Siamo ridotti così male in questo paese? la risposta è sì.

Sottotitolo: anche secondo il sondaggio del Fatto Quotidiano la più votata alla presidenza della Repubblica è Bonino; e meno male che Il Fatto rappresenta la nuova frontiera dell’informazione, i suoi lettori sarebbero solo persone di cultura superiore che s’informano tramite la rete e i siti alternativi; c’è stato perfino  qualcuno che ha votato berlusconi. Per dire.


Preambolo:  Emma Bonino, una liberale tendenzialmente  di destra che col suo partito, quello che destra o sinistra purché non si perda il posto in parlamento, che in quel partito radicale che fu  di capezzone, rutelli, quagliarello  ha sostenuto tutto e il contrario di tutto ma se ne parla come se fosse  un politico di chissà quale rango o piace solo perché è donna così sfatiamo il tabù? siamo ridotti così male in questo paese? la risposta è sì. 

Emma Bonino, un’amica dell’alta finanza, di Bildeberg, che oltre alle battaglie dei bei tempi che furono non ha fatto nulla di significativo per meritarsi questa sponsorizzazione ma se ne parla come se fosse una specie di reincarnazione di Nilde Jotti: ma davvero dobbiamo ridurci a sperare che Emma Bonino sia la prescelta a rappresentare tutti gli italiani, magari per il solo fatto di essere una donna?

Naturalmente adesso mi aspetto che qualcuno dica e scriva che Marco Travaglio è sempre il solito guastafeste, uno a cui piace solo gettare fango su tutti indistintamente, uno che non gli piace nessuno, e nemmeno la Bonino che pare, invece, piace a un sacco di gente e chissà perché.

Ma, mi dispiace per i soliti mediocri detrattori, descrivere e definire un personaggio pubblico, nella fattispecie un politico non è un giudizio sulla persona, è il lavoro che un giornalista che segue le vicende di un paese deve fare, trattandosi dell’Italia è un lavoro assai più complicato, visto che è composto per la maggior parte da gente che non sa, non si informa, quando e se lo fa è in modo incompleto, oppure semplicemente quando sa dimentica facilmente, altrimenti non ci sarebbe questo quasi plebiscito per Emma Bonino presidente della Repubblica sponsorizzata perfino da Mara Carfagna, il che dovrebbe essere già un buon motivo per dissociarsi. E invece probabilmente Emma Bonino ce la farà, perché – appunto – questo è un paese composto in maggioranza da mediocri, da gente a cui basta vedere due facce “nuove” alla Camera e al Senato per farsi affascinare, sedurre, entusiasmarsi, da persone che quando leggono qualcosa invece di andare a vedere se quella cosa è vera o no preferiscono tapparsi gli occhi, dire che si tratta di falsità veicolate al solo scopo di gettare discredito su una persona.

Le vicende tragicomiche che riguardano Grillo e i 5S ci hanno fatto capire molto bene che non basta essere brave persone per fare politica, che l’onestà è sì determinante ma se a questa non si aggiungono competenza e capacità i risultati possono essere disastrosi.
E la stessa cosa vale per Emma Bonino: non c’è nulla di male a non avere le idee chiare a proposito dei propri orientamenti politici, si può anche passare disinvoltamente da attivista che si è spesa a favore dei diritti civili alla difesa di berlusconi, del suo conflitto di interessi e non solo, si può anche essere amica degli ultimi e contemporaneamente dei finanzieri, si può anche invocare l’amnistia totale perché il carcere è brutto ed essere a favore della guerra, giusto per dirne solo alcune, solo però a me che sono una persona semplice e che ragiona in modo semplice non piacerebbe che fosse una persona così a rappresentare il mio paese.
E il fatto che sia una donna non sposta di una virgola la mia opinione.

Si fa presto a dire Bonino
Marco Travaglio, 6 aprile

Molti italiani vorrebbero Emma Bonino al Quirinale. 
Perché è donna, perché è competente, perché è onesta e mai sfiorata da scandali, perché ha condotto battaglie spesso solitarie per i diritti civili e umani e politici in tutto il mondo, forse anche perché è sopravvissuta a Pannella e perfino a Capezzone. Insomma, un sacco di ottimi motivi, tutti veri e condivisibili. 
Ma della sua biografia, in questo paese dalla memoria corta, sfuggono alcuni passaggi politici che potrebbero indurre qualcuno, magari troppo giovane o troppo vecchio per ricordarli, a cambiare idea e a ripiegare su candidati più vicini al proprio modo di pensare. A costo di essere equivocati, come ormai accade sempre più spesso, complice il frullatore del web, li ricordiamo qui per completezza dell’informazione, convinti come siamo che di tutti i candidati alle cariche pubbliche si debba sapere tutto. “Conoscere per deliberare”, diceva Luigi Einaudi, cuneese come lei. 
Nata 65 anni fa, la Bonino è stata parlamentare in Italia sette volte e in Europa tre volte, a partire dal lontano 1976. Da sempre radicale, si è poi candidata nel ’94 con Forza Italia fondata da Berlusconi, Dell’Utri, Previti & C., e col centrodestra berlusconiano è rimasta alleata, fra alti e bassi, fino alla rottura del 2006, quando è passata al centrosinistra. Ha ricoperto le più svariate cariche: deputata, senatrice, europarlamentare, commissario europeo, vicepresidente del Senato, ministro per gli Affari europei nel governo Prodi. Ed è stata candidata a quasi tutto: presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, presidente delle Camere, ministro degli Esteri e della Difesa, presidente della Regione Piemonte e della Regione Lazio, alto commissario Onu ai rifugiati, rappresentante Onu in Iraq, addirittura a leader del centrodestra (da Pannella, nel 2000). Nel ’94, quando si candidò per la prima volta con B., partecipò con lui e la Parenti a un comizio a Palermo contro le indagini su mafia e politica. Poi, appena eletta, fu indicata dal Cavaliere assieme a Monti come commissario europeo. Il che non le impedì di seguitare l’attività politica in Italia, nelle varie reincarnazioni dei radicali: Lista Sgarbi-Pannella, Riformatori, Lista Pannella, Lista Bonino. Nel ’99 B. la sponsorizzò per il Quirinale, anche se poi confluì su Ciampi. Ancora nel 2005, alla vigilia della rottura, la Bonino dichiarava di “apprezzare ciò che Berlusconi sta facendo come premier” (una legge ad personam dopo l’altra, dalla Gasparri alla Frattini, dal lodo Schifani al falso in bilancio, dalla Cirami alle rogatorie alla Cirielli) e cercava disperatamente un accordo con lui. Sfumato il quale, scoprì all’improvviso i vizi del Cavaliere e le virtù di quelli che fino al giorno prima lei chiamava “komunisti” e “cattocomunisti”. Molte delle sue battaglie, referendarie e non, coincidono col programma berlusconiano: dalla deregulation del mercato del lavoro (con tanti saluti allo Statuto dei lavoratori, articolo 18 in primis) e contro le trattenute sindacali in busta paga. Per non parlare del via libera alle guerre camuffate da “missioni di pace” in ex Jugoslavia, Afghanistan e Iraq. E soprattutto della giustizia: separazione delle carriere, amnistia, abolizione dell’azione penale obbligatoria, responsabilità civile delle toghe e no all’arresto per molti parlamentari accusati di gravi reati: perfino Nicola Cosentino, imputato per associazione camorristica. Alle meritorie campagne contro il finanziamento pubblico dei partiti, fa da contrappunto la contraddizione dei soldi pubblici sempre chiesti e incassati per Radio Radicale. Nel 2010 poi la Bonino fece da sponda all’editto di B. contro Annozero : il voto radicale in Vigilanza fu decisivo per chiudere i talk e abolire l’informazione tv prima delle elezioni. 
Con tutto il rispetto per la persona, di questi errori politici è forse il caso di tenere e chiedere conto.

 
 
 

Ferdinando Imposimato: ‘L’art. 3 della Costituzione riguarda anche il Presidente della Repubblica’

Spero che domani la politica, tutta, diserti in massa la solita e ipocrita passerella in ricordo di… che tutti  trovino una scusa, una qualsiasi, magari un legittimo impedimento causa simposio come ha fatto silvio per non andare, ma che lo dico a fare? a conferire coi Giudici di Palermo visto che poi nei fatti, come avevo già scritto il 23 maggio per Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta trucidati a Capaci non fa nulla affinché la verità possa essere onorata. Anzi, a quanto pare l’obiettivo è proprio non arrivarci mai, a certe verità.

Trattativa, parla Rita Borsellino
“Da Napolitano uno schiaffo agli italiani”

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Trattativa, il procuratore Messineo: “Ci fu davvero e l’inchiesta continua”

Se oggi dell’utri [e ho detto dell’utri] può dare del pazzo ad Ingroia è anche grazie alla delegittimazione della Magistratura da parte dello stato. Ma del resto nessuno ai piani alti, molto alti, fiatava quando i Magistrati venivano definiti “antropologicamente diversi dalla razza umana, cancro, metastasi”; a maggior ragione non si fa oggi, ora, un momento delicato nel quale è meglio non difenderli, certi Magistrati, c’è il rischio poi di dover prendere le parti di qualcuno, magari dello stato. Non è bello, non si fa.

Dell’Utri: “Cosa mi aspetto da questo processo? Un cazzo”

Il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sancito dall’art. 3 della costituzione riguarda anche il presidente della Repubblica.
La legge consentiva alla Procura di Palermo di disporre le intercettazioni telefoniche delle conversazioni che avvenivano sull’apparecchio di Nicola Mancino.
Per Mancino c’è stata una legittima intercettazione diretta disposta dal Giudice con decreto motivato. Non esiste alcuna legge che imponga o permetta di distruggere al Pubblico Ministero le telefonate senza sentire le parti interessate nel processo e cioè il Pubblico Ministero, il difensore dell’imputato o indagato e il difensore della parte civile.

La ragione è semplice: Mancino potrebbe ricavare dal colloquio con il Presidente della Repubblica elementi a proprio favore,  per esempio se il Presidente Napolitano avesse detto:
“Sta tranquillo… so bene che tu non sei stato scelto come Ministro per favorire i mafiosi abrogando il 41 bis. Noi ti abbiamo voluto perché sei un combattente antimafia”.
Il Pubblico Ministero, a sua volta, potrebbe ricavare elementi a favore dell’esistenza di una trattativa tra lo Stato e la mafia ed elementi di colpevolezza a carico di Mancino in ordine al reato di falsa testimonianza se l’ex ministro, parlando con il Presidente Napolitano, avesse minacciato di tirare in ballo il Presidente Scalfaro o il Capo della Polizia o di rivelare cose importanti sul coinvolgimento di terze persone come uomini dei servizi del ROS o uomini di Governo.
Anche la parte civile e cioè i familiari di Paolo Borsellino hanno interesse a conoscere la verità da qualunque parte venga comprese le intercettazioni indirette che riguardano il Presidente della Repubblica.
Se fossi il difensore dei familiari di Paolo Borsellino mi opporrei con tutte le mie forze alla distruzione delle intercettazioni.Il principio di legalità e di sicurezza stabilito dalla costituzione art. 25 è un bene primario che prevale sul bene delle privacy e vincola anche il Presidente della Repubblica. Uno Stato può esistere senza benessere, non può esistere senza Legalità e Giustizia.

Ferdinando Imposimato

Romanzo Quirinale

Sottotitolo: Bombardamenti aerei italiani in Afghanistan: il Parlamento batte un colpo 

Forse è anche per questo che E, il mensile di Emergency chiude,  per mancanza di soldi.
Perché gli operatori di Emergency non si limitano a curare i feriti di guerra e a seppellirne i cadaveri, fanno anche quell’informazione che i media tradizionali [quelli che invece lo stato sostiene con molti soldi, naturalmente i nostri] sempre troppo impegnati nell’opera di beatificazione e santificazione della politica, tecnica e non, ci negano.
In un paese normale le Eccellenze sarebbero le persone come Gino Strada.
Gente che uno stato serio avrebbe il dovere di sostenere, non di mandare a chiedere l’elemosina; in Italia, invece, che non è un paese normale né uno stato serio le eccellenze sono altre e con ben altri curriculum, spesso anche giudiziari, i governi di tutti i colori spendono una quantità di soldi spropositata in emerite idiozie tipo aerei e navi da guerra, in progetti di distruzione del territorio come il Tav per tacere su tutto il resto del quotidiano, nonostante “la crisi” che evidentemente è stata ben mirata solo agli obiettivi che doveva colpire.
E affondare.

Con la spending review si tagliano i costi della sanità ma lo stato italiano e i relativi governi di tutti i colori che si sono succeduti e succederanno  continuano a spendere un miliardo di euro l’anno per la missione “di pace” in Afghanistan [che dura da dieci anni] e cifre altrettanto spaventose in armamenti da guerra iper raffinati. Emergency in questo ultimo periodo sta curando anche cittadini italiani, quei nuovi poveri che non possono permettersi di pagare. La guerra ce l’abbiamo in casa ma le missioni “di pace” le andiamo a fare altrove.

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Telefonate del presidente Napolitano (intercettato indirettamente mentre chiedeva notizie sul terremoto all’Aquila, preoccupato per le sorti delle vittime) sono agli atti del processo di Perugia alla “cricca”. Nessuno si è lamentato, nessun conflitto d’attribuzioni è stato sollevato. Perché invece tanto scandalo per le intercettazioni indirette di Napolitano sulla trattativa Stato-mafia?
[Gianni Barbacetto]

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Trattativa Stato-mafia, i pm di Palermo vogliono sentire Berlusconi

Ci sarà qualche giornalista coraggioso che potrà spiegarci perché berlusconi può ancora avvalersi del legittimo impedimento, visto che almeno ufficialmente non ricopre più alcuna carica istituzionale?

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Il presidente della repubblica italiano non si può intercettare, e infatti nessuno lo ha fatto, come nessuno intercettava il satrapo infoiato ma solo i delinquenti e le puttane dai quali ama farsi circondare abitualmente; negli States il presidente è tenuto a rendere pubbliche anche le sue condizioni di salute e  nessuno alza il ditino contro la violazione della privacy, cinguettando e abbaiando su quel che si può fare e quello che no.

Nell’era di internet la cosa più ridicola è censurare notizie, non dire né scrivere cose che poi basta farsi una passeggiata nei motori di ricerca per trovarle. Dov’è finito lo spirito battagliero di quei giornalisti – giornalai – pennivendoli – pompieri – trombettieri di tutti i regimi che ai bei tempi di quando c’era lui, l’altro, quello più basso e meno pelato, ogni giorno rivendicavano a tutta pagina il diritto di poter pubblicare tutto che poi “è la gente a farsi un’opinione”?
Dove sono i paragoni, gli esempi eccellenti coi quali si sono riempite pagine e pagine di giornali per spiegare che quello che succede(va) in Italia altrove, nei paesi normali, dove i presidenti delle repubbliche non dichiarano guerra alla Magistratura ma collaborano con la Magistratura, oppure quelli dove NON si consente a un pregiudicato amico della mafia di occupare cariche istituzionali “alte”, non sarebbero mai potute accadere? Perché, ad esempio, non leggiamo da nessuna parte che negli Stati Uniti il presidente è tenuto a rendere pubbliche anche le sue condizioni di salute [altro che intercettazioni] perché è giusto che i cittadini abbiano sempre il quadro della situazione anche personale di chi amministra il proprio paese? Perché gli italiani non devono sapere a che gioco ha giocato il presidente della repubblica che solo qualche mese fa dichiarava con la solita viva & vibrante soddisfazione commemorando Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della sua scorta: “vent’anni fa non ci lasciammo intimidire”? Mantenere segretezza sulle telefonate che passano sulla linea della presidenza della repubblica che vuol dire,  che sulla linea telefonica del quirinale può passare di tutto? di chi è il garante Napolitano, del popolo, di se medesimo o di ex ministri bugiardi? abbiamo o no il diritto di saperlo?
Potrebbero spiegarci cortesemente – questi manipolatori della pubblica opinione, questi maestri del disorientamento, quelli che va bene parlare di tutto purché non si parli mai di cose serie e importanti – perché quello che andava bene per berlusconi oggi non va più bene per Napolitano?

Il procuratore antimafia Grasso  ha detto che Napolitano ha ragione ma anche i Magistrati che “hanno agito in buona fede”. Come se abitualmente i Magistrati agissero secondo il loro umore e sentire. Insomma, ai Magistrati si può far fare anche la parte degli scemi del villaggio, di quelli che un bel mattino si svegliano e decidono quale deve essere il bersaglio grosso da colpire per rendersi un po’ protagonisti e farsi bacchettare dal presidente della repubblica che invece è autorizzato ad aprire il fuoco – per nulla amico – su chi proprio per il ruolo che gl’impone la Costituzione, dovrebbe garantire. Poi quando le agenzie di rating ci declassano perché la situazione politica è quella che è: pietosa, e il mondo civile ride di noi è per farci un dispetto.

Per umiliarci, ecco.

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Romanzo Quirinale
Marco Travaglio, 18 luglio

Ma che bel coro di corazzieri belanti è diventata la stampa italiana, con l’aggiunta – ci mancherebbe – delle tv a reti unificate. Almeno ai tempi di B. i giornali di sinistra attaccavano il governo, non foss’altro che per il gioco delle parti. Ora invece non muove più foglia che il potere non voglia: tutto va ben madama la marchesa. Anche quando il Presidente della Repubblica si scrive un decreto per chiedere alla Consulta, piena di amici suoi e / o di nominati da lui, di mettere in riga la Procura di Palermo che osa indagare sulle trattative Stato-mafia, incriminare l’amico Mancino e soprattutto rispettare l’art. 268 del Codice di procedura penale che proibisce ai pm di distruggere intercettazioni prima che lo faccia un gip, un giudice terzo, dopo aver sentito le parti. In questa soave corrispondenza di amorosi sensi, grandi esperti del diritto e del rovescio dimenticano la legge, la Costituzione, perfino la decenza e il ridicolo pur di dare ragione al nuovo Re Sole intoccabile, insospettabile, insindacabile, irresponsabile, inascoltabile, ineffabile. De Siervi. L’ex presidente della Consulta Ugo De Siervo, quello che nel 2010 rinviò la decisione sul legittimo impedimento per non disturbare B. nei giorni della mozione di sfiducia di Fini e della compravendita dei deputati, scrive su La Stampa che “alcune volte le intercettazioni non sono affatto casuali”, come invece la Procura di Palermo definisce quelle di Napolitano captate sul telefono di Mancino. Lo ripete un altro emerito, Cesare Mirabelli: “Non si può usare un’intercettazione indiretta per aggirare il divieto di intercettare il capo dello Stato”. Cioè: i pm di Palermo hanno intercettato Mancino già sapendo che avrebbe chiamato Napolitano per chiedere aiuto contro i pm che indagavano su di lui e che Napolitano, anziché mandarlo a quel paese, si sarebbe amorevolmente adoperato per favorirlo, direttamente e tramite il consigliere D’Ambrosio. De Siervo e Mirabelli devono avere un’opinione piuttosto negativa di Mancino e soprattutto di Napolitano. De Siervo aggiunge che la Procura di Palermo ha fatto “indagini interminabili” (forse dimentica che le inchieste di mafia hanno una durata massima di 2 anni, termine rispettato dai pm) e “avrebbe dovuto trasferire tutta la questione al competente Tribunale dei Ministri”, come B. chiedeva di fare per Ruby nipote di Mubarak. Lo dice pure Stefano Ceccanti del Pd (l ’ Unità). Forse De Siervo e Ceccanti non sanno che nessuno degli indagati è accusato di reati commessi quand’era ministro e nell’esercizio delle funzioni ministeriali, a meno di ritenere che Riina, Provenzano, Brusca, Cinà, Ciancimino jr., Dell’Utri e gli altri indagati fossero ministri ai tempi della trattativa. Si dirà: erano ministri Conso e Mancino. Certo, ma non sono indagati per la trattativa, bensì per aver mentito oggi, 20 anni dopo, da pensionati. Urge istituzione del Tribunale degli Ex-Ministri. La Repubblica di Falò. De Siervo: “Le conversazioni riservate del Presidente dovrebbero essere immediatamente eliminate, anche ove casualmente raccolte”. Michele Ainis (Corriere della Sera): “I nastri vanno subito distrutti, senza farli ascoltare alle parti processuali… È difficile accettare che sia un giudice a esprimersi sulla rilevanza stessa dell’intercettazione”. Ministra Paola Severino: “Qualsiasi sia la decisione della Corte sul conflitto di attribuzione, l’importante è mantenere la segretezza intorno al contenuto di telefonate che possano riguardare persone istituzionalmente protette per il ruolo che svolgono” per “evitare che le conversazioni del Presidente possano essere rese pubbliche”. Avvocato Franco Coppi: “La frittata è stata fatta nel momento in cui è stata proposta l’udienza davanti al gip per procedere alla distruzione delle intercettazioni”. Par di sognare. In Italia – art. 111 della Costituzione – “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”. Anche nell’udienza dinanzi al gip per decidere quali intercettazioni distruggere. È una garanzia per tutti, difesa, accusa e parti civili: ciò che per il pm è irrilevante può essere rilevante per un indagato. Perciò non può essere il pm, ma dev’essere il giudice, nel contraddittorio fra le parti, a decidere di distruggere un’intercettazione. Altrimenti l’indagato può essere danneggiato e, volendo, far invalidare il processo. Non solo: se le parole di Napolitano non possono essere valutate dal giudice perché il Presidente è insindacabile, quelle di Mancino devono essere valutate eccome, visto che è un privato cittadino, per giunta indagato. Invece i garantisti alle vongole vorrebbero vietare il contraddittorio, imporre ai pm di bruciare tutto nel segreto delle loro stanze, senza render conto a nessuno in spregio alla legge e alla Costituzione, e solo per evitare che gli avvocati ascoltino le parole del Presidente e l’opinione pubblica le conosca. Anche loro hanno del Presidente una pessima opinione, o sanno qualcosa che noi non sappiamo? Corazzieri-pompieri. Carlo Galli (Repubblica): “Poiché si tratta di una questione difficile, è giusto lasciare alla Consulta il compito di decidere”. Massimo Luciani (l ’ Unità): “L’inevitabile iniziativa di Napolitano serve a prevenire qualunque dubbio futuro”. Valerio Onida (Corriere): “Quella del Quirinale è un’iniziativa volta a fare chiarezza… per dire qual è la via corretta da seguire in base alla legge nel rapporto fra i due poteri”. Emanuele Macaluso (Corriere): “Basta con questo battere e ribattere di giuristi. Il Presidente si rimette al giudizio della Corte”. Enrico Letta (Pd): “Iniziativa che porterà chiarezza ed eviterà in futuro contraddizioni e pericolosi conflitti fra poteri dello Stato”. Per superare l’imbarazzo di sostenere, in coro coi berluscones, l’attacco frontale di Napolitano alla Procura che indaga sulle trattative che costarono la vita a Borsellino e alla scorta nel ‘ 92 e a tanti cittadini innocenti nel ‘ 93, il tutto alla vigilia del ventesimo anniversario di via D’Amelio, i corazzieri di complemento minimizzano il conflitto di attribuzioni come se fosse una disputa accademico-giuridica: che sarà mai, c’è una divergenza di opinioni fra il Colle e la Procura, dovuto a un “vuoto normativo”, ora la Consulta dirà chi ha ragione e tutti vivranno felici e contenti. Eh no, troppo comodo. Intanto, se ci fosse un vuoto o un’imprecisione normativa, il Quirinale avrebbe dovuto investire la Consulta con un altro strumento: l’eccezione d’incostituzionalità della norma col buco, non il conflitto di attribuzioni in cui accusa i pm di un illecito gravissimo, da colpo di Stato: la lesione delle prerogative del Capo dello Stato. E poi: se c’è un vuoto normativo, vuol dire che la Procura di Palermo ha rispettato la legge esistente, non potendo violare una legge ancora inesistente. E allora di che conflitto stiamo parlando? Codex Napolitaneus. Apprendiamo da Repubblica che, agli atti del processo in corso a Perugia sulla cricca della Protezione civile, la Procura di Firenze che avviò le indagini intercettò alcune telefonate sull’utenza di Guido Bertolaso che parlava col presidente Napolitano ansioso di avere notizie sulle sorti delle vittime del terremoto de L’Aquila. Telefonate penalmente irrilevanti per tutte le parti, che però non sono state distrutte, anzi sono state addirittura trascritte, depositate alle parti e poi allegate agli atti del dibattimento, dunque conoscibili da tutti. Ora, per coerenza, se la lesione delle prerogative presidenziali si consuma nel momento stesso in cui qualcuno ascolta e non distrugge le sue parole intercettate indirettamente, il presidente Napolitano dovrà sollevare conflitto di attribuzioni contro le Procure di Firenze e Perugia, e anche di qualche gip e giudice di tribunale. In caso contrario crolleranno rovinosamente le ragioni di principio sbandierate a sostegno del conflitto d’attribuzioni contro i pm di Palermo, che lui giura totalmente svincolate dal contenuto delle sue telefonate. E, più che un ricorso alla Consulta, Napolitano dovrà chiedere un lodo ad personam. Il Lodo Dipende: “Se il Capo dello Stato viene intercettato indirettamente e fa bella figura, le sue conversazioni, anche se irrilevanti per tutti, devono essere conservate e possibilmente pubblicate in caratteri aurei, acciocché il Cittadino sappia quant’è bravo il suo Presidente, sempre teso al Bene Supremo della Nazione; se, viceversa, fa una pessima figura, si distrugga tutto immantinente, altrimenti per i pm sono cazzi”. Finzioni presidenziali. Nell’ansia di compiacere il Re Sole, i corazzieri grandi firme si scordano di sciogliere alcuni nodi. Li buttiamo lì a futura memoria. 1) L’art. 90 della Costituzione stabilisce che “il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni”, ed è lui stesso a dirci che è anche il caso delle due telefonate con Mancino: altrimenti non sbandiererebbe la sua irresponsabilità ai quattro venti. Ma siamo sicuri che il “prendere a cuore” (D’Ambrosio dixit) le lagnanze di Mancino e il darsi da fare per favorirlo interferendo in un’indagine in corso rientri tra le “funzioni” presidenziali? E, di grazia, quale articolo della Costituzione o quale norma dell’ordinamento lo prevede? 2) L’unica “parte” dell’inchiesta sulla trattativa che può avere interesse alla conservazione dei nastri con la voce di Napolitano è Mancino, visto che i pm li han già definiti irrilevanti. Dunque, invece di disturbare la Consulta, perché il Presidente non dice all’amico Mancino di mandare il suo avvocato ad ascoltarli e poi a chiedere al gip di distruggerli? Si rende conto, che conferendo tutta quest’importanza a quelle bobine, si è consegnato mani e piedi nelle mani di un indagato per falsa testimonianza? Per svincolarsi dall’abbraccio mortale e dissipare il sospetto di ricatti e altre trattative in corso, non c’è che un modo: rendere pubbliche le telefonate. 3) Napolitano si fa scudo nientemeno che di Luigi Einaudi, che secondo Repubblica lo avrebbe addirittura “ispirato” (gli sarà apparso in sogno, nottetempo). È proprio sicuro che Einaudi apprezzerebbe? Sicuro che, se gli avesse telefonato un Mancino per quelle proposte indecenti, Einaudi gli avrebbe dato tanta corda, anziché staccargli il telefono in faccia? Un giorno Einaudi disse: “Non le lotte e le discussioni dovevano impaurire, ma la concordia ignava e le unanimità dei consensi”. Parole che ora suonano come un inammissibile attacco preventivo al Quirinale e ai corazzieri. Che facciamo, spediamo pure Einaudi alla Corte costituzionale?

Piange al telefono

Sottotitolo: “Abbiamo interi pezzi di società che ormai hanno introiettato i modelli comportamentali dei mafiosi.
E lo si vede in tutti i campi”.
[Antonio Ingroia]

Trattativa, Napolitano-Mancino
Ma che cosa si saranno mai detti? 

Cos’avrà mai detto Napolitano nelle due telefonate intercettate sull’utenza di Mancino? Impossibile saperlo: le conversazioni sono stralciate, segretate e destinate quasi certamente alla distruzione, e il Presidente si è ben guardato dal renderle pubbliche. Ora però la mossa inedita e clamorosa del conflitto contro i pm alla Consulta non fa che ingigantire i sospetti di chi pensa che quei nastri top secret contengano condotte scorrette: dal punto di vista non penale, ma etico-politico-istituzionale.

Il capo dello Stato ha sollevato il conflitto di attribuzione contro i magistrati di Palermo 

Trattativa, Di Matteo: “Ostilità bipartisan quando indagini toccano i potenti”

C’era una volta un paese, e c’era un cittadino qualunque, una volta pare  facesse il ministro, che scopre di essere stato intercettato dalla procura; un giorno il cittadino qualunque interpella  telefonicamente il presidente della repubblica parlandogli, forse, probabilmente, non lo sapremo mai, dei suoi “problemi” [come se fosse normale per tutti i cittadini potersi rivolgere alla massima carica dello stato chiedendogli l’aiutino]; Napolitano parla più e più volte col cittadino qualunque perché questo insiste, molto, non è tranquillo, evidentemente,  e in modo compulsivo  contatta il presidente della repubblica affinché faccia qualcosa, qualcosa che sicuramente non rientra nelle funzioni di un capo dello stato altrimenti nessuno avrebbe il timore che i contenuti di quelle telefonate vengano divulgati.  La morale della favola? quel presidente della repubblica, invece di dire chiaro e tondo al disturbatore di smetterla, pena il rischio di una denuncia per molestie apre un contenzioso, anzi, per meglio dire dichiara guerra  alla Magistratura.
Napolitano giustifica il suo attacco frontale contro i Magistrati dicendo  di voler assicurare chi verrà dopo di lui, l’istituzione,non lo fa per difendere se stesso,  ci mancherebbe.

A me ricorda molto un’altra persona che pretendeva l’immunità totale per il presidente del consiglio: entrambi  lo facevano e lo fanno per difendere il ruolo, l’istituzione, s’intende, fermo restando però che non è obbligatorio mandare uno con dei precedenti penali seri consentendogli poi di fare qualsiasi cosa a beneficio del paese cioè il suo a fare il presidente del consiglio né, per un presidente della repubblica inciuciare sottobanco con chi invece di combattere la mafia la teneva [“presumibilmente”] buona per paura che facesse “boom”…
Il raffinato presidente della repubblica  cita, per giustificare il suo operato,  nientemeno che Luigi Einaudi, purtroppo per lui però non risulta dai libri di storia che Luigi Einaudi passasse il suo tempo a conversare telefonicamente con imputati accusati di reticenza e falsa testimonianza. All’epoca non si usava, nelle funzioni del presidente della repubblica non c’era quella di favorire ex ministri indagati.
E nemmeno quella di mettersi contro quei Magistrati che la mafia la combattono e l’hanno combattuta davvero, tanto da rimetterci il bene supremo che è la vita.
Se le telefonate fra Mancino e Napolitano sono così irrilevanti, cosa teme Napolitano? possibile che Napolitano non sapesse che basta non rispondere a certe telefonate, non intrattenere nessuna conversazione con interlocutori “sospetti” e ancorché indagati per falsa testimonianza per non rischiare niente? Di che parlavano re Giorgio e Nicola, dove sarebbe questo reato di lesa maestà, di privacy violate, cos’è che non si deve PROPRIO sapere circa i contenuti di quelle telefonate tanto far pronunciare Napolitano come un berlusconi qualunque  sul “problema delle intercettazioni”? il problema, ormai lo sanno anche i bambini,  non sono le intercettazioni, il dramma e la tragedia è la caratura delle persone dalle quali quei politici si fanno chiamare, sono loro infatti ad essere intercettate, non le “autorità”,  con cui  i politici conversano più o meno amabilmente e abitualmente  per telefono e gli argomenti di quelle conversazioni. Il problema è che i presidenti della repubblica e del consiglio dovrebbero fare molta attenzione ai loro interlocutori telefonici, o in alternativa farsi comprare qualche sim estera dall’apposito Lavitola.
Come si potranno sentire quei Giudici e Magistrati dopo aver subito i peggiori attacchi per diciotto anni [“pazzi, antropologicamente diversi dalla razza umana, se fossero persone normali farebbero un altro mestiere, cancro, metastasi”] pensando di non poter contare più neanche su loro garante supremo? In che modo potranno affrontare altri processi e quelli già in corso d’opera?  Oggi la Finocchiaro, ex magistrato anche lei per giunta,  dice le stesse cose di cicchitto e gasparri a proposito dell’attacco di Napolitano ai Giudici di Palermo, quali conclusioni dobbiamo trarre? Come possono pretendere la fiducia dei cittadini quelle istituzioni sempre pronte a mettersi contro lo stato dunque contro noi tutti per difendere sempre e solo i loro interessi? chi è che fa antipolitica in questo paese se non la politica stessa?


Lo zio di Mubarak
 Marco Travaglio, 17 luglio

Dunque non eravamo pazzi, noi del Fatto, a occuparci con tanto rilievo e in beata solitudine delle telefonate Quirinale-Mancino sulla trattativa Stato-mafia. Se il Presidente della Repubblica interpella addirittura la Consulta, alla vigilia del ventennale della strage di via D’Amelio, vuol dire che il caso esiste ed è enorme. Naturalmente per noi lo scandalo è il contenuto delle telefonate, almeno quelle ormai note del suo consigliere D’Ambrosio (che fanno sospettare il peggio anche su quelle ancora segrete di Napolitano): un florilegio di abusi di potere e interferenze in un’indagine in corso su richiesta di un potente ma privato cittadino.
Per il Colle invece lo scandalo è che siano state intercettate e non siano state distrutte subito dopo. Insomma, come già B., D’Alema, Fassino & C. per le loro intercettazioni indirette, il Capo dello Stato guarda il dito anziché la luna: se la prende col termometro anziché con la febbre. Il guaio è che la legge non prevede alcuno stop né alcuna immediata distruzione per le intercettazioni indirette del Presidente. Il quale, fatto salvo il caso di messa in stato d’accusa per alto tradimento o attentato alla Costituzione, è equiparato a qualunque parlamentare: se Tizio, intercettato, chiama il Presidente o un onorevole qualsiasi e gli comunica “ho appena strangolato mia moglie”, la telefonata è utilizzabile senz’alcuna autorizzazione nei confronti di Tizio per processarlo per uxoricidio. È per usarla contro l’interlocutore coperto da immunità che occorre il permesso delle Camere. Se poi la telefonata è irrilevante, come i pm giudicano i due colloqui Mancino-Napolitano, si fa l’udienza dinanzi al Gip e, davanti alle parti che possono ascoltare tutti i nastri, si distruggono quelli che tutti ritengono inutili. L’abbiamo sostenuto a proposito delle bobine di B. “ascoltato” sulle utenze di Cuffaro, di Saccà, delle Olgettine, della D’Addario, o di quelle di D’Alema e Fassino sul cellulare di Consorte. E lo ripetiamo oggi per quelle di Napolitano, a maggior ragione. Perchè qui non si parla di sesso o attricette, ma di trattative fra lo Stato e Cosa Nostra. Perché qui delle telefonate di Napolitano non è uscita una sillaba (Macaluso si dia pace: se le avessimo, le avremmo già pubblicate). E perché, diversamente da B., D’Alema, Fassino & C., Napolitano non si limita a criticare i pm. Ma li trascina dinanzi alla Consulta, bloccando di fatto le indagini sulla trattativa e accusandoli di un reato gravissimo (la violazione di sue imprecisate “prerogative”), con un conflitto di attribuzioni anti-magistrati mai visto neppure ai tempi dei peggiori presidenti democristiani. Scalfaro, uno dei migliori, fu intercettato dai pm di Milano nel ’93 sul telefono di un banchiere e si guardò bene dallo strillare o dal sollevare conflitti, anche quando la telefonata finì sui giornali: non aveva nulla da nascondere, lui. L’anno scorso B. sollevò il conflitto contro i giudici di Milano, precipitando il Parlamento nella vergogna con la barzelletta di Ruby nipote di Mubarak e delle chiamate in questura per evitare incidenti con l’Egitto. Fu respinto con perdite e risate, così come si era visto bocciare i lodi Schifani e Alfano. Da allora si sperava che i politici si fossero rassegnati all’eguaglianza davanti alla legge. Invece, anziché pubblicare le sue telefonate per dimostrare che non c’è nulla di scorretto, Napolitano invoca la legge bavaglio per bloccarne la diffusione, tra gli applausi di politici, intellettuali e giornali che, quando la reclamava B., mettevano online le sue intercettazioni indirette e lanciavano campagne a base di post-it gialli. Poi sguinzaglia i giuristi e le penne di corte. Infine scatena l’Avvocatura dello Stato e la Corte, citando l’incolpevole Luigi Einaudi per rivendicare resunte “prerogative”: tanto Einaudi non può smentirlo, solo rivoltarsi nella tomba. È l’evoluzione della specie: dalla nipote di Mubarak allo zio di Mubarak.

Rosy_coni

Non so se qualcuno l’ha visto ieri sera su Raitre nello speciale di Lucarelli sulla strage di Capaci ma,  Grasso che parlava di Borsellino e Falcone alla luce delle dichiarazioni fatte a proposito del premio da dare a berlusconi circa la sua lotta antimafia mi ha provocato un grandissimo fastidio. Ecco dove cade poi la fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Il procuratore nazionale antimafia non può dire una cosa del genere pensando che non abbia poi delle conseguenze. Però l’ha detta lo stesso.
Quello che hanno fatto a Falcone e Borsellino quando erano  vivi è orribile quanto la loro morte, e io non mi do pace perché sono convinta che con loro molte cose che hanno segnato questo paese in modo irreversibile non sarebbero mai successe. E oggi – a vent’anni da quelle stragi – sentiamo il procuratore antimafia dire che pensa di premiare chi aveva un pluriergastolano assassino  mafioso alle sue dipendenze,  un eroe,  che faceva da baby sitter ai suoi figli e che ogni tanto gli metteva qualche bombetta sul cancello di casa, per simpatia, s’intende.
(Per tutti coloro che dicono che senza finanziamenti pubblici non si può fare politica).

Sottotitolo: Non c’è nessuna ribellione «contro i partiti». C’è una sacrosanta ribellione contro i gruppi dirigenti che da vent’anni occupano i partiti. Che hanno trasformato la politica in una professione redditizia. E che sono inchiodati sulle loro poltrone. Perché il ricambio, in democrazia, non è un optional. [Michele Ainis, costituzionalista]

La ribellione si estende anche a molto altro, Ainis è un gentiluomo e non lo può dire.

Non ha parlato, infatti, di corruzione, di mignottifici e mignottocrazie,  di collusioni con le mafie, di cose e case a loro insaputa, di lauree “ad trotam” e di diamanti,  di tutta una serie di porcherie inenarrabili ma accadute sul serio  che, se questo fosse stato un paese appena appena un po’ normale, non sarebbero mai dovute accadere.

E questi vogliono pure l’applauso invece dei fischi: sacrosanto strumento di dissenso dalla notte dei tempi.

Ergo: giù il sipario.

Qualcuno spiegasse a Bindi &Co. che non esistono gli elettori di centro destra o di centro sinistra, è finita, per fortuna,  l’appartenenza su cui hanno sguazzato per decenni, esistono gli elettori e basta.
E votano come cazzo gli pare.

E nessuno si deve permettere di dire che noi gente comune quando andiamo a votare  facciamo il gioco di qualcuno visto che non riusciamo a fare neppure il nostro.
Con buona pace di chi oggi si sente vincitore, il PD, che vince solo quando si scontra col peggio del peggio. Dove invece si è scontrato con un’alternativa più credibile ha perso.
Evidentemente non è la politica ad essere sgradita ma “certa” politica, se i siciliani di Palermo dopo trent’anni hanno scelto di nuovo Orlando.
E – guardacaso – aveva il PD contro, come era già successo a Napoli con De Magistris.
Occorre quindi ribadire un concetto che sta diventando nauseante: questa classe dirigente ha fallito.
Se ne deve andare a casa.  
Ha fatto (purtroppo) il suo tempo e distrutto tutto quel che si poteva distruggere.
Monti crolla nei sondaggi proprio perché anziché smarcarsi dalla vecchia politica e dai partiti ha fatto l’esatto contrario, e la notizia è che abbia ancora il 35/40% invece di sottozero. Ma piano piano tutti capiranno che anche nel sadomaso bisogna divertirsi (almeno) in due, altrimenti è violenza carnale.
Operare col sostegno di quei partiti che sono stati la causa della crisi (e di molto altro fra cui il rifiuto di questa politica) significa non poter prendere iniziative contrarie al volere di quei partiti.

Monti, anzi, si è proprio accomodato sui partiti, ne ha perpetuato l’azione (vedi costi della politica, privilegi eccetera:  cose che non sono state minimamente toccate mentre si faceva scempio di pensionati e lavoratori a stipendi e salari), ed ecco perché non è credibile.
I cittadini si aspettavano qualcuno che lavorasse per loro, non che continuasse ancora e ancora a tenere in piedi i distruttori della democrazia di questo paese.
Ed evidentemente l’idea di passare dalla politica del bunga bunga a quella del “rigor montis” non è stata gradita.
E meno male.

Boom boom boom

 Marco Travaglio, 22 maggio

Che spettacolo, ragazzi. A novembre, alla caduta dei Cainano, i partiti si erano riuniti su un noto Colle di Roma per decidere a tavolino il nostro futuro: se si vota subito, gli elettori ci asfaltano; allora noi li addormentiamo per un anno e mezzo col governo Monti, travestiamo da tecnici un pugno di banchieri e consulenti delle banche, gli facciamo fare il lavoro sporco per non pagare pegno, poi nel 2013 ci presentiamo con una legge elettorale ancor più indecente del Porcellum che non ci costringa ad allearci prima e, chiuse le urne, scopriamo che nessuno ha la maggioranza e dobbiamo ammucchiarci in un bel governissimo per il bene dell’Italia; intanto Alfano illude i suoi che B. non c’è più, Bersani fa finta di essere piovuto da Marte, Piercasinando si nasconde dietro Passera e/o Montezemolo o un altro Gattopardo per far dimenticare Cuffaro, la gente ci casca e la sfanghiamo un’altra volta, lasciando fuori dalla porta i disturbatori alla Grillo, Di Pietro e Vendola in nome del “dialogo “. Purtroppo per lorsignori, il dialogo fa le pentole ma non i coperchi. Gli elettori, tenuti a debita distanza dalle urne nazionali, si son fatti vivi alle amministrative, e guardacaso nei tre maggiori comuni hanno premiato proprio i candidati dei disturbatori: Pizzarotti (M5S) a Parma, Orlando (Idv) a Palermo, Doria (Sel) a Genova. Tre città che più diverse non potrebbero essere, ma con un comune denominatore: vince il candidato più lontano dalla maggioranza ABC che tiene in piedi il governo. Nemmeno il ritorno del terrorismo e dello stragismo a orologeria li hanno spaventati, come sperava qualcuno, inducendoli a stringersi attorno alla partitocrazia per solidarietà nazionale. Parma è un caso di scuola: il centrosinistra, dopo gli scandali e i fallimenti del centrodestra che a furia di ruberie ha indebitato il Comune di 5-600 milioni, era come l’attaccante che tira il rigore a porta vuota. Eppure è riuscito nella difficile impresa di fare autogol. Come? Candidando il presidente della provincia Bernazzoli, che s’è guardato bene dal dimettersi: ha fatto la campagna elettorale per le comunali con la poltrona provinciale attaccata al culo, così se perdeva conservava il posto. Non contento, il genio ha annunciato che avrebbe promosso assessore al Bilancio il vicepresidente di Cariparma. Sempre per la serie: la sinistra dei banchieri, detta anche “abbiamo una banca”.
Se Grillo avesse potuto costruirsi l’avversario con le sue mani, non gli sarebbe venuto così bene. Risultato: 60 a 40 per il grillino Pizzarotti, che ha speso per la campagna elettorale 6 mila euro e ha annunciato una squadra totalmente nuova e alternativa: da Maurizio Pallante a Loretta Napoleoni. Eppure il Pd era sinceramente convinto che Bernazzoli fosse il candidato ideale. E Bersani pensava davvero di sconfiggere il grillino accusandolo di trescare col Pdl, come se oggi, Anno Domini 2012, qualche elettore andasse ancora a votare perché gliel’ha detto B. o Alfano. Si sta verificando quello che avevamo sempre scritto: e cioè che la fine di B. coincide con la fine del Pdl, la fine di Bossi coincide con la fine della Lega, ma chi li ha accompagnati e tenuti in vita con finte opposizioni può sognarsi di prenderne il posto. Pdl, Pd e Udc sono partiti complementari che si tenevano in piedi a vicenda: quando cade uno, cadono anche gli altri due. I quali, non potendo più agitare lo spauracchio di B.&Bossi, dovrebbero offrire agli elettori un motivo positivo per votarli. E non ce l’hanno. Bastava sentirli cinguettare in tv di percentuali, alleanze, alternative di sinistra, rinnovamenti della destra, voti moderati, foto di Vasto, allargamenti all’Udc, per rendersi conto che non capiranno nemmeno questa lezione. Non sono cattivi: non ce la fanno proprio. Cadaveri che sfilano al funerale senz’accorgersi che i morti sono loro. Chissà se stavolta Napolitano ha sentito il boom: in caso contrario, è vivamente consigliata una visitina all’Amplifon .