I valori “incancellabili” della Resistenza sono tutti scritti su quella Carta che l’estremo difensore, il suo garante supremo molto spesso dimentica che andrebbero anche messi in pratica. E, se la pace è un “valore assoluto” si potrebbe onorarla sul serio coi fatti, non solo con le parole vuote della retorica da festa, evitando di spendere miliardi in apparecchiature da guerra. Napolitano, nel giorno della Liberazione dal fascismo e dalla guerra infila nello stesso discorso – oltre all’onore relativo a due persone che non sono state rapite dagli alieni cattivi ma accusate di duplice omicidio in terra straniera e lì sarebbe giusto che fossero giudicate – la pace quale “valore assoluto” e la critica alla giusta diffidenza verso gli strumenti della difesa, quelli che fanno perdere l’assoluto al valore della pace. Sarebbe ingiusto derubricare tanta confusione all’anzianità di un presidente che pare non voglia arrendersi al fatto che l’onore, la difesa di un paese non passano per una divisa da soldato né nella quantità immorale di soldi spesi in armamenti e affini specialmente in un periodo di crisi profonda come questo. Pertini voleva “svuotare gli arsenali e riempire i granai”, Napolitano invece, il 25 aprile, giorno della Liberazione dalla guerra e dall’invasione nazifascista, invita a resistere alle “pulsioni antimilitariste”, quelle di chi pensa che le armi non abbiano nessuna funzione di pace.
Sarebbe stato bello, senz’altro più opportuno nel giorno della Liberazione dal tiranno nazifascista, che Napolitano invece di parlare di onore riferito a due probabili assassini avesse parlato del disonore, dell’incapacità di questo stato di rendere giustizia ai sette operai della Thyssen morti bruciati sul posto di lavoro e alle altre migliaia di morti di lavoro, italiani e non, nel paese dove chi ha meno vale meno da vivo e da morto. Del resto, ciclicamente ce lo ricordano anche gli illustri rappresentanti della politica italiana che “chi non ha niente, ha poco è perché non si è impegnato abbastanza”. Con la mole gigantesca di argomenti a disposizione in fatto di ingiustizie in questo paese, Napolitano ha scelto di associare l’onore italiano alla vicenda tragica di due pescatori scambiati per terroristi uccisi in mare solo perché i due accusati del loro omicidio indossano una divisa militare. Come se una divisa in Italia significasse sempre onore.
Oggi ci sarebbe stato un motivo in meno per vergognarsi di essere italiani.
Quelli che difendono tanto l’operato di Napolitano esaltandone lo spirito di “sacrificio” che lo ha “costretto” ad accettare un secondo mandato, caso unico nella storia della repubblica italiana; quelli che lo giustificano rispetto al suo atteggiamento verso il pregiudicato berlusconi, che non hanno trovato niente di anormale e di strano che lo abbia ricevuto al Quirinale da condannato, che in precedenza non trovarono niente da ridire quando per consentire a berlusconi di “poter partecipare alla delicata fase politica” non esitò a fare quello che gli riesce meglio e cioè la ramanzina ai giudici colpevoli di mettersi in mezzo fra berlusconi e la sua disonestà, delinquenza; quelli che negano la massiccia ingerenza nella politica di Napolitano, cosa che un presidente della repubblica non deve fare; quelli che “Napolitano non poteva fare diversamente”; quelli che “le istituzioni si devono rispettare”… e si potrebbe continuare all’infinito, a proposito di “quelli che” ma è meglio non andare oltre. Ecco: a tutti i quelli vorrei chiedere cosa pensano di un presidente della repubblica che il 25 aprile, nel discorso ufficiale per le celebrazioni della Liberazione dal nazifascismo, tesse le lodi di due accusati di duplice omicidio dicendo che sono “ingiustamente detenuti e rendono onore alla patria”. Mi interesserebbe altresì sapere perché il presidente della repubblica pensa che ad onorare e dare lustro all’Italia, dunque anche al mio paese, debbano essere due persone sottoposte a provvedimenti giudiziari certamente lontane dall’Italia perché non è in Italia che si deve decidere se sono colpevoli o innocenti. Due persone che godono di un’attenzione speciale da parte delle nostre istituzioni e anche di quelle del paese dove sono “detenute” a differenza di quello che è capitato a Tomaso Bruno e ad Elisabetta Boncompagni, italiani anche loro, che dal 2010 sono detenuti in un carcere indiano: un carcere vero, condannati all’ergastolo perché accusati di un omicidio sul quale non è mai stata fatta chiarezza. A Tomaso ed Elisabetta, dei quali fino ad ora si sono occupate solo le Iene non è stata concessa nessuna licenza premio in questi quattro anni, non sono tornati a Natale per mangiare la lasagna di mamma e nemmeno hanno goduto di un permesso premio di un mese per poter esercitare il loro diritto/dovere di voto. E presumo che casomai dovessero, per una fortunata circostanza, per uno Staffan De Mistura che si ricorda anche di loro tornare in Italia, non verrebbero accolti in pompa magna con tanto di presenza di politici ed eminenze in aeroporto così com’è capitato alle due persone in questione. E nemmeno verrebbero ricevuti da un presidente della repubblica che il 25 aprile dice a tutti gli italiani – anche a chi come me non lo pensa – che devono sentirsi orgogliosi di essere i connazionali di due più che presunti assassini.