Sottotitolo: “mentre sellini e piddini di ogni latitudine e longitudine si divertono a deridere un’ignorantona del M5S che ha confuso «Pinochet» con «Pino Chet», voglio far presente che il Pd – futuro alleato dei silenti sellini – ha votato quest’oggi [ieri: nota di R_L] per la prosecuzione della guerra in Afghanistan.[Pasquale Videtta]
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«A DI MATTEO GLI FACCIO FARE LA STESSA FINE DI FALCONE»
L’ULTIMO RICATTO DEL BOSS STANCO
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Totò Riina fa sapere che il giudice Nino Di Matteo gli dà fastidio, lo fa diventare matto e per questo deve morire. Lui e tutti quelli che si stanno occupando della trattativa fra lo stato italiano e la mafia. Nessun sostegno da parte delle istituzioni. E dire che alla presidenza del senato c’è un signore che faceva il procuratore antimafia. Per non parlare di Napolitano che in qualità di capo del CSM dovrebbe proteggere e tutelare i giudici, non bacchettarli di continuo perché hanno osato disturbare la carriera di un delinquente seriale.
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Qualche illuminato amatore della bella politica tradizionale pensa che continuare a parlare nei talk show degli sprechi e dei privilegi nella politica sia inutile, che ormai sappiamo tutto e continuare a mestare nel torbido alimenti solo quello che i soloni definiscono populismo.
Io no, non lo penso invece, perché non è cambiato nulla da quando i coraggiosi Rizzo e Stella hanno dato alle stampe le oscenità che hanno contribuito in larga parte allo sfascio del paese, non solo quello economico ma soprattutto evidenziando una politica priva del benché minimo senso etico e di quella umanità che aiuterebbe ad avvicinarsi alle realtà drammatiche che molti cittadini devono vivere quotidianamente mentre la vita, la bella vita dei politici si è mantenuta sullo stesso tenore. Nulla è cambiato per loro, per i bravi rappresentanti dello stato e della politica.
A loro non è stato tolto niente semplicemente perché come spiegava ieri sera Gomez da Paragone su la7 un regime che si fonda sull’oligarchia se cade si porta dietro tutti, quindi è impensabile che questa politica farà quelle leggi che indebolirebbero un regime che in tempi di crisi, di disperazione, di suicidi ha fatto in modo che in questo paese nel 2012 127.000 persone sono potute entrare nella categoria dei milionari.
Ed è facile immaginare che questo sia stato possibile solo speculando sulla povertà che avanza. E i nuovi poveri non possono nemmeno contare sull’aiuto dello stato che su di loro infierisce, pretende comportamenti esatti ma i cittadini no, non li possono né li devono pretendere dalla politica pena l’accusa di populismo e qualunquismo.
I cittadini non devono né possono nemmeno pretendere che quella legge uguale per tutti venga applicata anche sul potente prepotente quando è anche delinquente. Da 105 giorni c’è un pregiudicato condannato che latita alla luce del sole col consenso dello stato, delle istituzioni e della politica solo perché anche lui fa parte di quell’oligarchia e di questo regime che al potente tutto sconta e perdona ma al cittadino no.
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DECADENZA IL 27 NOVEMBRE? NO, SI VA VERSO L’ENNESIMO RINVIO
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Nausea con monito – Marco Travaglio – 14 novembre
Anziché seguitare a trafficare intorno al giudice Antonio Esposito, cercando ogni pretesto per punirlo, il Csm potrebbe dire chiaramente ciò che abbiamo capito tutti. Esposito si è reso “divisivo” perché ha osato fare ciò che nessuno aveva mai fatto: condannare definitivamente Silvio Berlusconi. Diversamente da plotoni di toghe che, al primo cenno del Quirinale, si mettono sull’attenti e sospendono processi, interrompono requisitorie, si bevono impedimenti-farsa, congelano udienze, rinviano camere di consiglio, Esposito ha obbedito soltanto alla legge. Come presidente della sezione feriale della Cassazione, ha emesso la sentenza del processo Mediaset il 2 agosto, prima che scattasse la solita prescrizione. E così ha disturbato la “pacificazione” ordinata da Napolitano e Letta jr. per tener buono il Caimano. Dunque bisogna trovare il modo di punirlo, anche se non ha fatto altro che il suo dovere, anzi proprio per questo. Il pretesto è noto: l’intervista apparsa sul Mattino il 6 agosto, intitolata “Berlusconi condannato perché sapeva”. Peccato che, nel testo concordato col giornalista, Esposito non parlasse mai di B.. Peccato che la domanda su B. fosse stata aggiunta dopo, senza il suo consenso, appiccicata a una risposta sull’infondatezza del “non poteva non sapere” nei processi. Peccato che le motivazioni depositate il 29 agosto siano totalmente diverse dai princìpi enunciati nell’intervista. Ma non è bastata la prova provata che Esposito non ha mai anticipato le motivazioni della sentenza Mediaset. Il Csm ha aperto un procedimento per trasferirlo d’ufficio (e dove, di grazia, visto che la Cassazione è competente su tutt’Italia?). E il Pg ha avviato un’istruttoria disciplinare. Due iniziative che hanno alimentato il linciaggio sugli house organ della Banda B. Ma due iniziative illegali. La prima perché il trasferimento d’ufficio dipende da situazioni incolpevoli di incompatibilità ambientale, che prescindono dalle condotte volontarie (come le le interviste). La seconda perché la legge che regola i procedimenti disciplinari, la 269/2006, ritiene illecite solo le “dichiarazioni o interviste che riguardino soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione ovvero trattati e non definiti”. E il processo Mediaset era già definito con sentenza definitiva. Ed Esposito non aveva neppure nominato il “soggetto coinvolto” (ma, se l’avesse nominato, non avrebbe commesso illeciti ugualmente).
Nei giorni scorsi Esposito ha appreso dai giornali, che riprendevano un lancio di agenzia, che la sua pratica di trasferimento stava per essere archiviata, e con quale motivazione. Bel paradosso: il Csm anticipa a mezzo stampa la sentenza su un giudice accusato di aver anticipato a mezzo stampa una sentenza. Il relatore ha smentito di averla spifferata lui. Ma ieri s’è scoperto che il verdetto corrisponde alle indiscrezioni. Dunque qualcuno dal Csm l’ha fatto uscire prima. Peccato che l’interessato non ne sapesse nulla: del resto non l’hanno neppure ascoltato per consentirgli di difendersi. Alla fine, con 17 Sì, 2 No e 5 astenuti, il Plenum ha deciso di non trasferirlo. Ma ha trovato comunque il modo di sputtanarlo: “Il comportamento può integrare profili disciplinari, deontologici e professionali, da affrontarsi eventualmente nelle sedi competenti”. Anche se la legge non lo prevede. Perché fosse tutto ancor più chiaro, i signori del Csm hanno infilato nella delibera l’ultimo monito di Napolitano alle toghe: “misura e riservatezza“, niente “fuorvianti esposizioni mediatiche” né “atteggiamenti protagonistici e personalistici”. Come se i moniti valessero più delle leggi. Immediata l’esultanza del laico del Pdl Niccolò Zanon, che è pure uno dei 35 saggi ricostituenti di Letta & Napolitano: “Il lato positivo è che la delibera parla di aspetto disciplinare. Speriamo che la Procura generale faccia quello che deve fare”. Se si danno da fare, magari riescono a punire il giudice innocente prima che decada il pregiudicato colpevole.