Vergogna, manco a parlarne

Sottotitolo extrapost: fra tutti quelli che sono insorti per l’uno due di minchiate di Tavecchio ce ne fosse stato uno che abbia ribadito l’inadeguatezza del bifolco cialtrone per il motivo più importante, ovvero le sue cinque condanne penali per reati di ordine fiscale e tributario.
Di quelle non si parla, perché poi diventerebbe difficile spiegare come è potuto succedere che uno così abbia potuto fare – oltre agli altri e importanti incarichi che gli sono stati affidati [ad uno così] – anche il consulente del ministero dell’economia.

Matteo Renzi il 14 febbraio 2013 disse: “tecnicamente tutto è possibile, ma l’immunità sarebbe un errore clamoroso. Non abbiamo bisogno di dare qualche garanzia in più ai parlamentari, ma di farli diventare sempre più normali”. Andando a ritroso di due anni, sempre a febbraio, si vede che è un mese che ispira,  troviamo un’altra dichiarazione del Matt’attore,  22 febbraio 2011: “l’immunità parlamentare è una barzelletta, sono contrario. Reintrodurla sarebbe un errore clamoroso”.

Lo “strumento pensato dai costituenti”, ovvero l’immunità secondo il piddino Zanda, non era stato pensato per immunizzare ladri, mafiosi, corruttori e delinquenti  che commettono reati di criminalità comune.
I padri costituenti nella loro lungimiranza infinita pensarono che fosse opportuno riparare il parlamento principalmente dal rischio del reato di opinione così come è ben specificato nell’articolo 68, ovvero che nessuno dei parlamentari dovesse mai rischiare di venire incriminato per aver detto qualcosa nell’esercizio delle sue funzioni.

Giustificare questa porcheria con l’alibi della Costituzione significa essere disonesti e bugiardi non solo nel metodo e nel merito ma anche storicamente, sminuire l’importanza e il valore della Costituzione.
Significa rendere invisa la Costituzione facendo credere che sia l’ombrello per riparare la delinquenza comune a chi pensa che ladri, corruttori e criminali comuni non debbano stare in parlamento ma in una galera come tutti quelli che relativamente ad altri ambiti e altre categorie sociali e lavorative, commettono dei reati.

SI TENGONO L’IMMUNITÀ (Wanda Marra)

A PALAZZO MADAMA LA RELATRICE FINOCCHIARO DIFENDE LO SCUDO. IL MINISTRO BOSCHI (CHE AVEVA DETTO DI VOLERLO TOGLIERLO) NON FIATA.

 

 I lor signori, ma anche le signore ché si sa, le donne lo fanno meglio e Anna Finocchiaro in questa ed altre occasioni ha fatto in modo che il concetto si capisse bene,  vogliono l’immunità nel parlamento ma poi non sono capaci di cacciare dai partiti gli elementi di disturbo come consigliava anche Paolo Borsellino, ricordato con ipocrisia e finta commozione ogni 19 luglio anche da chi sta permettendo che si faccia strame delle regole fondamentali di una democrazia, ovvero quel capo dello stato che dovrebbe essere il garante della Costituzione, non il primo ispiratore della sua devastazione.
Invece i partiti se li tengono tutti, indagati, inquisiti, imputati e anche condannati perché, ça va sans dire, questo è il paese del garantismo tout court. Nessuno è colpevole fino al terzo grado e in qualche caso, uno nella fattispecie, nemmeno dopo quello.

Il 23 giugno scorso nessuno, specialmente la ministra Boschi che dà dei bugiardi agli altri, a chi almeno ci prova ad opporsi alle schifezze a ciclo continuo proposte e purtroppo realizzate dal governo degli abusivi si voleva assumere la responsabilità di aver rimesso l’immunità in agenda, come se da questa dipendesse il miglioramento delle condizioni di un paese disastrato,  mentre nessuna delle cosiddette riforme di Renzi avrà poi qualche ricaduta positiva fra le cose che contano: una su tutte quella crisi del lavoro che ha impoverito i tre quarti d’Italia a cui non frega un beneamato cazzo della riorganizzazione della casta visto che non sarà questa a restituire dignità e la sicurezza del pranzo e la cena nella stessa giornata, possibilmente.

E, mentre si votano l’autoautorizzazione a delinquere depotenziano l’azione della magistratura con quella responsabilità civile che significherà sanzioni pesanti per i giudici che sbagliano, un provvedimento che però chissà perché  non è mai stato pensato per i politici che hanno devastato questo paese. 

L’unica cosa veramente rottamata, e definitivamente demolita da Renzi è quella fiducia che Napolitano e Laura Boldrini avevano promesso di restituire agli italiani per evitare il rischio della deriva populista. Sono dei bugiardi, tutti, né più né meno della feccia dei delinquenti,  fascista e razzista con cui il pregiudicato  ri-costituente ha riempito nel tempo  il parlamento.
Vergogna, manco a parlarne.

La Repubblica e la Gazzetta dello Sport aumentano di dieci centesimi, ce ne vorranno addirittura venti in più per ambire alla lettura dei pregiatissimi buongiorni gramellineschi su La Stampa e per Il Secolo XIX le cui quote di maggioranza se le è aggiudicate quel che resta della famiglia Agnelli nella persona di John Elkann, che in una spericolata operazione di inchiostro fuso ha gemellato la testata torinese e quella genovese. Repubblica giustifica l’aumento quale “misura indispensabile per la qualità dell’informazione”. Nell’euro e trenta la qualità evidentemente non ci stava.

Guapparia
Marco Travaglio
Pur con i metodi spicci che abbiamo descritto, Renzi ha stravinto in pochi giorni la prima battaglia contro l’opposizione sulla cosiddetta riforma del Senato. Ora, per vincere la guerra, deve sperare che la sua legge costituzionale passi senza modifiche alla Camera e poi, dopo tre mesi di pausa, di nuovo al Senato e alla Camera. Dopodiché, se non avrà raggiunto i due terzi, i cittadini voteranno nel referendum confermativo (che non è, come credono lui e la Boschi, una gentile concessione del governo, ma un diritto previsto da quel che resta della Costituzione). La “riforma” – stando ai sondaggi – interessa non al 40,8%, ma al 3% degli italiani e in venti giorni ha raccolto il No di 210mila amici del Fatto. Ma, come si dice, contento lui… In politica però non basta vincere. Bisogna saper vincere, impresa ancor più ardua del saper perdere. E Renzi, con l’intervista di ieri a Repubblica, dimostra di non saper vincere.

Anziché riconoscere cavallerescamente l’onore delle armi ai suoi avversari, fra i quali militano alcuni fra i migliori intellettuali e costituzionalisti, ha seguitato a insultarli con un linguaggio guappesco a metà strada fra il bar sport e la curva sud (“gufi professori, gufi brontoloni, gufi indovini”). E pure minaccioso: “Parte dell’establishment che non sopporta il mio stile. Ma verrà il giorno in cui si potrà finalmente parlare delle responsabilità delle élite culturali nella crisi italiana: professori, editorialisti, opinionisti”. Stile? Quale stile? E cosa gli impedisce oggi di denunciare le responsabilità delle élite culturali, visto che le insolentisce da mesi a ogni pallida critica. Il bello è che il bullo si dipinge come un premier assediato, solo contro tutti, mentre è il più omaggiato e leccato dai poteri forti e dalla stampa al seguito che si sia mai visto: nemmeno il suo socio B. aveva goduto di consensi così oceanici nell’Italia che conta, oltreché in Parlamento. Il sopravvivere di alcuni pensatori critici è un’anomalia solo per il fatto che essi siano così pochi. Le responsabilità dell’intellighenzia nella crisi italiana esistono, e sono gravi, ma esattamente opposte a quelle indicate da lui: il guaio in Italia non è l’eccesso, ma il deficit di controcultura rispetto al potere. Il fatto che non lo capisca o finga di non capirlo è allarmante, perché la democrazia è anzitutto rispetto e tutela delle minoranze. Che significa “verrà il giorno”? Cosa intende fare quel giorno ai dissenzienti? Fustigarli sulla pubblica piazza? Metterli alla gogna? Ripristinare l’Indice dei libri proibiti? La Guapparia alla fiorentina dilaga per li rami dal Capo ai suoi sottopancia, con episodi di bullismo ancor più tragicomici dei suoi. L’altro giorno Benedetta Tobagi ha osato aderire all’appello del Fatto contro la svolta autoritaria. E subito tal Lorenza Bonaccorsi, membro della Vigilanza per il Pd, le ha inviato un pizzino degno di Gasparri: “La consigliera trova il tempo di attaccare la maggioranza di governo, anziché occuparsi di quanto accade in Rai. Altro che aderire a campagne politiche di parte che nulla hanno a che vedere col ruolo affidatole dal Parlamento”. Capito il messaggio? Cara Tobagi, siccome il Pd ti ha messa nel Cda, smetti di pensare con la tua testa e pensa invece a turibolare il partito e il governo come tutti gli altri. Miglior conferma della svolta autoritaria non poteva arrivare. Intanto Sabina Guzzanti anticipava il suo film La Trattativa, in programma al Festival del Cinema di Venezia. Nuovo pizzino pidino, firmato dalla stessa Bonaccorsi e dai suoi sodali Gelli (ma sì), Magorno, Oliverio e Anzaldi (quello che protestò perché Virginia Raffaele osava imitare Monna Boschi). “Il film della Guzzanti appare decisamente irrispettoso del simbolo della Repubblica, con al centro un uomo con coppola e lupara: un modo per accomunare l’intero Paese alla cupola mafiosa che offende e appare decisamente fuori luogo”. Se Renzi non richiama subito i rottweiler, qualcuno si chiederà: a quando il ripristino del Minculpop? Ma poi si morderà la lingua, perché al confronto di questi bulletti il Minculpop era roba seria.

 

…allez!

Il festaiolo? Erano cene eleganti, perbacco! Poi dice il film di Sorrentino…come se fosse colpa di Sorrentino se una larga parte di italiani ha votato per diciotto anni un bugiardo puttaniere criminale e che, generalmente il vizietto di tutti i potenti sia da individuare sempre dentro qualche letto o lettone. Vizietto che senza la complicità di perfette deficienti che si fanno scopare per soldi da due come questi, ai quali una donna normale non darebbe un bacio su una guancia tanto sono viscidi e brutti, non avrebbe la possibilità di poter essere soddisfatto. Io solo una cosa mi chiedo: come fanno.

“Sono protetto da un’immunità e voi lo sapete. Se facessi causa al giornale sarei in una condizione di disparità: io non sono denunciabile e non denuncio”.[F. Hollande]

E, sempre Hollande dice davanti a 500 giornalisti di tutto il mondo: “è un momento doloroso”. 
Mica come quell’altro che ha detto “cosa possono dire di me? che scopo”.  Anche questo è spread.


Sexgate, Hollande: “Non parlo”
“Ma non farò leggi ad personam”

E’ proprio diverso lo stile, lo spessore, non c’è niente da fare. 
Anche quando qualcuno all’estero fa una cazzata è sempre meno grave di una qualsiasi fatta da uno qualsiasi dei politici di casa, e talvolta cosa nostra, e qui c’è davvero l’imbarazzo della scelta. L’unica richiesta che si può fare a Hollande è di chiarire i suoi rapporti con l’intestatario dell’appartamento dove avvenivano gli incontri con l’amante. Questa di Hollande è una storia privata come ne sono a milioni nel mondo e che non è detto che debbano fare notizia. Una notizia da rilanciare su tutti i media e le agenzie allo scopo poi di far fare i soliti ragionamenti ai soliti mentecatti che “visto? il più pulito c’ha la rogna e poi ridono dell’Italia”.  Perché quello che è accaduto qui con berlusconi non è nemmeno lontanamente paragonabile alla vicenda personale di Hollande che non ha mandato in parlamento, in regione, in qualche azienda di stato le sue amanti, non l’ha sistemate e fatte mantenere a spese dei contribuenti francesi, non si faceva consegnare nei suoi domicili e a spese dello stato manipoli di sciagurate imbecilli per il suo sollazzo personale, non faceva frequentare le sue residenze a mafiosi, intrallazzatori come Tarantini e Lavitola e non ha creato nessun sistema per svendere la Francia a chi contribuiva al suo “benessere”. Soprattutto non ha messo in pericolo un paese intero rendendosi ricattabile da gente che una persona normale si vergognerebbe di conoscere di vista ma che berlusconi frequenta abitualmente.
La vicenda di Hollande, che poteva eccome difendere anche con la denuncia il suo privato violato ci dimostra ancora una volta e semmai ce ne fosse bisogno la miseria dei politici italiani, sempre con l’avvocato e la querela a portata di mano quando tocca agli altri e sempre pronti a difendersi e a nascondersi dietro al ruolo quando tocca a loro. 
Giusto ieri Lara Comi [!!!] indagata per diffamazione ha chiesto di potersi riparare dietro l’immunità dell’Europarlamento secondo la fantasiosa teoria che “un parlamentare non è tenuto a modellare la sua opinione”, cioè a dire che se si fa il parlamentare si possono dire tutte le sciocchezze che si pensano, anche quelle diffamanti come ha fatto la Comi che ha accusato pubblicamente l’ex sindaco di Ferrara di essere colluso con la mafia, oppure come quella di Esposito del pd che ha accusato il giudice Pepino, Fiorella Mannoia e Caparezza di avergli fatto recapitare tre molotov a domicilio, e, nel paese dove i cittadini sono tutti uguali, la legge è uguale per tutti e il servitore dello stato è tenuto a svolgere la sua funzione con disciplina ed onore per Costituzione, non succede niente.

Damnatio memoriae

Ex onorevoli, addio all’immunità
per Cosentino, Tedesco e De Gregorio

Napoli batte USA 1-0:  Giggino ‘a purpetta fuori [ed è ancora in parlamento peraltro] e Nick ‘o americano dentro insieme a qualche altro suo illustre collega.

L’avvocato di Nick si dice perfino perplesso, effettivamente è un fatto storico per l’Italia che ogni tanto le patrie galere diano ospitalità ad esponenti politici. Ha ragione, l’avvocato.

Ma tanto ci sono sempre i domiciliari, tutti sconteranno la pena tra la loro refurtiva, purtroppo. 

Per la retata finale c’è da attendere ancora un po’. Motivi istituzionali impediscono l’arresto di  altri malfattori che devono comunque poter partecipare alla delicata fase politica in atto.

Così ha detto Giorgio, no?

Un affettuoso pensiero alle coscienze dei loro ex molto onorevoli colleghi che hanno votato no agli arresti di chi se li meritava  quando ancora si faceva in tempo a recuperare un minimo di fiducia e credibilità nell’opinione pubblica.

E una prece per l’Italia, ostaggio di gente con questo tipo di coscienza.

Ogni “nuova” Repubblica in Italia non nasce mai dalla vera voglia di rinnovarsi della politica e di una richiesta popolare che auspicherebbe una classe dirigente che pensasse davvero all’interesse del paese, indipendentemente dalle sue fasi storiche.
Un paese va gestito con responsabilità sempre, anche in assenza di una crisi profonda, anzi, andrebbe gestito meglio quando non c’è nessuna crisi affinché qualora se ne presentasse una sarebbe molto più facile affrontarla, insieme, i cittadini e la politica, non la politica contro i cittadini come sta accadendo ora.
Per la seconda volta in Italia il “rinnovamento” non sta avvenendo per una vera presa di coscienza di e fra la gente,  soprattutto quella che è riuscita a rinnovare la fiducia ad un delinquente abituale ma, in primis della classe politica che non ci pensa proprio a fare pulizia al suo interno allontanando quegli elementi che poi fanno sì che i cittadini perdano la fiducia verso chi dovrebbe occuparsi di loro e delle loro urgenze, bisogni e necessità.
Per la seconda volta è toccato alla Magistratura occuparsi delle pulizie dopo aver aspettato con pazienza che certi “lor signori” fossero pronti ad affrontare le loro responsabilità.
Questo perché la politica verso se stessa pretende di avere un trattamento di favore; a nessuno infatti è consentito delinquere e trovare sistemi di autoprotezione per evitare poi di doverne risponderne – com’è giusto e normale per tutti i cittadini – a quel popolo sovrano di fronte ad un tribunale.
Si è parlato molto di antipolitica, di populismi,  di voglia di giustizialismo, personalmente non ho visto niente di tutto questo, in compenso però ho visto una politica molto  che, quando è chiamata ad occuparsi dei cittadini trova sempre una scusa, si nasconde sempre dietro l’alibi che “c’è altro a cui pensare”, un altro molto ipotetico peraltro, la frase di Frau Elsa a proposito dei tagli ai costi della politica è diventata ormai un cult: “tagliare i costi della politica è un lavoro lungo e complesso”. 
Non lo è stato invece decimare diritti acquisiti dai cittadini in settant’anni di lotte e non lo è nemmeno confezionare leggi in ventiquattr’ore per salvare il parlamentare che delinque dalla galera.
Non è stato un lavoro lungo né complesso votare due volte no all’arresto di cosentino come non lo è generalmente votare no all’arresto di chiunque faccia parte della casta parlamentare  non per volontà o capriccio di una Magistratura impazzita ma solo grazie ad un certo agire criminale che ha reso  molti, troppi disonorevoli parlamentari  indegni del ruolo di rappresentanti della repubblica e di un paese, e farlo poi nascondendosi dietro a ridicole questioni di coscienza.

Come se lo stesso metro di giudizio, la coscienza, si potesse adottare anche in un tribunale chiamato a giudicare assassini e stupratori: la coscienza personale di fronte ad un reato non vale e non conta niente, come non dovrebbe contare quando un parlamentare  deve votare leggi che servono a tutti e non solo a qualcuno.
Che razza di coscienza può avere chi per difendere se stess* da un più che probabile identico destino pensa che sia giusto salvare chi il suo lo ha già deciso commettendo dei reati che non hanno niente a che fare con l’attività politica? corrompere e farsi corrompere, essere collusi e conniventi con mafie e criminalità, rubare i soldi dei contribuenti  hanno qualcosa a che fare con la politica?

Perché mai un politico onesto pensa che sia giusto dare la possibilità a chi delinque di farlo ancora e ancora com’è sempre successo? verdini per tre volte è stato rinviato a giudizio e sempre per lo stesso reato: è giusto che uno così possa ancora fregiarsi del titolo di onorevole e che faccia ancora parte di quel parlamento che dovrà scegliere fra poco il nuovo rappresentante dello stato?
E non è stato affatto  un lavoro complesso ma solo molto lungo e laborioso aver permesso ad un delinquente impostore di potersi sottrarre alla giustizia per vent’anni e che, ancora oggi, non appena si presenta una buona occasione per potersi finalmente liberare di lui trova non solo il sostegno grazie a leggi volute da lui e fatte apposta per lui, quello dei suoi, il che sarebbe anche comprensibile visto che se viene a mancare lui dalla scena politica  poi a cascata toccherebbe a tutti, ma lo trova anche in quella istituzione che dovrebbe tutelare la politica onesta e i cittadini onesti di questo paese.

Camere di sicurezza
Marco Travaglio, 16 marzo 

Sta finendo tutto come ampiamente previsto: con le retate e i rastrellamenti. 
Come nel 1994. 
Si aprono le Camere e soprattutto le camere di sicurezza. 
Gli ex onorevoli De Gregorio, Cosentino, Tedesco e Nespoli, appena decaduti e dunque privi dell’immunità raggiungono le patrie galere, dove avrebbero dovuto soggiornare da anni se i partiti non li avessero protetti con scudi reciproci. 
Altri a breve li seguiranno, anche fra i neoeletti, perché in Parlamento, almeno sulla carta, non c’è più una maggioranza che possa permettersi i soliti giochetti. 
Il capogruppo di 5 Stelle al Senato, Vito Crimi, rispondendo l’altro giorno con aria serafica alla domanda di un giornalista, ha innescato una slavina che nemmeno lui probabilmente immaginava: ha detto che il suo gruppo, dopo aver contestato per anni la sindrome da immunodelinquenza acquisita delle Camere, è prontissimo a votare l’ineleggibilità di B., ineleggibile da 19 anni esatti, cioè da quando fu eletto la prima volta, dinanzi alla giunta per le elezioni di Palazzo Madama; ed è altrettanto pronto a votare sì a eventuali richieste di arresto nei suoi confronti. 
A quel punto il Pd, reduce da un terrificante salasso di voti verso 5 Stelle, ha dovuto
rispondere tramite il Migliavacca di turno che è pronto a fare altrettanto, onde evitare di regalare qualche altro milione di voti a Grillo. Il Migliavacca è lo stesso che ancora pochi mesi fa s’incontrava in gran segreto con Verdini al tavolo della legge elettorale, dunque è impossibile che sia rinsavito all’improvviso: semplicemente sente addosso il fiato della gente e reagisce di conseguenza. Per questo, oltreché per guadagnare qualche altro giorno prima delle sentenze del caso Mediaset e del caso Ruby, e — si capisce — per curare la gravissima forma di uveite bilaterale con scappellamento a destra che l’ha colpito da quando ha esaurito i legittimi impedimenti elettorali, il Cainano se ne sta asserragliato con gli occhiali scuri da visita fiscale in una stanza del San Raffaele, che è sempre meglio di San Vittore: perché non sa che pesci pigliare. 
I sempre geniali on. avv. Ghedini e Longo, dopo lunghe e meditate riflessioni, gli hanno partorito un’ideona mica da ridere: chiedere il trasloco dei processi da Milano a Brescia. La stessa baggianata che avevano sfoderato già dieci anni fa, con apposita legge Cirami incorporata, perché il Tribunale milanese non sarebbe sereno. Dieci anni fa c’erano i Girotondi. Ora c’è un’orda di parlamentari del Pdl, compresi gli stessi Ghedini e Longo, che marcia sul Tribunale medesimo infettandolo irreparabilmente di grave pregiudizio. Possiamo facilmente immaginare l’accoglienza che avrà questa proposta indecente quando sarà esaminata dalla Corte d’appello e dalla Cassazione: una doppia pernacchia. Ma intanto si guadagnerà qualche settimana prima delle sentenze (che lui — conoscendosi — prevede di sicura condanna), in attesa di un qualcosa che nessuno, nemmeno loro, riesce a immaginare. Potrebbero travestirlo da marò e spedirlo in India: al confronto dei suoi reati, l’omicidio colposo di due pescatori è un divieto di sosta. 
O potrebbero offrire ai giudici 3 milioni a testa come a De Gregorio, col rischio però di regalargli un altro processo. Oppure potrebbero chiedere a Mancino di chiamare il Quirinale per mobilitare la Procura della Cassazione, sperando che s’inventi qualcosa. La via maestra, cioè la fuga all’estero sulle orme di Craxi, non viene proprio considerata: in un’intervista alla lingua di Giorgio Mulè per Panorama e Giornale, il Cainano definisce”inimmaginabile” l’opzione B (come Bettino): significherebbe “consegnarsi a una damnatio memoriae”. 
Che peraltro è la sua salvezza: se ci fosse un po’ di memoria, Napolitano non gli regalerebbe tanti moniti e lui non prenderebbe tanti voti.