L’oltraggio nell’oltraggio [reloaded]

Sottotitolo: in previsione della stagione calda ricordatevi  sempre di bere molto.

Ché in questo paese la disidratazione fa brutti scherzi: può provocare fratture e contusioni multiple, e in caso di cagionevolezza anche la morte.

 

L’elenco è incompleto, ne mancano un bel po’ di morti “per sbaglio”.

Le sentenze si rispettano nella misura in cui sono eque, e restituiscono davvero giustizia a chi ne è stato privato.
Quando non lo sono si ha tutto il diritto di commentarle a proprio piacimento.
Anche perché non rispettare una sentenza non significa affatto sminuire il valore della Magistratura, visto e considerato che la Magistratura applica leggi che non scrivono i giudici ma i politici in parlamento.
E nessuno fra il popolo ha mai chiesto alla politica di dare alla vita umana un valore irrisorio, nullo, e che quantifica in una pena nulla chi –   indossando una divisa da funzionario dello stato – massacra gente inerme per dispetto o l’ammazza di botte ma poi per mezzo delle stesse leggi si  condanna alla galera vera da scontare chi spacca una vetrina.

Stefano è morto di fame e di sete, ci hanno detto, per colpa di medici che pur essendo stati condannati, nel paese più garantista di tutti non sconteranno mai un solo giorno di galera.
Ma un po’ prima era già morto di botte, questo succede quando lo stato sa esercitare solo autorità per mezzo del suo braccio armato violento e non invece  una giusta autorevolezza restando sempre dentro il confine del diritto.

Stefano, in un paese normale non sarebbe mai stato arrestato; nessuno viene considerato un criminale da galera perché ha in tasca qualche grammo di fumo e delle medicine contro l’epilessia.

E come scrivevo già un po’ di tempo fa  non farà né caldo né freddo a nessuno, a parte noi poveri idealisti che pensiamo e speriamo che l’Italia possa trasformarsi prima o poi non dico in un paese normale ma almeno sano, sapere che in questo paese si nutrono per legge, quindi obbligatoriamente – anche contro la loro volontà espressa in precedenza – i già morti da vivi  mentre non si ricorre all’alimentazione forzata quando c’è da salvare una vita che era ancora vita. 

Una persona può rifiutarsi di mangiare e bere per protesta o perché essendo stata pestata a sangue a scopo pedagogico, educativo, fame proprio non le viene mentre è sotto tutela dello stato, ricoverata in una struttura sanitaria pubblica e non succede niente, si lascia morire così, nell’indifferenza di tutti vietandole perfino la vicinanza di una persona di famiglia.

Non saper riconoscere, nemmeno dal punto di vista della legge – che dovrebbe tutelare proprio e maggiormente le vittime mentre la nostra spesso e anche volentieri fa l’esatto contrario – qual è la parte debole di un brutto gesto, di un’offesa, di una violenza è la ragione che poi fa dire a giovanardi, a la russa, che Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi sono morti perché se la sono cercata, erano drogati di strada, e non perché gente con un potere enorme in confronto a loro ne ha abusato. 
Fino ad ucciderli.

Senza l’obbrobrio della legge che porta il nome di fini e giovanardi, lo stesso che lo ha insultato fino a ieri, Stefano sarebbe ancora vivo, nessuno lo avrebbe mai arrestato per una manciata di fumo, e non sarebbe mai morto di botte, di fame, di sete, di ingiustizia e di stato.

STEFANO – di Rita Pani

Chissà, forse è andata proprio come andò a Padre Pio. Satana entrato nella cella di Stefano lo ha tentato, e lui per fuggire alla tentazione ne è uscito con le ossa rotte. Nessun colpevole, quindi, per la vita sprecata di un ragazzo che ha avuto la sfortuna di non essere un embrione. In quel caso sì, anche giovanardi sarebbe stato dispiaciuto per lo scempio.
Un oltraggio nell’oltraggio la sentenza che condanna i medici per malasanità, e che nello stesso tempo sospende la pena – che sarà mai? Capita al medico di sbagliare.
Un oltraggio nell’oltraggio anche il processo, che di omicidio non ha mai parlato: lesioni gravi era l’ipotesi di reato. Succede.
Son tante le cose che si potrebbero dire a proposito di uno Stato che uccide e resta impunito, ma avrebbero il suono noioso delle cose troppe volte ribadite, e bisognerebbe per principio aver la pazienza di stilare la lunga lista delle giovani vite sprecate. Quelle che non si aveva interesse a salvare, quelle per le quali nessuno è stato mosso da umanità. Quelle che non erano importanti per nessuno, anzi! “Un drogato in meno” ho letto da qualche parte, su uno di quei giornali di proprietà del Salvatore di giovani egiziane per bene, frequentato da commentatori cristiani, quelli che salverebbero tutti gli embrioni, tutti i malati terminali che vogliono morire.
Che si potrebbe aggiungere quindi allo squallore?
La consolazione, forse, di pensare che per fortuna è solo la sentenza di primo grado. La speranza nel secondo, o nella cassazione. Ma ultimamente perdiamo troppo del nostro tempo a sperare sogni che non si avverano mai.
Un pensiero caro e di solidarietà alla famiglia Cucchi, vergognandomi di questo paese infame.

 

Strike

  Dagospia: “Quando tutti cantano in coro, conviene ascoltare la voce del cattivo, il giudice Giuseppe Cocilovo. Sentito dalla Stampa (p. 13), racconta che non vi fu mai alcuna rettifica sul Libero: “Quello stesso giorno c’erano stati un comunicato ufficiale e lanci Ansa. Tutti gli altri hanno riparato a quell’errore, hanno informato correttamente i loro lettori. ‘Libero’ non l’ha mai fatto, nemmeno quando l’ho richiesto. Hanno detto che quando uscivano i lanci Ansa erano in auto e non li avevano visti, e negli anni successivi?”. Saranno rimasti intrappolati nel traffico sei anni.

Ma il meglio riguarda la trattativa degli ultimi giorni, saltata perché il povero sallusti racconta che “quel signore pretendeva da me altri soldi”. Ecco la versione di Cocilovo: “Abbiamo fatto una proposta transattiva: avrei ritirato la querela dietro il pagamento di 20.000 euro da devolvere a Save the Children. Invece il giorno dopo mi trovo un editoriale di sallusti in cui sembra che io voglia quei soldi per me, si chiama a raccolta l’intera categoria nel nome della libertà di stampa, s’incassa la solidarietà del Capo dello Stato e si cerca la sponda del ministro della Giustizia. Una campagna stampa allucinante. E allora le domando: qual è la casta?”.

Diffamazione e responsabilità

Tra Sallusti e Travaglio c’è di mezzo un banner

“A Travaglio 8 mesi di carcere: lo salva la prescrizione”; “C’è un giudice anche a Roma: Travaglio diffama di proposito”; “Il giudice lumaca salva Travaglio” – [Il Giornale]

Tanto pignoli con i blogger, costretti a smentire le notizie degli altri e tutti preoccupati per Sallusti che, dovrebbe, andare in galera. Ad un professionista della diffamazione e delle notizie false dovrebbero imporre le rettifiche e la liquidazione dei danni morali.

Oggi tutti parlano bene di sallusti, perfino Norma Rangeri dal Manifesto ci fa sapere che la condanna di sallusti è un attentato alla libera espressione. Naturalmente non una parola su una classe politica INDECENTE che in sessant’anni e oltre di repubblica non ha trovato il tempo e il modo di sostituire le leggi ereditate dal fascismo. 
Fra cui proprio quella che ha condannato sallusti.
E i figli e nipoti di quella classe politica sono gli stessi che oggi non sanno tirare fuori una legge decente contro la corruzione nonostante e malgrado siano 11 anni (undici anni!) che l’Europa ce la chiede.
In poche ore si è formato un piccolo esercito di difensori della libertà di diffamare di sallusti, dal presidente della repubblica che NON si dovrebbe occupare di nessun “caso sallusti” al presidente della federazione nazionale della stampa Siddi, quello che “si sente come sallusti” invece di fare il suo mestiere ricordando magari che sallusti è proprio uno fra quelli che vorrebbe, invoca la galera per quei giornalisti che non diffamano come lui ma si limitano a fare il loro mestiere e cioè informare, passando per il ministro Severino  che non commenta ma qualcosa s’ha da fare [solo perché c’è di mezzo sallusti?]. Per esempio, al direttore Ezio Mauro piace il giornalismo che diffama? anche a Mentana? è legittimo pensare che oggi difendono sallusti per paura che domani tocchi a loro? solo però forse  non sanno che in quel caso i sallusti d’Italia non si faranno trovare pronti.

E tutti hanno fatto strike anche dell’ultimo residuo di credibilità, della loro credibilità istituzionale.

In Italia per vivere bene, avere un futuro assicurato, luminoso, un mucchio di amici che nel momento del bisogno non mancano mai di offrire il proprio sostegno non bisogna nascere con la camicia: bisogna nascere disonesti e irresponsabili.

Questa, la paghiamo TUTTI

Sottotitolo: La sintesi dei numeri è questa: Rete 4 ha guadagnato grazie a leggi ad personam oltre 2 miliardi di euro ed a noi tocca pagare, di tasca nostra, oltre dieci milioni di euro.L’auspicio è ora che la Corte dei Conti chiami Ministri e burocrati responsabili di questo scempio, a rispondere del danno che, per favorire il signore della Tv, hanno prodotto al Paese. Ad un tempo, c’è da augurarsi, che la vicenda valga a far comprendere a tutti quanto grave e scellerato sia stato il gesto compiuto ieri dai Partiti, nel dar vita, ancora una volta, ad un’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che difficilmente – viste le sue origini – potrà dar prova di reale indipendenza nei prossimi sette anni. [Il Fatto Quotidiano]

Tv, Corte europea condanna Italia a pagare 10 milioni a Di Stefano per Europa 7

Dieci milioni di euro. L’Italia paga il conto di Rete4

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per non avere concesso per dieci anni le frequenze all’emittente televisiva Europa 7 di Francescantonio Di Stefano. La Corte ha riconosciuto all’imprenditore 10 milioni di euro per danni materiali e morali contro una richiesta di due miliardi di euro. L’imprenditore, da anni, si batte, a suon di carte bollate, per farsi riconoscere i suoi diritti. Dopo aver vinto la gara per l’assegnazione delle frequenze ormai dieci anni fa, spendendo circa 15 milioni di euro per mettere insieme gli studi più grandi d’Europa, ma Rete 4 destinata al satellite è tuttora in onda. 

Un po’ di storia sulla vicenda:  Il signore che rubò una televisione, anzi due- 25 Maggio 2003


Il primo aprile scorso il governo Prodi ha varato un decreto legge destinato a recepire tutte le sentenze della Corte di Giustizia europea. Dal pacchetto, però, resta fuori la pronuncia del 31 gennaio 2008, che boccia senza appello le leggi italiane sulla televisione. Il motivo? Dal 1999 Rete 4 va in onda senza concessione. Mentre Europa7, che una concessione ce l’ha, è ferma al palo, visto che il Biscione ha fatto il pieno di frequenze. Se la sentenza sulla tv è l’unica a non essere accolta, spiega Emma Bonino, è “perché non aveva carattere di urgenza”. Giusto. Non c’è fretta. Sono solo 31 anni che le leggi in materia televisiva violano la Costituzione. – 9 aprile 2008

 La multa la farei pagare in buona parte alla banda degli onesti, a quello che ha appena fondato un movimento chiamato “Italia pulita” ma una quota consistente dovrebbero pagarla anche la cosiddetta opposizione e i sostenitori degli inciucioni, i tifosi di una finta opposizione che da 18 anni regge i giochi a berlusconi, lo ha aiutato, salvato, tolto dai guai, fatto diventare “più ricco di 25 volte” [sempre violante in parlamento nel 2002] e che quando poteva intervenire legiferando non l’ha fatto di proposito, altro che la storia dei numeri con la quale hanno incartato anche la questione del conflitto di interessi. 

A tutti quelli che oggi, dopo aver permesso ad un uomo solo di disastrare il paese,  impoverire gli italiani mentre lui diventava sempre più ricco,  si permettono pure di salire in cattedra spacciandosi per democratici, gli unici in grado di guidare il paese.
Se il piddì gente come d’alema e violante se la tiene così da conto significa che non ha nessuna intenzione di rompere col passato,  di riconoscere la compartecipazione di questi ad uno scempio di stato e di civiltà, quindi sono colpevoli anche quelli che non hanno commesso materialmente il fatto, e cioè una delle più gravi ingiustizie di stato che in tutti questi anni è passata sottotono, perché come dicono quelli bravi, e la Bonino lo ha confermato quando era al governo con Prodi: “ci sono cose più importanti a cui pensare, le priorità sono altre”.

E adesso, chi paga, pure io?

Dichiarazione integrale di Violante alla Camera sul conflitto di interessi 28 Febbraio 2002

Il famoso intervento di Luciano Violante alla Camera durante la discussione sulla legge Frattini sul conflitto di interessi di Berlusconi, in cui clamorosamente svela che già nel 1994 a Berlusconi e Gianni Letta era stata data la garanzia che non sarebbero state toccate le televisioni di Berlusconi.

Un giudice a Strasburgo
 Marco Travaglio – 8 giugno

Un giorno qualche economista indipendente, sperando che esista, calcolerà quanto ci è costato Silvio Berlusconi con il suo
monopolio illegale e incostituzionale sulla televisione e sul mercato (si fa per dire) delle telecomunicazioni. Quanto ci è costato e continua a costarci in termini di mancata innovazione, mancati investimenti, mancato sviluppo, mancata banda larga (1 punto e mezzo di Pil), mancata concorrenza, mancata qualità, mancati posti di lavoro, mancato servizio pubblico, mancata pubblicità a giornali e web, mancati introiti per lo Stato dall’affitto delle frequenze (regalate da sempre). Da ieri, a questi danni spaventosi, si aggiungono i 10 milioni di euro di danni morali e materiali che lo Stato deve sborsare per risarcire Francesco Di Stefano che per 10 anni ha atteso invano le frequenze per trasmettere con Europa7 dopo che nel 1999 aveva ottenuto, con regolare concorso pubblico, la concessione. Così ha deciso ieri a Strasburgo la Corte europea dei diritti dell’uomo. Motivo: “Le autorità italiane non hanno rispettato l’obbligo prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo per garantire l’effettivo pluralismo dei media”, calpestando il diritto alla libertà d’espressione e d’informazione e la tutela della proprietà. Avuta la licenza Europa 7 poteva “ragionevolmente aspettarsi” le frequenze per mandare in onda i suoi programmi al massimo entro due anni. Invece non poté farlo fino al 2009 (quando, fra l’altro, di frequenza ne ha avuta una sola, per giunta sottratta alla Rai anziché a Mediaset) perché “le autorità hanno interferito con i suoi legittimi diritti, con la continua introduzione di leggi che hanno via via esteso il periodo in cui le tv che già trasmettevano potevano mantenere la titolarità di più frequenze”. Un capitolo della sentenza, intitolato “L’anomalia italiana”, spiega al mondo e soprattutto all’Italia “quanto è pericoloso il monopolio televisivo per una democrazia matura”. Nessuna scoperta sensazionale: i lettori del Fatto l’anomalia italiana la conoscono bene, leggendo un giornale nato proprio per combatterla. Ma, con i loro tempi biblici, i giudici europei sono arrivati molto prima della nostra casta politica che, salvo rare eccezioni, di quell’anomalia è stata artefice e complice. Dal novembre ’94, quando la Consulta stabilì che le reti Fininvest dovevano scendere da tre a due, si sono avvicendati tre governi Berlusconi, due Prodi, uno D’Alema, uno Amato e due tecnici appoggiati l’uno (Dini) da Lega e centrosinistra, l’altro (Monti) da Pdl, Pd e Terzo Polo. Nel Paese dei finti liberali, nessuno ha osato neppure sfiorare l’anomalia con leggi antitrust e sul conflitto d’interessi. Dopo la sentenza della Consulta, il centrosinistra che aveva vinto le elezioni nel ’96 — previa visita pastorale di D’Alema a Mediaset, accolto dal Gabibbo e da Confalonieri — regalò a Rete4, candidata allo spegnimento sull’analogico e al passaggio sul satellite, una proroga sine die con la legge Maccanico del ’97. Violante spiegò poi alla Camera che “era stato garantito a Berlusconi e a Letta che non gli sarebbero state toccate le tv”. E quando Europa7 vinse la concessione e Rete4 la perse, il governo D’Alema provvide a salvare la seconda con una proroga ad aziendam. Pochi mesi dopo la Consulta tornò a intimare lo spegnimento di una rete Mediaset entro il 31 dicembre 2003 e a quel punto provvide direttamente B. col decreto salva-Rete4 e la legge Gasparri. Nel 2006 il centrosinistra tornò al governo promettendo agli elettori di cancellare tutte le leggi vergogna, poi naturalmente le lasciò tutte in vigore, a partire dalla Gasparri. Ora un paese serio farebbe pagare quei 10 milioni, e tutto il resto dei danni, ai signori Berlusconi e D’Alema e a tutti i ministri delle Comunicazioni degli ultimi 18 anni: Gambino, Maccanico, Cardinale, Gasparri, Landolfi, Gentiloni, Scajola, Romani, Passera. A quando una bella class action?

Combattenti antimafia

Sottotitolo: Falcone? Un comico, un guitto, che può gareggiare coi comici del sabato sera. Uno che sciorina sentenze in tivù ma fa parte del carrozzone televisivo.
[Sandro Viola, Repubblica, 9 gennaio 1992]
Lo stesso quotidiano oggi mette in edicola un commosso tributo in DVD al prezzo di 12,90 Euro.

Sandro Viola, autore dell’articolo, non è mai stato rimosso dal suo incarico di editorialista di Repubblica. Ad essere rimosso, invece, incredibile coincidenza, è l’articolo. Se cercate sul sito de la Repubblica potete facilmente notare che è recuperabile ogni articolo tranne quello del 9 gennaio. Fortunatamente ci pensa il Popolo della Rete e se su google inserite le parole “Falcone 9 gennaio 1992 la Repubblica” troverete facilmente che molti siti e associazioni contro la mafia, riportano quell’articolo.
(Grazie ad Aldo Vincent)

Monti: “Verità è unica ragione di

Stato”

Vent’anni fa la strage di Capaci. Da tempo dicevano di Falcone che fosse un “morto che cammina”. Aveva portato un vento nuovo dopo gli assassini di Terranova, Costa e Chinnici. Istruì il più grande processo alla mafia che si ricordi. Obbligò il mondo a decidere da che parte stare. Poi arrivarono i morti e le stragi (leggi l’articolo di Nando Dalla Chiesa). Oggi come allora, le inchieste sulla mafia sono una questione di metodo. Il metodo di Falcone, l’idea del famoso “pool”, invenzione che attinge direttamente dalla lotta alle Br (leggi l’articolo di Marco Travaglio).

Oggi Palermo ricorda Falcone e il suo sacrificio. E il premier pronuncia parole che, nel pieno delle indagini sulla trattativa tra Stato e mafia, sembrano non essere casuali: “Non c’è ragione di Stato che possa impedire la ricerca della verità”.

Oggi Google lo avremmo preferito così. Visto che i solerti e solitamente fantasiosi e creativi grafici del motore di ricerca non ci hanno pensato, ce lo siamo fatto da soli.

                                     Vogliono combattere la mafia, le mafie,  e non riescono a mettersi d’accordo su una fottutissima legge anticorruzione; una legge che esiste e viene fatta rispettare in ogni democrazia degna di questo nome. E che fra l’altro l’Europa ci sta chiedendo da oltre dieci anni: è stato più facile ridurre i tre quarti degli italiani sul lastrico in due settimane  che fare una legge civile e necessaria, nel paese più corrotto del mondo, evidentemente.

I combattenti antimafia sono quelli che poi quando devono decidere se un mafioso prestato alla politica deve andare in carcere votano compattamente per il no. Quelli che commemorano Falcone, Borsellino e tutti i morti di stato ma salvano Cosentino.
Quelli che parlano di berlusconi e andreotti definendoli statisti. Quelli che festeggiano le prescrizioni come fossero assoluzioni, solo in questo paese è possibile essere mafiosi da un certo periodo a un altro, né un attimo prima né uno dopo.
Sono anni che lo dico: quando fra due secoli o tre  qualcuno tornerà per sbaglio a leggere la storia di questa Italia sciagurata non  so che penserà, se si chiederà come è stato possibile che certe cose siano esistite davvero, che siano accadute sul serio.

Dalla maggioranza della gente di questo paese so di non potermi aspettare niente.

Gente che si è fatta infatuare dalle chiacchiere di un venditore di pelli di serpente disonesto e cialtrone non la vorrei nemmeno per vicina di casa.
Dalla politica però sì, mi sarei aspettata anche dei gesti simbolici che avessero messo un punto fermo su una prescrizione per mafia, sulle condanne, per mafia, dell’utri è ancora senatore, andreotti è senatore a vita, berlusconi è ancora cavaliere.
Per dire.
O ci mettiamo in testa tutti quanti che la politica deve essere migliore dei cittadini che governa o non ne usciamo.

A me questo fatto che ce li meritiamo, che rispecchiano il paese non va giù, perché anche se ci fossero dieci, cento mille cittadini migliori di certi politici – ma sono molti di più –  hanno il diritto di non essere paragonati e accomunati a gentaglia che sta in parlamento non si sa bene per quali meriti.

Ed ecco spiegato tutto il veleno per il movimento dei cinque stelle, perché queste persone stanno entrando in parlamento senza chiedere permesso.
Un ‘permesso’ per fare politica che spesso si traduce in tutto quello che sappiamo, e anche, anzi soprattutto e specialmente in certe zone,  nelle collusioni e connivenze con le mafie.

L’esercizio del male non necessita di gente dotata di particolari qualità: durante il nazismo ad esempio bastarono dei semplici burocrati, funzionari, medici di famiglia, come fu per la strage di Ausmerzen, che si resero complici dello sterminio dei disabili nell’indifferenza pressoché totale della gente.
Gli esecutori del male sono e sono stati dunque sempre persone normali, insospettabili, con buona pace della teoria lombrosiana che li voleva brutti, storti e fatti male.
L’olocausto è stato un orrore dell’uomo moderno che è potuto accadere anche grazie all’indifferenza, alla noncuranza, all’individualismo e all’egoismo.
Allo stesso modo la mafia è potuta proliferare soprattutto grazie all’indifferenza, alla noncuranza, all’individualismo e all’egoismo.
Se Falcone,  Borsellino, e tutti gli altri morti di mafia fossero stati meno soli, appoggiati, sostenuti, PROTETTI da chi aveva il dovere di farlo forse oggi parleremmo di un 23 maggio che sembra novembre e non avremmo nulla da ricordare e commemorare.

In un paese normale (reloaded)

In un paese normale una persona che avesse lo stesso curriculum penale/giudiziario di  berlusconi sarebbe a marcire in una galera da almeno vent’anni, dimenticato da tutti, e quei pochi che si ricorderebbero di lui lo farebbero con un moto di repulsione, orrore, schifo, chiedendosi ogni giorno come è stato possibile permettere ad un uomo solo di stravolgere e deformare un paese a sua immagine e somiglianza e a chi è convenuto tutto questo; orrore, repulsione e schifo nei suoi confronti e verso tutta quella gente che MAI si è opposta seriamente e per il bene dello stato alle azioni di un delinquente, un impostore, un abusivo della politica, dopo, quando avrebbe dovuto come minimo tentare di porre rimedio al danno compiuto, evitabilissimo se si fossero rispettate le leggi che c’erano, né,  prima, quando non gli ha impedito di poter occupare un posto che non gli spettava per legge, anzi lo ha favorito confezionandone una, la bicamerale,  su misura per lui:  la prima di una lunga serie.
Un’azione politica forte seria che in Italia non c’è mai stata e che sarebbe bastato suggellare con una semplicissima legge sul conflitto di interessi ma che però non è mai interessato a nessuno fare probabilmente, anzi sicuramente perché più che i conflitti sono gl’interessi a riguardare un po’ tutta la politica e la dirigenza “alta” di questo paese: non solo berlusconi.
L’antipolitica più feroce la fa Napolitano quando difende partiti  che dovrebbero essere chiusi per manifesta indegnità e i suoi rappresentanti  cacciati e processati per alto tradimento: basta pensare ai 314 parlamentari capitanati dal molto onorevole Paniz che giurarono in Parlamento, dunque in nome del popolo italiano,  che Ruby era la nipote di Mubarak;  l’ha fatta Monti – sempre col beneplacito di Napolitano,  nominando Gianni De Gennaro sottosegretario nonostante il suo fardello di responsabilità circa “la più grave sospensione della democrazia di un paese dal dopoguerra in poi (i massacri del G8 di Genova)”  che non si è certamente alleggerito con la sua assoluzione; la fa la Cancellieri accusando nientemeno che di terrorismo (salvo poi rimangiarsi la parola) un movimento di gente non violenta e perbene come  i NOTAV che sta solo difendendo il suo diritto a non veder usurpata la sua terra e di conseguenza se medesima;  e l’ha fatta il procuratore antimafia Grasso elevando berlusconi a uomo di stato,  meritevole addirittura di un premio speciale, uno che mai come altri, più di tutti, invece, è sempre stato CONTRO lo stato, apertamente, senza pudore, vantandosene, anche,  e in modo indecente.
Vergogne senza fine.
E sono tutte italiane.

Tu dai una poltrona a me
 Marco Travaglio – 15 maggio

La proposta di Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, di premiare Berlusconi “per la lotta alla mafia” ha scatenato le più svariate illazioni su un suo prossimo ingresso in politica: chi dice come aspirante presidente della Regione Sicilia al posto di Raffaele Lombardo, inquisito per mafia; chi come candidato del “patito dei tecnici” di Passera, Montezemolo e Casini. Voci alimentate anche dalla sua rinuncia alla Procura di Roma, da un accenno di Gasparri alla sua “prossima campagna elettorale” e da una frase dello stesso Grasso su La Stampa di ieri (“anch’io ho il mio progetto, nel 2013 scade il mio incarico”). Ma, al momento, sono solo processi alle intenzioni.

Ciò che stupisce è che, per spiegare la sorprendente uscita di
Grasso pro B. (sorprendente persino per B.), ci si concentri sul suo eventuale futuro anziché sul suo sicuro passato. Nel 2005 Grasso diventa superprocuratore nel concorso più controverso della storia giudiziaria italiana: quello bandito dal Csm nell’ottobre 2004 per sostituire Piero Luigi Vigna, che scade nel gennaio 2005. Candidati favoriti: Caselli, più anziano, e Grasso. Il 1° dicembre la Banda B. approva il nuovo ordinamento giudiziario Castelli, con due strani codicilli: uno proroga Vigna “sino al compimento dei 72 anni di età” (cioè fino al 1° agosto 2005); l’altro taglia fuori dagli incarichi
direttivi i magistrati con più di 66 anni. Che senso hanno? La risposta è nella carta d’identità di Caselli, che compirà 66 anni il 9 maggio 2005.
Se Vigna lascia alla scadenza naturale, Caselli non ha ancora 66 anni.  Se Vigna viene prorogato, Caselli è fuori gioco e l’altro pretendente, Grasso, ha partita vinta.

Insomma i giochi per Grasso sembrano fatti.

Ma il 16 dicembre Ciampi respinge la Castelli perché incostituzionale. Caselli rientra in partita. Ma la prospettiva che torni a occuparsi di mafia turba i sonni dei berluscones, noti partigiani antimafia. Così il 30 dicembre, mentre gli italiani preparano il cenone di Capodanno, il governo infila nel decreto Milleproroghe tre righe che prorogano Vigna, affogate in una giungla di norme sulla Croce Rossa, l’autotrasporto merci e gli spettacoli circensi. Seconda norma ad personam, anzi contro Caselli. Mille magistrati si appellano a Vigna perché si dimetta subito, impedendo al governo di interferire in una nomina che spetta solo al Csm.
Ma Vigna non ci sente. Alla Camera però, in sede di conversione del decreto, le assenze nel centrodestra regalano all’opposizione un’occasione d’oro per approvare un emendamento Ds che spazza via la norma-vergogna. Ma Rifondazione si astiene e l’emendamento viene respinto: il solito soccorso rosso ai berluscones. Però per eliminare Caselli occorre approvare la Castelli-bis che impone il limite di età a 66 anni: una legge delega che va a rilento ed entrerà in vigore solo con i decreti attuativi. Intanto il Csm potrebbe nominare Caselli con le vecchie regole. Ma ecco pronto un emendamento di Luigi Bobbio, magistrato eletto in An, che prevede l’immediata entrata in vigore dei nuovi limiti di età. “Certo — confessa spudorato Bobbio — l’emendamento serve a escludere Caselli: non merita la Superprocura”.
È la terza norma anti-Caselli, ma soprattutto pro-Grasso. Viene
approvata a fine luglio e firmata da Ciampi: Caselli è
definitivamente fuori gioco. Il Csm denuncia l’incostituzionalità della norma, ma non può che ratificare la nomina del candidato superstite: Grasso, primo procuratore della storia repubblicana nominato da un governo (e che governo). Lui però non ci pensa neppure a ritirarsi dal concorso truccato. Nel 2007 la Consulta dichiarerà incostituzionale la norma anti-Caselli. Tra i primi a felicitarsene — con appena due anni di ritardo — sarà proprio Grasso: “Sono contento, è una legge che non ho condiviso”. L’ha semplicemente usata. All’epoca qualche ingenuo si domandò perché mai B. preferisse Grasso a Caselli?
La risposta, forse, è appena arrivata.

Quello che (non) ho: Marco Travaglio e Gad Lerner sulla politica italiana (14/05/12)

 

Gratuità fittizie

Ricomincia l’opera di seduzione con la distribuzione forsennata di stelle. Sono tanti gli utenti che in questi giorni stanno ricevendo la proposta di diventare “gold user”, così come è già accaduto in occasione dell’aggregazione con Facebook quando la gente scappava in massa perché non voleva, giustamente, subire un’imposizione, qualcosa di cui non si poteva nemmeno discutere ma solo accettare in virtù di quella gratuità fittizia di cui parlo qui sotto.  A chi mi ha chiesto consiglio ho risposto di rifiutare. Ci sono altri modi per convincere la gente (anche quella che sta scappando di nuovo a causa dei fatti recenti )  a rimanere, ad esempio, non cacciandola in malo modo, non cacciando e censurando  chi si macchia della colpa orribile di esprimere  solidarietà di fronte ad un’ingiustizia subita oppure semplicemente  trattarla come merita e non come, invece, viene trattata da chi è chiamato a far sì che si faccia “un uso civile di uno spazio pubblico”. A chiacchiere, ma non nei fatti.

L’accusa che viene rivolta molto spesso agli utenti delle piattaforme che ospitano spazi come i blog quando si viene cacciati (senz’avviso e senz’appello) è che quello spazio che viene offerto è gratuito e che quindi chi amministra il portale può arrogarsi il diritto di sospendere la “collaborazione reciproca” quando e come vuole.
Niente di più falso, quella è una trappola intimidatoria nella quale cadono i deboli, le persone che hanno paura che quello spazio possa venir loro sottratto da un momento all’altro e senza ragioni serie (succede, eh?) e allora si convincono che tutto sommato valga la pena abbassare la testa e continuare a fare il gioco di chi non mette a disposizione uno spazio per dare la possibilità alla libertà di esprimersi ma esclusivamente perché chi riempie quello spazio riempie, di conseguenza, anche i conti in banca dei signori e padroni di spazi virtuali.
Perché, come spiega benissimo Massimiliano Dona che di mestiere fa il segretario generale dell’Unione Nazionale Consumatori e quindi di leggi e regole se ne intende forse di più di chi ha come unico punto di riferimento delle discutibilissime faq di una piattaforma: “la libertà sulla quale poggia Internet è anche artificiosa, potremmo parlare di «libertà virtuale». A ben vedere, infatti, la Rete, e tutto ciò che su di essa accade, è controllato e condizionato da pochi grandi potentati spesso facenti capo a gruppi economici, collegati a volte da intese commerciali. Questi soggetti imprenditoriali decidono ciò che ciascuno di noi può o non può fare sulla Rete; spesso, in nome di una gratuità fittizia, si appropriano dei nostri dati, dei nostri gusti, delle nostre idee, consentendoci di divulgare le nostre opinioni, ma solo fino a quando lo vorranno. Sul web nessun contraddittorio è dato all’utente, le decisioni sono inappellabili come neppure nel più autoritario dei regimi. Spesso dietro la maschera dell’esigenza tecnologica, dell’automatismo che consegue a un impulso informatico, si nasconde l’arida prepotenza del più forte.”

Perché la Legge, quella vera, dice altro. Dice ad esempio che non si possono sottrarre materiali privati, personali se non in presenza di motivi gravissimi e che per chiudere uno spazio personale ci vuole qualcosa di più di un vaffanculo o di una testa di cazzo. Un blog può venire chiuso d’autorità quando si veicolano e si diffondono apologie, quando i suoi contenuti sono di carattere pedopornografico, quando in quel blog si istiga a violenze di vario genere.
Quando, insomma, in uno spazio personale ma che è però di pubblico dominio perché visibile e leggibile da tutti si commettono dei reati che sono puniti nello stesso modo in cui si sanzionano quelli compiuti da persone fisiche.
Anche la diffamazione è un reato, forse nella piattaforma cosiddetta libera questo non lo sanno visto che continuano ad ospitare chi commette quel reato tutti i giorni senza per questo veder sparire degli spazi aperti unicamente per quello scopo. Ma chi di Legge se ne intende questo lo sa, lo ha visto e poi lo giudicherà.