesi esatti dopo, Michele Orsi, uno dei protagonisti delle sue rivelazioni fu assassinato da un commando di killer casalesi. E 42 giorni dopo Nicola Cosentino, il più importante parlamentare da lui chiamato in causa, è diventato sottosegretario del governo Berlusconi.

 

Sottotitolo: ‎”Avete fatto delle leggi per mandare in galera i marocchini solo perché entrano in Italia e adesso improvvisamente inorridite di fronte alla galera per uno accusato di camorra?” (Marco Travaglio vs  santanché)

 

Non ne posso più di questa overdose di santanché: lunedì a l’Infedele, stasera da Santoro. Sembra che i talk show politici non possano fare a meno di questa bambola di plastica che, come ha detto Crozza: “è l’unico caso al mondo in cui il silicone si sente danneggiato dal resto del corpo.” Dev’essere una sorta di crisi di astinenza da berlusconi: la usano come metadone.

 

Il banchiere non evade, al massimo fa pace: è pacifista.
(Marco Travaglio)