Sottotitolo: alle spalle di Andreotti giganteggia la parola INNOCENTE sul maxischermo di Porta a porta nella famosa puntata successiva alla PRESCRIZIONE di Giulio Andreotti.
Prescrizione non vuol dire affatto assoluzione ma per bruno vespa questo fu un dettaglio ininfluente, la tv di stato, il servizio pubblico non ritenne opportuno spiegare agli italiani attraverso il suo – ahimé – programma di approfondimento politico [ari_ahimé] di spicco, non foss’altro perché si prende cinque sere a settimana da anni che Giulio Andreotti non fu assolto per innocenza ma prescritto in un processo per mafia. Che non è la stessa cosa.
Solo al pensiero di quello che dovremo leggere e sentire già mi sento male.
Santo, santo, lo faranno diventare.
Se l’hanno assolto da vivo figuriamoci che faranno adesso che è morto.
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Morto a 94 anni Giulio Andreotti
Dagli incarichi di Stato ai misteri italiani
Berlusconi: “Vittima della sinistra”. Napolitano: “Giudizio alla storia”. Letta: “Padre della patria”
Le 27 richieste della magistratura bloccate dalle Camere. E le carte restano ancora segrete (leggi)
POTERE E MISTERI/1: “GLI SPONSOR VATICANI”. IL “DIVO” A PUNTATE DI PETER GOMEZ
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Preambolo: Tenete il fiato, di Massimo Rocca per il Contropelo di Radio Capital
Avete presente la scena del Divo, quando Andreotti arriva alla giunta per le autorizzazioni a procedere? Nella realtà la folla delle telecamere e dei giornalisti era almeno il triplo, io quel 14 aprile del 93 ero lì in mezzo, nel meraviglioso cortile di Sant’Ivo alla Sapienza. Andreotti normalmente pallido era terreo, la bocca sottile non c’era più, più che gobbo era curvo. Fu come essere alla Concorde quando un condannato saliva alla ghigliottina. Lui aveva paura. Io ero molto ingenuo. Mi sembrò il culmine di quello che era iniziato un anno prima nel Pio Albergo Trivulzio, sedici giorni dopo avrei visto Craxi fuggire dal Raphael sotto una pioggia di monetine. Cadevano uno dopo l’altro i potenti, la magistratura diceva, trovava, provava, quello che avevamo sempre detto. Ci sembrava, in piccolo, la nostra Liberazione. Si respirava a pieni polmoni. Dimenticavo, brutto per uno storico di formazione, che in Italia si respira per poco, un paio d’anni ogni tanto. Tra il 59 e il 61 dell’ottocento, tra il 43 e il 45. Undici mesi dopo Berlusconi vinceva le elezioni.
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E siamo sempre alle solite.
Alle squallide faccende di casa nostra che riguardano un’informazione viziata dalla malattia della menzogna a getto continuo.
Ecco perché poi quando qualche “folle visionario” col vizio della verità cerca di fare chiarezza viene accusato di gettare fango e di essere lui, il bugiardo.
Giulio Andreotti non è stato affatto uno statista apprezzabile e degno di una forma superiore di rispetto perché non ha fatto proprio niente di rilevante per dover passare alla storia come tale.
Ieri scrivevo sulla mia pagina di facebook che al di là di tutto, Andreotti si è fatto processare, Craxi ha preferito latitare ma nessuno dei due ha mandato un paese a carte quarantotto per i suoi guai con la giustizia.
Solo uno c’è riuscito, evidentemente perché più di qualcuno si è attivato per consentirlo.
Perché doveva andare così e deve ancora essere così.
E se berlusconi è più di Andreotti, più di Craxi e più di entrambi messi insieme questo paese è davvero in pericolo: non è una leggenda metropolitana e nemmeno qualcosa su cui si può ancora scherzare e farci su dell’ironia.
E quello che mi fa incazzare è che tutti e tre hanno la nomea di statisti, quelli morti perché rivisitati e ripuliti perbenino, quello vivo perché comunque ha la possibilità di tenere sotto scacco un paese per i fatti suoi ma tutti e tre non avranno il giudizio storico che si meritano.
Anche il Coni ha proclamato per le manifestazioni sportive il minuto di lutto nazionale, il lutto nazionale per un prescritto per mafia.
Poi dice perché berlusconi sta ancora lì.
Ma il fatto di aver preferito accettare le regole di uno stato di diritto, o almeno di quel che ne resta non può essere un motivo per elogiare un signore che non è stato sanzionato per un abuso edilizio o per aver lasciato la macchina in divieto di sosta ma processato per mafia, nello specifico per “il reato di associazione per delinquere” commesso fino alla primavera del 1980 e assolto “per insufficienza di prove” per quello di associazione mafiosa.
E nessuna delle due sentenze significa innocenza a trecentosessanta gradi, la prescrizione interviene quando scadono i tempi regolamentari necessari ad un processo per arrivare ad una giusta sentenza, l’insufficienza di prove quando non sono state raccolte quelle prove che potrebbero produrre un altro risultato: l’insufficienza di prove potrebbe essere anche legata alla negligenza di investigatori poco capaci, ad esempio.
Negligenti per scarsa capacità o magari perché hanno pensato che non fosse opportuno essere più precisi nella ricerca.
Ma tutto questo non sta impedendo in queste ore che seguono la dipartita di colui che sembrava esente anche dalla morte, di parlare di lui come se fosse stato determinante per il cammino di questa nostra democrazia.
E invece non è affatto così.
Andreotti si porta via, nella sua “miglior vita” molte cose e tutte importantissime, i segreti e le omissioni sulle stragi di stato e di mafia ad esempio, fare chiarezza su questi e non ricoprirli col solito alibi, paravento di quella ragion di stato che tanto male ha fatto e continua a fare a questo stato avrebbe potuto migliorare la democrazia, rendere questo un paese fatto di gente consapevole e capace di distinguere la figura di uno statista da quella di un signore il cui unico interesse è stato accumulare una quantità spropositata di potere.
Gente che grazie alla verità sui fatti passati avrebbe magari evitato di riportare al potere persone interessate non al bene dello stato ma unicamente al loro.
E la sua frase ormai entrata nel linguaggio comune: “il potere logora chi non ce l’ha” è l’ammissione perfetta, esatta, di quello che è stato l’uomo politico Giulio Andreotti.
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Giulio, eri tutti loro
Marco Travaglio, 7 maggio
Uno straniero atterrato ieri in Italia da un paese lontano durante la lunga veglia funebre per Andreotti a reti unificate, vedendo le lacrime e ascoltando le lodi dei politici democristi e comunisti, berlusconiani e socialisti, ma anche dei giornalisti e degli intellettuali da riporto di tutte le tendenze e parrocchie, non può non pensare che l’Italia abbia perso un grande statista, il miglior politico di tutti i tempi, un padre della Patria che ha garantito al Paese buongoverno e prosperità, e ciononostante fu perseguitato con accuse false da un pugno di magistrati politicizzati, ma alla fine fu riconosciuto innocente e riabilitato agli occhi di tutti nell’ottica di una finalmente ritrovata pacificazione nazionale.
La verità, naturalmente, è esattamente quella opposta. Non solo giudiziaria. Ma anche storica e politica. È raro trovare un politico che ha occupato tante cariche (7 volte premier, 33 volte ministro, da 13 anni senatore a vita) e ha fatto così poco per l’Italia: nessuno — diversamente che per gli altri cavalli di razza Dc, da De Gasperi a Fanfani a Moro – ricorda una sola grande riforma sociale o economica legata al suo nome, una sola scelta politica di ampio respiro per cui meriti di essere ricordato. Andreotti era il simbolo del cinismo al potere, del potere per il potere, fine a se stesso, del “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Il primo responsabile, per longevità politica, dello sfascio dei conti pubblici che ancora paghiamo salato. Un politico buono a nulla, ma pronto a tutto e capace di tutto. Il principe del trasformismo, che l’aveva portato con la stessa nonchalance a rappresentare la destra, la sinistra e il centro della Dc, a presiedere governi di destra ma anche di compromesso storico, a essere l’uomo degli Usa ma anche degli arabi. Un politico convinto dell’irredimibilità della corruzione e delle collusioni, che usò a piene mani senza mai provare a combatterle, perchè – come diceva Giolitti e come gli suggeriva la natura – “un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all’abito”. Eppure, o forse proprio per questo, era il politico più popolare. Perchè il più somigliante a quell’ “italiano medio” che non è tutto il popolo italiano. Ma ne incarna una bella porzione e al contempo la tragica maschera caricaturale. Se però Andreotti spaccava gli italiani, affratellava i politici, che han sempre visto in lui – amici e nemici – il proprio santo patrono e protettore. La sua falsa assoluzione, in fondo, era anche la loro assoluzione. Per il passato e per il futuro. Per questo, quando le Procure di Palermo e Perugia osarono processarlo per mafia e il delitto Pecorelli, si ritrovarono contro tutto il Palazzo. Il massimo che riusciva a balbettare la sinistra era che, sì, aveva qualche frequentazione discutibile, ma che stile, che eleganza in quell’aula di tribunale dove non si era sottratto al processo (il non darsi alla latitanza già diventava un titolo di merito).
Fu parlando del suo processo che B. diede dei “matti, antropologicamente diversi dalla razza umana” a tutti i giudici. Fu quando si salvò per prescrizione che Violante criticò l’ex amico Caselli per averlo processato e la Finocchiaro esultò per l’inesistente “assoluzione”. Anche i magistrati più furbi e meno “matti”, come Grasso, si dissociarono dal processo e fecero carriera. Oggi le stesse alte e medie e basse cariche dello Stato che l’altroieri piangevano la morte di Agnese Borsellino piangono la morte di Giulio Andreotti. Ma non è vero che fingano sempre: piangendo Andreotti, almeno, sono sincere. Enrico Letta, alla notizia che la Cassazione aveva giudicato Andreotti mafioso almeno fino al 1980, si abbandonò a pubblici festeggiamenti: “Quante volte da bambino ho sentito nominare Andreotti a casa di zio Gianni. Era la Presenza e basta, venerata da tutti. Io avevo una venerazione per questa Icona!”. E giù lacrime per l'”ingiustizia” subìta dalla venerata Presenza anzi Icona, fortunatamente “andata a buon fine” tant’è che “siamo tutti qui a festeggiare” (un mafioso fino al 1980).
L’altro giorno Letta jr. è divenuto presidente del Consiglio.
È stato allora che il Divo ha capito di poter chiudere gli occhi tranquillo.