Terrorismo

Gli Usa s’indignano per la condanna esagerata alle Pussy Riot: loro preferiscono quelle definitive.

“E’ la politica che sconfina, non la magistratura”, dice Antonio Ingroia, ed ha perfettamente ragione.

Io non mi fido di uno che pensa di fare cose condivise da cicchitto e dal pdl, e se questo uno si chiama Mario Monti sono proprio contenta di non aver MAI cambiato idea sul governo cosiddetto tecnico;  quello che pensavo a novembre dello scorso anno lo penso ancora oggi e con maggior intensità: per me “questi” sono peggio di “quelli di prima”.

Ma molto peggio.
Infinitamente peggio.

All’inizio dell’anno Monti promise solennemente a Che tempo che fa che si sarebbe occupato della Rai, e, nonostante il centrodestra sbraitasse di invasioni di campo, di decisioni che non spettano ad un governo tecnico lui se n’è occupato eccome affidandone la gestione, che lo dico a fare? ai suoi amici banchieri.

Qualche giorno fa il professore sobrio – che non stacca mai nemmeno quando sta in vacanza – ha detto che “ci saranno novità” nell’ambito della giustizia e che il tema delle intercettazioni va affrontato. E nessuno nella politica, né destra né centro né sinistra fa un plissé confermando ancora una volta quello che noi “populistidemagoghiqualunquisti” diciamo da anni e cioè che alla fine (e nemmeno tanto alla fine) sono un po’ tutti uguali, specie quando c’è da far quadrato attorno a se stessi per proteggersi da eventuali applicazioni di vera democrazia quali ad esempio una giustizia uguale per tutti, dal presidente della repubblica all’ultimo nato di questo paese come Costituzione comanda.
Se la Magistratura siciliana ha commesso, sta commettendo un abuso significa che c’è già una legge che certifica questo abuso e che non è stata considerata, ma se diventa impellente la necessità di modificare o di inventare una nuova legge su misura significa che la Magistratura siciliana non ha commesso nessun abuso.
I servi di regime, quelli vecchi ma soprattutto i nuovi dovranno farsene una ragione.

Il duce ha sempre ragione
Marco Travaglio, 19 agosto

C’è un passaggio, nel magistrale commento di Gustavo Zagrebelsky su Repubblica al conflitto di attribuzioni scatenato da Napolitano contro la Procura di Palermo, che andrebbe affisso in tutte le scuole a caratteri d’oro: “Signor Presidente, non si lasci fuorviare dal coro dei pubblici consensi. Una cosa è l’ufficialità, dove talora prevale la forza seduttiva di ciò che è stato definito il ‘plusvalore’ di chi dispone dell’autorità; altra cosa è l’informalità, dove più spesso si manifesta la sincerità.  Le perplessità, a quanto pare, superano di gran lunga le marmoree certezze”. Era difficile illustrare meglio quello che dovrebbe essere, e nelle democrazie è, l’intellettuale: uno stimolo vivente allo spirito critico, un antidoto alla cultura autoritaria dell’ipse dixit, un instancabile demolitore delle “verità ufficiali”, cioè delle imposture del potere. L’esatto opposto dell’intellettuale medio italiano, sempre organico a tutte le corti, sempre dalla parte verso cui soffia il vento. In questo mese abbiamo interpellato sul conflitto Quirinale-Procura molti giuristi e costituzionalisti. I più rispondevano con supercazzole inintelligibili. Molti, alla parola “Quirinale”, cadevano in preda all’afasia e facevano perdere le proprie tracce. Alcuni, nell’informalità, dicevano che è ovvio che hanno ragione i pm e che il Presidente esorbita dai suoi poteri e s’inventa privilegi e prerogative inesistenti, ma poi ci pregavano di non citarli: “Sa com’è, in questo momento non va indebolita l’unica istituzione rimasta in piedi… lo spread… il governo in bilico, metta che torni quello là… e poi Lui alla minima critica ti fa chiamare, protesta, no no meglio il silenzio”. Poi l’indomani correvano a scrivere sui loro giornaloni che il Presidente aveva ragione da vendere. Unica eccezione: Cordero. E, l’altroieri, Zagrebelsky. Ora immaginiamo le telefonate che riceverà da qualche collega in clandestinità: “Bravo, siamo tutti con te! Ne hai avuto, di fegato! Io per ora resto acquattato, sai com’è: la cattedra, il premio, la medaglietta, il pennacchio, il cavalierato, il laticlavio…  Vai avanti tu, io magari arrivo dopo”. È “il plusvalore di chi dispone dell’autorità”, che esercita un fascino irresistibile. Ma, per spiegare il tradimento dei chierici in questa partita mortale fra il Potere e un pugno di pm che cercano la verità sulla trattativa Stato-mafia, atto fondativo della Seconda Repubblica, lo storico servilismo delle classi intellettuali non basta. C’è un di più legato all’èra dei tecnici, a un governo che nessun elettore ha mai immaginato eppure comanda con una maggioranza mai vista se non in Bulgaria, nelle Camere e nella cosiddetta informazione al seguito. Che fine han fatto i giornali e gli editori che un anno fa marciavano con la Fnsi contro il bavaglio targato Alfano? Ora rilanciano a una sola voce gli ukase di Monti che, senza sapere quel che dice, denuncia “abusi nelle intercettazioni” e annuncia la riedizione riveduta e corrotta in salsa tecnica del bavaglio Al Fano. Spariti i post-it gialli, petizioni, mobilitazioni, paginate su “Tutto quello che non avreste saputo e non saprete più”. L’Anm si spinge a definire addirittura “impropria” l’uscita di Monti, ma in un comunicato senza firme, come se si fosse scritto da solo. Zitti il Pd e la presunta sinistra. Comprensibilmente entusiasti Pdl e Udc. Soave corrispondenza di amorosi sensi fra il Foglio, che insulta Zagrebelsky al punto di difendere Scalfari, e la fu Unità, che critica Zagrebelsky per conto terzi (anzi Colle). La fu Unità, poi, attacca con argomenti berlusconiani la gip Clementina Forleo che ha osato, su Facebook, solidarizzare con la collega Todisco aggredita da un governo “illegittimo”. Il che metterebbe “in discussione la terzietà e imparzialità del magistrato”. Quasi che la Forleo avesse fra i suoi imputati il governo. O che i giudici, per esser imparziali, dovessero essere tutti governativi. Come quelli che hanno condannato le Pussy Riot. Piacerebbe, eh?

Anniversario strage di Bologna, dopo due anni di assenza torna il governo. Trenitalia si scusa per il disagio [spinoza.it]

Sottotitolo: Rosa Louise Parks [Rosa Parks – Wikipedia] era una donna, nera, quando essere neri era molto più complicato di ora. Da sola ha cambiato una certa visione delle cose rendendo meno insopportabile l’apartheid che i neri erano costretti a subire, nel mondo, non nel  condominio in cui abitava nell’America più razzista che si possa immaginare semplicemente non cedendo il suo posto a sedere su un autobus.
Oggi abbiamo, fra le tante, una signora prestata alla politica ma più che altro imposta [con viva & vibrante soddisfazione] insieme al suo governo,  privilegiata, fortunata, indubbiamente meritevole nel suo mestiere ma un po’ meno in quello di ministro che si lamenta perché pensa di essere criticata perché donna. 
No, signora, lei è proprio il paradigma perfetto che spiega come non c’entri proprio nulla la differenza di genere al potere, quando l’obiettivo che si persegue non è quello giusto.
 
La ministra viene contestata non perché donna ma perché dall’alto della sua posizione sociale pretende di impartire lezioni su come si può vivere con 700 euro al mese.
E convincere tutti che impoverire i già poveri per consentire ai ricchi di restare tali fosse l’unico sistema possibile per affrontare e arginare la crisi.
Ecco perché chi amministra le cose di tutti non può, per ovvie ragioni, essere troppo distante dalla vita reale degli amministrati.
 
Semplicemente perché non la conosce e non potrà mai rendersi conto che quei 700 euro al mese [quando va quasi bene], non possono bastare.
La Fornero non sa nulla di di discriminazioni femminili;  forse sarebbe il caso che si ricordasse lei per prima di essere una donna.
E smetterla di ragionare e di esprimersi con la stessa sensibilità di un carro armato.
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Bavaglio ‘per conto terzi’: ecco tutto quello che non avremmo saputo 

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Il vicepresidente del Csm Michele Vietti ha proposto di tutelare per legge chi è intercettato nell’ambito dell’indagine pur non essendo indagato. La norma però nasconde un trucco, perché chi ‘non è indagato’ non è detto che non lo sarà. E’ il caso degli amici dei furbetti del quartierino, della cupola vicina a Moggi e di tanti altri ‘terzi’.

In pubblico, nelle grandi occasioni, si promette verità e giustizia, in privato [e nemmeno poi tanto: spudorati che non si vergognano di nulla] si lavora alacremente per oscurare, tacere, distruggere, cancellare, fare in modo che certe verità restino una libera interpretazione: che ognuno pensi pure quel che vuole ché tanto nessuno ha mai pagato per nulla, e continuando di questo passo – legiferando non a favore di verità e giustizia ma proprio e solo nella direzione contraria – nessuno pagherà.

Altro che “ragion di stato”.

 Ed è semplicemente vergognoso che un capo di stato, l’arbitro super partes, l’istituzione che dovrebbe incollarsi al fianco di chi lavora per ristabilire verità, legalità e giustizia in un paese martoriato dalla loro assenza, sia invece il primo sostenitore di una legge liberticida.

Tutto ciò che berlusconi da presidente del consiglio non è riuscito a fare lo sta ottenendo ora grazie all’eccellente governo dei professori e alle continuità significative tanto care a Monti.

Il suo è un volto poco noto. Lui è Michele Barillaro, di professione giudice. Si occupava soprattutto di infiltrazioni mafiose. È morto il 25 Luglio (stesso giorno in cui è stato ufficializzato il trasferimento di Ingroia in Guatemala) in un incidente in Namibia. Questa è la sua storia: http://goo.gl/suQiD

 

Infarto di stato [avvoltoi, sciacalli and so on]

 

Sottotitolo: è più facile che si suicidi chi non ha più niente perché gli è stato tolto anche quel poco che aveva o morire d’infarto per colpa di Ingroia e del Fatto Quotidiano? chiedo.

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Preambolo: quando Di Pietro accusò il governo di Monti di essere il mandante morale (ma più che altro immorale) dei tanti morti suicidi dei mesi scorsi  (di cui oggi non si parla più), gente a cui è stata sottratta anche la speranza, la possibilità di poter dire “domani” senza tremare e che infatti ha scelto di risolvere il problema alla radice eliminando tutti i suoi domani, subito si levarono i lamenti della solita canea bipartisan, perché guai a dire che le decisioni troppo severe,  orientate nella direzione sbagliata,  di un governo potevano essere state DAVVERO la causa di molte di quelle morti che forse si sarebbero potute evitare; nessuno si doveva permettere di accusare nessun altro.

Oggi questa teoria non vale più?

Oggi va bene che un capo di stato spari a casaccio ad alzo zero per giunta,  facendo la stessa identica accusa ma – al contrario di Di Pietro senza fare nomi.

Napolitano ha sdoganato l’accusa alla “‘ndo cojo cojo” e tutto va bene: non è successo niente. Lui, può.

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Morte D’Ambrosio, Padellaro: “Sciacallaggio di Libero e Giornale” (video)

Il direttore de Il Fatto Quotidiano commenta i titoli (“Pm assassini” e “Condannato a morte”) sul consigliere del presidente Napolitano: “Lettori e giornalisti di quelle testate dovrebbero vergognarsi. La Procura di Palermo non è fatta di assassini”.

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Volendo, si potrebbe scendere al livello di Libero, Il Giornale, Il Foglio, ma anche de Il Corriere della sera,  La Stampa e di Repubblica, che ormai sembrano uniti come un sol uomo quando c’è da mistificare, omettere, nascondere oppure evidenziare la fuffa a vantaggio della merda la cui puzza però difficilmente si può coprire con due gocce di Chanel numero 5.

Io però non voglio, non ci penso neanche, perché sono assolutamente convinta che nessuno sia autorizzato a veicolare veleni, fango e merda spacciandoli per “notizie”, e penso che ci vorrebbe una class action contro quel “giornalismo” pagato coi soldi dei contribuenti ma che non rende alcun servizio utile ai cittadini che pagano, anzi,  li danneggia impedendo che si possano costruire, formare delle opinioni SANE a proposito della qualunque come funziona in qualsiasi democrazia compiuta.
Non è più umanamente sopportabile vivere in un paese dove non solo la politica non fa nulla per distinguersi, destra e sinistra da anni si rincorrono nell’interpretare l’una la peggior copia malriuscita dell’altra e dove anche quel giornalismo che almeno un po’ di differenza prima (before Monti) la faceva ma adesso sembra diventato un’unica accozzaglia di riverenti e compiacenti al potere.

In un paese normale un giornale non deve chiedere l’autorizzazione di nessuno per fare le sue inchieste e anche per scrivere, laddove è necessario, che il presidente della repubblica in certe (molte) occasioni, non ha fatto – esattamente – il presidente della repubblica.

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Infarto di Stato 
Marco Travaglio, 28 luglio

Mentre stormi di avvoltoi e branchi di sciacalli si aggirano famelici attorno alla salma di Loris D’Ambrosio, additando improbabili colpevoli del suo infarto e scambiando per “assassinio” il dovere di cronaca e il diritto di critica, è il caso di rinfrescare la memoria agli smemorati di Libero, Giornale, Foglio, Corriere, Stampa e Repubblica, ieri macabramente uniti nel mettere alla gogna Il Fatto Quotidiano nel tentativo (vano) di spegnere ogni residua voce di dissenso. Un’operazione tanto più indecente e ricattatoria in quanto, di fronte alla morte, tutti ammutoliscono nel doveroso cordoglio e non è molto popolare azzardarsi a criticare i morti per quel che han fatto da vivi. Ma a chi non rinuncia al dovere di informare non rimane che lasciare in pace i morti e occuparsi dei vivi, mettendo ancora una volta in fila i fatti. Se il dottor D’Ambrosio è finito sui giornali, è a causa di intercettazioni legittimamente disposte da un giudice sul telefono di Mancino e legittimamente pubblicate dalla stampa, una volta depositate alle parti e dunque non più coperte da segreto. E, se il dottor D’Ambrosio è stato indirettamente intercettato, è colpa di Mancino che ha deciso di coinvolgere il Quirinale in una sua grana privata, ma anche del Quirinale che ha deciso di dargli retta e di prodigarsi per favorirlo, mettendo a repentaglio l’imparzialità della Presidenza della Repubblica.

Decisione, quest’ultima, che è rimasta finora senz’alcuna spiegazione (il Quirinale “deve” qualcosa a Mancino e, se sì, perché?). Ma che D’Ambrosio attribuiva non a una sua iniziativa personale, bensì a una precisa e perentoria scelta del “Presidente”, che “ha preso a cuore la questione” e si è “orientato a fare qualcosa”: “Il Presidente parlerà con Grasso nuovamente”, “mi ha detto di parlare con Grasso”, “parlava di vedere un secondo con Esposito”, suggeriva a Mancino di “parlare con Martelli” per concordare una versione comune, scriveva al Pg della Cassazione per “non mandare lei (Mancino, ndr) allo sbaraglio” e perché il Pg “eserciti i suoi poteri nei confronti di Grasso. Tu, Grasso, fai il lavoro tuo”, insomma “si decide insieme” e il Presidente “sa tutto, e che non lo sa?”. Sono tutte parole di D’Ambrosio, non invenzioni dei suoi assassini a mezzo stampa. Se quelle segretissime manovre per depotenziare o addirittura scippare ai titolari l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia sono note, non è grazie alla trasparenza del Colle, ma all’inchiesta di Palermo. E, se sono finite nel nulla, non è perché il Quirinale non ci abbia provato. Ma perché Grasso le ha respinte, ricordando che l’invocato “coordinamento” delle indagini era stato assicurato un anno prima da una delibera del Csm presieduto dallo smemorato Napolitano. Checché ne dicano il Presidente e gli sciacalli, D’Ambrosio non ha subìto (almeno sul Fatto) alcuna “campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose”. Se illazioni ci sono state, hanno inevitabilmente riguardato le conversazioni rimaste segrete fra Mancino e Napolitano, a causa della decisione del Quirinale di non renderle pubbliche, anzi di pretenderne la distruzione, a costo di trascinare la Procura di Palermo davanti alla Consulta con un conflitto che Franco Cordero (sul Corriere, sul Fatto e infine su Repubblica) ha dimostrato infondato. Su D’Ambrosio non c’era da insinuare o escogitare nulla: abbiamo semplicemente pubblicato e commentato criticamente, come altri giornali, le sue testuali parole intercettate. E, unico giornale in Italia, abbiamo subito intervistato D’Ambrosio per dargli la possibilità di spiegarle. Lui l’ha fatto, ma ci ha pure esternato il suo disagio per ciò che non poteva dire, essendo vincolato dal “segreto” su parole e azioni del Presidente che – ricordava ossessivamente nell’intervista – “sono coperte da immunità”. Gli abbiamo chiesto di farsi sciogliere dal vincolo, ma dopo qualche ora ci ha fatto rispondere dal portavoce del Quirinale che il Presidente non l’aveva sciolto. Lo stesso vincolo che ha esposto lui, magistrato, a due imbarazzanti figuracce dinanzi ai suoi colleghi di Palermo, che lo sentivano come teste su ciò che aveva confidato a Mancino di sapere sulla trattativa: lui sulle prime negò tutto, ma poi, messo di fronte alle sue parole intercettate, dovette ammettere parecchie cose fra mille contraddizioni, e sfiorò l’incriminazione per reticenza. Non conoscendo personalmente D’Ambrosio, noi possiamo soltanto immaginare con quale stato d’animo un uomo tanto riservato abbia vissuto questi 40 giorni di esposizione mediatica e il drammatico ribaltamento della sua immagine: da collaboratore di Falcone nella stesura del decreto sul 41-bis a difensore d’ufficio di chi aveva revocato il 41-bis a centinaia di mafiosi, o almeno non l’aveva impedito. Insomma, da servitore dello Stato a servitore di Mancino. Ma, se Napolitano avesse ragione a collegare la sua morte a quanto è stato scritto di lui, dovrebbe anche domandarsi chi ha esposto D’Ambrosio a quelle critiche, a quelle figuracce e a quel ribaltamento d’immagine: non certo chi ha riferito doverosamente le cose che aveva detto e fatto, semmai chi gli aveva chiesto di dire e di fare quelle cose.

 

Escogitazioni ingiuriose (?)

Sottotitolo: a me non pare elegantissimo, né correttissimo dal punto di vista istituzionale, che il Capo dello Stato annunci la morte di un suo collaboratore aggiungendovi un attacco politico. Perché sia chiaro, quello è un attacco politico. Poi per carità, al Quirinale abbiamo avuto anche Cossiga. [Alessandro Gilioli]

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Morto D’Ambrosio, Napolitano attacca
“Contro di lui campagna irresponsabile”

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Si sta avvicinando pericolosamente il giorno in cui in questo paese anche pensare sarà considerato reato, eversione, terrorismo.
 
Quando un presidente della repubblica non sa frenare le insinuazioni più basse e accusa, per difendere se stesso e il suo operato circa la richiesta di chiarezza sulla trattativa fra lo stato e la mafia, un  modus operandi certamente non da capo di stato – e lo fa neanche troppo velatamente strumentalizzando un evento naturale come la morte – persone che lavorano PER la vita [la verità in casi come quello di cui si parla e cioè di uno stato che scende a patti con l’organizzazione criminale più feroce, quella che ha ammazzato donne e bambini, Magistrati perbene, giornalisti, tutti coloro che hanno lavorato e lavorano per uno stato pulito è VITA, checché ne pensi un’inutilità come formigoni che dice di non essere sicuro che tutti vogliano saperla sempre, ovviamente e specialmente quando riguarda lui e i suoi affari “celesti“],  dunque non CONTRO la vita di essere degli assassini, gente che rischia la sua incolumità mettendo in conto di perderla ogni giorno da anni, anche senza essere malata di cuore, per metterla al servizio di questo paese ridicolo, di uno stato traditore, il punto di non ritorno è stato ampiamente sorpassato. 
Faccia i nomi, Napolitano, chi sarebbe il “mandante morale di questa morte”?   giusto per usare le stesse parole noiose che la retorica nazionale tira SEMPRE fuori in questi casi, cioè QUANDO MUORE UNO DI LORO,  perché per Stefano Cucchi, per Federico Aldrovandi ad esempio non risulta proprio che il capo dello stato né nessuno dei miserabili che oggi titolano certi fogliacci in modo indegno si siano indignati oltremodo. E per quale motivo non si deve sapere chi fu, chi è stato,  chi è il mandante non solo morale della morte di Falcone e Borsellino? di chi è la colpa, chi è il mandante morale dell’infarto del povero D’Ambrosio, che riposi in pace lui che adesso può, di Travaglio e del Fatto Quotidiano? di Cordero e Imposimato che si sono espressi LEGGI e COSTITUZIONE ALLA MANO? di Ingroia costretto ad andarsene da questo paese le cui istituzioni  considerano eversori i Magistrati onesti? della Procura di Palermo, quella che indaga e non quella che scende a patti e compromessi? forse la mia che in questo blog e altrove ne scrivo da giorni? e se succedesse qualcosa, speriamo mai per carità, a quei Magistrati e giornalisti che stanno indagando sulla trattativa di chi sarebbe la colpa, delle escogitazioni ingiuriose  di chi: del Giornale di sallusti, di gasparri, della santanché?  di chi pensa che lo stato e le sue istituzioni vadano difese sempre e comunque a sprezzo perfino della dignità? di chi pensa che questo stato meriti ancora di essere considerato con rispetto alla luce anche di quello che ci hanno detto le sentenze sulla Diaz e su Federico? uno stato incapace di applicare una giustizia giusta, incapace di stabilire una differenza LEGALE, EQUA, ché parlare di umanità sarebbe eccessivo, fra una vita umana e un’automobile bruciata, uno stato in cui le stragi avvengono da sole e non è mai colpa di nessuno merita davvero di essere ancora difeso?  
Ce lo dica, il presidente, sia onesto fino in fondo se crede davvero a quello che ha detto ieri.
Risponda anche e solo ai genitori della bimba di cinquanta giorni morta nell’attentato mafioso di Firenze, e chissà se – nel frattempo – a quel padre e a quella madre, come a decine di altri padri, madri, sorelle, fratelli, mogli, mariti, amici, il cuore non si sarà silenziosamente schiantato dal dolore.
C’è un esercito di gente dai cuori spezzati per colpa dello stato, ma non mi pare che sia stato difeso da nessuno, anzi, non è stato nemmeno risarcito.
 
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Per questo Napolitano non spende una parola?

Il livello di barbarie di e in questo paese ha superato il livello di guardia.

 

 

 

 

La verità non è mai “risibile”

[Chi trova l’attacco volgare in quel che scrive Di Pietro sul suo blog vince un mojito delle cinque e mezza in riva al mare con me domenica prossima]

Perché è risibile parlare di “misteri del Quirinale?
E’ risibile chiedere qual è il contenuto della telefonata intercorsa tra Mancino e D’Ambrosio?
 E’ risibile pretendere TRASPARENZA sull’operato del Presidente della Repubblica?

Trattativa Stato-mafia, Di Pietro: verità sul Quirinale. Il Pd: Idv irresponsabile

Dopo le rivelazioni del Fatto sulle presunte pressioni fatta dal Colle ai pm siciliani, il leader dell’Idv, con un post sul suo blog, annuncia che chiederà chiarimenti al ministro della Giustizia sulle “pressioni del Quirinale sul procuratore generale della Cassazione”. Ma il Pd insorge: “Attacco volgare contro il Colle”.

Trattativa Stato-mafia, Mancino chiamò il Quirinale per lamentarsi delle indagini

I 57 giorni tra il tritolo di Capaci e via D’Amelio. L’ex ministro dell’Interno telefonò al magistrato Loris D’Ambrosio, uno dei più stimati consiglieri del presidente della Repubblica, sostenendo di essere un “uomo solo”.  Chiamato anche il procuratore di Palermo Messineo per evitare confronto con Martelli.

La nota del Quirinale: “Irresponsabili illazioni sulla trattativa Stato-mafia”

Il comunicato si riferisce a una lettera della Presidenza della Repubblica al pg di Cassazione Esposito, per chiedere chiarimenti sulla configurabilità penale degli esponenti politici coinvolti nell’indagine. All’origine una telefonata di Mancino al magistrato D’Ambrosio, consigliere di Napolitano.

Più di sessant’anni di repubblica e la politica italiana, oltre a farsi benissimo i fatti e gli affari suoi, questa è stata infatti l’attività prevalente, quella riuscita senz’altro meglio di questi sei decenni non ha imparato nulla.

Prima crea i “mostri” e poi se ne lamenta.

Verità (e giustizia) e stato italiano è l’ossimoro perfetto, ecco perché bisognerebbe smettere di invocarla solo davanti ai cadaveri di chi è morto di stato e per lo stato e alle loro commemorazioni.

Ciò non toglie nulla però alla pavidità del piddì. Mai vista un’accozzaglia di gente così miserevole, assente, incapace di fare il benché minimo sussulto di dignità di fronte alla qualunque.
Dice Letta (junior): “l’operato del presidente Napolitano sempre improntato al servizio delle istituzioni”.
Anche quando firmava leggine ad personam per la solita personam  puntualmente respinte dalla Consulta? anche quando ha nominato ministri personaggi in odor di mafia e criminalità che si sono dovuti dimettere a causa delle loro pendenze giudiziarie? di quali istituzioni parla l’imbelle occhialuto che non conosce – evidentemente – nemmeno le basi di una democrazia se la richiesta di verità gli fa così tanto orrore? cos’è che non possono/devono sapere gli italiani a proposito della trattativa fra lo stato e la mafia? e perché un cittadino o tanti non possono dire, in una democrazia, che non si sentono rappresentati da presidenti della repubblica sullo stile di Cossiga e Napolitano?   a me piacerebbe sapere cosa c’è di strano, di così insultante nel voler sapere perché il Quirinale s’intromette in faccende che non dovrebbero riguardare il presidente della repubblica. Mi piacerebbe sapere CHI difende il capo dello stato, se gli italiani oppure quelli che vogliono il male degl’italiani negando quelle verità che restituirebbero  a questo stato un minimo di  senso.
Non è abbastanza democratico? chi è che fa antipolitica in questo paese, Grillo? scusate ma, mi viene da ridere, saranno i postumi dei bagni di sole di ieri e ieri l’altro.