San(t)ità mentale

Preambolo: 

E’ sano di mente chi uccide 77 persone?

 Un politico ruba? È perseguitato dalla magistratura. Lo Stato fa trattative con la mafia? I giudici sovvertono i poteri costituzionali. L’Italia sprofonda nella crisi economica e migliaia di famiglie e imprese sono alla canna del gas? La fine del tunnel è vicina, tutto ok, dice il nostro presidente del Consiglio. Ormai tutto è sistematicamente capovolto. E purtroppo i teleschermi amplificano il falso.

Alla fine che persone diventiamo se ci nutriamo continuamente di menzogne? Quali riferimenti abbiamo se ci fanno sapere che è sano di mente chi uccide 77 persone? Che speranza abbiamo nel futuro se il falso diventa la normalità? Diciamolo forte: non è sano di mente Breivik! E’ una persona malata. E’ figlio di una società malata, che nutre la mente con fanatismi, programmazioni sociali, odio razziale, estremismo politico. Al contrario, una persona sana di mente non uccide. Ama. Aiuta. Lavora. Fa sacrifici. Crede in un mondo migliore. Si impegna per una società civile. Ma soprattutto – come diceva il filoso Lao Tze – chiama le cose con il loro nome.

Come siamo arrivati a un tale livello di confusione su cose così semplici?

Sottotitolo: se nemmeno quella navigatissima piraña  della Bongiorno che riuscì a dimostrare che si può essere mafiosi solo per un tot di tempo – né un attimo prima né un momento dopo –  a proposito della PRESCRIZIONE PER MAFIA di Giulio Andreotti è riuscita ad ottenere uno sconticino di pena per Antonio Conte, il marcio nel fantastico mondo del calcio italiota dev’essere molto maggiore che non in Danimarca. Come dice la mia amica Barbara, Conte non ha potuto usufruire del servizio “SOS Colle”. Oppure avrà trovato la linea occupata.

La Repubblica e Il Fatto, Zagrebelski e Scalfari: quello che Ezio Mauro non dice

Lo scontro tra il fondatore del quotidiano di Largo Fochetti e il presidente emerito della Consulta, la favola del “tutti abbiamo ragione” e l’attacco ai pm e alla Costituzione: rassegna – punto per punto – dei trucchi per mettere d’accordo capra e cavoli.

Come si permette il direttore  Ezio Mauro di dare anche a me della fascista, della militante di “una nuova destra” solo perché penso che l’informazione debba svolgere la professione a cui si è liberamente dedicata e che in un paese normale i giornalisti  non dovrebbero avere come obiettivo quello di fare favori ad una parte politica piuttosto che ad un’altra? E che in un paese normale la cui Costituzione sancisce con un preciso articolo che TUTTI I CITTADINI SONO UGUALI,  nessuno dovrebbe essere più uguale degli altri sia che si chiami silvio berlusconi, Giorgio Napolitano o Mario Rossi?

Ci vorrebbe una class action contro questi guastatori dell’informazione.

Per quale motivo sostenere dei Magistrati ai quali si sta rendendo difficile, anzi impossibile il raggiungimento dell’obiettivo “Verità” circa la trattativa [tutt’altro che presunta] fra lo stato e la mafia dovrebbe essere di destra mentre invece sostenere un partito come il pd è sicuramente di sinistra? se qualcuno me lo spiega mi fa un favore.
E inoltre, per quale ragione le “prerogative presidenziali” sono state violate dalle intercettazioni Mancino-Napolitano [2012] mentre non lo furono a causa delle intercettazioni Bertolaso-Napolitano del 2009?
Cosa fa la differenza tra le due situazioni, forse il fatto che la trattativa ci fu e questo non si deve sapere ché pare brutto?

 Il Fatto Quotidiano che si schiera dalla parte dei Magistrati è un giornale di destra, Repubblica invece che da mesi ha assunto una linea editoriale irriconoscibile tanto da spingere molti lettori affezionati, me compresa, a smettere di comprare quel giornale è di sinistra?  

Un gruppo potente come quello di De Benedetti non ha gli stessi problemi di un quotidiano che si finanzia da sé. E non c’è bisogno di rinnegare la propria linea editoriale in modo così palese per dimostrare di stare dalla parte dello stato lasciando ad intendere che chiunque abbia in mente l’insana idea di voler perseguire la verità sulle stragi mafiose sia invece contro lo stato, che poi è la stessa opinione/teoria di Violante  che, da essere inqualificabile qual è anziché  chiedere scusa agli italiani e sparire dalla circolazione portandosi dietro tutti i suoi compagnucci di inciucio, da d’alema a veltroni passando per tutta la schiera dei complici di b, tutti quelli che nella presunta sinistra italiana  in questi anni hanno oliato i suoi ingranaggi invece di fare il contrario, per il bene del paese e cioè il loro, delle caste e sottocaste,  si permette anche il lusso e il privilegio di insultare i suoi ex colleghi, quelle persone che non hanno scelto la via facile di un posto in parlamento ma hanno continuato a lavorare in prima linea a prezzo della vita o di un trasferimento “volontario” in Guatemala.

La trattativa spiegata ai media stranieri: “Nessun complotto del Fatto”

Passer(à) anche questo [speriamo]

Sottotitolo: “Guardo il Paese, leggo i giornali e dico: avevo già scritto tutto trent’anni fa” .
Giustizia, tv, ordine pubblico è finita proprio come dicevo io.” { Licio Gelli, 28 settembre 2003 }

In questo paese anche il concetto di “turn over” si applica ad personam.
Per smantellare la procura di Palermo e rendere ancora più complicata l’azione antimafia è buono, per fare un repulisti come si deve in parlamento, no.
Nell’unico ambito in cui un ricambio è necessario, igienico e salutare al turn over, chissà perché, non ci ha pensato mai nessuno.
Evviva, come sempre, l’Italia.

Palermo, azzerata la squadra antimafia. E anche in procura arriva il turnover

Preambolo: c’è trattativa e trattativa.
Con le BR no, con tanti saluti ad Aldo Moro, con la mafia sì.
Sarebbe carino se sul sito del Governo pubblicassero un elenco dei possibili interlocutori, così poi ci  si regola.

Strepitoso  Travaglio che in una pagina e mezza di giornale ieri  ha smontato tutta la commedia degna del  peggior Teatro de’ servi sceneggiata e prodotta dalla premiatissima ditta «Eugenio Scalfari: un uomo molti perché».

Dal primo all’ultimo {speriamo} atto.

Non riesco a capire perché “La Repubblica” non sia stata  abbandonata da quelle firme che hanno ancora un’idea degna del giornalismo.

Povero D’Avanzo, che delle inchieste di mafia aveva fatto una delle sue ragioni di vita.

Troppo facile, per un quotidiano che vuole definirsi prestigioso  scrivere per settimane, mesi, per anni  quasi esclusivamente del mignottificio di Hardcore.

Allora valeva tutto, domande,  post-it, dossier, “speciali” mandati in onda in diretta  e in replica dalle radio associate al Gruppo Espresso.

Per SM Re Giorgio, invece,  su qualcosa si puó sorvolare e dimenticarsi del proprio professionismo.

Ragion di stato: “robba forte”.

“Eugenio che dici”, i 10 motivi per cui Scalfari sbaglia sulla trattativa Stato-mafia

Il fondatore di Repubblica ha risposto a Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, che venerdì aveva fatto a pezzi il conflitto di attribuzione di Napolitano contro la Procura di Palermo. E, già che c’era, ha offeso la logica, la verità storica, la professionalità dei magistrati e la memoria di Falcone.

Famiglia Cristiana attacca il Meeting: “Cl applaude soltanto i potenti”

Dalle colonne del settimanale cattolico l’attacco alla kermesse ciellina che fa più male: “Cossiga, Andreotti, Craxi, Formigoni: applausi per tutti a prescindere da ciò che dicono. Poco importava se il Paese, intanto, si avviava sull’orlo del baratro. Su cui ancora continuiamo a danzare. Non c’è senso critico, ma omologazione”.

Corrado Passerella
Marco Travaglio, 22 agosto

Due estati fa il banchiere Corrado Passera sfilava in passerella al Meeting di Rimini, dove ormai è una rubrica fissa, con una requisitoria contro “tutta la classe dirigente italiana” che “non risolve i problemi della gente” e “suscita indignazione”. Applausi a scena aperta dalla platea di Comunione e Fatturazione, che un applauso non l’ha mai negato a nessuno, anch’essa indignata contro la classe dirigente che non risolve i problemi della gente, ma quelli del Meeting di Cl sì, finanziato negli anni dai migliori esponenti della classe dirigente: Berlusconi, Ciarrapico, Tanzi, Eni, Banca Intesa (cioè Passera coi soldi dei risparmiatori) e Regione Lombardia (cioè Formigoni coi soldi dei lombardi). Il noto marziano naturalmente non aveva nulla a che vedere col Passera che amministrò Olivetti (poi venuta a mancare all’affetto dei suoi dipendenti), Poste Italiane e Intesa, dunque membro della classe dirigente che fa indignare i cittadini. Altrimenti avrebbe dovuto autodenunciarsi e beccarsi bordate di fischi. L’altroieri il Passera è tornato per la decima volta al Meeting, non più in veste di banchiere ma in quella di esaministro (Sviluppo economico, Infrastrutture, Trasporti, Comunicazioni, Industria e Marina mercantile): infatti ha evitato di riprendersela con la classe dirigente. Ha invece annunciato che “l’uscita dalla crisi è vicina, dipenderà molto da quello che si riuscirà a fare”. Altrimenti l’uscita è lontana.  Applausi scroscianti, gli stessi che nel corso degli anni han salutato Andreotti, Sbardella, Martelli, Forlani, Cossiga, D’Alema, Berlusconi, Napolitano, Bersani, persino Tarek Aziz e ieri Betulla Farina, Alfonso Papa e Luciano Violante (se un giorno salisse sul palco una donna delle pulizie o Jack lo Squartatore e si spacciassero per ministri di qualcosa, verrebbero sommersi di ovazioni). Il “nuovo Passera” uscito dal fonte battesimale di Rimini, manco fossero le acque del Giordano o del Gange o dello Yangtze, distinguibile dal vecchio per via delle maniche di camicia al posto della giacca, ha poi distillato altre perle di rara saggezza: essendo indagato per frode fiscale, ha detto che “bisogna trovare le risorse per abbassare le tasse,  una vera zavorra, fra le più alte al mondo”. In qualunque altro posto, gli avrebbero domandato: “Scusi, lo dice a noi che le paghiamo? Ma lei è un ministro o un passante?”. Lì invece l’hanno applaudito. Anche se, in nove mesi da esaministro, non ha toccato palla (leggendario il giorno in cui annunciò un “decreto per la crescita” che avrebbe addirittura “mobilitato risorse fino a 80 miliardi”, ovviamente mai visti manco in cartolina). Poi ha minacciato la platea con un modesto “sappiate che la responsabilità che sentivo verso il vostro mondo nelle vite precedenti, in quella attuale è molto aumentata”. Mecojoni, direbbero a Roma. Applausi. Siccome poi Maroni l’ha invitato agl’imminenti, imperdibili “Stati generali del Nord” in programma a Torino, ha aggiunto: “Dobbiamo riprendere il federalismo”. Ma certo, come no. I retroscenisti dei giornali, chiamati a decrittare il sànscrito dei politici, e ora dei tecnici, sostengono che Passera era a Rimini perché “il Meeting porta fortuna” e lui sogna una Lista Passera, o un Partito dei Tecnici, o una Cosa Bianca, o un Grande Centro, o un centrino, o un centrotavola, insomma qualcosa che lo issi a Palazzo Chigi o al Quirinale, visto che ritiene “improbabile” un suo ritorno a Intesa (e a Intesa condividono). Ormai si crede un leader, un trascinatore di folle, e nessuno ha il cuore di avvertirlo che gli applausi ciellini non han mai portato voti a nessuno. Un banchiere con la faccia da travet, specie di questi tempi, può travestirsi come vuole, farsi fotografare dai rotocalchi sulla spiaggia con la faccia da figaccione, la sua signora e l’incolpevole prole, ma resta sempre un banchiere con la faccia da travet, la cui popolarità fra gli elettori è inversamente proporzionale a quella sui giornali. Passerà (con l’accento).

Terrorismo

Gli Usa s’indignano per la condanna esagerata alle Pussy Riot: loro preferiscono quelle definitive.

“E’ la politica che sconfina, non la magistratura”, dice Antonio Ingroia, ed ha perfettamente ragione.

Io non mi fido di uno che pensa di fare cose condivise da cicchitto e dal pdl, e se questo uno si chiama Mario Monti sono proprio contenta di non aver MAI cambiato idea sul governo cosiddetto tecnico;  quello che pensavo a novembre dello scorso anno lo penso ancora oggi e con maggior intensità: per me “questi” sono peggio di “quelli di prima”.

Ma molto peggio.
Infinitamente peggio.

All’inizio dell’anno Monti promise solennemente a Che tempo che fa che si sarebbe occupato della Rai, e, nonostante il centrodestra sbraitasse di invasioni di campo, di decisioni che non spettano ad un governo tecnico lui se n’è occupato eccome affidandone la gestione, che lo dico a fare? ai suoi amici banchieri.

Qualche giorno fa il professore sobrio – che non stacca mai nemmeno quando sta in vacanza – ha detto che “ci saranno novità” nell’ambito della giustizia e che il tema delle intercettazioni va affrontato. E nessuno nella politica, né destra né centro né sinistra fa un plissé confermando ancora una volta quello che noi “populistidemagoghiqualunquisti” diciamo da anni e cioè che alla fine (e nemmeno tanto alla fine) sono un po’ tutti uguali, specie quando c’è da far quadrato attorno a se stessi per proteggersi da eventuali applicazioni di vera democrazia quali ad esempio una giustizia uguale per tutti, dal presidente della repubblica all’ultimo nato di questo paese come Costituzione comanda.
Se la Magistratura siciliana ha commesso, sta commettendo un abuso significa che c’è già una legge che certifica questo abuso e che non è stata considerata, ma se diventa impellente la necessità di modificare o di inventare una nuova legge su misura significa che la Magistratura siciliana non ha commesso nessun abuso.
I servi di regime, quelli vecchi ma soprattutto i nuovi dovranno farsene una ragione.

Il duce ha sempre ragione
Marco Travaglio, 19 agosto

C’è un passaggio, nel magistrale commento di Gustavo Zagrebelsky su Repubblica al conflitto di attribuzioni scatenato da Napolitano contro la Procura di Palermo, che andrebbe affisso in tutte le scuole a caratteri d’oro: “Signor Presidente, non si lasci fuorviare dal coro dei pubblici consensi. Una cosa è l’ufficialità, dove talora prevale la forza seduttiva di ciò che è stato definito il ‘plusvalore’ di chi dispone dell’autorità; altra cosa è l’informalità, dove più spesso si manifesta la sincerità.  Le perplessità, a quanto pare, superano di gran lunga le marmoree certezze”. Era difficile illustrare meglio quello che dovrebbe essere, e nelle democrazie è, l’intellettuale: uno stimolo vivente allo spirito critico, un antidoto alla cultura autoritaria dell’ipse dixit, un instancabile demolitore delle “verità ufficiali”, cioè delle imposture del potere. L’esatto opposto dell’intellettuale medio italiano, sempre organico a tutte le corti, sempre dalla parte verso cui soffia il vento. In questo mese abbiamo interpellato sul conflitto Quirinale-Procura molti giuristi e costituzionalisti. I più rispondevano con supercazzole inintelligibili. Molti, alla parola “Quirinale”, cadevano in preda all’afasia e facevano perdere le proprie tracce. Alcuni, nell’informalità, dicevano che è ovvio che hanno ragione i pm e che il Presidente esorbita dai suoi poteri e s’inventa privilegi e prerogative inesistenti, ma poi ci pregavano di non citarli: “Sa com’è, in questo momento non va indebolita l’unica istituzione rimasta in piedi… lo spread… il governo in bilico, metta che torni quello là… e poi Lui alla minima critica ti fa chiamare, protesta, no no meglio il silenzio”. Poi l’indomani correvano a scrivere sui loro giornaloni che il Presidente aveva ragione da vendere. Unica eccezione: Cordero. E, l’altroieri, Zagrebelsky. Ora immaginiamo le telefonate che riceverà da qualche collega in clandestinità: “Bravo, siamo tutti con te! Ne hai avuto, di fegato! Io per ora resto acquattato, sai com’è: la cattedra, il premio, la medaglietta, il pennacchio, il cavalierato, il laticlavio…  Vai avanti tu, io magari arrivo dopo”. È “il plusvalore di chi dispone dell’autorità”, che esercita un fascino irresistibile. Ma, per spiegare il tradimento dei chierici in questa partita mortale fra il Potere e un pugno di pm che cercano la verità sulla trattativa Stato-mafia, atto fondativo della Seconda Repubblica, lo storico servilismo delle classi intellettuali non basta. C’è un di più legato all’èra dei tecnici, a un governo che nessun elettore ha mai immaginato eppure comanda con una maggioranza mai vista se non in Bulgaria, nelle Camere e nella cosiddetta informazione al seguito. Che fine han fatto i giornali e gli editori che un anno fa marciavano con la Fnsi contro il bavaglio targato Alfano? Ora rilanciano a una sola voce gli ukase di Monti che, senza sapere quel che dice, denuncia “abusi nelle intercettazioni” e annuncia la riedizione riveduta e corrotta in salsa tecnica del bavaglio Al Fano. Spariti i post-it gialli, petizioni, mobilitazioni, paginate su “Tutto quello che non avreste saputo e non saprete più”. L’Anm si spinge a definire addirittura “impropria” l’uscita di Monti, ma in un comunicato senza firme, come se si fosse scritto da solo. Zitti il Pd e la presunta sinistra. Comprensibilmente entusiasti Pdl e Udc. Soave corrispondenza di amorosi sensi fra il Foglio, che insulta Zagrebelsky al punto di difendere Scalfari, e la fu Unità, che critica Zagrebelsky per conto terzi (anzi Colle). La fu Unità, poi, attacca con argomenti berlusconiani la gip Clementina Forleo che ha osato, su Facebook, solidarizzare con la collega Todisco aggredita da un governo “illegittimo”. Il che metterebbe “in discussione la terzietà e imparzialità del magistrato”. Quasi che la Forleo avesse fra i suoi imputati il governo. O che i giudici, per esser imparziali, dovessero essere tutti governativi. Come quelli che hanno condannato le Pussy Riot. Piacerebbe, eh?