Gli Usa s’indignano per la condanna esagerata alle Pussy Riot: loro preferiscono quelle definitive.
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“E’ la politica che sconfina, non la magistratura”, dice Antonio Ingroia, ed ha perfettamente ragione.
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Io non mi fido di uno che pensa di fare cose condivise da cicchitto e dal pdl, e se questo uno si chiama Mario Monti sono proprio contenta di non aver MAI cambiato idea sul governo cosiddetto tecnico; quello che pensavo a novembre dello scorso anno lo penso ancora oggi e con maggior intensità: per me “questi” sono peggio di “quelli di prima”.
Ma molto peggio.
Infinitamente peggio.
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All’inizio dell’anno Monti promise solennemente a Che tempo che fa che si sarebbe occupato della Rai, e, nonostante il centrodestra sbraitasse di invasioni di campo, di decisioni che non spettano ad un governo tecnico lui se n’è occupato eccome affidandone la gestione, che lo dico a fare? ai suoi amici banchieri.
Qualche giorno fa il professore sobrio – che non stacca mai nemmeno quando sta in vacanza – ha detto che “ci saranno novità” nell’ambito della giustizia e che il tema delle intercettazioni va affrontato. E nessuno nella politica, né destra né centro né sinistra fa un plissé confermando ancora una volta quello che noi “populistidemagoghiqualunquisti” diciamo da anni e cioè che alla fine (e nemmeno tanto alla fine) sono un po’ tutti uguali, specie quando c’è da far quadrato attorno a se stessi per proteggersi da eventuali applicazioni di vera democrazia quali ad esempio una giustizia uguale per tutti, dal presidente della repubblica all’ultimo nato di questo paese come Costituzione comanda.
Se la Magistratura siciliana ha commesso, sta commettendo un abuso significa che c’è già una legge che certifica questo abuso e che non è stata considerata, ma se diventa impellente la necessità di modificare o di inventare una nuova legge su misura significa che la Magistratura siciliana non ha commesso nessun abuso.
I servi di regime, quelli vecchi ma soprattutto i nuovi dovranno farsene una ragione.
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Il duce ha sempre ragione
Marco Travaglio, 19 agosto
C’è un passaggio, nel magistrale commento di Gustavo Zagrebelsky su Repubblica al conflitto di attribuzioni scatenato da Napolitano contro la Procura di Palermo, che andrebbe affisso in tutte le scuole a caratteri d’oro: “Signor Presidente, non si lasci fuorviare dal coro dei pubblici consensi. Una cosa è l’ufficialità, dove talora prevale la forza seduttiva di ciò che è stato definito il ‘plusvalore’ di chi dispone dell’autorità; altra cosa è l’informalità, dove più spesso si manifesta la sincerità. Le perplessità, a quanto pare, superano di gran lunga le marmoree certezze”. Era difficile illustrare meglio quello che dovrebbe essere, e nelle democrazie è, l’intellettuale: uno stimolo vivente allo spirito critico, un antidoto alla cultura autoritaria dell’ipse dixit, un instancabile demolitore delle “verità ufficiali”, cioè delle imposture del potere. L’esatto opposto dell’intellettuale medio italiano, sempre organico a tutte le corti, sempre dalla parte verso cui soffia il vento. In questo mese abbiamo interpellato sul conflitto Quirinale-Procura molti giuristi e costituzionalisti. I più rispondevano con supercazzole inintelligibili. Molti, alla parola “Quirinale”, cadevano in preda all’afasia e facevano perdere le proprie tracce. Alcuni, nell’informalità, dicevano che è ovvio che hanno ragione i pm e che il Presidente esorbita dai suoi poteri e s’inventa privilegi e prerogative inesistenti, ma poi ci pregavano di non citarli: “Sa com’è, in questo momento non va indebolita l’unica istituzione rimasta in piedi… lo spread… il governo in bilico, metta che torni quello là… e poi Lui alla minima critica ti fa chiamare, protesta, no no meglio il silenzio”. Poi l’indomani correvano a scrivere sui loro giornaloni che il Presidente aveva ragione da vendere. Unica eccezione: Cordero. E, l’altroieri, Zagrebelsky. Ora immaginiamo le telefonate che riceverà da qualche collega in clandestinità: “Bravo, siamo tutti con te! Ne hai avuto, di fegato! Io per ora resto acquattato, sai com’è: la cattedra, il premio, la medaglietta, il pennacchio, il cavalierato, il laticlavio… Vai avanti tu, io magari arrivo dopo”. È “il plusvalore di chi dispone dell’autorità”, che esercita un fascino irresistibile. Ma, per spiegare il tradimento dei chierici in questa partita mortale fra il Potere e un pugno di pm che cercano la verità sulla trattativa Stato-mafia, atto fondativo della Seconda Repubblica, lo storico servilismo delle classi intellettuali non basta. C’è un di più legato all’èra dei tecnici, a un governo che nessun elettore ha mai immaginato eppure comanda con una maggioranza mai vista se non in Bulgaria, nelle Camere e nella cosiddetta informazione al seguito. Che fine han fatto i giornali e gli editori che un anno fa marciavano con la Fnsi contro il bavaglio targato Alfano? Ora rilanciano a una sola voce gli ukase di Monti che, senza sapere quel che dice, denuncia “abusi nelle intercettazioni” e annuncia la riedizione riveduta e corrotta in salsa tecnica del bavaglio Al Fano. Spariti i post-it gialli, petizioni, mobilitazioni, paginate su “Tutto quello che non avreste saputo e non saprete più”. L’Anm si spinge a definire addirittura “impropria” l’uscita di Monti, ma in un comunicato senza firme, come se si fosse scritto da solo. Zitti il Pd e la presunta sinistra. Comprensibilmente entusiasti Pdl e Udc. Soave corrispondenza di amorosi sensi fra il Foglio, che insulta Zagrebelsky al punto di difendere Scalfari, e la fu Unità, che critica Zagrebelsky per conto terzi (anzi Colle). La fu Unità, poi, attacca con argomenti berlusconiani la gip Clementina Forleo che ha osato, su Facebook, solidarizzare con la collega Todisco aggredita da un governo “illegittimo”. Il che metterebbe “in discussione la terzietà e imparzialità del magistrato”. Quasi che la Forleo avesse fra i suoi imputati il governo. O che i giudici, per esser imparziali, dovessero essere tutti governativi. Come quelli che hanno condannato le Pussy Riot. Piacerebbe, eh?