Crozza delle meraviglie

“Nel paese sta dilagando il Razzi-pensiero: “pensa alla tua famiglia e fatti li cazzi tua”. [Maurizio Crozza]

“In questo periodo la Chiesa è in un momento fulgido… ha finalmente trovato il Papa perfetto! E’ come quando l’Algida ha beccato il Magnum. Questo Papa non è il Vescovo di Roma… è il Vescovo di Roaming. Da marzo a oggi, ha già consumato 35 SIM. Chiama tutti: il suo calzolaio, l’edicolante, studenti, donne incinta, signore scippate, bambini a Betlemme… tutti, chiama tutti.” [Maurizio Crozza]

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Crozza Papa Francesco 

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Si può credere o non credere, interessarsi alle religioni per fede o semplicemente per interesse, cultura, per spirito di comprensione. Ma il messaggio che arriva da questo papa è inequivocabile: lui parla di cose tangibili, tutt’altro che trascendentali, della realtà che ci riguarda da vivi, non in un’ipotetica prossima vita, il suo è lo stesso identico pensiero di una laicissima e ateissima Margherita Hack quando diceva che noi atei sappiamo di doverci comportare bene qui, in questa vita non per sperare nella gloria della vita eterna ma perché le leggi morali le hanno fatte donne e uomini da che esiste il mondo. E per questo andrebbero rispettate senza doversi aspettare una ricompensa in una prossima e ipotetica vita alla quale non tutti credono e sperano.

L’imitazione del papa di Crozza non è un semplice sketch: è una metafora. Io ci ho visto una grande rappresentazione dello squallore della politica italiana. La metafora inizia da Ratzinger che lascia, cede il passo, in un certo senso si umilia, dice al mondo: “non sono più in grado di fare il papa”. 

Il secondo papa nella storia della chiesa che se ne va da vivo.
Un gesto importante che nessun politico italiano ha mai fatto: nessuno dice mai “lascio perché non sono in grado”. Restano tutti, purtroppo. Anche da condannati alla galera.

E al suo posto arriva l’uomo semplice, quello che viene da lontano, che non chiede le larghe intese con “quello di prima” ma dimostra subito di avere un’altra visione di come deve essere concepita la sua missione. 

Il papa che si paga l’albergo, che snobba la security, che si fa toccare dalla gente, che fa gesti non previsti da un’etichetta vecchia, desueta. 

Il papa che capisce che il mondo è cambiato e che ci sono realtà che la chiesa ha ignorato, e quando non lo ha fatto ha giudicato, escluso, emarginato, realtà che non si possono più mettere sotto al tappeto dell’ipocrisia: i gay, le donne che abortiscono, chi divorzia, la politica disonesta che corrompe e si fa corrompere.

Il papa che telefona a privati cittadini per dirgli che è cosciente dei loro problemi, che vuole sentire e toccare personalmente le sofferenze dei cittadini comuni, non dare la precedenza ad udienze private che di solito i papi concedono solo a chi problemi non ne ha ma in compenso li crea.

Nello sketch il papa si porta il frigorifero da 76 chili sulle spalle, ovvero quello che lui sta mettendo a disposizione di tutti: i consigli, la sua umanità, il suo ripetere tutti i giorni che così non va bene, che bisogna cambiare. 

E con quel peso sulle spalle si preoccupa di cercare l’autobus per la prostituta, telefona a Scalfari “contemporaneamente” [e non sa cosa pesa di più].

Ma quando la signora destinataria di quel frigorifero in regalo lo vede con quel peso enorme sulle spalle anziché essere contenta del pensiero lo rimprovera, gli dice che quel frigorifero non le va bene, che mal si addice alle dimensioni della sua piccola casa [il parlamento?] e al colore delle sue mattonelle. Tant’è che il papa le dice addirittura di essere disposto a cambiarle le mattonelle piuttosto che riportarsi indietro il frigo.

Quel frigo che è troppo alto, che è “troppa roba”, che la signora rifiuta in malo modo, gli dice che se quello è tutto ciò che sa fare questo papa andava bene pure “quello di prima”. Quello dei giudizi e degli anatemi, quello più adatto allo spessore etico, morale e umano di questa politica.

La vedova Crocetti non rappresenta altro che la disgustosa ipocrisia della politica italiana da sempre inginocchiata e prona al vaticano e alla chiesa, sempre ben disposta a negare quei diritti che renderebbero più civile questo paese, più buono, per mero opportunismo, per non perdere i voti dei cattolici cattivi, egoisti ma che all’atto pratico non ha mai messo in pratica i più elementari concetti espressi dalla cristianità, quelli della solidarietà, dell’accoglienza, dell’onestà ma al contrario ha sempre preferito applicare la teoria del Razzi pensiero: quella del “pensa alla tua famiglia e fatti li cazzi tua”.

Qualcosa tipo… una liberazione

Le elezioni hanno evidenziato il desiderio di cambiamento degli italiani. A tale istanza, la politica (Pd in primis) ha risposto con Enrico Letta premier. Un po’ come andare al concerto di Woodstock, farsi una canna, rotolarsi nel fango. Aspettare Jimi Hendrix. E poi trovarsi sul palco Orietta Berti e Drupi. [Andrea Scanzi]

 

Preambolo: l’unico ricompattamento che interessava al piddì è quello fra il loro culo e la poltrona, altroché votare Napolitano per senso di responsabilità perché sarebbe l’unico in grado di garantire l’unità nazionale, se mentre lo facevano i tre quarti d’Italia si stavano sgolando perché non volevano lui ma volevano un presidente che fosse DAVVERO un GARANTE di TUTTI e non dei partiti e della politica.
Se c’è qualcosa che ha finito di spaccare questo paese è stata proprio la rielezione straordinaria di Giorgio Napolitano.
Per non parlare di quanto potrà ancora distruggere, altroché unire, ricompattare e garantire, il governo che questi geniali strateghi della politica stanno preparando.

Adesso qualcuno dovrebbe anche raccontarci la storiella che “meglio di così non si poteva fare”, ma, come diceva qualcuno: “il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare”.

Molto comica la Di Girolamo ieri sera a Ballarò che cercava di paragonare le grosse coalizioni che si fanno nei paesi normali – dove non si mandano delinquenti nei parlamenti – in situazioni particolari, di crisi politica o di emergenza con gli squallidi accordi di bottega che si fanno invece qui anche a prescindere dalle crisi ed emergenze. 

Quando gli storici del futuro, fra cento anni, duecento anni analizzeranno il fenomeno della politica italiana noi non ci saremo più.

E sarà un vero peccato, vorrei reincarnarmi in una mosca per assistere allo spettacolo, quando sui libri di Storia del futuro i ragazzi dovranno studiare che nel 2013 il parlamento della repubblica italiana ha deciso che Carfagna, Gasparri, Alfano, Letta jr, Franceschini, Gelmini sono stati giudicati autorevoli difensori dell’unità nazionale e del bene del paese mentre Stefano Rodotà no.

“Perché no a Rodotà e sì a Berlusconi?”
Ma Bersani non risponde a Serracchiani

Sottotitolo: in Francia, concedendo il matrimonio e l’adozione agli omosessuali onorano l’égalité, del resto l’hanno inventata loro insieme alla liberté e alla fraternité che non sono modi di dire lì ma proprio modi di fare.
Noi qui, invece, siamo fermi alla complicité.
Del resto, anche questa l’abbiamo inventata noi.

Finalmente, grazie al nuovo governatore Zingaretti, la regione Lazio ha bloccato i finanziamenti per la costruzione del monumento al criminale di guerra Rodolfo Graziani. Qualcuno dovrebbe spiegare al sindaco di Affile che per essere Antifascisti non bisogna essere stalinisti, e che se questo fosse un paese normale ogni singolo cittadino che conosca almeno un po’ la storia italiana dovrebbe avere in sé i valori dell’Antifascismo, altroché ammalarsi di  nostalgie fasciste.

Idioti, imbecilli, storicamente ignoranti e perdenti.

Qualcosa tipo una liberazione – Massimo Gramellini, La Stampa

«La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.

In questi giorni e ogni anno due cose tornano puntuali e con precisione scientifica: le formiche a casa mia – ché la primavera è bella ma ha anche i suoi svantaggi, specialmente se si abita in campagna, e le consuete cazzate sul 25 aprile, il che non dovrebbe essere un fatto da imputare alla stagione, se questo fosse un paese normale.
Perché bisognerebbe indagare sui metodi di insegnamento e nel particolare sugli insegnanti, se un ragazzino può dire che “giovedì [25 aprile] si sta a casa perché c’è una cosa tipo una liberazione”.
Ma del resto questi sono i risultati di un’azione capillare di dimenticanza che dura da anni e anni, i risultati di quell’eccesso di “comprensione storica” di togliattana memoria che portò violante, uno che di cazzate se ne intende ma chissà perché Napolitano l’ha considerato addirittura saggio, a dire qualche anno fa che tutto sommato fra i repubblichini di Salò e i Partigiani non c’era una differenza così sostanziale, e il pdl fece addirittura una proposta di legge, subito imitato anche dal pd per assegnare ai reduci di Salò una pensione statale.
Come se aver combattuto contro l’oppressore nazifascista ed essersi messi al suo fianco – perché, come ancora pensa e dice qualcuno, i tempi non permettevano di scegliere – fosse la stessa e identica cosa.

Libro & Giorgetto
Marco Travaglio, 24 aprile

Il Foglio e Libero — il primo in modo spiritoso, il secondo con le mèches smentiscono quel che abbiamo scritto negli ultimi giorni e di cui facciamo ammenda: cioè che tutti i media siano genuflessi ai piedi di Sua Castità e del suo governissimo. 
Essi anzi manifestano una sbarazzina tendenza alla critica che rasenta il vilipendio. 
Per esempio il Corriere, che assume la guida dell’opposizione con il commento al vetriolo di Antonio Polito: “Discorso breve, severo ma intriso di commozione: una lezione di virtù repubblicana”. E di Paolo Valentino: “Ci sono discorsi che cambiano la storia di un Paese. Come quello di Abraham Lincoln nel 1863 a Gettysburg… O come Lyndon Johnson, che nel 1964 pronuncia il celebre we shall over come e chiude la segregazione razziale… Il discorso di Giorgio Napolitano ha la forza retorica, l’altezza d’ispirazione e la dirompenza politica che lo rendono già un’opera prima… ha aperto una nuova pagina, restituendo dignità alla parola e regalandoci un testo di etica pubblica senza precedenti nella storia repubblicana. In un altro Paese, lo farebbero studiare nelle scuole”. Le case editrici sono già all’opera per rimaneggiare all’uopo i sussidiari e le antologie scolastiche, espungerne i sorpassati Alighieri, Machiavelli, Foscolo, Manzoni e Pirandello e far posto a Giorgio Lincoln-Johnson. Ma anche un po’ De Gaulle, come lo definisce sul Foglio il sempre controcorrente compagno Ferrara (“logica stringente, grinta politica, orgoglio civile e sculacciate a Gribbels… un capolavoro che ha per titolo onorario quel ‘Tutti per l’Italia’ proposto dal Foglio prima della campagna elettorale”). I provveditori agli studi vedano se non sia il caso di ripristinare, all’inizio delle lezioni subito prima della preghiera mattutina, il Saluto al Re dei balilla e delle piccole italiane. Addirittura urticante, com’è nello stile di Repubblica, l’attacco di Andrea Manzella che vede “nella generosa disponibilità di Napolitano la consapevolezza di dover conservare ‘immune da ogni incrinatura’ il ruolo istituzionale del presidente della Repubblica”. Perché sembra un re, ma è solo un presidente che “assembla le attribuzioni presidenziali che erano un po’ sparse nella Carta”: ecco, assembla. E “si può dire che al triangolo tradizionale — governativo, legislativo, giudiziario — si è ora aggiunto, senza togliere nulla agli altri, un quarto lato. Un triangolo quadrilatero”. Gli editori scolastici prendano buona nota e approntino opportune integrazioni ai testi non solo di diritto costituzionale, ma anche di geometria: ai triangoli equilatero, isoscele, degenere, rettangolo, ottusangolo e scaleno si aggiunga senza indugio il triangolo quadrilatero, con buona pace di Pitagora che non capiva un cazzo (il suo, del resto, era il solito “teorema”). Addirittura temerario sulla Stampa , nel suo empito dissacratorio, è Luigi La Spina, che fa onore al suo cognome conficcando nel sacro còre napulitano un giudizio al vetriolo: “È una delle poche occasioni in cui l’aggettivo ‘storico’ si può e si deve usare, perché non serve a un tributo encomiastico e adulatorio”, ci mancherebbe, perbacco. Per non esser da meno, la corrosiva Unità ospita l’on. giorn. Massimo Mucchetti, che da grande economista, forse un tantino influenzato dalle tempeste ormonali di primavera, non ha dubbi: “Di fronte alla cittadina Lombardi, Mara Carfagna per tutta la vita”. E vivaddio, quando ci vuole ci vuole. Per dirla col sempre birichino Claudio Sardo, è “La riscossa della istituzioni” e “speriamo che il discorso ‘storico’ del presidente segni l’avvio di una nuova stagione della Repubblica… Ora si fanno le riforme… Ora si fa il governo che le imprese, i lavoratori, le famiglie reclamano.Ora non si sfugge a una convergenza politica. Ora si difendono le istituzioni dal vilipendio”. E magari i treni arrivano in orario e ci riprendiamo pure l’Abissinia. Libro & Giorgetto, inciucista perfetto.

La direzione del PD sembrava una riunione dell’anonima alcolisti dopo una gita all’oktoberfest: salve, sono Pierluigi, perdo da una vita, ho provato a smettere…[Maurizio Crozza]

Tana per silvio

Aldilà del ‘mi piace, non mi piace’ e dell’ipotesi delle contestazioni su commissione c’è un fatto che è impossibile non rilevare,  lo faccio ogni volta che qualcuno mette in discussione un’opportunità nel merito della satira politica che non deve esserci, in un paese normale e democratico;  anticamente il buffone era quello autorizzato a ridicolizzare il potere senza rischiare la decapitazione, era l’unico che poteva andare davanti al Re,  farlo ridere dei suoi difetti ed errori e lanciare così un avvertimento al popolo per dire che quel Re non stava facendo le cose giuste. 
Che era un Re cattivo.
Oggi, nel terzo millennio, in un paese a maggioranza di  telerincoglioniti c’è chi vuole lasciare il potere ai re cattivi e tagliare la testa ai buffoni.

E in ogni caso, non è colpa di nessuno se la destra non sa far nemmeno ridere, non ha mai fatto ridere. Anzi. Non esiste un satiro, un comico manifestamente di destra che sia stato capace di far divertire la gente sui difetti della politica di sinistra; pure questo devono fare i comici e i satiri di sinistra. Inutile quindi che s’incazzino i berlusconiani, i fascisti ex post e d’antan se si ripete da duemila anni che la cultura sta a sinistra. Invece di fascistizzarvi, farvi rappresentare da un disonesto impostore, dall’abusivo della politica per eccellenza e togliere tempo alla vostra vita per difendere uno così studiate, magari prendete pure una fava e due piccioni e capite anche il perché in Italia non si può essere fascisti. La cosa più comica di tutte è che solo in questo paese si discuta ancora sull’opportunità della satira, che in quanto tale non ne deve avere, perché come ha ben detto anni fa vauro: la satira è satira e fa quel cazzo che vuole. Ma in Italia e nel 2013 non l’hanno ancora capito tutti.

Sanremo 2013, Crozza contestato dal pubblico dopo la parodia di Berlusconi

Costretto a interrompere lo show (video)

Momenti di tensione sul palco dell’Ariston. Gli esponenti Pdl attaccano il comico e i vertici Rai

Nel pomeriggio, il Cavaliere aveva dato un avvertimento al comico: “Si tenga alla larga dal Papa”.

Sottotitolo: squadrismo a Sanremo

Innocente siparietto – Massimo Gramellini, La Stampa

Preambolo: L’Italia è una repubblica fondata sugl’innocenti siparietti. 

” E’ talmente vanesio che ai matrimoni vorrebbe essere la sposa e ai funerali il morto”, diceva Montanelli che lo conosceva bene, non foss’altro perché è stato una delle sue prime vittime illustri.

E lo è così tanto, vanesio, che non può sopportare che gli si neghi un palcoscenico, e ai suoi spettacoli guai se non si ride, lo si deve fare anche su “gentile” richiesta di disonesti dirigenti d’azienda pronti a licenziare una dipendente solo perché ha detto che lei certi spettacoli con lui protagonista non li trova per nulla divertenti e nemmeno io, anzi, mi  fanno proprio schifo, mentre su quelli dove recita gente pagata per far ridere vorrebbe imporre il silenzio per mezzo di una piccola e squallida claque mandata probabilmente  appositamente a fischiare e insultare in una serata in cui il buffone pagato per far ridere non era nemmeno al top della sua professionalità. Evidentemente le ispirazioni iniziano a scarseggiare e meno male. E siccome è già difficile, faticoso e fastidioso  sopportare da vent’anni un disco rotto che non fa che ripetere la stessa monotona canzone fateci il favore: risparmiateci almeno le cover.

Due persone, ma anche dieci o venti mandate apposta per disturbare un programma televisivo non devono spaventare nessuno, ma ugualmente non è un bel segnale, in un paese normale e civile non si zittisce nessuno, nemmeno se lo chiedesse, pagando, berlusconi o qualsiasi altro prepotente.

Di contro però c’è la questione più importante: berlusconi non fa ridere più nessuno, che sia l’originale nella sua prima e per fortuna unica persona o tutte le sue rivisitazioni in chiave umoristica.

E di questo penso che debbano iniziare a prenderne atto tutti.

Perché continuare a tentare di far ridere del buffone per mezzo dei buffoni di professione fa perdere di vista che berlusconi non è un personaggio simpatico che dice cose simpatiche sulle quali fare dell’ironia: berlusconi è un pericolo di cui questo paese si deve liberare.

Singolare poi, che alle imitazioni di Bersani e Ingroia nessuno si sia risentito nello stesso modo; non era propaganda “maligna” anche quella? 

Inform’azione

Sottotitolo: Oscar Giannino ieri sera a Ballarò su berlusconi: “chiedete a una donna se desidera restare con un uomo che la tradisce da 18 anni…”[se è una povera idiota sì, è pieno di donne così].

Premessa: in questo paese un giornalismo vero, una libera informazione vera  non ci sono non solo per colpa di b, del conflitto di interessi, della politica che s’infila in ogni dove, nei consigli di amministrazione dei quotidiani e della tv di stato e detta la linea più opportuna al suo tornaconto personale e- appunto – politico. Non ci sono anche perché troppa gente, non avendo la minima idea di che significa informare, di quanto sia importante, fondamentale, per costruire una vera democrazia, non li pretende, non le interessano.

Se Floris ieri sera intervistando berlusconi è stato all’altezza della situazione mi fa piacere, non lo considero il top del giornalismo ma lo stimo,  penso che meriti una lunga carriera luminosa e che abbia la possibilità di svolgerla a lungo  oltre l’incubo berlusconi; sparito lui in questo paese tutto funzionerà meglio, ma non faccio certamente esplodere i fuochi d’artificio, perché un giornalista dovrebbe essere SEMPRE all’altezza della situazione.
E quello che mi dà enormemente fastidio è aver letto il paragone fra lui, Santoro e Travaglio [siamo italiani mica per niente].
Prima di tutto perché io non sono affatto convinta che Santoro e Travaglio nella famosa e ipercriticata puntata di Servizio Pubblico abbiano trattato berlusconi con cortesia, in secondo luogo perché non sono MAI stata convinta di quello che sento dire da vent’anni e cioè che Santoro sia stato funzionale a berlusconi [se qualcuno opera e agisce a mio favore non lo trasformo nel mio peggior nemico, lo metto sul comodino vicino all’abat jour e guai se si muove da lì: non bisogna farsi venire nemmeno un’ernia al cervello per arrivare a questa semplice conclusione]; così come non è vero che Travaglio, come da luogo comune ormai incistato in una certa sottocultura popolare espresso perlopiù da chi non ha mai aperto né letto nessuno dei suoi libri e giudica in base al pregiudizio e all’antipatia per la persona, si sia arricchito parlando e scrivendo “male” di berlusconi, forse perché i suoi libri io li leggo da vent’anni e so che c’è scritto dentro. E, quando parla ascolto quello che dice.
Così come non mi ha fatto piacere per niente ieri sera leggere un twitt del direttore Zucconi [Repubblica e Radio Capital] dove scriveva che “Santoro è uno showman e Floris un giornalista”. Mecojoni! direbbero a Bolzano, davvero ci vuole un’intervista, una una tantum per elevare così tanto  un giornalista sì bravino, sì ammodino [certe volte pure pure troppo], per trasformarlo in un totem del giornalismo? dov’era Zucconi quando Santoro trasmetteva sotto le bombe sul ponte di Belgrado gentilmente inviate dal suo amichetto d’alema?
Premesso che a me piace la critica e anche la polemica, quando non è finalizzata alla demolizione [a meno che non si tratti di berlusconi, essendo lui un’anomalia non si può trattare come chi anomalo non è],  non mi piace però  quando ridicolizza o mette un accento esagerato sugli sbagli dei nuovi movimenti che si sono formati ora, trovo che sia una forma di propaganda nemmeno troppo sottile. E scorretta, soprattutto.

Perché un conto è informare e un altro cercare di convincere la gente che quel partito di cui si evidenzia l’utilità, che secondo molti di quegli opinionisti  à la carte, quelli sempre pronti a saltellare ovunque si senta odore di potere sia l’unico da votare, sia il migliore di tutti, ben sapendo, invece, che anche in quel partito le contraddizioni e gli errori si sprecano, ed essendo un partito formato da professionisti della politica non dovrebbe essere così, per questo si dovrebbe essere meno severi e sarcastici con chi professionista non  è. 
Far notare comunque gli errori e le contraddizioni ma senza svilire, prendere in giro, perché dietro quei movimenti c’è una base di gente semplice che lavora, s’impegna e ci crede.
Rivoluzione Civile non è solo Ingroia, il MoVimento non è solo Grillo verso il quale gli house organ del pd – Repubblica in testa –  hanno aperto uno scontro frontale da mesi ripetuto e reiterato. Di lui si contano perfino i peli al naso, per Bersani il trattamento è diverso anche quando non dice le cose che la gente si aspetterebbe da un leader che si appresta a guidare il paese.

Ho sempre pensato che non ho nulla in contrario al giornalismo schierato, che è sempre meglio sapere con chi si ha a che fare, ecco perché mi piacerebbe che quando uno o più giornalisti si schierano facessero comunque delle analisi oneste, senza pregiudizi, senza cercare di dire alla gente che un partito è meglio di un altro.
Perché escludendo l’anomalia berlusconi, tutti meritano lo stesso rispetto.
E chissà perché invece di polemizzare inutilmente, di screditare dei colleghi, certi autorevoli “vecchi” del giornalismo non si domandano perché Bersani da Floris c’è andato, ci va e a Servizio Pubblico invece no, non ci vuole proprio andare.

Sto partito qua
Marco Travaglio, 6 febbraio

Anche se lui negherà sempre, pure sotto tortura, pare quasi che Massimo D’Alema legga Il Fatto. L’altro giorno ha detto che il Pd deve iniziare a fare campagna elettorale, mentre finora ha pensato di aver già vinto le elezioni e preferito parlare di alleanze dopo le urne e spartirsi i posti del futuro, sempre più immaginario, governo. È quello che scriviamo da due mesi. Se si domanda a un normale cittadino che cosa ricorda di ciò che han detto in campagna elettorale Bersani, Monti, Ingroia, B. e Grillo, la risposta è: di Grillo ricordo quasi tutto, di B. molte cose, di Ingroia qualcosa, di Monti poche cose, di Bersani niente (a parte che vuole sbranare chi accusa il Pd per Montepaschi, così anche i pochi che lo ritenevano estraneo capiscono che c’è dentro fino al collo). Magari Bersani avrà detto anche cose giuste e sensate, ma nessuno se n’è accorto. Perché non parla: biascica, bofonchia, borbotta masticando il sigaro. Non finisce mai le frasi. ‘Sto paese qua, mica siam qui, ‘ste robe lì. Una pentola di fagioli in ebollizione. Nei servizi dei tg appare sempre in contesti improvvisati e improbabili, tristi e desolanti, nulla che buchi il video e colpisca l’immaginario della gente. La retorica da culatello, piadina e squacquerone ha stufato. I proverbietti fanno pena. Infatti l’altroieri ha fatto meno ascolti a Piazzapulita di Renzi a Ottoemezzo. Ieri, con l’aria del trascinatore di folle (adesso vi faccio vedere io), ha lanciato l’idea di “un patto a Monti”. Sai che goduria. Politichese vecchio e muffito: i tavoli, gli assi, i patti, le convergenze, il dialogo, il riformismo, i progressisti e i moderati, i problemi sul tappeto. Eppure di cose da dire — chiare e semplici, comprensibili e popolari, persino vere — ce ne sarebbero a bizzeffe. Basta guardarsi intorno, interpellare il primo che passa per la strada o al bar. La casta, per esempio: chi parla più dei costi della casta? Antonello Caporale, sul sito del Fatto , suggerisce una proposta di tagli radicali alle spese folli delle cinque funzioni amministrative sovrapposte: Europa, governo, regioni, province e comuni. “Cinque livelli di spesa che si spartiscono 800 miliardi l’anno”. Ridurle almeno a quattro, facendola finita con le regioni o con le province, significherebbe tagliare le poltrone e i relativi bancomat. Un’altra idea viene dall’annuale relazione del presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino sulla “corruzione sistemica”, collegata al nero dell’evasione e delle mafie, che sottrae all’erario centinaia di miliardi e costringe i governi a tassare sempre di più una popolazione già allo stremo bloccando ogni barlume di sviluppo e di crescita. Basterebbe ammettere che la legge anticorruzione Severino è una boiata pazzesca e promettere di sbaraccarla per farne una nuova che punisca duramente (con la galera) corrotti, corruttori, concussori, evasori, falsificatori di bilanci, riciclatori (anche in proprio con l’autoriciclaggio), abusivisti, ma anche chi compra voti dalle mafie in cambio di favori. Invece anche su questo fronte si balbetta, temendo l’accusa di giustizialismo che, soprattutto di questi tempi, non fa perdere un voto, anzi ne fa guadagnare parecchi. Anziché inseguire le balle quotidiane di B. per strillare e smentire, perché non prenderlo in contropiede e sfidarlo a dire sì o no a un programma “legge e ordine”, con carcere assicurato a chiunque sottragga denaro alla collettività? Basterebbe una parola chiara, e l’alleanza con Ingroia sarebbe cosa fatta. Invece il prontuario dei candidati Pd, con le rispostine precotte da dare alle eventuali domande di giornalisti o cittadini, fa cascare le braccia. Su corruzione ed evasione (per non parlare dell’elusione, chiamata “eluzione”), 4-5 righe di banalità. E sulla controriforma Fornero si legge testualmente: “Noi non intendiamo toccare la riforma dell’articolo 18 nella formulazione alla tedesca”. Ottima risposta per le elezioni in Germania. Per l’Italia, c’è tempo.

Uno strepitoso Crozza nell’imitazione di berlusconi: “mi davano tutti per morto, ho sparato tre cazzate in cinque giorni e ora sono tutti in paranoia”.

“Avete salvato le banche e non gli ospedali” [M.Crozza]

Sottotitolo: allenatevi a operarvi da soli con l’allegro chirurgo. Il governo che “ha salvato l’Italia” non garantisce la sanità. #pezzidimerdatecnici
[Alessandro Robecchi da twitter]

Monti dichiara che è a rischio il Servizio Sanitario Nazionale. 

Il governo, questo, su commissione di altri che hanno preso l’impegno negli anni scorsi compra 90 F35, brucia, dilapida 23 miliardi di soldi PUBBLICI in spese militari, quest’anno il 5%  in più nonostante la crisi, ché giocare al risiko ha un costo [700 milioni l’anno solo per l’Afghanistan], in un paese che ripudia la guerra per Costituzione, taglia la spesa per l’istruzione pubblica per dare agli istituti privati, elargisce somme ingenti alla sanità privata, gonfia le tasche già piene di politici e banchieri, e poi? è di nuovo il momento di portare i libri in mansarda, in questo paese?

Preambolo:

[TENDENZA GROUCHO]. BOMBE DEFICIENTI

In Siria, ogni giorno, un bambino viene ucciso dalle armi del regime. Gli ultimi dieci sono stati colpiti dalle bombe mentre giocavano a calcio. Altri ne muoiono in Palestina, Afghanistan, nelle guerre in corso in 35 paesi.
E noi italiani che non possiamo più permetterci il Sistema Sanitario Nazionale, abbiamo appena acquistato tre cacciabombardieri, per 100 milioni di euro l’uno. Il Governo dice che ce ne servono altri 77. Dai, deve esserci un modo più intelligente per combattere l’invecchiamento della popolazione.

Chissà che “nuovi modelli” ha in mente il professore…  proviamo ad immaginarlo, a fare qualche previsione, visto che si continua a dire: “l’Italia non è la Grecia” [all’ospedale principale di Atene né colazione né pranzo, né cena per i ricoverati].

Quelli che dicono “per anni avete vissuto sopra le vostre possibilità” li strozzerei volentieri. 
Con queste mani; poi mi andrei a costituire, perché sono una persona perbene.
Perché mentono, offendono la dignità di tanta gente.

E trovo alquanto scorretto il pensiero di chi dice che non si sa dove prendere soldi, prima di tagliare sui diritti.

Perché non è vero.

Viviamo da anni nella precarietà, soffocati da manovre, finanziarie, tutte necessarie, soprattutto a mantenere il tenore di vita dei nostri rappresentanti in parlamento: il cosiddetto status quo, oppressi da miriadi di tasse, le più alte d’Europa che non tornano mai sottoforma di niente.
Basta guardare le scuole dei nostri figli per rendersene conto, e – appunto – gli ospedali.
E ancora non è la Grecia, ci dicono. Che culo, dico io.
Viviamo con e nel sacrificio. 
Tutta questa ricchezza di cui si è vaneggiato nel tentativo di giustificare la crisi io non ce l’ho mai avuta intorno, non l’ho vista né vissuta. 
Ho sempre visto gente, persone, me e la mia famiglia comprese, tirare il fiato augurandosi che fra uno stipendio e l’altro non si rompesse una caldaia, un paio di occhiali da vista dei figli, che non succedesse una qualsiasi cosa che non avrebbe permesso di far quadrare quei conti che già non sarebbero tornati anche senza l’extra. Allo stato non glieli faccio spendere i 1850 euro l’anno che mi toccherebbero in quanto contribuente, cittadina che paga le tasse e avrei  quindi il diritto di chiedere allo stato di non mettermi in condizione di dover scegliere il privato perché col pubblico si fa in tempo a morire prima di poter accedere ad una vista, una TAC, una mammografia. Dal medico di base ci vado tre volte l’anno a farmi fare qualche ricetta. E le visite, il dentista e le medicine me li pago coi miei soldi visto che le medicine il servizio nazionale non me le dá e dai medici vado poco, solo quando serve con una certa urgenza che lo stato non prevede. C’é gente invece che pur avendo un reddito piú alto, alto, approfitta di tutto e c’ha pure le esenzioni. Cominciamo a far pagare chi puó pagare.
A controllare chi ha diritto alle esenzioni e chi ne puó fare a meno senza soffrire. Alla solidarietà sociale non possiamo pensarci noi, i soldi per curare gli indigenti che non possono li devono andare a prendere dove ce ne sono troppi, non dove si fa già fatica a mettere insieme il pranzo e la cena, nella stessa giornata.
E bisogna smetterla di dire che non si sa dove prendere i soldi a fronte di spese che questo paese non si può permettere più.  Stiamo comprando 16 miliardi di aerei da guerra che non funzionano neanche tanto bene, pare, la cosiddetta missione di pace in Afghanistan ci costa più di 700 milioni di euro l’anno, e sono dieci anni che il nostro esercito è impegnato a fare la guerra,  altro che la pace. Tutto questo  mentre ci dicono che non ci sono più  i soldi per curarci? Mentre l’America di Obama esce da quel sistema orribile secondo il quale si cura solo chi ha i soldi qualcuno pensa di poter fare la stessa cosa qui?
Quello che si può dire, invece, che si deve dire, è che questo paese non poteva permettersi mafie, cricche, sperperi, privilegi, uno stato criminale all’interno, ma non nascosto, di quello cosiddetto legale più un altro da mantenere come fossimo noi il suo comodato d’uso e non il contrario.
Questo sì, l’ho visto e lo continuo a vedere.
Una lunga agonia – Rita Pani

Potremmo non riuscire più a garantirlo se non si trovano nuove forme di finanziamento” (Monti a proposito del servizio sanitario) e si levano gli scudi.

Proprio come se ora fosse garantito. E noi sappiamo che non lo è , diversamente i malati di SLA, per esempio, non avrebbero dovuto recarsi a Roma per minacciare il suicidio. È falsamente garantito persino l’accesso al servizio sanitario, dal momento che le liste d’attesa per gli esami diagnostici sono lunghe anche più di sei mesi. Al cittadino semplice non è garantito di salvarsi la vita, di guarire da una malattia, gratis et amore Dei. Già oggi per avere certezza di sapere di che morte si deve morire, il cittadino deve pagare o avere un gran culo, come ho avuto io quando casualmente mi imbattei nella mamma di una cara amica, che di professione fa la ginecologa. Se non fosse stato per il caso fortuito, oggi, chissà dove sarebbero le mie ossa.

 

Ma una frase come quella resta comunque una bella occasione, per incazzarsi ancora, per avere ancora qualcosa per cui mobilitarsi, per scrivere, discutere e soprattutto schierarsi dalla parte giusta, quella che poi ci fa stare bene.

 

Siamo il popolo che sopravvive nonostante i diritti negati, che quando può sfugge ai doveri. Un popolo che si accontenta, che sogna e che spera. Potrei lasciarmi andare in un bell’esercizio letterario, e portare ad esempio fatti e accadimenti, ma non mi va più. Il senato rimanda indietro oggi la delega fiscale, le province resteranno, i tagli ai costi della politica non si faranno, il privilegio di pochi non sarà abolito, e allora? Non mi accoderò a nessun lamento perché uscire da questa situazione, è assai più semplice di ciò che sembra, nonostante il trattato di Lisbona, nonostante la minaccia di presidiare l’Ilva con l’esercito, nonostante lo spauracchio della polizia europea, con mandato di uccidere. Si potrebbe uscirne.

 

Prima di tutto togliamo i soldi dalle banche – fossero anche gli ultimi 4 euro lasciati sul conto per la vergogna. Gli operai occupino le fabbriche e impediscano le produzioni. Si blocchi la circolazione delle merci. Chiudano le scuole materne, le scuole elementari e le medie. Si lascino a casa le colf. Non si facciano acquisti natalizi. Si lascino le merci deperibili a marcire sui banchi. Ci si limiti all’acquisto dei beni di prima necessità. Non si riempiano i serbatoi delle auto. Si faccia mancare la circolazione del danaro.

 

Difficile da fare, eh? Sì lo immagino. Come poter sopravvivere senza consumare? Poi proprio ora che arriva Natale. Lo so, sarebbe dura doversi recare a supportare gli operai nelle fabbriche, alimentare col nostro poco gli extracomunitari che sfruttiamo, senza farli lavorare davvero. Camminare a piedi poi sarebbe una tragedia. Non poter cedere alla tentazione di levarci uno sfizio, insopportabile.

 

Mettere il ginocchio il paese, sarebbe l’unico modo per far comprendere che noi siamo di più; levare l’ossigeno al potere potrebbe essere l’unico modo per tornare a respirare. Oh sì, c’è pure il rischio di morire, perché dopo il trattato di Lisbona questo potrebbe essere legale, ma tanto ci stanno già uccidendo. Siamo un popolo in agonia.

 

Mi candido solo se me lo chiede il partito: cioè io

Sottotitolo, dal “Fatto Quotidiano”: “L’appello dell’Unità per D’Alema? Non ho mai firmato nulla”. Ne è certissima Sabrina Rocca, una delle principali dissidenti del Pd siciliano, che di appelli in favore del lìder Maximo non ne aveva mai sentito parlare. “E anche se mi fosse stata richiesta la firma, avrei comunque rifiutato”, aggiunge categorica. Eppure il suo nome era incluso tra le settecento firme pubblicate sull’Unità in favore di Massimo D’Alema. Indicato da più parti come uno dei primi “passi indietro” necessari per rinnovare la classe dirigente del centrosinistra, in soccorso di D’Alema era arrivato provvidenziale l’appello pubblicato sulle pagine del giornale fondato da Antonio Gramsci.

Solo che non tutti i firmatari erano al corrente di essersi spesi per lui.

Appello per D’Alema sull’Unità, spuntano firme false. Pd: “Confusione”

Candidature Pd, Bersani molla D’Alema
La replica: “Non è lui che deve decidere”

“Mi candido solo se me lo chiede il partito”,  dice l’ex lider Maximo, il partito è lui, non si spostano una pianta di ficus né una poltrona  nelle sedi del piddì se non lo decide lui.

Quindi di che parla, cos’altro vuole, che ha fatto girare le balle perfino a Bersani.

Ed è tutto dire.

Non si capisce chi è che avrebbe bisogno di lui così tanto da chiedergli di restare.

E comunque una cosa del genere l’aveva già detta berlusconi, tanto per ribadire e confermare semmai ce ne fosse bisogno la strana sinergia che intercorre fra due personaggi che dovrebbero stare agli opposti estremi ma ai quali invece è sempre piaciuto stare vicinivicini.

Che ci faremo con tutti ‘sti benefattori non lo so.

Fanno tutto per il partito, come se il partito fossimo noi e non sempre, comunque e solo loro.

Portare un po’ lontano dal panorama le loro facce manco a parlarne.

Sarebbe un gesto troppo dignitoso e civile.

D’Alema: il nobiluomo della loro santità.
D’Alema: quello che come Giovanardi, la Binetti, Fassino, la Bindi e Fioroni NON vuole una legge che regolarizzi le coppie di fatto attaccandosi ad una ridicola questione di forma circa il come deve essere definita quell’unione: matrimonio sì, no, forse, MA ANCHE NO.
D’Alema: quello che “mediaset è una grande risorsa degli italiani” e che per questo non ha mai voluto fare pur potendola fare una legge sul conflitto di interessi ma, al contrario, ha spalancato le porte al piazzista di cazzate, all’uomo più indagato d’Italia  con la famosa bicamerale.
D’Alema: quello che la cosa più significativa fatta da presdelcons è stata una guerra e che in occasione del summit di Napoli  ordinò le botte e i pestaggi come un Fini e uno Scajola qualunque; un vero politico che fa gli interessi dei cittadini, un vero leader di sinistra, dunque, leader per decenni di una sinistra prima e di un centrosinistra dopo che non ha fatto fare un solo passo avanti a questo paese in tema di diritti civili.

Da ricandidare subito: per necessità, la sua.

Anzi, che dico? la presidenza della repubblica bisognerebbe dargli a questo Talleyrand alle cime di rapa.

Max, sentiammè, ti parlo da donna a skipper, ché io lo skipper non lo so fare ma la donna e la cittadina sì.
C’hai 63 anni, che manco te li porti così male tutto sommato, c’è di peggio, guarda Al Fano che è pure più giovane di te, per dire, da trenta stai in parlamento, di soddisfazioni te ne sei levate tante, noi anche grazie a te a quella genialata della bicamerale con cui hai consegnato le chiavi del paese all’abusivo un po’ meno, anzi per niente, ma facciamo finta che va bene così, che non pretendiamo che tu e chi ha ridotto la sinistra in queste condizioni chiediate perdono a chi ha creduto nella sinistra, e anche a chi solo vigliaccamente ci sperava: senza rancore, suvvia, che noi italiani siamo buoni, e forse anche coglioni davvero come diceva l’amico tuo, visto che vi permettiamo ancora il tutto e l’oltre.

Di soldi, ne hai accumulati tanti, noi anche grazie a te e alle tue politiche finto liberali e finto de’ sinistra un po’ meno anzi per niente ma pure qui, mettiamoci una pietra sopra. Ma mettiamocela ‘sta pietra, non aspettiamo che sia quella definitiva, tombale, ecco.

Fai una cosa: iscriviti a un dopolavoro per amanti della barca a vela, o a uno della serie “volevo fare lo statista ma non ce so’ riuscito”, a una bocciofila, al circolo del burraco, dove ti pare. 

Va bene tutto, purché tu ti tolga, e definitivamente dai coglioni, ché s’è fatta e davvero quell’ora.
Gli italiani hanno il diritto di poter fare a meno di D’Alema senza che questo lo debba decidere D’Alema.
Te lo immagini un operaio della Fiat che quando lo licenziano dice:”me ne vado, ma continuerò a dare un mio  contributo ai cofani”.
“C’è qualcuno fra il pubblico che ha chiesto a D’Alema di restare?”

Dacci (anche) oggi il nostro piccolo colpo di stato quotidiano

Preambolo: approvata quella porcheria del pareggio di bilancio.
 E che succederà quando per motivi ‘contingenti’ un bilancio non potrà essere pareggiato, sarà incostituzionale solo la disparità o finalmente sarà la volta buona che ce li toglieremo tutti dalle balle ‘sti incapaci traditori del popolo?
I signori della politica (tecnica e non) hanno letteralmente svenduto  la sovranità economica, fiscale e monetaria a un organismo straniero non eletto da nessun meccanismo democratico.

Sottotitolo: Belsito restituisce parte del bottino: quindi par di capire che per rifarsi una verginità basta riconsegnare il malloppo o anche e solo una parte di questo. Chissà perché il giudizio della gggente nei confronti dei ladri di stato poi non è lo stesso che dà a chi svaligia gli appartamenti, ruba i portafogli, scippa borsette per strada… cioè, questi rubano a mani basse, milioni, oro, gioielli, comprano case, ville con i nostri soldi,  se le godono e poi escono tranquillamente dalle loro case, vanno a dormire nei loro letti, quando escono il portiere e la servitù gli diranno perfino buongiorno e buonasera e non succede niente. E chissà perché quando rubiamo noi poveri mortali ci chiamano ladri e ci sbattono in galera, e un’altra volta ci pensiamo, prima di rifarlo, quando rubano i politici si chiama “distrazione” e grazie a tutte le loro immunità e agli eserciti di avvocati che possono permettersi (grazie a noi che li strapaghiamo) in galera non ci va mai nessuno e l’unica seconda possibilità che è stata concessa a molti di loro è stata quella di rubare ancora e ancora.

 Lombardia: Boni lascia, Formigoni raddoppia. L’anticorruzione non tocca la prescrizione. E la riformina dei “rimborsi”? Affossata.

Qualche esempio di rimborsi elettorali in Europa:

Regno Unito = 8 Milioni
Francia = 110 Milioni
Spagna = 130 Milioni
Germania = 133 Milioni
ITALIA = 400 Milioni

Visto che in qualcosa riusciamo a primeggiare? magari sempre nel peggio del peggio ma ahò, ognuno ha i suoi record, e se li tiene.
Qualcuno se ne vanta pure e li rivendica,  non faccio nomi ma solo iniziali: A, B, C.

Roberto Formigoni a L’Infedele:
“Anche Gesù Cristo ha sbagliato nello scegliere i suoi collaboratori.”
Già, solo non ci siamo con le percentuali, perché Cristo ne sbagliò uno su dodici, lo sgovernatore dieci su undici. E a Gesù fu concesso un unico mandato, non tre che durano da 17 lunghissimi anni.

Anche a me piace viaggiare in gruppo, mio marito non sarebbe andato nemmeno in viaggio di nozze senza “la comitiva”,  per convincerlo che il viaggio di nozze si fa in due ho dovuto faticare molto; però i viaggi che ho fatto (in gruppo e non) me li ricordo tutti. Questi politici ladri e cialtroni, invece, oltre a ritrovarsi case, soldi, ville ristrutturate a loro insaputa, viaggiano anche, a loro insaputa. Ho sempre considerato Formigoni uno dei più pericolosi, la politica più è vicina al vaticano, ai suoi annessi e connessi: compagnia delle opere, comunione e liberazione, opus dei (vero, Max? ufficiale e gentiluomo del papa, il comunista, altro che il gabibbo) e più danni fa.

Formigoni fu quello che disse, giurò e spergiurò, lui, e non solo lui, c’era anche l’ex ministro azzannapolpacci Maroni a tenergli bordone accusando e insultando Roberto Saviano in modo spregevole, che in Lombardia non c’erano nemmeno le infiltrazioni mafiose, e infatti non sono infiltrazioni, c’è proprio la dirigenza alta.

Speriamo che anche stavolta, come fu per berlusconi, la jattura del 17 funzioni.

Io non sono superstiziosa, ma stavolta faccio il tifo per chi ci crede: gatti neri di tutta Italia, armatevi a partite.

www.linkiesta.it

– Lei questo viaggio l’ha fatto o non l’ha fatto?
“Non so, non mi ricordo, dovrei consultare l’agenda…”
“Mi trovavo sullo yacht di Daccò perché era l’ottava stazione della via Crucis…” ^_^

(Maurizio Crozza – Ballarò, 17 aprile)

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Formi e Renato
 Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano, 18 aprile

I fan di Cochi e Renato non possono che apprendere con un velo di mestizia i particolari delle vacanze di Renato Pozzetto.
Che non fa più coppia fissa con Cochi Ponzoni, ma con Roberto Formigoni. Poi però, ascoltate le spiegazioni della nuova spalla di Renato, a tempo perso governatore della Lombardia, devono riconoscere che, per tempi comici, battute
folgoranti e costumi di scena, non ha nulla da invidiare al vecchio Cochi.
La questione è nota: secondo le carte della Procura di Milano, a Capodanno 2010 il Celeste andava in ferie tra Parigi e St Martin (Caraibi) non solo col fratello, la cognata, il segretario Perego (condannato per falsa testimonianza sul caso Oil For Food) e Pozzetto, ma anche col faccendiere Pierangelo Daccò e con l’ex assessore Antonio Simone, arrestati l’altro giorno per i fondi neri della Fondazione Maugeri. Entrambi ciellini e habituè delle patrie galere (il primo era appena uscito dal carcere per il crac da 1 miliardo del San Raffaele, il secondo era finito dentro già nel ’92 per Mani Pulite), fanno i facilitatori nella jungla dei fondi pubblici alle cliniche private anche grazie al poter spendere il nome del confratello Roberto. Risultato: 56 milioni portati in Svizzera a botte di fatture per consulenze mirabolanti, tipo quella volta ad accertare “le possibilità di vita su Marte”. Il minimo che Daccò potesse fare era pagare il conto dei voli e delle ville caraibiche. E la multiforme biografia di Formigoni si arricchisce ogni giorno di un nuovo mestiere: campione di scherma, membro (con rispetto parlando) dei Memores Domini ciellini con voto di castità incorporato e poi forse scorporato, vicepresidente (uno dei 14) del Parlamento europeo Dc ai tempi di Andreotti, dirigente del Ppi, sgovernatore di Lombardia da 18 anni e ora comico di sicuro avvenire. Ieri s’è detto “limpido come acqua di fonte” e ha ricordato che “anche Gesù sbagliò a scegliere qualche collaboratore” (sì, ma Giuda non era mai stato arrestato né condannato, quindi era più facile sbagliarsi). L’altroieri aveva dato degli “sfigati ” ai giornalisti del Corriere che avevano rivelato le sue ferie a sbafo. Sfigati perchè “io, come tutti gli italiani, faccio vacanze di gruppo” e loro no. Le vacanze di gruppo, per chi non fosse italiano, funzionano così: “Uno si fa carico dei biglietti perchè conosce l’agenzia, l’altro paga l’hotel, il terzo le escursioni, il quarto i ristoranti, poi a fine vacanza ci si trova insieme ed eventualmente si conguaglia”. E’ tutto spiegato nel Manuale delle Vecchie Marmotte: lui, mentre gli altri pagavano voli, alberghi, escursioni e ristoranti, portava le camicie a fiori e le cravatte a righe fucsia e marron per tutti, così gli altri si ammazzavano dalle risate e non gli chiedevano il conguaglio. In ogni caso, ha aggiunto il fine umorista, “verificherò se quel viaggio l’ho veramente svolto”. Chiederà un po’ in giro: sapete mica se ho veramente svolto quel viaggio a Parigi e poi a Saint Martin? Perchè lui non lo sa. Ieri La Stampa titolava: “Viaggi pagati, l’ira di Formigoni”. Ecco: appena ha appreso di aver viaggiato, per giunta a spese altrui, s’è incazzato come una biscia. Se scopre chi gli ha pagato le ferie, gli fa un mazzo così. In attesa di sapere chi gli scrive i testi (Pozzetto?), gli specialisti studiano questa nuova forma della sindrome “a mia insaputa”, ancor più preoccupante di quella che ha colpito Scajola, Malinconico, Rutelli, Fede e Bossi.
Due alternative.
1) Alla parola “ferie”, Formigoni cade subito in trance (ma c’è chi giura che sia proprio letargo).
2) Avendo paura dei voli, non solo non li paga, ma si fa ipnotizzare o anestetizzare all’imbarco. Lo risvegliano poi con comodo, al rientro, con una secchiata d’acqua purissima di fonte. Ma prima che riprenda conoscenza occorrono tempi lunghi. Il che spiegherebbe perchè al Pirellone si aggirano decine di soggetti con passamontagna, mascherina, calzamaglia, grimaldello, piede di porco e sacco in spalla, ma lui non nota mai nulla.
Il giorno che scopre come lo vestono, fa una strage.

E, per finire in bellezza:

Probabilmente di regolarizzare il mercato televisivo e informativo non ce lo chiede l’Europa, oppure sì? all’Europa si risponde solo quando c’è da tassare e tar-tassare i poveracci, quando c’è da fare le cose importanti, quelle che fanno la civiltà di un paese tipo fare una legge seria sui conflitti di interessi come c’è in tutti i paesi  NORMALMENTE civili – che non riguardano solo berlusconi – allora i governi  di tutti i colori possono sbattersene allegramente i coglioni.

Perché sennò silvio si arrabbia.

Tecnici ad alta voracità

Chi oggi lotta, è una persona. È uno che ha compreso che nonostante tutto si ha il dovere morale e civile di non rendersi complici di questo sistema famelico, che tutto vuole e nulla ridà indietro. Chi lotta è l’unico che continua imperterrito ad andare avanti, guardando al futuro, avendo contezza di ciò che potrebbe diventare se fossimo tutti fermi, idioti e schiavi.
(Rita Pani)

 

 

 

Sottotitolo: Nel paese che non sa condannare un delinquente, che gli consente di aggiustarsi la legge per non finire in galera, che gli permette di prendersi gioco di quella legge e della Costituzione, che gli fa fare il cazzo del comodo suo da più di vent’anni, nel paese che premia con la promozione a “dirigente superiore della polizia di stato”, ovvero a questore un condannato in appello a 3 anni e 8 mesi per aver coperto la mattanza, la macelleria messicana  nella Scuola Diaz di Genova e a 1 anno e 2 mesi per induzione alla falsa testimonianza, nonché interdetto dai pubblici uffici, nel paese che chiama a giudizio in un tribunale la madre di un ragazzino ammazzato a calci e botte da quattro poliziotti invece di scusarsi con lei a vita, nel paese dove è successo questo e molto, troppo altro ancora,  NON SI SALE SUI TRALICCI, ché poi ci si fa male.

Capito?

In fin dei conti perché mettere la propria vita in pericolo per la propria comunità, per quello in cui si crede, per il bene di tutti quando si possono correre dei rischi su un’autostrada con la  macchina del papi magari dopo essersi ubriacati e strafatti in discoteca, oppure correre dei rischi per guadagnare di più? non è moderno, ‘sti ragazzi  dovrebbero correre meno rischi… sennò poi potrebbero perfino convincerne altri a pensare che le cose possono cambiare.

La Tav potrebbe essere anche la cosa veramente più urgente e indispensabile da fare in questo paese, anche se tutti sanno che non lo è, anche quelli che pur di difendere le scelte di questi (s)governanti da strapazzo, che siano politici o tecnici ormai abbiam capito che cambia poco e niente, sarebbero disposti a dire qualsiasi cosa. Il problema è che gli italiani non si fidano più di chi decide per sé e per tutti. Non ci fidiamo più di un sistema che la mattina promette di impegnarsi per tutelare le fasce deboli e la sera dice che un’opera costosissima quanto inutile “si DEVE fare”. Non ci fidiamo più di chi ha detto no alle Olimpiadi di Roma ammantando la decisione con la falsa preoccupazione dei soldi che si sarebbero dovuti spendere e poi dice sì all’acquisto di 90 aerei da guerra e alla Tav.
Non ci fidiamo più: e non per colpa nostra.

La violenza, oltre a essere sempre sbagliata, è il miglior regalo che i No Tav possano fare al partito trasversale Pro Tav: che aspetta soltanto il morto per asfaltare l’intera Valsusa e farne tre, di Tav, non solo uno. Per fortuna la manifestazione di sabato è stata l’ennesima presa di distanze del movimento dalla violenza. Non a parole (anche se qualche parola dei leader non guasterebbe, per rimediare al danno fatto con gli assalti al procuratore Caselli), ma nei fatti. Detto questo, c’è un però: gli ordini che il partito trasversale Pro Tav impartisce alle forze dell’ordine. Non sta scritto da nessuna parte che queste debbano cingere d’assedio un’intera valle, braccare i contestatori fin sui tralicci situati a casa loro (infatti si vogliono espropriare i terreni), accogliere nelle stazioni in assetto antisommossa i manifestanti reduci da un corteo pacifico. Chi dà questi ordini compie una scelta precisa: quella di provocare. La provocazione non giustifica la violenza, ma ne attenua le responsabilità: infatti il codice penale prevede l’attenuante della provocazione. Qualche settimana fa alcuni cittadini accolsero una manifestazione secessionista della Lega a Milano srotolando un tricolore: subito intervenne la Digos intimando loro di ritirarlo per non provocare i leghisti. Il mondo alla rovescia, visto che, fra la bandiera nazionale e i vessilli secessionisti, sono i secondi a essere illegali e non la prima. Però si può capire il gesto della Digos, per evitare inutili incidenti. Ora la domanda è: il dovere della polizia è evitare gli incidenti, o provocarli? Nel caso della Lega, li ha evitati. Nel caso del movimento No Tav, sembra volerli provocare. E non per colpa dei singoli poliziotti, che (eccetto quelli che aggiungono gratuitamente condotte violente, difficili da individuare e punire perché nascosti sotto i caschi) obbediscono agli ordini. Ma per colpa di chi dà gli ordini. Cioè della politica. La militarizzazione della Valsusa, a protezione di un cantiere che non esiste, dura da almeno dieci anni e accomuna centrodestra e centrosinistra. Governi politici di segno opposto, ma non sul Tav, che ha sempre messo tutti d’accordo (compresi i grandi costruttori e le coop rosse, già noti alle cronache giudiziarie). Ora però c’è un governo tecnico. Formato cioè, almeno sulla carta, da “esperti”. La domanda è semplice: con quali argomenti tecnici hanno deciso di continuare a finanziare quell’opera? Da anni si attende che qualche autorità spieghi ai valsusini e a tutti gli italiani perché mai imbarcarsi in un’opera da megalomani, concepita negli anni 80, quando ancora il modello di sviluppo si fondava su una gigantesca invidia del pene e inseguiva la grande muraglia e la piramide di Cheope. Oggi tutti i dati descrivono la Torino-Lione come una cattedrale nel deserto, inutile per il traffico merci e passeggeri, anzi dannosa per l’ambiente e le casse dello Stato.

Il governo tecnico, con motivazioni tecniche, ha respinto l’assalto dei forchettoni olimpici di Roma 2020: operazione che sarebbe costata ai contribuenti almeno 5 miliardi. Il Tav, anche nell’ultima versione “low cost”, dovrebbe costarne 8: ma i preventivi, in Italia, sono sempre destinati a raddoppiare o triplicare (il Tav Torino-Milano è costato 73 milioni di euro a km, contro i 9,2 della Spagna e i 10,2 della Francia). Il gioco vale la candela, a fronte di un traffico merci e pesseggeri Italia-Francia in calo costante? Gli economisti de lavoce.info, l’appello di 360 docenti universitari e persino il Sole 24 Ore rispondono che no, l’opera non serve più a nulla. Sono tecnici anche loro, anche se non stanno al governo: tutti cialtroni? Se i tecnici di governo han qualcosa di serio da ribattere, lo facciano, dati alla mano: altrimenti i cialtroni sono loro. Rispondere, come l’ineffabile Passera, che “i lavori devono continuare” punto e basta, in omaggio al dogma dell’Immacolata Produzione, è roba da politicanti senz’argomenti. E, per come si sono messe le cose, è la peggiore delle provocazioni.

Marco Travaglio, 29 febbraio – Il Fatto Quotidiano

Maurizio Crozza – Ballarò del 28/02/12

22 miliardi per un cantiere che durerà 15 anni, i conti son giusti, li ha fatti la mafia quindi mi fido!

C’è il paese degli operai  e impiegati tra i meno pagati  d’Europa e c’è un’Italia dove il presidente dell’Autorità Energia e Gas guadagna più del Presidente degli Stati Uniti. E sulla Tav l’inevitabile domanda:”Ma che cazzo ci vai a fare da Torino a Lione? E’ come andare da Parigi a Cuneo”.


Di politica e altre minchiate ( a mia insaputa)

Per essere davvero di sinistra in Italia bisogna lasciare tranquilli i “lor signori” di tutti i colori, non criticare, non accorgersi di quando ci vogliono fregare, di quando ci hanno fregato, non avanzare proposte, soppesare le istanze che, non sia mai siano più disdicevoli di certi loro comportamenti. Non capisco più che significa fare politica in questo paese, e come soprattutto, un cittadino può pretendere il ruolo che gli spetta nella discussione politica senza essere considerato “anti” o “pro” qualcosa che non sia il benessere comune: questo dovrebbe essere infatti il fine della politica. E’ mai possibile che nemmeno dopo tutto l’orribile cui abbiamo assistito ci si debba sentir dire e dare del populista qualunquista o, peggio ancora del nostalgico di berlusconi ogni volta che si prova a pensare con la propria testa e esprimere delle opinioni sulla base di quello che esiste e non è frutto di nessuna fantasia?

Malinconico in parlamento chi ce lo ha portato dopo che erano noti a tutti i suoi rapporti con la squallida e criminale compagnia che gli pagava le vacanze a sua insaputa? è una domanda legittima, questa? e perché chi la fa deve essere additato come uno che “parla male solo di…?”
Questo giudicare antipolitici, antitaliani quelli che pretendono che chi si occupa degli altri sia non uguale ma MEGLIO degli altri è proprio ciò che più di tutto allontana la gente dalla politica.
La sinistra ha delegato da un pezzo alla destra anche quello che doveva e dovrebbe essere SOLO di sinistra. Altrimenti berlusconi non avrebbe resistito 17 anni e la lega anziché trasformarsi in partito politico e “governare” sarebbe rimasta quel manipolo di rozzi cialtroni che è più adatta ad ubriacarsi e raccontarsi barzellette pecorecce in osteria piuttosto che stare in parlamento a fare leggi.

Quali motivi hanno permesso che il popolo si avvicinasse alla politica della lega, per esempio? la lega non la votano mica i ricchi evasori ma gli operai e la gente comune, anche quella povera. Quindi chi è che ha sbagliato di più: la destra o la sinistra? Si possono ancora dire certe cose o ci si deve inchinare al nuovo trend, quello sobrio, da professori in loden e professoresse in tailleur e tacco 5?

I malincomici – di Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 11 gennaio

Ora che quel comico di Malinconico se n’è andato e soli ci ha
lasciati, resta una domanda: ma come aveva fatto a diventare
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio? Chi ce l’ha portato: la
cicogna? O l’han trovato sotto un cavolo?

I particolari decisivi dello scandalo che l’ha costretto alle
dimissioni li ha scovati negli ultimi giorni il nostro Marco Lillo. Ma
che il suo nome emergesse dalle intercettazioni della cricca per le
ferie a scrocco era emerso due anni fa nell’ordinanza degli arresti
disposti dai giudici di Firenze. Tant’è che il 30 novembre, giorno
della sua nomina, nel pezzo dedicato ai nuovi sottosegretari (“Giù il
cappuccio”), l’avevamo subito notato: “Nessun conflitto d’interessi….
per Carlo Malinconico Castriota Scanderbeg (imparentato con la
contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare e il marchese Giovanmaria
Catalan Belmonte): lui era solo il presidente della Federazione
Editori e ora dovrà vigilare sugli editori come sottosegretario
all’Editoria, così almeno avrà da fare e non andrà più in ferie
all’Argentario a spese di Anemone…”.

Se il premier Monti e il presidente Napolitano leggessero anche i
giornali che ogni tanto li criticano, non solo quelli che ogni giorno
li incensano, ne avrebbero avuto abbastanza per ritirare l’uno
l’incauta nomina e l’altro l’incauta firma.
Poi avrebbero dovuto convocare chi aveva segnalato Malinconico per una
bella lavata di capo: ma come ti sei permesso di metterci in casa un
tipo tanto imbarazzante? Ci vuoi rovinare appena partiti?

Ecco, la questione è proprio questa. Nei governi normali, i ministri
li segnalano i partiti. Ma questo è un governo “strano”. E allora chi
segnalò Malinconico a Monti?

Nelle stratificazioni della storia e della casta che compongono il
governo dei tecnici & sobri, c’è sicuramente un girone montiano:
quello degli economisti e dei professori.

Poi c’è il girone di Passera, che si è nominato da solo: gli è bastato far sapere di essere disponibile, una di quelle disponibilità che in certi ambienti non si possono rifiutare. Si è scelto il ministero extralarge, vi ha aggiunto qualche delega e si è pure portato dietro il suo vice a Intesa, Mario Ciaccia, e la presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa, Elsa Fornero. Con tanti saluti ai conflitti d’interessi.

Poi c’è il girone dei politici travestiti da tecnici, come Polillo,
D’Andrea, Riccardi (e c’è mancato un pelo che entrassero pure Giuliano Amato e Gianni Letta). Infine il girone dei senza famiglia, dei figli di NN, quelli che i giornali chiamano “grand commis dello Stato”, ovviamente “bipartisan”: funzionari e magistrati amministrativi,consiglieri di Stato, collezionisti di incarichi statali e parastatali, arbitrati e consulenze, avvitati alle poltrone dei ministeri dove i ministri passano, ma quelli restano. Sono una specie di massoneria anche quando non sono massoni.

C’è il multiforme Catricalà, ma anche qua.
C’è Patroni Griffi, di cui i lettori del Fatto sanno vita e miracoli,
specie immobiliari.
E c’è (anzi c’era) Malinconico, giunto a Palazzo Chigi nel 1996 con
Prodi, poi trasvolato dalle parti di Gianni Letta, che per questi
soggetti ha un fiuto da rabdomante e non se ne perde uno (risucchia
sempre il peggio, come le cozze); infine nominato presidente degli
editori con la benedizione di Montezemolo. Sinistra, destra, terzo
polo. Che si vuole di più? Monti ha frequentato la Bocconi, la Fiat,
le banche internazionali e i piani alti d’Europa. Ma non ha mai
navigato nel sottobosco romano, dove allignano questi funghi. Infatti
si dice che a segnalargli Malinconico fu Letta.
Un uomo, una garanzia.

Basta conoscerne i precedenti (segnalò pure Bertolaso)
Guarguaglini, per non parlare di Pompetta B.) per rispondere: “Grazie
Gianni, preferisco sbagliare da solo”.

O  digitare su google le parole chiave “carlo” e “malinconico”:
sarebbero subito apparse quelle vacanze all’Argentario a spese della
cricca. Invece a Roma, quando parla Letta, tutti congiungono le mani
in segno di raccoglimento, piegandosi in un lieve inchino.

Ed è lì, in quel preciso momento, che arriva il cetriolo.

I nostri “status felici” su Facebook

Rita dice: “Ma perché non dovrebbe essere un Natale felice questo? Solo perché c’è la crisi, la povertà, i sacrifici, la disoccupazione e il rifinanziamento delle missioni militari nelle guerre di occupazione che ci vedono impegnati a elargire la bontà della democrazia, della pace e della libertà? Che mondo fantastico!”


Appunto: perché non dovrebbe essere anche un “buon” Natale, questo? che mondo fantastico finché continueremo a prenderci in giro prima di tutto dai noi medesimi che siamo sarà sempre così: fintamente fantastico. Finché non impareremo a fare cose solo sulla spinta di quello che sentiamo davvero e non perché ci sono cose che si “devono” fare, non ne usciremo. Poi, va bene, “auguri” è una parola tutto sommato gradita, che non offende, non ferisce e non ammazza nessuno. Che ci vuole ad augurarne tanti? è anche gratis, il che, al giorno d’oggi, è una rarità preziosa.

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