Semel in anno licet insanire [una volta l’anno è lecito impazzire]

Le belle parole senza le azioni a seguirle, significano solo ipocrisia.

Non c’è pace senza giustizia,  e in un paese dove lo stato tratta, patteggia, riduce le pene ai criminali, li fa sedere perfino al tavolo della politica, non li condanna ma se li tiene da conto, non potrà mai esserci né pace né giustizia. E nemmeno libertà.

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Capaci di memoria | 23 maggio 1992 – 23 maggio 2014

“Giovanni Falcone è “attuale” al cospetto di un capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che mise nel tritacarne mediatico e istituzionale, senza tradire il benché minimo rossore, un pugno di magistrati palermitani che avevano deciso – prima coordinati da Antonio Ingroia, poi da Nino Di Matteo – di raccogliere il meglio dell’eredità falconiana indagando sulla “trattativa” Stato-Mafia. Giovanni Falcone resta “attuale” in un Paese in cui, un capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha preteso e ottenuto che le sue telefonate con l’indagato Mancino Nicola fossero mandate al macero”.

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Chi piagnucola davanti ai ragazzi della nave della legalità è lo stesso presidente che si dimenticò di dare un sostegno anche e solo di parole a Nino Di Matteo, giudice antimafia minacciato di morte dalla mafia? 
Lo stesso che nel ventennale della strage di Capaci disse che “lo stato vent’anni fa non si lasciò intimidire” mentre nel governo c’era l’amico dei mandanti delle stragi di mafia? Lo stesso che si rifiuta di collaborare al processo sulla trattativa tutt’altro che presunta fra la mafia e lo stato? E alfano, incredibilmente e ancora ministro dell’interno che parla di legalità è lo stesso che ha sostenuto, e lo fa ancora, non fatevi ingannare dalle apparenze, l’amico dei mafiosi, di dell’utri, dell’eroe mangano? E Renzi, attuale presidente del consiglio, quello che dice ad altri “giù le mani da Berlinguer”, come se lui invece ce le potesse mettere, è lo stesso che ha fatto accordi in profonda sintonia con l’amico della mafia? È questo lo stato forte che non si lascia intimidire e combatte la mafia, l’illegalità? 

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“Giovanni, amore mio sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me, come io spero di rimanere viva nel tuo cuore. Francesca” [Biglietto di Francesca Morvillo a Giovanni Falcone, ritrovato nella cancelleria del Tribunale di Palermo]

Povero Giovanni, tradito e insultato da vivo e da morto. Da morto per lo stato, per questo stato.

Quel paese ridicolo che è l’Italia

Giusto per non dimenticare che, a due giorni dall’anniversario della strage di Capaci qualcuno in parlamento ha pensato ad una legge per tutelare i mafiosi e non le vittime. Questo, evidentemente, fa sempre parte del pacchetto di pacificazione nazionale, di quella lotta antimafia di cui in questo paese si sente molto parlare finché la mafia non va a toccare qualche “eccellenza”, o per meglio dire l’eccellenza si fa toccare volentieri dalla mafia, qualche senatore, a vita e non, un ex presidente del consiglio che con la mafia non solo ha avuto molto a che fare ma se la teneva pure in casa nella persona dell’ “eroe” vittorio mangano, quello che gli metteva le bombe sul cancello di casa “per affetto, simpaticamente”. I nostri combattenti antimafia, quelli che poi in parlamento votano no all’arresto di un fiancheggiatore della camorra e si tengono ancora uno condannato per concorso esterno e lo chiamano senatore. Ecco, per capire che quelli circondati siamo noi che a queste porcherie non ci possiamo ribellare, non possiamo nemmeno dire che non ci piacciono senza essere accusati di istigazione all’odio.

Una busta con dei proiettili è stata recapitata, proprio oggi, poco fa, al pm Ilda Boccassini, nota fomentatrice di odio e di razzismo.

Donna avvisata, mezza salvata.

 

 

 

E no. Non dimentichiamo. Ci esploderà il cervello prima o poi, a furia di riempirlo coi ricordi.

Preambolo: la mia sensazione che a Don Gallo abbiano voluto bene più gli atei, i laici, che molti cattolici.

Monti: “Ineleggibilità Berlusconi?
Ridicolo applicarla dopo 8 elezioni”

Anche il prof sobrio, l’eminenza grigia che avrebbe dovuto salvare l’Italia dalla catastrofe, ci fa sapere che sarebbe ridicolo applicare l’ineleggibilità di berlusconi dopo otto elezioni e che l’esclusione di b dalla politica “renderebbe ridicola l’Italia”.
Strano, perché a me e non solo a me pare che l’Italia sia stata ridicolizzata agli occhi del mondo proprio e da quando è stato permesso a b di entrare in politica da ABUSIVO e di poterci restare malgrado e nonostante i suoi reati, i suoi scandali e tutto quel pessimo che ha caratterizzato la sua attività “politica”.
Quello che non è solo ridicolo ma che va contro ogni regola democratica e costituzionale è aver favorito l’impostore  e non aver applicato per tempo una legge che avrebbe riparato l’Italia da berlusconi.
Fu proprio Monti a parlare di berlusconi definendolo un cialtrone, questo suo giudizio ultimo cos’è, uno dei risultati della famosa pacificazione nazionale?

 Usare ancora la balla della legittimazione del popolo a proposito dell’ineleggibilità di berlusconi è semplicemente rivoltante: berlusconi, in questo paese di smemorati, opportunisti, ignoranti storicamente e non troverebbe qualcuno che lo vota anche se commettesse un omicidio in diretta televisiva, perché quei qualcuno probabilmente penserebbero che per non votarlo più ci vuole un motivo ancora più grave dell’omicidio. 
E da questa spirale perversa non si uscirà mai finché berlusconi non verrà buttato fuori dal parlamento  perché lo dice la legge, e non lasciato dov’è perché lo decide una percentuale di italiani imbecilli ai quali ancora certe dimostrazioni di chi è la persona berlusconi non sono bastate.

Nanucapione
di Marco Travaglio, 23 maggio

La scena ricorda quelle dei film di Er Monnezza. Esterno notte, strada buia alla periferia di Roma illuminata dai fuocherelli delle mignotte. Ne arriva una nuova e viene subito scacciata dalle veterane: “‘Abbella, qua ce stamo noi, questa è zona nostra”. E la novizia deve sloggiare. È quel che sostengono anche i servi di B. sparsi nel Pdl, nel Pd e sui giornali, impegnatissimi a difendere la sua permanenza abusiva in Parlamento col decisivo argomento che lui sta lì da vent’anni, non importa se illegalmente in base alla legge 361 del 1957: quella è zona sua. È una nuova versione di quella che in diritto si chiama “usucapione”: se uno s’impossessa di un bene non suo, dopo vent’anni ne diventa proprietario. Ora, siccome dal ’94 centrodestra e centrosinistra si sono dati il cambio nel dichiararlo eleggibile anche se non lo era, B. dopo vent’anni ha acquisito il seggio per nanucapione. Michele Ainis, giurista, riconosce sul Corriere che in effetti la legge “proibisce l’elezione dei titolari di concessioni (come le frequenze tv) da parte dello Stato” e la ragione è “evidente anche a un bambino: disinnescare i conflitti d’interesse”. Quindi B. vende le tv o lascia il Senato? Eh no, troppo semplice: visto che dal ’94 “ha prevalso un’interpretazione formale o formalistica” (i nuovi sinonimi di “illegale”), può restare lì in eterno: “C’è un che di fanciullesco nella pretesa di riscrivere il passato usando la legge come una macchina del tempo… Dicono i 5Stelle: su B. fin qui avete sbagliato, perché mai perseverare nell’errore? Risposta: perché nel diritto parlamentare ogni errore reiterato si trasforma in verità”. Errare è umano, perseverare è legge. Solennissima corbelleria: da anni le Camere immunizzano i propri membri dai processi per diffamazione con la scusa dell’insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare nell’esercizio delle funzioni; ma non si contano le sentenze della Consulta che ribaltano quei voti fuorilegge e autorizzano i giudici a procedere. Ma per i giuristi alla Ainis il rispetto delle leggi dello Stato non è un valore: è una bizzarra pretesa dei 5Stelle. I quali, appena arrivati, sono ancora dei ragazzini. Ma si spera che diventino presto uomini di mondo. Come diceva Giolitti, la legge per i nemici si applica e per gli amici si interpreta. Anzi, si viola. Con l’ulteriore complicazione che qui amici e nemici si son sempre messi d’accordo per un piatto di lenticchie. Memorabile il titolo di Repubblica sul Pd, che ancora due mesi fa giurava con Bersani, Zanda e Migliavacca che avrebbe votato per l’ineleggibilità di B., e ora ha cambiato idea (o più probabilmente mentiva due mesi fa): “La rassegnazione dei democratici: ‘Impossibile far decadere Silvio'”. Ecco, non è colpa loro, ma di misteriosi fattori esogeni: le avverse condizioni metereologiche? Malèfici influssi extraterrestri? E par di vederli i poveri democratici, incolpevoli di tutto, mentre guardano “rassegnati” i democratici che corrono a salvare B. un’altra volta. Violante detta la linea: “Per 3-4 volte abbiamo votato per l’eleggibilità. Se non ci sono fatti nuovi non vedo perché dovremmo cambiare questa scelta”. Lui è sempre a disposizione: quando B. chiama, scatta in automatico il Pronto Intervento Violante. Dovrebbero dotarlo di sirena e lampeggiante, per evitare che resti impigliato nel traffico e arrivi in ritardo. Oppure, visto che Ghedini e Longo ultimamente lasciano un po’ a desiderare, nominarlo avvocato difensore di B. ad honorem . Anche perché ha già figliato una nidiata di violantini. Per esempio Doris Lo Moro, che sarebbe pure un magistrato: “Quella del 1957 è una norma evanescente perché il ’57 è secoli fa”. Anche le leggi, come i reati, cadono in prescrizione dopo un po’. Se la gentile signora Lo Moro ci dice dopo quanti anni, è fatta. Il furto, per esempio, è punito almeno da quando Mosè scese dal monte Sinai con le tavole della legge. Millenni fa. Se anche il settimo comandamento è evanescente, ci divertiamo.

Peppino, l’Italia e la memoria violentata

Il casolare dove fu assassinato Peppino Impastato venga consegnato alla collettività: l’appello si può firmare su http://www.change.org/it

I tifosi del Torino durante il minuto di silenzio per la morte di Andreotti, alzano una foto di Falcone e Borsellino.

Scrivevo ieri sera nella mia bacheca di  facebook che a parte qualche sporadico flash nessun telegiornale di punta e nelle ore di punta ha ricordato ieri Peppino Impastato ammazzato dalla mafia trentacinque anni fa, il 9 maggio, lo stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, niente succede per caso, l’hanno ammazzato apposta il 9 maggio così tutti avrebbero parlato di Moro e non di lui. 

Anche questo fa parte del progetto Portella della Ginestra il cui marchio è stato depositato il 1 maggio del 1947.

Ecco come si uccide anche la memoria dopo le persone, in questo paese i morti di mafia e di stato si ricordano solo quando si vogliono insultare, per informazioni chiedere alle famiglie Giuliani, Cucchi e Aldrovandi, per non parlare di quanto sono stati e sono ancora insultati i Magistrati antimafia ammazzati dalla mafia dopo essere stati abbandonati da quello stato che avrebbe dovuto proteggerli, sostenerli, difenderli.
Ecco perché tocca a noi ricordare, senza nulla togliere alla statura morale e politica di Moro [i politici che non valgono niente non li ammazza nessuno: al massimo li nominano nelle commissioni, li fanno ministri, se poi valgono meno di niente possono addirittura aspirare alla presidenza del consiglio: il riferimento non è solo al noto delinquente ma anche ai suoi eredi, figliocci, o per meglio dire, nipoti]. 
Se questo fosse un paese normale, un ragazzo di trent’anni che ha speso tutta la sua giovane vita a combattere le ingiustizie, la criminalità, la mafia, e non lo faceva dalla tastiera di un computer ma in prima linea, mettendoci tutto se stesso e che per questo è stato ammazzato dovrebbe essere un punto di riferimento per le nuove generazioni, dovrebbe essere ricordato nelle scuole di ogni ordine e grado di tutta Italia, gli dovrebbero intitolare piazze e vie, mentre invece solo l’anno scorso il prete di una chiesa di Catania negò la commemorazione religiosa a Peppino con la motivazione che “i tempi non erano ancora maturi”, solo qualche giorno prima nella stessa chiesa lo stesso prete non negò la celebrazione di una messa dedicata a mussolini nell’anniversario della sua morte.
Ma per Napolitano il grande dramma di questo paese è la violenza verbale, questo sì, è veramente preoccupante.
Dire due parole nel merito di una sentenza che ha confermato la condanna al noto delinquente di cui sopra è invece disdicevole, anzi no, è divisivo.

“Napolitano è andato alla camera ardente di Andreotti e il presidente del Senato Grasso, fino all’altroieri procuratore anti-mafia, è andato al funerale. Il giorno prima era a quello di Agnese Borsellino, il giorno dopo a quello di Andreotti: prima il dovere poi il piacere. E ora qualcuno trattiene il fiato, perché Provenzano sta poco bene”.

 “I politici considerano Andreotti il loro santo protettore: ne ha combinate di tutti i colori, ma l’ha sempre fatta franca. Per loro è un portafortuna e un motivatore: se l’ha sfangata persino uno come lui, noi nanetti che -per quanto ci sforziamo- non riusciremo
mai a combinarne tante, siamo a cavallo. Perciò ripetono come un mantra che è stato assolto: la sua falsa assoluzione è anche la loro, per quel che han fatto e per quel che faranno. Ma, oltre alla statura dei politici, si dice che c’è anche un’altra differenza fra prima e seconda Repubblica: la perdita dell’ipocrisia…” [Marco Travaglio]

Gli interdetti
Marco Travaglio, 10 maggio

Mette sempre di buonumore leggere i giornali di B. all’indomani di una sentenza su B. Intanto perché denotano una preoccupante penuria lessicale, ai limiti dell’analfabetismo di ritorno (e anche di andata). Usano sempre le stesse 3 o 4 parole: persecuzione, politicizzazione, orologeria e — ultima new entry — pacificazione. Si domandano il perché di tanti processi a B., con la stessa impudenza con cui Riina si domanda il perché di tanti processi a Riina: l’idea che il numero dei processi di un imputato mai denunciato da nessuno derivi dalla sua capacità criminale non li sfiora proprio. E soprattutto abbandonano ogni barlume di logica: usano le sue presunte “assoluzioni” (quasi sempre prescrizioni del reato commesso o depenalizzazioni del delitto contestato) per dimostrare che B. è un perseguitato, senz’accorgersi che i perseguitati non vengono assolti; e che, dando credito alle sentenze che assolvono, si dà automaticamente credito anche a quelle che condannano. Un altro refrain è quello di inquadrare le sentenze nel clima politico del momento. Se B. viene condannato prima delle elezioni, è una manovra per fargliele perdere; se dopo aver vinto le elezioni, è una rappresaglia contro la vittoria; se dopo averle perse, è un complotto per fiaccare l’opposizione; se mentre va al governo col Pd, è un colpo mortale alla pacificazione del Paese. Qualunque sia la durata dal processo, è sempre troppo breve. Quello sui diritti Mediaset iniziò nel 2006: eppure il Giornale titola sulla “sentenza a tempo di record” e Libero sulla “sentenza lampo”: in effetti appena sette anni per due gradi di giudizio denotano una fretta sospetta. Ci vuole una riforma per rallentare un altro po’. Per Sallusti, “B. è l’unico capitano d’industria che per i giudici non poteva non sapere”. E il suo gemello con le mèches, su Libero , lamenta che in appello non siano stati risentiti tutti i testi e gli imputati (non sa, lo sventurato, che salvo casi eccezionali l’appello si fa sugli atti del primo grado) e che i giudici milanesi, dunque persecutori, hanno “scelto” di confermare i 5 anni di interdizione, ma “è lecito dubitare” che la “scelta” verrà confermata dalla Cassazione, che per fortuna “non è ancora a Milano”, dunque immune dal virus. Non sa, il poveretto, che per le condanne superiori ai 3 anni è obbligatoria e automatica l’interdizione di 5 anni, e per quelle sopra i 5 anni l’interdizione perpetua (art. 29 Cp). Lorsignori, poi, fingono di ignorare le carte del processo, da cui emerge che B. non è stato condannato perché non poteva non sapere, ma perché sapeva e faceva. Confalonieri “è fortemente plausibile che fosse a conoscenza della frode e, violando i suoi precisi doveri, nulla abbia fatto”, ma in mancanza di prove ulteriori è stato assolto. Su B. invece esistono — si legge nella prima sentenza, confermata l’altroieri — pesano “piene prove orali e documentali”. 
La testimonianza dell’ex Ad Fininvest Franco Tatò: “L’area dei diritti tv era assolutamente chiusa e impenetrabile, gestita da Bernasconi che dava conto direttamente a Berlusconi e non al Cda”. Quella dell’ex responsabile contratti Silvia Cavanna: “Bernasconi mi diceva ‘picchia giù con i prezzi’ solitamente dopo incontri ad Arcore con Berlusconi”. Una mail del contabile della Fox, Douglas Schwalbe: “Non si vuole che Reteitalia (Fininvest, ndr) faccia figurare utili… i profitti vengono trattenuti in Svizzera”, le reti tv “sono state ideate per perdere soldi… L’impero di Berlusconi funziona come un elaborato shell game con la finalità di evadere le tasse”. La lettera-confessione del produttore-prestanome Frank Agrama: “Ero loro rappresentante” (di Mediaset). Altre formidabili prove non sono disponibili solo perché — racconta la Cavanna — dopo le prime perquisizioni “furono fatti sparire 15 anni di carte in Lussemburgo, credo con camion”. 
In qualunque altro paese del mondo, uno così non farebbe le marce davanti ai tribunali. 
Ma al gabbio, nell’ora d’aria.

Giovanni Impastato, fratello di Peppino, denuncia: «Mi chiedo se sia un paese civile quello che ricopre con l’immondizia il sangue di mio fratello. È vergognoso, quel casolare è il luogo della memoria più importante della Sicilia che ha lottato contro la mafia. Mi chiedono di mettere almeno una targa, ma il tetto è rotto e il proprietario porta qui le mucche a pascolare. Qualche giorno fa mi sono recato sul posto insieme a una scolaresca di ragazzi del Nord, ma ho bloccato tutto perchè ho provato vergogna. Non dico di mettere il tappeto rosso, ma il sindaco potrebbe almeno vigilare sulla pulizia facendo leva sul proprietario».

«È una questione di dignità, noi qui abbiamo trovato il sangue di Peppino. Mi vado sempre più convincendo che la memoria di Peppino non interessa più a nessuno. Neanche a quelli che dicono di volerla difendere, fra le istituzioni e la cosiddetta società civile. La verità è che siamo stati abbandonati da tutti».

Firma questa petizione per aderire all’appello di Rete 100 passi.

http://www.change.org/it/petizioni/il-casolare-dove-fu-assassinato-peppino-impastato-venga-consegnato-alla-collettività-4?utm_campaign=autopublish&utm_medium=facebook&utm_source=share_petition

Meno male che Marco c’è

Preambolo: SENTENZA STORICA Mediaset  perde contro Travaglio  

Quest’anno le vacanze a Travaglio le paga silvio: non è meraviglioso?

Sottotitolo: se a centrosinistra vinceranno le elezioni hanno detto di voler fare una legge per evitare la commistione fra la Magistratura e la politica [per quella con la mafia invece no, ci vorrà ancora un po’ di tempo: il paese non è pronto e la gggente non capirebbe].

I Magistrati, untori del terzo millennio, alla politica non si devono avvicinare né per fare il loro mestiere, ché mandare in galera i politici delinquenti non è bello e non si fa per le ragioni di cui sopra frapparentesi, e nemmeno per occuparsene da cittadinanza attiva come società civile.
Gli avvocati, gli imprenditori, i banchieri, gli stessi magistrati che già c’erano, Nitto Palma e tutta la lista che cita stamattina Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano che sono entrati in parlamento hanno forse dato le dimissioni? c’è gente che svolge dieci professioni, tutte regolarmente strapagate, e non si sogna minimamente di lasciare quello che faceva per andare a fare il sottosegretario, il ministro, il presidente del consiglio.

Ingroia però sì, si deve dimettere perché sennò non è credibile.

Un uomo onesto e perbene  che dice di voler fare politica per un paio d’anni deve essere messo in condizioni di scegliere, cosa che non è stata pretesa per NESSUNO.

Nel paese che galleggia nel conflitto di interessi fa paura un Magistrato che decide di voler andare a vedere coi suoi occhi quello che succede nella stanza dei bottoni.
La politica ha una grande responsabilità non avendo fatto quelle leggi per tutelare il paese ed evitare che gente che faceva un altro mestiere fosse in qualche modo costretta a doversi occupare della politica.
Con una legge sul conflitto di interessi non saremmo mai arrivati fino a qui.
Per non parlare dell’idiozia che per cacciare dal parlamento i delinquenti si debba aspettare una sentenza e che, addirittura, vengano rimandati i processi che riguardano berlusconi per non disturbargli la campagna elettorale.
Queste cose le diceva anche Borsellino ma chissà perché quando si evocano Falcone e Borsellino lo si fa sempre per tutt’altre argomentazioni.
Non è colpa di Ingroia se fare il magistrato antimafia in Italia significa doversi poi occupare inevitabilmente anche di politica visto che entrambe sembrano non poter fare a meno l’una dell’altra.

Dico da sempre che in un paese normale ognuno farebbe il suo mestiere, ma se la politica non è in grado di badare a se stessa e pretende che dei politici disonesti, collusi e conniventi con la mafia non se ne occupi la Magistratura quando è il caso – cioè quasi sempre, basta pensare alla vicenda Ilva –  mi sembra altrettanto inevitabile che qualcuno, estraneo alla politica,  un bel giorno decida di  rimboccarsi le maniche per dare il suo contributo e cercare  di porre rimedio ad una situazione/condizione diventata insostenibile.La politica non deve più essere una sorta di privilegio riservato alla solita élite dei soliti noti, dei loro amici, parenti e conoscenti: prima lo capiamo tutti meglio è.

Ingroia ha già detto che non tornerà a fare il Magistrato in Sicilia,  e non si capisce perché  chi  oggi pretende tutto da Grillo e da Ingroia non lo abbia fatto anche coi politici di professione dai quali, invece, ha accettato il tutto e l’oltre. 

Che paese timoroso è diventato l’Italia, è bastato un Renzi per mandarlo in confusione…

Boccassini vs Ingroia, sarà colpa della politica?

 
Leggo che anche Daria Bignardi e quell’eminenza giornalistica di Beppe Severgnini hanno cazzeggiato su Ingroia ieri sera alle Invasioni barbariche su la7.
Quindi dopo Sallusti, Santanché, D’Alema, Boccassini, Casini, Romano [ideatore lista Monti], Berlusconi, Granata, Carfagna, Finocchiaro,  varie testate giornalistiche considerate financo di sinistra perché sostengono il piddì  chi sarà il prossimo o la prossima? staremo a vedere, l’elenco è in aggiornamento.
Meno male che Travaglio c’è: il suo fondo di oggi è un vero faro nella nebbia.
E mi rasserena il fatto che molti dei concetti che ha espresso sono gli stessi che scrivo anch’io da ieri un po’ ovunque.
Idealizzazioni a parte, che non mi riguardano, io non sono una fan del giornalista come chi lo considera una specie di rock star, penso che sia un professionista molto al di sopra della media di quel che passa il convento Italia e che meriti non dico la stima, quella è una questione personale di ognuno, ma il rispetto sì, quindi sono molto più felice di essere in sintonia con lui che con i tanti detrattori che stanno spalmando fango e altro materiale organico e meno nobile da ieri sulla persona di Antonio Ingroia.
Fra questi ci sono anche giornalisti e professionisti che dovrebbero scrivere e parlare per smorzare una polemica inutilmente assurda ma ai quali invece piace tanto buttare altra benzina sul fuoco.
E non credo che lo stiano facendo per mero piacere personale.

Falconi e avvoltoi – Marco Travaglio, 31 gennaio

Conosco Antonio Ingroia da 15 anni e non l’ho mai sentito paragonarsi a Falcone o a Borsellino. Semplicemente gli ho sentito ricordare due dati storici: nel 1988, neomagistrato, fu “uditore” di Falcone; poi nell’89 andò a lavorare alla Procura di Marsala guidata da Borsellino, di cui fu uno degli allievi prediletti. Nemmeno l’altro giorno Ingroia s’è paragonato a Falcone. S’è limitato a ricordare un altro fatto storico: appena Falcone si avvicinò alla politica (e di parecchio), andando a lavorare al ministero della Giustizia retto da Martelli nel governo Andreotti, fu bersagliato da feroci attacchi, anche da parte di colleghi, molto simili a quelli che hanno investito l’Ingroia politico. Dunque non si comprende (se non con l’emozione di un lutto mai rimarginato per la scomparsa di una persona molto cara) l’uscita di Ilda Boccassini che intima addirittura a Ingroia di “vergognarsi” perché avrebbe “paragonato la sua piccola figura di magistrato a quella di Falcone” distante da lui “milioni di anni luce”. Siccome Ingroia non s’è mai paragonato a Falcone, la Boccassini dovrebbe scusarsi con lui per gl’insulti che, oltre a interferire pesantemente nella campagna elettorale, si fondano su un dato falso. Ciascuno è libero di ritenere un magistrato migliore o peggiore di un altro, ma non di raccontare bugie. Specie se indossa la toga. E soprattutto se si rivolge a uno dei tre o quattro magistrati che in questi 20 anni più si sono battuti per scoprire chi uccise Falcone e Borsellino. Roberto Saviano tiene a ricordare che “Falcone non fece mai politica”: ma neppure questo è vero. Roberto è troppo giovane per sapere ciò che, in un’intervista per MicroMega , Maria Falcone mi confermò qualche anno fa: nel ’91 suo fratello decise di usare il dissidio fra Craxi e Martelli per imprimere una svolta alla lotta alla mafia dall’interno del governo Andreotti, pur sapendo benissimo di quale sistema facevano o avevano fatto parte quei politici. Difficile immaginare una scelta più politica di quella. Ora però sarebbe il caso che tutti — politici, magistrati e giornalisti — siglassero una moratoria su Falcone e Borsellino, per evitare di tirarli ancora in ballo in campagna elettorale. Tutti, però: non solo qualcuno. Anche chi, l’estate scorsa, usò i due giudici morti per contrapporli ai vivi: cioè a Ingroia e Di Matteo, rei di avere partecipato alla festa del Fatto , mentre “Falcone e Borsellino parlavano solo con le sentenze”. Plateale menzogna, visto che entrambi furono protagonisti di centinaia di dibattiti pubblici, feste del Msi e dell’Unità, programmi tv, libri, articoli. Queste assurde polemiche dividono e disorientano il fronte della legalità, regalando munizioni a chi non chiede di meglio per sporchi interessi di bottega. Ma vien da domandarsi perché né la Boccassini né la Falcone aprirono bocca due anni fa, quando Alfano, ministro della Giustizia di Berlusconi, si appropriò di Falcone per attribuirgli financo la paternità della controriforma della giustizia. Né mai fiatarono ogni volta che politici collusi o ignavi sfilarono in passerella a Palermo negli anniversari delle stragi, salvo poi tradire la memoria dei due martiri trattando con la mafia, o tacendo sulle trattative, o depistando le indagini sulle trattative. Chissà poi dov’erano le alte e basse toghe che ora si stracciano le vesti per la candidatura di Ingroia quando entrarono in politica Violante, Ayala, Casson, Maritati, Mantovano, Nitto Palma, Cirami, Carrara, Finocchiaro, Carofiglio, Della Monica, Tenaglia, Ferranti, Caliendo, Centaro, Papa, Lo Moro, su su fino a Scalfaro. E dove spariscono quando si tratta di dedicare a Grasso le critiche riservate a Ingroia. Se poi Ingroia deve espiare la colpa di aver indagato su mafia e politica, di aver fatto condannare Contrada, Dell’Utri, Inzerillo, Gorgone e di aver mandato alla sbarra chi trattò con i boss che avevano appena assassinato Falcone e Borsellino, lo dicano.

Così almeno è tutto più chiaro.

Passer(à) anche questo [speriamo]

Sottotitolo: “Guardo il Paese, leggo i giornali e dico: avevo già scritto tutto trent’anni fa” .
Giustizia, tv, ordine pubblico è finita proprio come dicevo io.” { Licio Gelli, 28 settembre 2003 }

In questo paese anche il concetto di “turn over” si applica ad personam.
Per smantellare la procura di Palermo e rendere ancora più complicata l’azione antimafia è buono, per fare un repulisti come si deve in parlamento, no.
Nell’unico ambito in cui un ricambio è necessario, igienico e salutare al turn over, chissà perché, non ci ha pensato mai nessuno.
Evviva, come sempre, l’Italia.

Palermo, azzerata la squadra antimafia. E anche in procura arriva il turnover

Preambolo: c’è trattativa e trattativa.
Con le BR no, con tanti saluti ad Aldo Moro, con la mafia sì.
Sarebbe carino se sul sito del Governo pubblicassero un elenco dei possibili interlocutori, così poi ci  si regola.

Strepitoso  Travaglio che in una pagina e mezza di giornale ieri  ha smontato tutta la commedia degna del  peggior Teatro de’ servi sceneggiata e prodotta dalla premiatissima ditta «Eugenio Scalfari: un uomo molti perché».

Dal primo all’ultimo {speriamo} atto.

Non riesco a capire perché “La Repubblica” non sia stata  abbandonata da quelle firme che hanno ancora un’idea degna del giornalismo.

Povero D’Avanzo, che delle inchieste di mafia aveva fatto una delle sue ragioni di vita.

Troppo facile, per un quotidiano che vuole definirsi prestigioso  scrivere per settimane, mesi, per anni  quasi esclusivamente del mignottificio di Hardcore.

Allora valeva tutto, domande,  post-it, dossier, “speciali” mandati in onda in diretta  e in replica dalle radio associate al Gruppo Espresso.

Per SM Re Giorgio, invece,  su qualcosa si puó sorvolare e dimenticarsi del proprio professionismo.

Ragion di stato: “robba forte”.

“Eugenio che dici”, i 10 motivi per cui Scalfari sbaglia sulla trattativa Stato-mafia

Il fondatore di Repubblica ha risposto a Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, che venerdì aveva fatto a pezzi il conflitto di attribuzione di Napolitano contro la Procura di Palermo. E, già che c’era, ha offeso la logica, la verità storica, la professionalità dei magistrati e la memoria di Falcone.

Famiglia Cristiana attacca il Meeting: “Cl applaude soltanto i potenti”

Dalle colonne del settimanale cattolico l’attacco alla kermesse ciellina che fa più male: “Cossiga, Andreotti, Craxi, Formigoni: applausi per tutti a prescindere da ciò che dicono. Poco importava se il Paese, intanto, si avviava sull’orlo del baratro. Su cui ancora continuiamo a danzare. Non c’è senso critico, ma omologazione”.

Corrado Passerella
Marco Travaglio, 22 agosto

Due estati fa il banchiere Corrado Passera sfilava in passerella al Meeting di Rimini, dove ormai è una rubrica fissa, con una requisitoria contro “tutta la classe dirigente italiana” che “non risolve i problemi della gente” e “suscita indignazione”. Applausi a scena aperta dalla platea di Comunione e Fatturazione, che un applauso non l’ha mai negato a nessuno, anch’essa indignata contro la classe dirigente che non risolve i problemi della gente, ma quelli del Meeting di Cl sì, finanziato negli anni dai migliori esponenti della classe dirigente: Berlusconi, Ciarrapico, Tanzi, Eni, Banca Intesa (cioè Passera coi soldi dei risparmiatori) e Regione Lombardia (cioè Formigoni coi soldi dei lombardi). Il noto marziano naturalmente non aveva nulla a che vedere col Passera che amministrò Olivetti (poi venuta a mancare all’affetto dei suoi dipendenti), Poste Italiane e Intesa, dunque membro della classe dirigente che fa indignare i cittadini. Altrimenti avrebbe dovuto autodenunciarsi e beccarsi bordate di fischi. L’altroieri il Passera è tornato per la decima volta al Meeting, non più in veste di banchiere ma in quella di esaministro (Sviluppo economico, Infrastrutture, Trasporti, Comunicazioni, Industria e Marina mercantile): infatti ha evitato di riprendersela con la classe dirigente. Ha invece annunciato che “l’uscita dalla crisi è vicina, dipenderà molto da quello che si riuscirà a fare”. Altrimenti l’uscita è lontana.  Applausi scroscianti, gli stessi che nel corso degli anni han salutato Andreotti, Sbardella, Martelli, Forlani, Cossiga, D’Alema, Berlusconi, Napolitano, Bersani, persino Tarek Aziz e ieri Betulla Farina, Alfonso Papa e Luciano Violante (se un giorno salisse sul palco una donna delle pulizie o Jack lo Squartatore e si spacciassero per ministri di qualcosa, verrebbero sommersi di ovazioni). Il “nuovo Passera” uscito dal fonte battesimale di Rimini, manco fossero le acque del Giordano o del Gange o dello Yangtze, distinguibile dal vecchio per via delle maniche di camicia al posto della giacca, ha poi distillato altre perle di rara saggezza: essendo indagato per frode fiscale, ha detto che “bisogna trovare le risorse per abbassare le tasse,  una vera zavorra, fra le più alte al mondo”. In qualunque altro posto, gli avrebbero domandato: “Scusi, lo dice a noi che le paghiamo? Ma lei è un ministro o un passante?”. Lì invece l’hanno applaudito. Anche se, in nove mesi da esaministro, non ha toccato palla (leggendario il giorno in cui annunciò un “decreto per la crescita” che avrebbe addirittura “mobilitato risorse fino a 80 miliardi”, ovviamente mai visti manco in cartolina). Poi ha minacciato la platea con un modesto “sappiate che la responsabilità che sentivo verso il vostro mondo nelle vite precedenti, in quella attuale è molto aumentata”. Mecojoni, direbbero a Roma. Applausi. Siccome poi Maroni l’ha invitato agl’imminenti, imperdibili “Stati generali del Nord” in programma a Torino, ha aggiunto: “Dobbiamo riprendere il federalismo”. Ma certo, come no. I retroscenisti dei giornali, chiamati a decrittare il sànscrito dei politici, e ora dei tecnici, sostengono che Passera era a Rimini perché “il Meeting porta fortuna” e lui sogna una Lista Passera, o un Partito dei Tecnici, o una Cosa Bianca, o un Grande Centro, o un centrino, o un centrotavola, insomma qualcosa che lo issi a Palazzo Chigi o al Quirinale, visto che ritiene “improbabile” un suo ritorno a Intesa (e a Intesa condividono). Ormai si crede un leader, un trascinatore di folle, e nessuno ha il cuore di avvertirlo che gli applausi ciellini non han mai portato voti a nessuno. Un banchiere con la faccia da travet, specie di questi tempi, può travestirsi come vuole, farsi fotografare dai rotocalchi sulla spiaggia con la faccia da figaccione, la sua signora e l’incolpevole prole, ma resta sempre un banchiere con la faccia da travet, la cui popolarità fra gli elettori è inversamente proporzionale a quella sui giornali. Passerà (con l’accento).

Trattativa prêt-à-porter

   

Sottotitolo: Certo che ne passano di schifezze al meeting di comunione e fatturazione [cit. Don Gallo]. La politica già fa schifo di suo, ma quella vicina al vaticano è la più pericolosa. Per eventuali chiarimenti  sul perché rivolgersi allo (s)governatore lombardo. Mai vista tanta gente sobria, elegante, professionista e professionale, temere le intercettazioni come un utilizzatore finale qualsiasi.  

Mettere poi sullo stesso piano intercettazioni e corruzione equivale al concetto di omosessuale= pedofilo.

Ma chiaramente nessuno fra il giornalismo illustre farà caso a questa bazzecola.
Passera è sempre indagato, vero?
Appunto.

Mentre il ministro [indagato per frode fiscale] Passera si occupa di intercettazioni, il suo collega agli affari esteri non tocca di un euro gli emolumenti principeschi dei suoi colleghi ambasciatori.  Equità come se piovesse e Italia paese laico una cippa.
E’ vero, la Costituzione ha bisogno di essere restaurata, bisognerebbe togliere tutti quegli articoli che parlano di cazzate quali uguaglianza, leggi uguali per tutti, del lavoro come un diritto e non un privilegio di caste e sottocaste che certo non dovranno mai preoccuparsi di non percepire stipendi e pensioni; e, cosa più importante, a questo punto sarebbe opportuno anche rendere legali mafie e corruzione, visto che chi le combatte è considerato un sovversivo e visto che TUTTI i governi hanno sempre indebolito chi alla mafia e alla corruzione si è opposto anche a prezzo della vita. Così Scalfari ci risparmia i suoi articoletti, Rondolino non chiede più di chiudere la procura di Palermo, Violante la smette di insultare i suoi ex colleghi che adesso avranno capito per quanto tempo si sono tenuti la serpe in seno.

Io però poi voglio anche la marijuana, legale, famo a capisse.

Dunque Eugenio Scalfari ci fa sapere che ci sono trattative e trattative.

Alla sua veneranda età vorrebbe convincere quegli italiani che – coraggiosamente – sotto la canicola africana affrontano la lettura dei suoi editoriali che ci sono come dire? situazioni e situazioni, e che i governi di uno stato serio devono poter scegliere qual è il male minore in presenza di una o più minacce per quello stesso stato.  Solo la frase ” love of my life” ormai relegata nello stanzino delle scope e degli stracci della Storia  sembrava dare  soddisfazione al gran pezzo di giornalista.

Se non ci sono le mignotte parte del giornalismo di Repubblica  non si eccita. Soffre di una strana forma di depravazione intellettuale.

Volevo timidamente dire all’anziano voltagabbana, all’inventore delle battaglie per la libertà di espressione à la carte [quello che andava bene per berlusconi per Giorgio The King è inammissibile] che quando si tratta di mafia alternative non ce ne dovrebbero essere, in un paese NORMALE i ladri fanno i ladri, gli assassini gli assassini e le istituzioni, le istituzioni.

Avere un’opinione diversa, pensare che in certe occasioni va bene sedersi a tavola coi ladri e con gli assassini non significa cercare di evitare il male peggiore, a casa mia si chiama connivenza, complicità, si chiama rendersi ricattabili da una criminalità consapevole che nel momento del bisogno pezzi dello stato si faranno sempre trovare disponibili a trattare, e poco importa se questo significa tradire la fiducia dei cittadini che di quelle istituzioni invece, vorrebbero potersi fidare.

Napolitano non è al di sopra della legge esattamente come non lo è berlusconi, anche se in tutti questi anni la politica, tutta, ha lavorato incessantemente per farcelo diventare.

 Evidentemente la nuova (probabile?) alleanza del PD con l’UDC ex partito alleato di berlusconi e il comportamento assai discutibile di Napolitano impongono a Repubblica una nuova e diversa linea editoriale: sono lontani anni luce ormai i post it contro tutti i bavagli. Oggi il bavaglio va bene alla destra, al centro, alla presunta sinistra e pure a Scalfari.

Approvare, giustificare, far diventare un atto istituzionale legittimo e normale la trattativa stato mafia è rivoltante quanto chi blatera di “ragion di stato” per giustificare e proteggere gli autori delle stragi fasciste, quanto chi promette giustizia e verità  sui cadaveri dei morti ammazzati e sui loro altari ai familiari delle vittime di stragi di mafia ben sapendo che quella giustizia non potrà mai arrivare perché la trattativa non la prevede.

Sono proprio contenta di aver smesso di comprare La Repubblica da parecchie settimane, perché  Scalfari il complice lo può fare se vuole, se ritiene che sia giusto, ma non con i  miei soldi.  

La coscienza civile applicata alle cose dei tutti i giorni è la migliore strategia per non rendersi complici inconsapevoli di questo ridicolo regimetto che è l’Italia.

Quando, quindici anni fa scrivevo e dicevo che non compravo nulla targato Mondadori molta gente si straniva, come se non si potesse fare a meno di Chi dell’ottimo Signorini, di Panorama, di Sorrisi e Canzoni e di tutta la porcheria stampata per conto dell’ex tizio, strumenti di propaganda ben peggiori dei fogliacci diretti da feltri, belpietro e sallusti nonché del Foglio del moltoebbasta ferrara.

L’ex magistrato e presidente della Camera: «L’inchiesta sulla possibile trattativa tra Stato e mafia? C’è un populismo giuridico che ha come obiettivo Monti e Napolitano»
Ecco un altro campione di obiettività, quello che trattò sottobanco con berlusconi assicurandogli che nessuno avrebbe toccato le sue tv [e infatti nessuno le ha toccate] e quasi si vantò in parlamento che, durante i governi di centrosinistra le ricchezze di berlusconi aumentarono di 25 volte [nel ’93, ora saranno molte di più].
Questa è la sinistra che si contrappone alla destra peggiore presente in parlamento dai tempi del regime di mussolini.

 

Che fine han fatto i giornali e gli editori che un anno fa marciavano con la Fnsi contro il bavaglio targato Alfano? Ora rilanciano a una sola voce gli ukase di Monti che, senza sapere quel che dice, denuncia “abusi nelle intercettazioni” e annuncia la riedizione riveduta e corrotta in salsa tecnica del bavaglio Al Fano. Spariti i post-it gialli, petizioni, mobilitazioni, paginate su “Tutto quello che non avreste saputo e non saprete più”. L’Anm si spinge a definire addirittura “impropria” l’uscita di Monti, ma in un comunicato senza firme, come se si fosse scritto da solo. Zitti il Pd e la presunta sinistra. Comprensibilmente entusiasti Pdl e Udc. Soave corrispondenza di amorosi sensi fra il Foglio, che insulta Zagrebelsky al punto di difendere Scalfari, e la fu Unità, che critica Zagrebelsky per conto terzi (anzi Colle). La fu Unità, poi, attacca con argomenti berlusconiani la gip Clementina Forleo che ha osato, su Facebook, solidarizzare con la collega Todisco aggredita da un governo “illegittimo”. Il che metterebbe “in discussione la terzietà e imparzialità del magistrato”. Quasi che la Forleo avesse fra i suoi imputati il governo. O che i giudici, per esser imparziali, dovessero essere tutti governativi. Come quelli che hanno condannato le Pussy Riot. Piacerebbe, eh? [Marco Travaglio]

Trattativa, Scalfari: ‘Normale in guerra’. E attacca Zagrebelski: applausi da Bondi

Nel suo editoriale domenicale il fondatore di Repubblica risponde al presidente emerito della Consulta, che aveva invitato il Colle a ripensare al conflitto di attribuzioni sollevato con la Procura del capoluogo siciliano ( Il costituzionalista, infatti, dando ragione ai pm di Palermo, aveva invitato il Colle a ripensare al conflitto di attribuzione sollevato con la Procura del capoluogo siciliano.). Sui pm dice: “Ci sarebbero da esaminare i risultati delle inchieste che da vent’anni si svolgono a Palermo e Caltanissetta e che finora hanno dato assai magri risultati”. E l’ex ministro della cultura paragona le idee del giornalista a quelle di B: “Le opinioni del Cavaliere sostenute da una penna potente”.

Se fosse…[un paese normale]

Sottotitolo: l’altro giorno sfogliavo una copia di Repubblica trovata sul tavolino del bar della spiaggia. Pensavo che in redazione avessero perso il vizio di fare domande, e invece la domanda c’è, riguarda Formigoni e la richiesta di chiarimento circa le sue vacanze all’insaputa, come se nel frattempo non fosse successo nulla; ad esempio un presidente della repubblica che facendosi scudo del suo ruolo apre uno scontro senza precedenti con la Magistratura.
Si dice che la verità renda liberi, in un paese sano questa libertà ha molto a che fare con un’informazione altrettanto sana.
Appunto.

 

Ho sempre pensato che il finanziamento pubblico ai giornali fosse una garanzia di libertà. 
Che finanziare cartaccia come Libero, Il giornale, Il foglio del molto intelligente ma soprattutto molto e basta ferrara servisse ad avere la possibilità di poter leggere anche altro, che finanziare diffamatori, calunniatori per mestiere come feltri, belpietro, sallusti e compagnia pessima mi avrebbe garantito di poter leggere chi non diffama, non insulta, non racconta balle, non china la testa davanti al potente e al pre-potente.

Ma in questo ultimo periodo ho dovuto cambiare idea. 

Perché mi ero abituata all’idea che dei servi potessero fare solo quello per cui sono pagati; gli altri, quelli che servi non erano fino a che il centro della scena politica era occupato da un malfattore delinquente assurto al potere grazie alla collaborazione di chi avrebbe dovuto impedirlo in qualsiasi modo e che invece lo ha agevolato rendendogli tutto facile e possibile, avrebbero dovuto continuare a fare altro e cioè INFORMARE. 

E invece questo non succede più; da quando c’è Monti ma soprattutto da quando lo stato – dunque Giorgio Napolitano – ha aperto lo scontro con la Magistratura siciliana non c’è più distinzione fra l’informazione che informava e quella che si mette a disposizione del potere. 

Difendere il prestigio delle istituzioni, semmai si possa ancora parlare in questi termini di quelle italiane non significa mentire, tacere, negare, e non si può chiedere ai cittadini, quelli che pagano, di rendersi complici di questo immondo modo di “fare informazione”.

Io non voglio più contribuire, coi miei soldi, ad armare i sabotatori della verità.

 

Trattativa Stato-mafia, ecco tutte le firme di chi sta con la procura di Palermo

La petizione del Fatto Quotidiano a favore della procura di Palermo raccoglie sempre più adesioni A chiedere la fine dell’accerchiamento dei magistrati anche nomi della cultura e dello spettacolo.

 

I have a dream

 Marco Travaglio, 12 agosto

Il Presidente Napolitano è ripartito da Stromboli ed è tornato a Roma. “Parto — ha tenuto a sottolineare con certosina precisione in un imperdibile colloquio con l’Unità — dopo un soggiorno di poco più di otto giorni, più o meno come lo scorso anno”. Fissata con esattezza la durata della vacanza, restano da chiarire due punti. 
1) La sorte del cinghialotto e dell’upupa avvistati da Scalfari nella tenuta di Castelporziano durante la precedente intervista. 
2) L’esatto stato d’animo del Capo dello Stato: la solerte intervistatrice lo descrive basculante fra il “piacere” per la “schiarita nei rapporti tra il governo e le forze politiche che lo sostengono” e l'”inquietudine” per il “non vedere ancora vicine ad un approdo le discussioni che procedono attraverso continui alti e bassi su una nuova legge elettorale, mentre rimane ancora bloccato il progetto di sia pure delimitate modifiche costituzionali che era stato concordato prima di un’improvvisa virata sul tema così divisivo di un improvvisato cambiamento in senso presidenzialistico della Costituzione”. Almeno è certo che il Presidente gode di un poderoso apparato respiratorio, se riesce a pronunciare frasi di questa portata senza prender fiato. Roba da far invidia al bambino che “gli porge una foto e si rammarica” perché l’autografo presidenziale “fatto con la biro l’anno scorso s’è scolorito” (King George aveva finito l’inchiostro sulle leggi di B.) e — fortunello — “se ne guadagna così subito un altro”. Per carità di patria, l’Unità non lo sfrucuglia sull’altra ossessione: l’inchiesta sulla trattativa e la Mancino chat line. A quella provvedono i tweet clandestini del portavoce Cascella; le azioni disciplinari dell’apposito Pg della Cassazione contro i pm che osano parlare; e i vicemoniti del vicepresidente del Csm, Vietti contro il consigliere Racanelli, reo di aver dato ragione alla Procura di Palermo (azione disciplinare anche per lui? Pubblica gogna per lesa maestà? Si attendono lumi). Insomma, un’estate di inferno: fortuna che è l’ultima, da presidente. E dire che filerebbe tutto liscio, se solo Napolitano desse una ripassata alla Costituzione a proposito dei suoi poteri, evitando di impicciarsi in affari che non lo riguardano. Tipo le inchieste giudiziarie. O le “sia pure delimitate modifiche costituzionali” (non dovrebbe trasmettere la Costituzione intatta al successore, come diceva il suo sia pure ignaro maestro Einaudi?). O la legge elettorale, che è di squisita competenza parlamentare. Invece no, s’è messo in testa di dover (e soprattutto di poter) fare tutto lui. “Rientrando a Roma — minaccia — seguirò più da vicino il processo che dovrebbe portare all’attuazione dell’impegno ormai inderogabile di non tornare alle urne con la legge elettorale del 2005”. Ora, non saremo certo noi a difendere il Porcellum: tant’è che avevamo sostenuto il referendum Parisi-Segni-Di Pietro per tornare al Mattarellum. Ma, grazie anche alla moral dissuasion del Colle, la Consulta lo bocciò, cestinando 1 milione 200mila firme tra gli osanna del Palazzo tutto: “La legge elettorale spetta al Parlamento”. Era il 12 gennaio. È forse cambiato qualcosa? Il boom di 5 Stelle: lui sul momento disse di non averlo udito, ma poi con calma glielo spiegarono. Da allora, ogni notte, si sveglia di soprassalto e lancia un urlo: “Aaaarghhhh!”. Donna Clio, consiglieri, corazzieri, monitatori e trombettieri accorrono al capezzale: “Che è stato, Presidente? Il solito incubo dello spread?”. “No, no”. “L’euro?”. “Macché”. “Ancora la voce di Mancino?”. “Ma va, mica chiama più, quello. Ho di nuovo sognato quel tipo grassoccio, barba e capelli grigi, che si presenta nel mio ufficio in giacca e cravatta ridendo come un pazzo, mi grida all’orecchio ‘Presidenteeeee? Boom!’, poi dice che ha vinto le elezioni e che devo incaricarlo di formare il nuovo governo. Ditemi che non succederà mai”. “Ma no, Presidente, torni a riposare, vedrà che passa anche stavolta. Lo dicono i tweet di Cascella. 
L’upupa e il cinghialotto confermano”.

Se fosse un paese normale, non sarebbe l’Italia

Poi, alla fine, tutti concordi a dire: “L’Italia non è un paese normale.” Anche io, colpevole, l’ho scritto più volte, e ora scopro di essere stata vittima della stessa formuletta ripetuta fino alla nausea, proprio come un mantra.

 

Insomma, è diventato normale, che l’Italia non sia un paese normale, al punto che nemmeno ridiamo delle cose che dovrebbero far ridere o ci indigniamo per quei fatti che dovrebbero destare la nostra indignazione. Allora, siccome non siamo più normali, ma normalizzati, tutti giù a ridere perché quella strana cosa della santanchè, promette per Ottobre, un milione di persone in piazza per “silvio”.

 

Che c’è da ridere? A mio avviso proprio nulla. Non è strano, non è nemmeno impensabile che l’operazione possa andare a buon termine. Portare e deportare un milione di persone in piazza, oggi, non è difficile: ci riuscirono con 30 euro un panino e una bibita, oggi potrebbero anche abbassare il prezzo, e al posto della bibita dare solo una bottiglietta d’acqua scadente. La gente ci andrebbe, aggiungendovi la speranza di poter vedere da vicino, una di quelle facce che così tante volte hanno visto in televisione. Non importa che piaccia o no, l’importante è la foto scattata col cellulare o poter dire: “Io c’ero. L’ho visto! Ammazza oh! Fa davvero schifo da vivo. E poi mi hanno dato anche venti euro.” Per le deportazioni, sappiamo come funziona: basta una casa di riposo di proprietà di un connivente e qualche pullman con l’aria condizionata. Forse la promessa di una bella gita o di un premio al termine della giornata. Così capita già.

 

Peccato davvero che l’Italia ormai sia un paese anormale, questo ci ha fatto perdere l’occasione di una sonora risata, una di quelle gratis, che riempie tutta la bocca. C’era ben altro nelle dichiarazioni di quella vecchia cosa lurida, ossia il veto, per Passera, di ricoprire in futuro la carica di Primo ministro. Un sacrosanto divieto dato dall’etica e dalla morale: “Passera – dice la zoccola – è un evasore fiscale.” (Mi asciugo le lacrime, che per fortuna ancora riesco a ridere)

Se l’Italia non fosse stata così tanto normale nella sua anormalità, il giornalista sarebbe saltato sulla sedia: “Ma come? È come se domani, maroni dicesse che borghezio non può essere ministro perché è un razzista. O come se domani un vescovo dicesse che molestare un bambino è reato, oltre che mero peccato. È come se dell’utri si opponesse alla candidatura di cosentino, perché o’americano è vicino al clan dei casalesi …”

 

Invece no … tutti preoccupati per un milione di morti di fame che venderebbero le proprie figlie per un pieno di benzina. Della dignità e dell’intelligenza, noi ce ne fottiamo.

 

Perché l’Italia non è un paese normale, e se lo fosse non sarebbe l’Italia.

 

Rita Pani (APOLIDE)

 

Oh my God, mon Dieu, mioddio…

 

  …è urgentissima una nuova legge salvadelinquenti e non so cosa mettermi! (a parte indossare le solite incommensurabili facce come il culo).


Firmato: uno qualsiasi di deputati, onorevoli e senatori che stanno accelerando su quella che pare essere davvero l’urgenza primaria di un paese allo sfascio e sulla quale chi di dovere,  naturalmente,  non esiterà ad apporre il  suo sigillo,  pietra tombale  sull’ultimo residuo di speranza per ripulire le istituzioni da tutto il luridume presente nelle stesse.

L’urgenza con cui anche i ministri del governo cosiddetto tecnico si stanno occupando delle intercettazioni è l’ulteriore conferma che chi diceva che l’interesse primario della politica è salvaguardare se stessa aveva ragione. Che difendere strenuamente le istituzioni anche quando non andrebbero e non vanno difese significa soltanto dare legittimità a tutte le caste e sottocaste, cricche e associazioni a delinquere che hanno dissanguato e impoverito l’Italia, che le hanno tolto dignità, diritti, che hanno lavorato alla distruzione di giustizia e legalità – dunque della democrazia stessa. Stare dalla parte opposta, rifiutare questo scempio a getto continuo è un dovere civile, oltre che morale.

 

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Intercettazioni, pressing del Pdl per il Bavaglio. E il Csm “si adegua” al Colle

Se il primo sostenitore di una legge liberticida come questa è nientemeno che – con viva & vibrante soddisfazione – il presidente della repubblica, quindi si presume di uno stato democratico, siamo messi bene in Italia. In ottime mani.

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Roma, ex banda Magliana consulente del Comune. Il Pd: “Sconvolgente”

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Sottotitolo: in un paese con un parlamento composto in larga parte (e sarebbe troppo anche se ce ne fosse uno solo con certi requisiti) da inquisiti, indagati, pregiudicati, condannati, mafiosi, amici dei mafiosi, corrotti, corruttori, ex terroristi rossi & neri quindi complici diretti e indiretti di tutte le stragi avvenute in Italia – quelle che non è mai colpa di nessuno – tutta gente che contribuisce alla stesura e alla realizzazione di leggi che dovranno rispettare anche i cittadini onesti, senza precedenti penali, la cosiddetta opposizione si sconvolge (dopo quattro anni!) perché alemanno ha assunto un ex fiancheggiatore dei nar nonché di un’associazione criminale sanguinaria: la banda della magliana – che collaborava attivamente con l’eversione nera nei “favolosi” anni di piombo – al suo servizio. Come se i romani, quando hanno votato alemanno per dispetto (perché dall’altra parte c’era rutelli) non sapessero chi era alemanno: anche lui un ex picchiatore fascista, uno che andava a tirare bombe molotov alle ambasciate e che fu condannato ad otto mesi di galera per questo.  Se i tempi di sconvolgimento del pd sono questi stiamo a posto, che faceva l’opposizione in giunta comunale fino a ieri l’altro, di che si occupava?

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Trattativa, parla il pentito Mutolo: “Stato e mafia da sempre a braccetto”

E’ stato l’autista di Riina: “Dopo l’arresto sono andati a casa sua, c’erano cose che inguaiavano i politici, hanno fatto finta di nulla. Senza di noi non ci sarebbe stata la Dc e nemmeno Berlusconi. Ingroia lo mandano in Guatemala, lui sa che è meglio così.”

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In un paese normale cicchitto (tessera p2 2232, data di iniziazione 12 dicembre 1980) non potrebbe fare la morale a nessuno. Figuriamoci a Magistrati e giornalisti che indagano sulla mafia e quella parte di stato, quello sì, eversore, che fiancheggia(va) l’associazione a delinquere, sovversiva, quella che allo stato si voleva sostituire, del venerabile criminale di cui faceva parte – non da solo ma con illustri compagni di grembiulino e cappuccio come silvio berlusconi (tessera 1816) – il moralizzatore de’ noantri.
In un paese normale fatto di gente normale non si critica un Magistrato come Ingroia disonorando nemmeno troppo indirettamente la memoria di Falcone e Borsellino che avevano lo stesso progetto di Ingroia, cioè ripulire il paese e le istituzioni da mafiosi e delinquenti mascherati da uomini dello stato, solo perché  i giornalisti e i giornali che si occupano di queste faccende sono antipatici.
In un paese normale fatto di gente normale nessuno, nemmeno il presidente della repubblica si può permettere di usare la morte naturale di un uomo come alibi alla negazione della trasparenza e della verità e nessun ministro la prenderebbe a pretesto per lo stesso motivo parlando di “sofferenze” di “pesi insopportabili”: le sofferenze e i pesi insopportabili sono altri, sono stati altri, ad esempio quelli di chi ha perso figli, fratelli, sorelle, madri, padri, amici in una qualsiasi delle stragi italiane, mafiose e non, di cui, forse per ragion di stato? non si trovano mai i colpevoli.
In un paese normale, fatto di gente normale ci si vergognerebbe di portare avanti le stesse teorie di cicchitto, gasparri, sallusti, belpietro, la santanché, solo per fare un dispetto a chi non pensa, dice e scrive le stesse abominevoli cose che pensa e – purtroppo – dice e scrive gente di quello spessore morale/culturale/intellettuale.
In un paese normale certi ex magistrati prestati alla politica dovrebbero guardare con più rispetto i loro ex colleghi e chi al loro fianco lavora, dunque anche i giornalisti, soprattutto quelli che non hanno pensato fosse più utile per il paese andare a scaldare i cuscini di uno scranno parlamentare anziché restare in prima linea.

Come ha fatto Ingroia.

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Bavaglio rosso
Marco Travaglio, 29 luglio

Capita di tutto, nel manicomio chiamato “politica”. Anche di ricevere lezioni di giornalismo da Luciano Violante. Il quale, sul bollettino del Pd chiamato Unità, rimbecca Sergio Rizzo del Corriere per aver detto, a proposito del caso D’Ambrosio, che “i giornalisti si limitano a riportare i fatti che accadono”. “Non sono d’accordo – ribatte Violante -. Il giornalista non è un cane da riporto” e “la notizia ha un significato diverso a seconda del modo in cui è data”. Però, che genio. Meno male che c’è lui, perchè non ci aveva mai pensato nessuno. Ma le scoperte non sono finite: “Nella società dei mezzi di comunicazione è possibile che il comunicatore non abbia alcuna responsabilità professionale? Egli forma l’opinione pubblica, a nascere giudizi e schieramenti. Può distruggere la reputazione di un uomo o creare un mito”. Infatti, negli anni 70, un modesto magistrato torinese divenne un mito per la sinistra grazie ai mezzi di comunicazione (“cani da riporto”?) che enfatizzarono una sua inchiesta su un golpe inesistente, dopodichè entrò in politica e non ne uscì più. Si chiamava Violante. Ora, siccome qualcuno critica lui e i suoi amici, intima ai giornalisti di “porsi con urgenza il problema di come dare le notizie rispettando la dignità dei cittadini”. E propone, tanto per “cominciare”, la “messa al bando del ‘giornalismo di trascrizione’, che consiste (caso unico nel panorama della stampa dei Paesi democratici) nel trascrivere ore e ore di telefonate”, il tutto per “formare un’opinione pubblica che si nutra di notizie e di commenti, non di veleni”.Ora, a parte il fatto che le intercettazioni, anche quando riguardano la vita privata, si pubblicano in tutto il mondo, tranne la Russia di Putin e l’Ucraina di Lukashenko, non è ben chiaro in che senso le intercettazioni giudiziarie come quelle sulla trattativa Stato-mafia siano “veleni” e non “notizie”. I veleni sono insinuazioni gratuite, illazioni infondate, sospetti sul nulla:quanto di più lontano esista dal pubblicare testualmente ciò che un personaggio pubblico dice. L’idea che trascrivere le parole testuali di una persona significhi automaticamente “distruggerne la reputazione”, è frutto della mente malata di chi dà per scontato che tutti dicano o facciano sempre e comunque cose sbagliate, sconvenienti, scandalose. “Omnia munda mundis e omnia sozza sozzis”, direbbe Massimo Fini. Se uno parla bene e agisce bene, non ha alcun timore di veder pubblicate le sue parole e azioni,com’è doveroso che avvenga se è un personaggio pubblico. Contro chi “distrugge reputazioni” e sparge “veleni” esiste già il reato di diffamazione a mezzo stampa. E contro le violazioni della riservatezza c’è una stringentissima legge sulla privacy. Questi, e solo questi, sono e devono essere i limiti del giornalista a tutela della “dignità dei cittadini”. Per il resto, tutto ciò che è di interesse pubblico va pubblicato senza censure né violanterie. Ma è evidente che l’ammucchiata ABC, anzi BBC, che si propone di ammorbarci anche nella prossima legislatura e non a caso tiene sotto tiro i pochi non allineati (vedi il linciaggio contro Di Pietro e Grillo, più a sinistra che a destra), ci sta apparecchiando un bel bavaglio rosso, identico a quello berlusconiano ma molto più ipocrita in quanto sfrutta la morte per infarto di D’Ambrosio. Un membro del Csm affiliato a Md, Nello Nappi, invoca la secretazione delle intercettazioni penalmente irrilevanti che oggi perdono la segretezza appena messe a disposizione delle parti processuali. Non solo di quelle del capo dello Stato, ma di tutte. E’ l’antipasto dell’inciucione prossimo venturo. Naturalmente noi del Fatto, piaccia o no ai Violante e ai Nappi, continueremo a pubblicare tutto ciò che interessa ai cittadini, anche a costo di farlo da soli. O di finire sotto processo in virtù di nuove leggi liberticide: la Corte europea spazzerà via bavagli e bavaglini italioti, azzurri o rossi che siano.

 

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Diaz, la verità di Canterini: “Fu una rappresaglia, vidi facce assetate di sangue”

Fabrizio Corona, ricattatore/estortore di professione esce di galera e scrive un libro, capitan Schettino fa affondare una nave causando la morte di decine di persone NON va in galera e scrive un libro, Vincenzo Canterini, uno dei responsabili del massacro del G8 non solo NON va in galera ma la sua condanna virtuale viene anche ridotta e scrive un libro pure lui. Ma come è facile in Italia trovare editori che accettino di pubblicare “opere prime” (e speriamo anche ultime) di cotanti autori che sicuramente qualche imbecille compra e legge (siamo italiani mica per niente). In questo paese tutto quello che non si vede in tv non c’è e non esiste, ora si è inaugurato un nuovo trend: quello delle ‘verità’ rivelate attraverso la carta stampata di un libro. Tutti possono scrivere un libro e tutti trovano puntualmente l’editore che anziché cacciar via questi disertori del salotto di vespa a calci in culo gli offrono collaborazione a sprezzo del ridicolo unicamente per operazioni commerciali. La rivoluzione culturale italiana passa anche per i libri di Corona e di Schettino: sono soddisfazioni.

“Vent’anni fa non ci lasciammo intimidire”: oggi sì

Preambolo: 400 mila euro l’anno più 250 mila  di indennità di carica per il nuovo direttore generale della Rai: un’azienda praticamente al fallimento, e meno male che Monti ha scelto quelle persone, Gubitosi e la Tarantola con l’obiettivo di risanare l’azienda sotto l’aspetto economico. Non oso pensare a che sarebbe successo se la Rai fosse stata un’azienda in attivo.

Anche queste cose indeboliscono lo stato, in un momento in cui c’è gente che non ha neanche il necessario per vivere.

E allora ci tolgono tutto: dignità, stato sociale, legalità, diritti, giustizia, verità, con la pretesa poi di essere anche riconosciuti come stato.

Chi rappresenta, ma più che altro si arroga il diritto di rappresentare lo stato in realtà lo usa a discapito di tutti gli altri, noi.

Ed ecco perché io non mi riconosco in questo stato, non in questa gente  priva del benché minimo senso della misura, del rispetto, e, appunto, dello stato.

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Sottotitolo: ”bisogna trarre le dovute conseguenze dalle vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituiscono reato, ma li rendevano inaffidabili nella gestione della cosa pubblica. Questo giudizio non è mai stato tratto perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza.”

 Il solito giustizialista grillino? No, Paolo Borsellino.

Il 19 luglio, i politici rimangano a casa a meditare.

[Marco Travaglio]

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Chi indebolisce le istituzioni?

Con che coscienza si potrà dire nei discorsi ufficiali che lo Stato vuole continuare nell’impegno contro la mafia con l’intransigenza che fu di Falcone e Borsellino? Con che coscienza si potrà  riaffermare che lo Stato vuole davvero tutta la verità su quella trattativa ormai accertata, ed evidentemente indecente, se altissimi funzionari coinvolti continuano a negarla, e in ogni accenno di telegiornale viene pudicamente derubricata a “presunta”?

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Ingroia: “Io pazzo? Sì, perché credo possibile una verità sulle stragi ed i misteri d’Italia”

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Il 19 luglio di 20 anni fa morivano nell’attentato mafioso di via D’Amelio Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Borsellino stava indagando sulle trattative tra Stato e mafia. L’agenda rossa che portava con sé, sulla quale annotava tutto, non è stata mai trovata. Il giudice Ayala testimonia di avere raccolto la borsa del magistrato ucciso sul luogo dell’attentato pochi minuti dopo l’esplosione e di averla consegnata ad un ufficiale dei carabinieri.

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Gli ultimi attentati di mafia risalgono a venti anni fa: segno evidente che la mafia ha trovato altri sistemi di suggestione, più moderni, meno evidenti e meno rumorosi di un’autostrada e un palazzo che saltano in aria.

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Quelli che si stracciarono le vesti quando Grillo disse che equitalia è peggio della mafia sono gli stessi che oggi attaccano chi si ostina a chiedere verità sulle stragi di mafia che è proprio la mafia.
Quelli che – nella politica – non hanno né potranno mai trovare il coraggio e una faccia meno indecente della loro [specie quando parlano appunto di indecenze, cose “agghiaccianti” e di volgarità così, giusto per darsi un tono] per rispondere a Rita Borsellino e a tutto il popolo italiano ma in compenso trovano entrambi quando c’è da difendere gli indifendibili; quelli che hanno messo in croce berlusconi ogni volta che tentava [e spesso c’è riuscito grazie a collaborazioni vive & vibranti] di sovvertire leggi e Costituzione pro domo sua ma oggi che la stessa cosa la fa il capo dello stato che pare ignorare quell’articolo 3 che ci fa tutti uguali indipendentemente dal ruolo e dal mestiere, non fanno un plissé.
E non lo fanno neanche dinanzi al fatto che il capo dello stato dava udienza ad un indagato per falsa testimonianza come se fosse consuetudine, normalità per un capo dello stato offrire ascolto a chi ha mentito in un processo, e guai se si sapesse in giro quello che si sono detti.
Sono anche giornalisti, quelli dei quotidiani delle domande, dei post-it, delle Grandi Battaglie per la Libertà che poi però non trovano tempo e spazio per occuparsi di un vicesegretario di partito che auspica il ritorno di berlusconi perché lui sì, a differenza di Grillo, mantiene gli equilibri, molto spesso mantiene e basta ed è un motivo più che sufficiente per chiedergli di tornare.
Quelli che continuano imperterriti a scrivere e a parlare di conflitti fra Magistratura e stato quando la Magistratura cerca di fare chiarezza su chi ha gestito e gestisce lo stato non sempre [anzi, quasi mai se dobbiamo dirla bene e tutta] in modo corretto ma poi non parlano di conflitti fra stato e giustizia quando si condannano a niente poliziotti assassini e a molto, troppo, persone che hanno sì sbagliato ma non hanno ammazzato nessuno.
In quel caso non c’è nessun conflitto ma solo normale amministrazione della legge.
E la legge, chi la fa?
Appunto.

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Il suicidio Borsellino
 Marco Travaglio, 19 luglio

Ringraziamo vivamente, senz’alcuna ironia, il senatore Marcello Dell’Utri per aver commemorato come meglio non si poteva il ventennale di via D’Amelio: senza ipocrisie.

Lui in fondo in questi vent’anni è stato uno dei pochissimi politici a dire sempre la verità. “La mafia non esiste”. “È uno stato d’animo”. “Le risponderò con una frase di Luciano Liggio: se esiste l’antimafia, esisterà pure la mafia “. “Mi processano perché sono mafioso”. “Silvio non capisce che se parlo io…”. “Vittorio Mangano era un eroe”.

Ieri, bontà sua, ha aggiunto: “Vent’anni dopo ancora non si sa chi è stato (il mandante del delitto Borsellino, ndr)… Io sono stato, io e Berlusconi. Ma in che paese viviamo?”. Dell’Utri, almeno, eviterà di inviare corone di fiori e messaggi ipocriti ai familiari di Borsellino e degli uomini di scorta: “Bisogna andare fino in fondo”, “senza guardare in faccia nessuno”, “cercare tutta la verità”, “mai abbassare la guardia”.
Sono vent’anni che sentiamo ripetere, a ogni 23 maggio e 19 luglio, queste penose giaculatorie da parte di chi, fra il lusco e il brusco, lavora per insabbiare, occultare, deviare, depistare, inquinare, seppellire la verità. E fino a qualche tempo fa l’operazione era perfettamente riuscita.

Ex ministri, soprattutto dell’Interno e della Giustizia, alti carabinieri, alti poliziotti, alti spioni, alti e bassi politici hanno fatto carriera tramandandosi la scatola nera dei segreti inconfessabili su stragi e trattative.
Poi purtroppo i mafiosi come Brusca e Spatuzza e figli di
mafiosi come Ciancimino jr. hanno violato il patto
dell’omertà, che gli uomini del cosiddetto Stato avevano religiosamente rispettato. Politici muti come tombe hanno ritrovato improvvisamente la memoria e la favella, costretti ad ammettere almeno quei pezzi di verità che i mafiosi e i figli di mafiosi li obbligavano a sputare fuori, tra mille contorsioni e contraddizioni. I pm di Palermo e Caltanissetta, eredi e in molti casi allievi di Falcone e Borsellino, e tanti cittadini perbene hanno visto in quegl’improvvisi e inattesi squarci altrettanti varchi per lumeggiare il buio. E han lavorato sodo per due anni, pubblicamente incoraggiati dalle massime autorità dello Stato che invece, sottobanco, trescavano ancora una volta per insabbiare, depistare, deviare. E quando si erano illuse di averla fatta franca
un’altra volta, un caso, il meraviglioso caso di un telefono intercettato ha illuminato l’osceno fuori-scena e messo a nudo le loro vergogne: il presidente della Repubblica, il suo consigliere giuridico (un magistrato che sa molte cose sulla trattativa, ma ne parla solo conMancino, mentre davanti ai pm fa scena muta), procuratori generali della Cassazione e chissà quantialtri statisti si adoperano per avocare o almeno devitalizzare l’indagine di Palermo. E poi, una volta beccati col sorcio in bocca, invocano inesistenti”prerogative ” e “doveri istituzionali”, amorevolmente assistiti da giuristi e commentatori di chiara fama,
ma soprattutto fame.

Alla fine il capo di quello Stato che
trattò, e forse ancora tratta, con la mafia spedisce i pm
che indagano sulla trattativa davanti alla Consulta con
l’accusa, sanguinosa quanto infondata, di aver violato
norme costituzionali e processuali inesistenti.

Nella speranza di bloccare, o almeno screditare, l’indagine che li ha messo tutti a nudo.

E ancora una volta il coro
unanime dei laudatores , salvo un paio di eccezioni, scioglie inni all’abuso di potere.

Potrebbero ammettere, papale papale: sì, abbiamo trattato con la mafia, eravamo tutti d’accordo, tranne quell’ingenuo di Borsellino che non aveva capito come va il mondo, pace all’anima sua. Invece continuano la farsa dell’ipocrisia. Perciò la famiglia Borsellino invita i rappresentanti del cosiddetto Stato ad astenersi dall’invio di messaggi e corone di fiori in via D’Amelio. Perciò Dell’Utri va ringraziato per la franchezza.
Non è affatto vero che Stato e mafia siano la stessa cosa: la mafia è molto più seria.

Romanzo Quirinale

Sottotitolo: Bombardamenti aerei italiani in Afghanistan: il Parlamento batte un colpo 

Forse è anche per questo che E, il mensile di Emergency chiude,  per mancanza di soldi.
Perché gli operatori di Emergency non si limitano a curare i feriti di guerra e a seppellirne i cadaveri, fanno anche quell’informazione che i media tradizionali [quelli che invece lo stato sostiene con molti soldi, naturalmente i nostri] sempre troppo impegnati nell’opera di beatificazione e santificazione della politica, tecnica e non, ci negano.
In un paese normale le Eccellenze sarebbero le persone come Gino Strada.
Gente che uno stato serio avrebbe il dovere di sostenere, non di mandare a chiedere l’elemosina; in Italia, invece, che non è un paese normale né uno stato serio le eccellenze sono altre e con ben altri curriculum, spesso anche giudiziari, i governi di tutti i colori spendono una quantità di soldi spropositata in emerite idiozie tipo aerei e navi da guerra, in progetti di distruzione del territorio come il Tav per tacere su tutto il resto del quotidiano, nonostante “la crisi” che evidentemente è stata ben mirata solo agli obiettivi che doveva colpire.
E affondare.

Con la spending review si tagliano i costi della sanità ma lo stato italiano e i relativi governi di tutti i colori che si sono succeduti e succederanno  continuano a spendere un miliardo di euro l’anno per la missione “di pace” in Afghanistan [che dura da dieci anni] e cifre altrettanto spaventose in armamenti da guerra iper raffinati. Emergency in questo ultimo periodo sta curando anche cittadini italiani, quei nuovi poveri che non possono permettersi di pagare. La guerra ce l’abbiamo in casa ma le missioni “di pace” le andiamo a fare altrove.

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Telefonate del presidente Napolitano (intercettato indirettamente mentre chiedeva notizie sul terremoto all’Aquila, preoccupato per le sorti delle vittime) sono agli atti del processo di Perugia alla “cricca”. Nessuno si è lamentato, nessun conflitto d’attribuzioni è stato sollevato. Perché invece tanto scandalo per le intercettazioni indirette di Napolitano sulla trattativa Stato-mafia?
[Gianni Barbacetto]

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Trattativa Stato-mafia, i pm di Palermo vogliono sentire Berlusconi

Ci sarà qualche giornalista coraggioso che potrà spiegarci perché berlusconi può ancora avvalersi del legittimo impedimento, visto che almeno ufficialmente non ricopre più alcuna carica istituzionale?

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Il presidente della repubblica italiano non si può intercettare, e infatti nessuno lo ha fatto, come nessuno intercettava il satrapo infoiato ma solo i delinquenti e le puttane dai quali ama farsi circondare abitualmente; negli States il presidente è tenuto a rendere pubbliche anche le sue condizioni di salute e  nessuno alza il ditino contro la violazione della privacy, cinguettando e abbaiando su quel che si può fare e quello che no.

Nell’era di internet la cosa più ridicola è censurare notizie, non dire né scrivere cose che poi basta farsi una passeggiata nei motori di ricerca per trovarle. Dov’è finito lo spirito battagliero di quei giornalisti – giornalai – pennivendoli – pompieri – trombettieri di tutti i regimi che ai bei tempi di quando c’era lui, l’altro, quello più basso e meno pelato, ogni giorno rivendicavano a tutta pagina il diritto di poter pubblicare tutto che poi “è la gente a farsi un’opinione”?
Dove sono i paragoni, gli esempi eccellenti coi quali si sono riempite pagine e pagine di giornali per spiegare che quello che succede(va) in Italia altrove, nei paesi normali, dove i presidenti delle repubbliche non dichiarano guerra alla Magistratura ma collaborano con la Magistratura, oppure quelli dove NON si consente a un pregiudicato amico della mafia di occupare cariche istituzionali “alte”, non sarebbero mai potute accadere? Perché, ad esempio, non leggiamo da nessuna parte che negli Stati Uniti il presidente è tenuto a rendere pubbliche anche le sue condizioni di salute [altro che intercettazioni] perché è giusto che i cittadini abbiano sempre il quadro della situazione anche personale di chi amministra il proprio paese? Perché gli italiani non devono sapere a che gioco ha giocato il presidente della repubblica che solo qualche mese fa dichiarava con la solita viva & vibrante soddisfazione commemorando Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della sua scorta: “vent’anni fa non ci lasciammo intimidire”? Mantenere segretezza sulle telefonate che passano sulla linea della presidenza della repubblica che vuol dire,  che sulla linea telefonica del quirinale può passare di tutto? di chi è il garante Napolitano, del popolo, di se medesimo o di ex ministri bugiardi? abbiamo o no il diritto di saperlo?
Potrebbero spiegarci cortesemente – questi manipolatori della pubblica opinione, questi maestri del disorientamento, quelli che va bene parlare di tutto purché non si parli mai di cose serie e importanti – perché quello che andava bene per berlusconi oggi non va più bene per Napolitano?

Il procuratore antimafia Grasso  ha detto che Napolitano ha ragione ma anche i Magistrati che “hanno agito in buona fede”. Come se abitualmente i Magistrati agissero secondo il loro umore e sentire. Insomma, ai Magistrati si può far fare anche la parte degli scemi del villaggio, di quelli che un bel mattino si svegliano e decidono quale deve essere il bersaglio grosso da colpire per rendersi un po’ protagonisti e farsi bacchettare dal presidente della repubblica che invece è autorizzato ad aprire il fuoco – per nulla amico – su chi proprio per il ruolo che gl’impone la Costituzione, dovrebbe garantire. Poi quando le agenzie di rating ci declassano perché la situazione politica è quella che è: pietosa, e il mondo civile ride di noi è per farci un dispetto.

Per umiliarci, ecco.

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Romanzo Quirinale
Marco Travaglio, 18 luglio

Ma che bel coro di corazzieri belanti è diventata la stampa italiana, con l’aggiunta – ci mancherebbe – delle tv a reti unificate. Almeno ai tempi di B. i giornali di sinistra attaccavano il governo, non foss’altro che per il gioco delle parti. Ora invece non muove più foglia che il potere non voglia: tutto va ben madama la marchesa. Anche quando il Presidente della Repubblica si scrive un decreto per chiedere alla Consulta, piena di amici suoi e / o di nominati da lui, di mettere in riga la Procura di Palermo che osa indagare sulle trattative Stato-mafia, incriminare l’amico Mancino e soprattutto rispettare l’art. 268 del Codice di procedura penale che proibisce ai pm di distruggere intercettazioni prima che lo faccia un gip, un giudice terzo, dopo aver sentito le parti. In questa soave corrispondenza di amorosi sensi, grandi esperti del diritto e del rovescio dimenticano la legge, la Costituzione, perfino la decenza e il ridicolo pur di dare ragione al nuovo Re Sole intoccabile, insospettabile, insindacabile, irresponsabile, inascoltabile, ineffabile. De Siervi. L’ex presidente della Consulta Ugo De Siervo, quello che nel 2010 rinviò la decisione sul legittimo impedimento per non disturbare B. nei giorni della mozione di sfiducia di Fini e della compravendita dei deputati, scrive su La Stampa che “alcune volte le intercettazioni non sono affatto casuali”, come invece la Procura di Palermo definisce quelle di Napolitano captate sul telefono di Mancino. Lo ripete un altro emerito, Cesare Mirabelli: “Non si può usare un’intercettazione indiretta per aggirare il divieto di intercettare il capo dello Stato”. Cioè: i pm di Palermo hanno intercettato Mancino già sapendo che avrebbe chiamato Napolitano per chiedere aiuto contro i pm che indagavano su di lui e che Napolitano, anziché mandarlo a quel paese, si sarebbe amorevolmente adoperato per favorirlo, direttamente e tramite il consigliere D’Ambrosio. De Siervo e Mirabelli devono avere un’opinione piuttosto negativa di Mancino e soprattutto di Napolitano. De Siervo aggiunge che la Procura di Palermo ha fatto “indagini interminabili” (forse dimentica che le inchieste di mafia hanno una durata massima di 2 anni, termine rispettato dai pm) e “avrebbe dovuto trasferire tutta la questione al competente Tribunale dei Ministri”, come B. chiedeva di fare per Ruby nipote di Mubarak. Lo dice pure Stefano Ceccanti del Pd (l ’ Unità). Forse De Siervo e Ceccanti non sanno che nessuno degli indagati è accusato di reati commessi quand’era ministro e nell’esercizio delle funzioni ministeriali, a meno di ritenere che Riina, Provenzano, Brusca, Cinà, Ciancimino jr., Dell’Utri e gli altri indagati fossero ministri ai tempi della trattativa. Si dirà: erano ministri Conso e Mancino. Certo, ma non sono indagati per la trattativa, bensì per aver mentito oggi, 20 anni dopo, da pensionati. Urge istituzione del Tribunale degli Ex-Ministri. La Repubblica di Falò. De Siervo: “Le conversazioni riservate del Presidente dovrebbero essere immediatamente eliminate, anche ove casualmente raccolte”. Michele Ainis (Corriere della Sera): “I nastri vanno subito distrutti, senza farli ascoltare alle parti processuali… È difficile accettare che sia un giudice a esprimersi sulla rilevanza stessa dell’intercettazione”. Ministra Paola Severino: “Qualsiasi sia la decisione della Corte sul conflitto di attribuzione, l’importante è mantenere la segretezza intorno al contenuto di telefonate che possano riguardare persone istituzionalmente protette per il ruolo che svolgono” per “evitare che le conversazioni del Presidente possano essere rese pubbliche”. Avvocato Franco Coppi: “La frittata è stata fatta nel momento in cui è stata proposta l’udienza davanti al gip per procedere alla distruzione delle intercettazioni”. Par di sognare. In Italia – art. 111 della Costituzione – “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”. Anche nell’udienza dinanzi al gip per decidere quali intercettazioni distruggere. È una garanzia per tutti, difesa, accusa e parti civili: ciò che per il pm è irrilevante può essere rilevante per un indagato. Perciò non può essere il pm, ma dev’essere il giudice, nel contraddittorio fra le parti, a decidere di distruggere un’intercettazione. Altrimenti l’indagato può essere danneggiato e, volendo, far invalidare il processo. Non solo: se le parole di Napolitano non possono essere valutate dal giudice perché il Presidente è insindacabile, quelle di Mancino devono essere valutate eccome, visto che è un privato cittadino, per giunta indagato. Invece i garantisti alle vongole vorrebbero vietare il contraddittorio, imporre ai pm di bruciare tutto nel segreto delle loro stanze, senza render conto a nessuno in spregio alla legge e alla Costituzione, e solo per evitare che gli avvocati ascoltino le parole del Presidente e l’opinione pubblica le conosca. Anche loro hanno del Presidente una pessima opinione, o sanno qualcosa che noi non sappiamo? Corazzieri-pompieri. Carlo Galli (Repubblica): “Poiché si tratta di una questione difficile, è giusto lasciare alla Consulta il compito di decidere”. Massimo Luciani (l ’ Unità): “L’inevitabile iniziativa di Napolitano serve a prevenire qualunque dubbio futuro”. Valerio Onida (Corriere): “Quella del Quirinale è un’iniziativa volta a fare chiarezza… per dire qual è la via corretta da seguire in base alla legge nel rapporto fra i due poteri”. Emanuele Macaluso (Corriere): “Basta con questo battere e ribattere di giuristi. Il Presidente si rimette al giudizio della Corte”. Enrico Letta (Pd): “Iniziativa che porterà chiarezza ed eviterà in futuro contraddizioni e pericolosi conflitti fra poteri dello Stato”. Per superare l’imbarazzo di sostenere, in coro coi berluscones, l’attacco frontale di Napolitano alla Procura che indaga sulle trattative che costarono la vita a Borsellino e alla scorta nel ‘ 92 e a tanti cittadini innocenti nel ‘ 93, il tutto alla vigilia del ventesimo anniversario di via D’Amelio, i corazzieri di complemento minimizzano il conflitto di attribuzioni come se fosse una disputa accademico-giuridica: che sarà mai, c’è una divergenza di opinioni fra il Colle e la Procura, dovuto a un “vuoto normativo”, ora la Consulta dirà chi ha ragione e tutti vivranno felici e contenti. Eh no, troppo comodo. Intanto, se ci fosse un vuoto o un’imprecisione normativa, il Quirinale avrebbe dovuto investire la Consulta con un altro strumento: l’eccezione d’incostituzionalità della norma col buco, non il conflitto di attribuzioni in cui accusa i pm di un illecito gravissimo, da colpo di Stato: la lesione delle prerogative del Capo dello Stato. E poi: se c’è un vuoto normativo, vuol dire che la Procura di Palermo ha rispettato la legge esistente, non potendo violare una legge ancora inesistente. E allora di che conflitto stiamo parlando? Codex Napolitaneus. Apprendiamo da Repubblica che, agli atti del processo in corso a Perugia sulla cricca della Protezione civile, la Procura di Firenze che avviò le indagini intercettò alcune telefonate sull’utenza di Guido Bertolaso che parlava col presidente Napolitano ansioso di avere notizie sulle sorti delle vittime del terremoto de L’Aquila. Telefonate penalmente irrilevanti per tutte le parti, che però non sono state distrutte, anzi sono state addirittura trascritte, depositate alle parti e poi allegate agli atti del dibattimento, dunque conoscibili da tutti. Ora, per coerenza, se la lesione delle prerogative presidenziali si consuma nel momento stesso in cui qualcuno ascolta e non distrugge le sue parole intercettate indirettamente, il presidente Napolitano dovrà sollevare conflitto di attribuzioni contro le Procure di Firenze e Perugia, e anche di qualche gip e giudice di tribunale. In caso contrario crolleranno rovinosamente le ragioni di principio sbandierate a sostegno del conflitto d’attribuzioni contro i pm di Palermo, che lui giura totalmente svincolate dal contenuto delle sue telefonate. E, più che un ricorso alla Consulta, Napolitano dovrà chiedere un lodo ad personam. Il Lodo Dipende: “Se il Capo dello Stato viene intercettato indirettamente e fa bella figura, le sue conversazioni, anche se irrilevanti per tutti, devono essere conservate e possibilmente pubblicate in caratteri aurei, acciocché il Cittadino sappia quant’è bravo il suo Presidente, sempre teso al Bene Supremo della Nazione; se, viceversa, fa una pessima figura, si distrugga tutto immantinente, altrimenti per i pm sono cazzi”. Finzioni presidenziali. Nell’ansia di compiacere il Re Sole, i corazzieri grandi firme si scordano di sciogliere alcuni nodi. Li buttiamo lì a futura memoria. 1) L’art. 90 della Costituzione stabilisce che “il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni”, ed è lui stesso a dirci che è anche il caso delle due telefonate con Mancino: altrimenti non sbandiererebbe la sua irresponsabilità ai quattro venti. Ma siamo sicuri che il “prendere a cuore” (D’Ambrosio dixit) le lagnanze di Mancino e il darsi da fare per favorirlo interferendo in un’indagine in corso rientri tra le “funzioni” presidenziali? E, di grazia, quale articolo della Costituzione o quale norma dell’ordinamento lo prevede? 2) L’unica “parte” dell’inchiesta sulla trattativa che può avere interesse alla conservazione dei nastri con la voce di Napolitano è Mancino, visto che i pm li han già definiti irrilevanti. Dunque, invece di disturbare la Consulta, perché il Presidente non dice all’amico Mancino di mandare il suo avvocato ad ascoltarli e poi a chiedere al gip di distruggerli? Si rende conto, che conferendo tutta quest’importanza a quelle bobine, si è consegnato mani e piedi nelle mani di un indagato per falsa testimonianza? Per svincolarsi dall’abbraccio mortale e dissipare il sospetto di ricatti e altre trattative in corso, non c’è che un modo: rendere pubbliche le telefonate. 3) Napolitano si fa scudo nientemeno che di Luigi Einaudi, che secondo Repubblica lo avrebbe addirittura “ispirato” (gli sarà apparso in sogno, nottetempo). È proprio sicuro che Einaudi apprezzerebbe? Sicuro che, se gli avesse telefonato un Mancino per quelle proposte indecenti, Einaudi gli avrebbe dato tanta corda, anziché staccargli il telefono in faccia? Un giorno Einaudi disse: “Non le lotte e le discussioni dovevano impaurire, ma la concordia ignava e le unanimità dei consensi”. Parole che ora suonano come un inammissibile attacco preventivo al Quirinale e ai corazzieri. Che facciamo, spediamo pure Einaudi alla Corte costituzionale?