Il Napo dello stato

Sottotitolo: gli manca solo l’abigeato e poi li ha commessi tutti.

Corruzione, Berlusconi a processo
Rinvio a giudizio con Lavitola

Come se non se lo aspettassero tutti:  come se Napolitano e il pd non sapessero che sarebbe arrivata la raffica dei procedimenti penali quando hanno fatto le belle larghe intese.  Ma naturalmente ci tocca riascoltare la solita tiritera dei giudici cattivi che ce l’hanno con lui, il rewind di tutta la pletora dei berlusclowns senza dignità che difendono il povero delinquente perseguitato.

E con uno così in circolazione, a piede ancora libero dopo una condanna definitiva, un pericolo pubblico, una mina vagante in questo residuo di democrazia che abbiamo ancora a disposizione [per poco eh?] il bel governo utile, quello che doveva servire a risolvere le prime urgenze e a fare una legge elettorale meno pornografica e oscena di quella di calderoli pensa a disintegrare la Costituzione e Napolitano all’indulto e all’amnistia.
Questo paese è in ottime mani.

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PD, L’ALTRO GOLPE DEI 101 (Antonio Padellaro)

 BLOG DI MARCO TRAVAGLIO: LE LARGHE FRAINTESE 

LA NOTA DEL COLLE: “SOLO IL FATTO CREDE A CERTE PANZANE” 

Napolitano si sente vittima di complotti“Calunnie gettano ombre su istituzioni”

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Che vuole Napolitano, gli editoriali e le articolesse li facciamo scrivere tutti a Scalfari così lui non si dispiace?
Ma quante volte sono che il presidente della repubblica “si augura, auspica che…” a proposito dell’informazione, nella fattispecie quella del Fatto Quotidiano?
Ce lo vedo Obama fare un monito contro la stampa, negli States.

E il bello è che il cosiddetto garante ha ancora il coraggio di parlare di “calunnie e faziosità che minano e destabilizzano l’equilibrio dello stato, il governo e le istituzioni più alte” il giorno che si viene a sapere dell’ennesimo procedimento giudiziario verso quel delinquente condannato a cui proprio lui consentì nel marzo scorso, di “partecipare alla delicata fase politica”, entrando come di consueto a gamba tesa nelle questioni giudiziarie relative all’allora futuro pregiudicato berlusconi che ha potuto così contribuire alla sua rielezione e alla formazione dell’oscenità delle larghe intese nonostante tutti sapessero, anche il pd che le ha accettate, della sfilza di procedimenti penali a cui stava per andare incontro, fra i quali una condanna definitiva per frode fiscale. E questa è una cosa che, insieme a molte altre la stampa e l’informazione dovrebbero rinfacciare a Napolitano fino all’ultimo dei suoi giorni, altroché “panzane” e destabilizzazioni. Cosa c’è di più destabilizzante e che mina la credibilità delle istituzioni di un presidente della repubblica, di uno del consiglio, di un governo voluti, pretesi da un fuorilegge con l’obiettivo, sempre quello, di sistemarsi i suoi affari e affaracci come ha fatto per venti lunghi anni? Quale segreto serpeggia a Palazzo che inquieta e turba così tanto il Napo dello stato che non riesce proprio a prendere una posizione di distacco da berlusconi, che pensa che la soluzione ai problemi immensi di questo paese risieda nel disfacimento di quella Costituzione che è l’unico e ultimo baluardo di quel che resta di una democrazia a cui ogni giorno viene segato un pezzo proprio perché è stata pensata per difendere la democrazia ma continua a prendersela coi giudici, coi giornalisti, con la Rete colpevole di dare la possibilità di esprimere un dissenso ad una società civile a cui la politica ha tolto voce, quella sì, vilipesa e oltraggiata tutti i giorni?

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Non vuole l’opposizione, non vuole la stampa libera, dimostra fastidio nei confronti delle opinioni altre e si mette a battibeccare anche coi passanti che gli rinfacciano di aver firmato ogni porcheria incostituzionale.

Ha detto che non si sarebbe più reso disponibile ma la viva e vibrante necessità lo ha spinto al gesto estremo del sacrificio per il bene del paese ma prima di tutto il suo, visto che due o tre giorni dopo l’incoronazione per acclamazione sono state fatte sparire le prove di certe sue conversazioni con un ex ministro indagato per falsa testimonianza in un processo per mafia. 

Considera il Palazzo casa sua anziché una residenza istituzionale quale dovrebbe essere e lì riceve gente che non dovrebbe avere nessun motivo di essere accolta, ad esempio un appena condannato a sette anni per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile scambiato forse per uno statista con cui discutere dei fatti importanti, della politica e a cui delegare la possibilità di avere voce in capitolo nelle scelte e nelle decisioni di tutto un paese, nonché un paio di teste di legno di un delinquente condannato per aver rapinato lo stato, uno dei quali sembra che sia apparentato addirittura con l’attuale capo del governo, che hanno libero accesso al Palazzo a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Da mesi chiede incessantemente delle riforme circa leggi e Costituzione ad un governo selezionato dal delinquente di cui sopra e da lui medesimo dopo aver vaneggiato negli anni e nei mesi scorsi di un cambiamento all’interno del parlamento e della politica affinché i cittadini si riavvicinassero alla politica e alle istituzioni contro tutti i populismi e le demagogie.
E contro quell’antipolitica che lui rappresenta alla perfezione.

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La calunnia è un venticello – Massimo Rocca, il Contropelo di Radio Capital

All’improvviso vi trovate in casa un amico o un conoscente. Ma tu che ci fai qui, come hai fatto a entrare? Ho forzato la serratura. Magari qualche dubbio sulla vostra relazione vi verrebbe, no? Ebbene è quello che è successo, sta succedendo, succederà con la nostra Costituzione. Camera e senato continuano, anche se di pochissimo ieri, a procedere a colpi di grimaldello nei confronti del lucchetto dell’articolo 138, uno dei 5 sacrissimi che formano il titolo sesto, quello delle garanzie costituzionali. Ormai c’è solo più un passaggio prima che il parlamento dia il via libera alle procedure di riforma. Quella che nasce sotto l’usbergo di chi quella costituzione ha giurato di difendere dall’articolo 1 fino al 139 è una riforma che, vigente la carta, è incostituzionale. Eppure non passa giorno senza che arrivino sproni e incitamenti a far presto, quasi che si temesse che prima o poi un raggio di luce scenda ad illuminare gli scassinatori. Che questo infido e ignobile equilibrio politico che sta consentendo l’inimmaginabile possa disintegrarsi. E chiamatele pure, se volete, calunnie.

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I protocolli dei savi di silvio
Marco Travaglio, 24 ottobre

I casi sono due: o Silvio Berlusconi è vittima di un’allucinazione e si è convinto che in cambio dell’appoggio al governo Letta avrebbe ottenuto un qualche salvacondotto giudiziario; oppure qualcuno gli ha davvero promesso, o fatto balenare, o lasciato credere con quelle formule allusive del dire e non dire che contraddistinguono il politichese italiota. Perché una cosa è certa: da quando, a fine aprile, sono nate (anzi rinate) le “larghe intese” con un governo presentato da tutti i giornali e da tutte le parti coinvolte come “di pacificazione nazionale”, dopo “vent’anni di guerra civile”, non passa praticamente giorno senza che B. o qualcuno dei suoi invochi l’intervento di Napolitano per salvarlo dagli arresti o dalla decadenza o da tutti e due come se fosse un atto dovuto, o almeno promesso. E questo non lo scrive il Fatto bevendosi le “panzane” della Santanchè. Lo scrivono da sei mesi tutti i giornali. Rispondere che Napolitano quel salvacondotto non l’ha (almeno per ora) concesso e dunque si tratta di “panzane”, significa rivoltare la frittata. L’interrogativo rimane: che cosa si dissero, nei loro segreti conciliaboli, Napolitano e Letta jr. da una parte, e B. e i suoi numerosi sherpa sguinzagliati ogni due per tre sul Colle da quando il presidente fu rieletto per volontà di B. e il premier fu scelto da B.?

Il 24 giugno B. viene condannato al processo Ruby. Il 25 viene ricevuto a Palazzo Chigi da Letta Nipote e il 26 al Quirinale da Napolitano, che fa sapere di averlo invitato lui. Per parlare di che? Del tempo e della pioggia? B. fa sapere ai suoi che il Presidente “vuole la pacificazione e mi è vicino” e lui l’ha invitato a “non restare neutrale di fronte al trattamento che sto subendo”. Poi aggiunge: “Se mi danno il salvacondotto mi ritiro dalla politica”. Il 9 luglio la sezione feriale della Cassazione fissa per il 31 il processo Mediaset per evitarne la prescrizione. Il Foglio la accusa di “distruggere d’un colpo il lavoro di costruzione di un equilibrio possibile realizzato da Napolitano”. Il 1° agosto la Cassazione condanna definitivamente B. per frode fiscale. Napolitano comunica dalle ferie: “Ritengo e auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame in Parlamento dei problemi relativi alla giustizia”. Che c’entra la riforma della giustizia con la condanna di B.? L’indomani, secondo vari giornali, Napolitano riceve le telefonate di Schifani e Berlusconi e forse addirittura una visita in Alto Adige di Gianni Letta: per parlare di che, delle marmotte e degli stambecchi?

Il 3 agosto Bondi avverte: “Agibilità politica a B. o guerra civile”. Napolitano s’infuria: “Parole irresponsabili”. Cicchitto gli rammenta i protocolli segreti delle larghe intese: “Questo governo implicava anche una pacificazione che attenuasse lo scontro frontale berlusconismo antiberlusconismo fondato sull’uso politico della giustizia”. Il Colle replica che non è arrivata nessuna domanda di grazia. Il giorno 4, pesante avvertimento di Sallusti su Il Giornale: “Napolitano, sveglia. C’è in gioco la democrazia e il presidente fa l’offeso. Ma quando toccò a lui la porcata giudiziaria…”. Il 5 Napolitano riceve per un’ora e un quarto i capigruppo Brunetta e Schifani saliti al Colle per invocare “l’agibilità politica”, cioè il salvacondotto per B. Alla fine, non dice affatto di averli respinti con perdite, ma che “esamina con attenzione tutti gli aspetti delle questioni prospettate”. Quali questioni? Il solleone agostano? Il 13, finito di esaminare le questioni, Napolitano dirama una nota ufficiale in cui spiega a B. che cosa deve fare per ottenere la grazia: presentare “la relativa domanda”, “prendere atto” della sentenza di condanna, accettare la pena che “la normativa vigente esclude debba espiare in carcere” (falso), ma in forme “alternative” che il giudice potrà “modulare tenendo conto delle esigenze del caso concreto” (intromissione nell’autonomia del giudice).

Poi il presidente esaminerà “un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale”. Il Giornale, mai smentito, scrive che il messaggio è stato “concordato” con B. che l’avrebbe “letto in diverse stesure, fino a quella definitiva”. Il 10 settembre il suo consigliere Macaluso, intervistato da Repubblica , traduce: “Napolitano ha spiegato che lui una grazia estesa anche alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, non la concederà mai. Non è materia di discussione. Una eventuale valutazione sarebbe circoscritta, quando e semmai dovesse arrivare una domanda di Berlusconi al Quirinale, alla condanna principale”. E l’amico Scalfari scrive più volte su Repubblica che B. deve dimettersi da senatore, poi Napolitano lo grazierà. Nessuna smentita del Colle alle panzane sulla grazia. Il 24, gran consiglio Pdl ad Arcore: i falchi Verdini e Santanchè convincono B. che Napolitano “lo prende in giro”. Alfano si appella “alle massime istituzioni della Repubblica, al premier e ai partiti della maggioranza” perché “garantiscano piena rappresentanza” a B. e ai suoi elettori.

L’indomani Violante apre al ricorso alla Consulta contro la legge Severino, seguito da uno stuolo di scudi umani vicinissimi al Quirinale (Cancellieri, Capotosti, Fiandaca, Onida, Manzella, Vietti e i saggi ri-costituenti Caravita di Toritto, De Vergottini e Zanon). Napolitano ci mette il timbro, facendo sapere al Corriere che ha “letto con attenzione e apprezzamento” l’uscita di Violante. Il 30 B. mette la museruola a falchi e pitonesse e dichiara: “Napolitano se vuole può fare tutto: dare la grazia, commutare le pene, risarcire il danno morale”. Poi ricorda – come riferisce Ugo Magri su La Stampa – che “in un incontro mesi fa al Quirinale, Napolitano gli avrebbe fatto balenare vie d’uscita. Ed è anche in base a questi affidamenti che il Pdl si sarebbe deciso a sostenere le larghe intese”. Il 26 Repubblica e Libero gli attribuiscono una frase ancor più minacciosa: “Rivelerò a tutti le promesse che mi ha fatto Napolitano quando abbiamo acconsentito a far nascere il governo Letta”.

Il 27 Gianni Letta risale al Colle: per invitare Napolitano a una castagnata? Il 3 settembre, accusato dal Giornale di “attentare alla Costituzione” e di essere “mandante e carnefice” dell’eliminazione di B., Napolitano – racconta La Stampa – telefona furente a Letta zio: “Berlusconi, se vuole la clemenza, non può illudersi di non pagare un prezzo politico e di evitare tanto la decadenza quanto le pene accessorie”. Il 6 riceve Confalonieri e il solito Gianni Letta al Quirinale: per parlare dei palinsesti Mediaset? Il 20 intima davanti al Csm di “spegnere il conflitto fra politica e giustizia”. Il 1° ottobre, su Tempi, B. accusa Letta e Napolitano di “distruggere la loro credibilità” e “affidabilità” perché rifiutano di “garantire l’agibilità politica al proprio fondamentale partner di governo” e consentono il suo “assassinio politico per via giudiziaria”. 2 ottobre B. cambia idea e vota la fiducia al governo perché – dice – “abbiamo avuto rassicurazioni da Letta”: sul prezzo dei fagiolini? Il giorno 8, guardacaso, Napolitano si appella alle Camere perché approvino l’amnistia e l’indulto. Questa è la consecutio tempurum degli ultimi mesi, tratta dalle cronache di tutti i giornali escluso il Fatto, che scrive “ridicole panzane” e dunque non conta. Signor Presidente, come si dice dalle sue parti: “ccà nisciuno è fesso”.

Più agibilità per tutti

Schifani: “Rinvio su decadenza o crisi”;

Cicchitto: “Intervenga il Colle”

In un paese normale un indagato per mafia e un ex piduista, entrambi al servizio del delinquente onnipotente, non avrebbero nessuna possibilità di rivolgersi alla più alta carica dello stato usando l’intimidazione e lo strumento ormai consueto del ricatto, ma siccome siamo in Italia la più alta carica dello stato non solo non si sente intimidito e ricattato ma  non trova disdicevole, riprovevole né tanto meno eversivo che da venti giorni, ovvero dal giorno della sentenza che ha condannato definitivamente berlusconi per frode fiscale la politica, tutta, sia entrata nel panico, concentrata unicamente alla ricerca del sistema per evitare che quella sentenza venga applicata anche al pregiudicato silvio berlusconi. 

Bisognerebbe prendere atto, definitivamente, che l’unico principio sul quale si può reggere una parvenza di unità e uguaglianza in Italia è quello della disonestà tout court. E non perché lo dico io ma perché ce lo hanno spiegato, e a lettere chiarissime, sia la politica che le istituzioni.

Però a pensarci bene questa faccenda della retroattività che annulla le sentenze è intrigante, potrebbe tornare utile a un sacco di gente, offrire un’agibilità a tutti i condannati a seconda delle loro esigenze: in fin dei conti non esiste da nessuna parte il diritto all’agibilità politica ma grazie a berlusconi che di mode ne ha inventate tante e altrettante se non di più ne hanno inventate per lui, per non turbarlo, scontentarlo,  per consentirgli di fare il cazzo che vuole a dispetto della legge, della Costituzione,  anche in questo caso, come per la grazia, altra gente potrebbe approfittare dell’occasione “diritto in demolizione” della Viva & Vibrante Soddisfazione Production.

Non si capisce perché si debba negare un’agibilità ad altri ladri, evasori, corruttori con altissime probabilità di accumulare altre condanne definitive circa reati quali la concussione e lo sfruttamento della prostituzione minorile come berlusconi; ognuno avrà la sua personalissima lista di motivi per pretenderne una, per ottenere una deroga ad libitum. 

Se la politica ha deciso che questo paese va sfasciato dalle sue fondamenta facciamolo bene, non solo a beneficio e vantaggio di berlusconi ma anche di altri; rendiamo operativo una volta e per tutte il diritto a delinquere senza quelle conseguenze che poi impedirebbero a chi scientemente viola le leggi di poter usufruire di un’agibilità ad personam.

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Capotosti e Capomosci 

Marco Travaglio, 20 agosto 

Al ventesimo giorno dalla sentenza della Cassazione sullo scandalo dei diritti Mediaset, il dibattito politico-giornalistico sul destino di B. è già riuscito nel gioco di prestigio di far scomparire dalla scena il fatto da cui tutto nasce.

E cioè che B. è un delinquente matricolato, avendo costruito negli anni 80 un colossale sistema finalizzato all’esportazione di capitali all’estero, extrabilancio ed extrafisco, per corrompere giudici, politici, finanzieri, derubare gli azionisti di una società quotata e compiere altre operazioni fuorilegge in Italia e all’estero almeno fino al 2003, quand’era in Parlamento da 9 anni e aveva ricoperto due volte la carica di presidente del Consiglio. 

Dunque, in base al Codice penale, è un detenuto in attesa di esecuzione della pena, che potrà scontare in carcere o ai domiciliari o, se ne farà richiesta, in affidamento ai servizi sociali. Inoltre, in base a una legge liberamente votata otto mesi fa da tutto il Parlamento italiano e anche da lui – la Severino del 31-12-2012 –, è ufficialmente decaduto dalla carica di parlamentare e non può ricandidarsi per i prossimi 6 anni, come tutti i condannati a più di 2 anni. 

Punto. 

Ma il dibattito scaturito dalla sentenza ha preso a svolazzare nell’iperuranio, attorno al presunto diritto del condannato all’“agibilità politica” (appena 8 mesi dopo che egli stesso ha votato una legge per negare l’agibilità politica ai condannati), la “guerra civile” fra politici e magistrati o fra berlusconiani e antiberlusconiani, la grazia, la commutazione della pena e altre cazzate. L’ultima è la supposta incostituzionalità della legge Severino, di cui nessuno si era peraltro accorto 8 mesi fa quando tutti allegramente la votarono per fregare gli elettori con la bufala delle “liste pulite”.

L’avvocatessa ed ex ministra Paola Severino è ufficialmente dispersa e non dice una parola in difesa della legge che porta il suo nome: pare anzi che abbia avviato le pratiche all’anagrafe per cambiare cognome. Ma il meglio lo danno certi costituzionalisti, che difendono un giorno il diritto e l’indomani il rovescio. Specie quelli più vicini al Quirinale, costretti a contorsionismi imbarazzanti per seguire le bizze di Napolitano, che cambia idea a seconda di come si sveglia la mattina. 

Ieri, sul Corriere , è partita in avanscoperta per tastare il terreno la premiata ditta ‍Ainis&Capotosti. 

Michele Ainis per sostenere che se B. è stato condannato per frode fiscale non è perché frodava il fisco, ma per via dell’eterno “conflitto tra politica e giustizia”, insomma una “baruffa tra poteri dello Stato”. 

Ma ora bisogna “separare i due pugili sul ring” (il frodatore fiscale e i giudici che l’hanno condannato). Come? Magari suggerendo ai politici di non delinquere e ai partiti di non candidare delinquenti? No, ripristinando l’autorizzazione a procedere abolita nel ’93 per “far decidere al Parlamento” se un senatore sia o meno un frodatore fiscale.

È vero, ammette bontà sua Ainis, che l’autorizzazione a procedere si prestava ad “abusi”, coprendo anche parlamentari inquisiti senz’ombra di “fumus persecutionis”: ma subito dopo caldeggia nuovi abusi, sostenendo che la frode Mediaset, dove non c’è fumus ma molto arrosto, andava sottoposta “al visto obbligatorio delle Camere”. Non è meraviglioso? 

Poi c’è Piero Alberto ‍Capotosti, presidente emerito della Consulta e commentatore multiuso. Il 5 agosto, intervistato dal Corriere, non sentiva ragioni: “Ho molti dubbi sulla tesi di Guzzetta che pone un problema di retroattività, perché la legge non parla del reato, ma della sentenza. L’art. 3 dell’Anticorruzione si riferisce a chi è stato condannato con sentenza definitiva a una pena superiore a 2 anni. L’elemento determinante è la sentenza definitiva. 

Che poi si riferisca a fatti accertati anche 20 anni fa importa poco. È la sentenza che determina l’incandidabilità. Quella del Parlamento dovrebbe essere una presa d’atto”. Cioè: B. deve andarsene dal Senato e non farvi più ritorno per i prossimi 6 anni. L’11 agosto il tetragono ‍Capotosti veniva intervistato da Repubblica.

Domanda: che succede se si vota in autunno?

Risposta secca: “Scatterebbe l’incandidabilità prevista dall’art. 1 della Severino. L’importante è che si tratti di una sentenza definitiva”. Pane al pane e vino al vino. 

Poi però Napolitano ha monitato, B. ha minacciato e la rocciosa intransigenza di ‍Capotosti ha assunto la consistenza di un budino. 

Rieccolo ieri intervistato dal Corriere : “Che la legge Severino non possa essere retroattiva o debba scattare l’indulto, non è un’eresia. La norma è nuova, priva di giurisprudenza consolidata, vale la pena ragionarci. Ci sono problemi interpretativi, perché non ci sono precedenti”. In verità uno c’è, in Molise, ma “un caso non fa giurisprudenza”. Dunque “sembrerebbe logico che il Senato prenda atto della sentenza, ma il Parlamento è sovrano” e può anche votare contro una legge fatta 8 mesi prima perché “a giudicare i parlamentari in carica può essere solo il Parlamento” e “l’incandidabilità incide sul diritto costituzionalmente tutelato ad accedere alle cariche elettive e quindi la sua applicazione dovrebbe essere disposta da un giudice” e ora “per legge non lo è”.

Quindi sta’ a vedere che la Severino è incostituzionale e i partiti che l’hanno appena approvata possono impugnarla dinanzi alla Consulta per chiederle di bocciarla, intanto passano un paio d’anni e il delinquente resta senatore, magari dagli arresti domiciliari. Sarebbe l’ennesimo miracolo del Re Taumaturgo: basta un monito, e la legge diventa così tenera che si taglia con un grissino.

Ladro a casa sua

Napolitano è sempre in sintonia con la legge e la giustizia.
E coi Magistrati, soprattutto.

Condannano sallusti e lui lo grazia in spregio della Costituzione che vuole che il condannato abbia scontato almeno una parte di pena: la grazia si concede eventualmente sul residuo, non sull’evanescente di una detenzione mai iniziata.

Arriva l’ultimo grado, la sentenza definitiva di un processo durato dieci anni e che ha visto berlusconi imputato e poi condannato in via definitiva e lui che fa? si preoccupa della riforma della giustizia.

Un tempismo eccellente, non c’è che dire.

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Sottotitolo: I turisti che  nel pomeriggio passeggiavano vicino alla Cassazione chiedevano ai passanti cosa stesse succedendo di così importante. Il perché di tutta quella confusione.
E avevano ragione a stupirsi, nei paesi normali, quelli dove vivono loro, non si blocca un paese ogni settimana per aspettare le sentenze di un delinquente recidivo.
Per non occuparsene più ne basta una, la prima, che generalmente se si conclude con una condanna resta anche l’unica. Non c’è il diritto a giocarsi il jolly dell’impunità, nei paesi normali.
E nemmeno quello di presentarsi in televisione in videoconferenza, senza nessun contraddittorio a poche ore da una condanna definitiva per frode fiscale. Cosa siamo, l’Italia o la Libia di Gheddafi?
Il tempo è galantuomo. Anche se ce ne sarebbe da recriminare, e i cosiddetti italioti, gli italiani beoti che hanno sostenuto berlusconi col voto, quelli che hanno creduto alle promesse – molti lo fanno ancora ma sono sempre meno – del millantatore delinquente,  non sono certamente quelli che vengono prima in un’ipotetica lista dei colpevoli.
Ho sempre pensato che non bisognava prendersela con loro, solo con loro ma principalmente con chi ha consentito che un impostore, un abusivo, un delinquente, e lo era già allora: quando si è presentato davanti agli italiani era un impresario fallito con un piede a san Vittore, ma soprattutto  il mantenimento in essere del berlusconi “politico”,  sono anni che l’evidenza dei fatti ci dice che c’è stata una finta opposizione che si è immolata volontariamente nel progetto di farlo restare dov’è. Ad ogni costo.
E chissà perché.
Farà in tempo Napolitano  a revocare l’onorificenza al delinquente o bisognerà attendere 32 anni come con Gelli? 
 
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Berlusconi, in un giorno è crollato tutto

Condannato in via definitiva a quattro anni perché ha frodato il fisco per decine di milioni. Sbugiardato sul conflitto d’interesse: la Cassazione ha stabilito che non ha mai smesso di comandare a Mediaset anche da premier. Smentito nella grande balla sulla “persecuzione delle toghe rosse milanesi”: il verdetto più pesante è stato emesso da cinque moderatissimi magistrati a Roma. Per ora il Cavaliere resta senatore e non va in carcere, ma in autunno può succedere di tutto.

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SILVIO BERLUSCONI CONDANNATO
Cassazione conferma i 4 anni di carcere

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Mediaset è stata derubata da berlusconi.

Questo ha detto la sentenza.

Il processo non è stato contro l’azienda ma contro la persona come ha spiegato Travaglio da Mentana.
La legge Severino prevede l’incandidabilità dei condannati oltre i due anni: una legge che ha fatto anche berlusconi che è stato condannato a quattro anni.

Ecco perché non si possono separare le vicende giudiziarie di un frodatore condannato IN VIA DEFINITIVA con quelle politiche e di un governo di cui il condannato fa parte.

Il pd, ricordava Barbacetto oggi in collegamento da Milano per la diretta streaming del Fatto Quotidiano, conosceva benissimo il calendario dei processi di berlusconi, nessuno può dire che non sapeva, non immaginava né tanto meno provare imbarazzo perché si ritrova un delinquente – ora con sentenza definitiva passata in giudicato  ma non è che fino a qualche ora fa  fosse uno stinco di santo –   per alleato di governo.

La vergogna però sì, quella è necessaria.

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Per non perdere l’allenamento! Massimo Rocca

Adesso possiamo dire quello che abbiamo sempre detto. Che l’intera avventura di Berlusconi in politica è stata una gigantesca battaglia, alla fine perduta, per evitare la galera che gli spettava per i suoi comportamenti criminali. Che per vent’anni una metà degli italiani gli è stata complice e l’altra metà è stata rappresentata da gente che ha, purtroppo, moralmente concorso ad alimentare la colossale maskirovka del suo essere politico e non criminale. Dopodiché, come è ovvio quando si prende in ostaggio un intero paese per un quinto di secolo, l’avventura è stato anche altro. Come ogni regime il potente ha diffuso attorno a se ricchezze e corruzione, materiale e morale. Ha saputo identificarsi e farsi identità del paese delle scorciatoie, rappresentare finché è loro convenuto gli interessi globali, il se vince lui vinciamo tutti di Gianni Agnelli. Oggi possiamo accontentarci di questo, di avere avuto ragione. Oppure no. Di pretendere che la sentenza illumini retroattivamente la nostra storia e chiedere di cambiarla. Senza Piazzali Loreto e muri di Dongo. Ma non tollerando più, costi quel che costi, la coabitazione con un delinquente abituale.

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Sentenza Mediaset: le prime tre conseguenze della condanna 

Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano

La condanna di Silvio Berlusconi per il reato gravissimo di frode fiscale ha tre immediate conseguenze.

Primo: dopo vent’anni di scorciatoie, minacce, forzature e vergognose leggi ad personam l’uomo di Arcore è incappato in una sentenza definitiva: da questa sera è tecnicamente un pregiudicato che entro sei mesi o giù di lì dovrà scontare una pena detentiva, arresti domiciliari o servizi sociali. Per la prima volta l’articolo 3 della Costituzione viene attuato completamente: la legge è uguale per tutti compreso il miliardario di Arcore.

Secondo: le conseguenze politiche di questa sentenza storica sembrano inevitabili: le grandi intese vanno in pezzi e il governo potrà anche sopravvivere per un po’ ma sarà come un morto che cammina.

Terzo: ora per lorsignori diventa più difficile stracciare la Costituzione. Un partito guidato da un pregiudicato non può accostarsi per stravolgerla alla Carta fondamentale della Repubblica. E se quelli del Pd che in queste ore si nascondono dietro i berluscones non vorranno capirlo saranno travolti da una valanga di firme. Sotto l’appello del Fatto stasera sono già 200mila ma possiamo rapidamente arrivare a 500mila.

Forza, dimostriamo che la democrazia dei cittadini è più forte del regime dei pregiudicati.  

Firma l’appello

La questione immorale

Sottotitolo: la mia solidarietà e la mia vicinanza affettuosa  alla famiglia di Stefano Cucchi, senza l’obbrobrio della legge che porta il nome di fini e giovanardi Stefano sarebbe ancora vivo, nessuno lo avrebbe mai arrestato per una manciata di fumo, e non sarebbe mai morto di botte, di fame e di stato.

Ilaria Cucchi: Tutti condannati. Anche Stefano

Caso Cucchi, stai a vedere che è colpa di Stefano

Incredibile requisitoria al processo per la morte del detenuto. Insinuazioni su di lui e i familiari. Chieste pene lievi.

Nel frattempo, a Palermo si va in giro così, non per colpa delle banane, e nemmeno del traffico.
Un paese che difende i suoi figli migliori col mitra e quelli peggiori con un posto in parlamento assicurandogli immunità e impunità è un paese da buttare.

Napolitano sponsorizza le larghe intese
E attacca le “campagne moralizzatrici”

Oggi gli eversori sono quelli che difendono la Costituzione, la giustizia, la legalità e l’onestà, anche quella intellettuale.

Tutti gli altri sono statisti moderati, comunisti pentiti, gente che ha prodotto solo disastri per opportunismo politico o perché sotto il ricatto di qualcuno che ha avuto evidentemente ottimi argomenti per tenere sotto scacco lo stato e le sue istituzioni.

Io oggi mi sento legittimata e autorizzata a pensare quello che voglio della politica di questo paese, del suo agire, e a fare tutte le ipotesi che lo stato delle cose suggerisce.
Che si vergognino, e anche molto, tutti quelli che in questi lunghissimi mesi di caos hanno cercato di convincere gli italiani che Napolitano stava lavorando bene, che lo hanno difeso quando firmava, quando taceva invece di parlare e quando faceva il contrario per portare acqua al mulino di qualcuno, una volta era Monti, un’altra berlusconi, un’altra ancora i partiti politici ma mai, MAI una per quel popolo che avrebbe dovuto garantire e tutelare.
Mancano le parole per descrivere lo sgomento che si prova a rendersi conto di essere stati lasciati soli, in balia di politici disonesti, di uno stato sempre assente ma che in compenso dai cittadini onesti, da quelli in difficoltà, dai poveri ha preteso tutto.

Un presidente della repubblica che ha ostacolato varie volte – non solo ieri ma in tutto il suo settennato legittimando un abusivo impostore, favorendogli il cammino nell’illegalità firmando leggi apposite per renderlo “più uguale degli altri” e quindi non soggetto al rispetto delle leggi e delle regole – l’opera di moralizzazione nella politica che in questo paese non è solo opportuna ma proprio necessaria, che promuove, dopo quasi due decenni di accordi sottobanco che hanno generato il caos, il disastro etico e morale di questo paese, un’intesa a cielo aperto fra un partito di sgarrupati incapaci e quello di proprietà del primo delinquente d’Italia.

Una richiesta spacciata per compromesso storico, per un’azione politica utile al bene del paese; una conciliazione necessaria, e che importa poi se per raggiungere l’obiettivo si calpesta la Storia, si offende la memoria di due galantuomini per far passare l’idea che sì, in fin dei conti si può fare perché berlusconi e Bersani sono uguali ad Enrico Berlinguer e Aldo Moro, si tace sulle conseguenze di quel compromesso del ’76 che ha prodotto  bettino craxi, silvio berlusconi e i governi della p2.

Tutto questo per far finta che in questo paese non sia successo niente, per  delegittimare i cinque stelle che, con buona pace di chi non si rassegna sono stati votati dalla gente e come scrivevo all’inizio della loro avventura tutti coloro che sono scelti dalla gente per mezzo del voto hanno il diritto di esprimersi come tutti gli altri, quelli che c’erano prima e che ci hanno portato fino a qui.  Mi sono sempre tenuta fuori dalla guerriglia contro i 5S anche per questo motivo, per essere libera di dare ragione o torto quando bisogna farlo, senza farmi condizionare da nessuno.

Napolitano: il miglior migliorista di tutti, quello che Kissinger definì “il mio comunista preferito”, e adesso sappiamo anche il perché.