Prima di tutto, la meritocrazia. Il conflitto di interessi, dopo, forse a mai più

Chissà se De Gasperi, Moro, avrebbero fatto accordi politici con un delinquente da galera frequentatore abituale di mafiosi. Accordi frettolosi poi, che l’applicazione della finta sentenza per la finta condanna, incombe. La polemica su Grillo e la sua ennesima gaffe ha occupato tutto lo spazio informativo, e il fatto che il presidente del consiglio sia andato ancora e di nuovo a colloquio col pregiudicato a palazzo Chigi è stato ridotto ad una notiziola senza importanza. Mentre, e invece, l’importanza ce l’ha. 
Complimenti per il tempismo: sembra fatto apposta.

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Sottotitolo: Carlo, ammazzato in piazza, la notte della Diaz, dove in una scuola sgorga sangue e si spaccano teste, i manifestanti inermi massacrati di botte per le strade e tanti, troppi altri lasciati indisturbati. Era Genova 2001. Una delle pagine più vergognose della nostra storia. E Gianni De Gennaro era il capo della polizia. Da allora, con governi di destra o di centrosinistra, ha ricevuto solo promozioni. Oggi Renzi lo conferma Presidente di Finmeccanica. Perché per i potenti, quelli veri, la rottamazione non arriva mai. Altro che cambia verso. Per chi uccide, umilia l’Italia e la sua democrazia il verso non cambia mai. Vergogna.  [Marco Furfaro]

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Ragazza calpestata
Agente: “Sono io”

La svolta dopo che il capo della polizia Pansa ha definito “cretino da identificare” l’esponente delle forze dell’ordine ripreso da Servizio Pubblico negli scontri di Roma 

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Nomine, tutti i nomi
Come cambiano Eni,
Enel, Poste e Finmec

La lista completa delle nomine di presidenza e consiglio di amministrazione delle 4 società pubbliche più importanti.

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Moretti, indagato e imputato nel processo per la strage di Viareggio, De Gennaro, l’ex capo della polizia durante i fatti del G8 di Genova  che se la cavò penalmente ma sulla sua responsabilità morale non si dovrebbe nemmeno discutere messi a capo di Finmeccanica, già mecca delle tangenti ai tempi di Guarguaglini&Co che adesso si occupa di armamenti. Luisa Todini,  figlia di papà industriale, forzaitaliota da sempre –  infatti la sua nomina alle Poste è stata caldamente sostenuta dalla ministra Guidi – che abbiamo imparato a conoscere grazie alle sue  innumerevoli ospitate televisive, specialmente da Floris a Ballarò vera fucina instancabile che trasforma emerite nullità com’era la polverini in politici e dirigenti. La Marcegaglia, altra figlia di suo padre,  già a capo di Confindustria e adesso a Eni al posto che fu di Scaroni, altra anima candida dell’italica managerialità: questo è il cambiamento di Renzi.  Questo è il grande prestigio di cui disponiamo in Italia.

Non finiremo di ringraziare mai abbastanza Tonino Di Pietro per essersi opposto all’istituzione di una Commissione di inchiesta sul G8 perché, testuali parole: “volevano indagare sulla polizia”. Come se indagare sulla polizia nel paese delle mele marce, delle schegge impazzite e, da ieri come ci fa sapere il capo della polizia Pansa a proposito del poliziotto che passeggiava su una manifestante di Roma anche dei cretini fosse poi un esercizio così inutile.
L’anima del poliziotto di Di Pietro ha avuto la meglio sulla necessità di fare chiarezza nel merito di una vicenda che, secondo la Cassazione “gettò discredito sull’Italia agli occhi del mondo intero” e, secondo Amnesty International, fu la più grave sospensione della democrazia di uno stato di diritto dopo la seconda guerra mondiale.
E Mastella, l’allora ministro della giustizia del governo Prodi che cadde dalle nuvole dicendo che “nel programma la Commissione non c’era”.
Ma non c’era nemmeno l’indulto che invece fu realizzato alla velocità della luce del sole d’agosto.
Probabilmente una Commissione d’inchiesta avrebbe permesso di fare indagini più accurate sulle responsabilità dei macellai ma soprattutto dei mandanti dei blitz sanguinari di Genova, ed oggi uno come Gianni De Gennaro sarebbe a fare qualcos’altro, non sarebbe stato mandato da Monti a fare il sottosegretario alla sicurezza nazionale e non farebbe parte di questa compagnia di giro, dell’élite che conta, quella che piace alla destra, al centro e alla sinistra, così tanto da litigarselo quando c’è da spartirsi le poltrone.

 

Servizi di stato

#PresaDiretta è ancora il primo hashtag di twitter insieme a #mortidistato.
A dimostrazione che la gente, anche quella in Rete, si interessa eccome alle cose importanti e trascura volentieri le scemenze di regime.
Basta fargliele sapere.

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Sottotitolo: A tutti quelli che scrivono che sulla Rete ci sono i “cattivi”

Dopo aver visto Presa Diretta di ieri risulta un po’ più complicato valutare come violenza quella scritta in Rete. 
Verrebbe da derubricarla a semplice cattivo gusto e maleducazione. 
E’ molto complicato restare coerenti in Italia. 
Saper dare la giusta considerazione alle cose. 
Ed è alquanto fastidioso leggere oggi i soliti professionisti della carta stampata, dell’informazione dare tanto spazio ad una cosa piuttosto che averla data a quelle che condizionano e complicano la vita reale di tanta gente. 
E che probabilmente, sicuramente, sono la causa di tanta aggressività.

E’ impossibile anche una discussione pacifica in famiglia ormai. 
Ma questo “loro” lo sanno, solo fa più comodo dare la colpa a Internet.
Con mio marito discuto più per la politica che per i fatti nostri.

Certi strilli che non ve li racconto.

Ma non glielo spieghiamo a Toni Jop dell’Unità e a Michele Serra che magari la Rete chiudesse adesso. Non capirebbero.

Singolare poi che quelli che dicono dal pulpito di ignorare e isolare i violenti siano poi gli stessi che corrono dietro ai giovanardi, alle santanchè che in quanto a pensieri violenti non hanno niente da invidiare all’ultimo utente diseredato dei social. Per non parlare delle dichiarazioni/affermazioni del delinquente latitante sui giudici, i cancri, i comunisti che vede solo lui e tutto il resto dell’orribile repertorio che vengono spalmate ovunque PROPRIO perché se ne parli. Ma chi vogliono prendere in giro? Cominciassero loro, giornalisti, opinionisti e intellettuali ad occuparsi delle cose importanti. Il resto poi, verrebbe da sé.

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Riccardo Iacona e Milena Gabanelli in un paese normale sarebbero il direttore e il presidente della Rai. E la gente il canone lo pagherebbe volentieri, invece di considerarlo la tassa più iniqua perché relativa al possesso di un oggetto e non ai contenuti di quell’oggetto.

Guardare Presa Diretta ieri sera mi ha provocato lo stesso dolore di quando ho visto Diaz, che benché sia un film riporta fedelmente i fatti accaduti nella notte degli orrori al G8 di Genova. 

Storie tragiche, di violenza gratuita che spaccano il cuore di tutti, meno però di quelli che avrebbero dovuto e devono restituire giustizia. Non è possibile che indossare una divisa da poliziotto in Italia significhi impunità certa. Tutti prescritti, prosciolti, indultati. Funzionari di stato che ammazzano e massacrano per la vita gente innocente e poi tornano tranquillamente ad indossare la divisa.

Fare il poliziotto e il carabiniere non deve essere l’ultima scelta dettata dalla disperazione di non avere alternative nella vita. Deve diventare una professione, chi sceglie di servire lo stato nelle forze dell’ordine deve avere tutti i requisiti adatti, essere ben pagato, controllato periodicamente e quando sbaglia pagare non come tutti, di meno o per niente ma di più. Proprio perché rappresenta lo stato in qualità di tutore della sicurezza dei cittadini.

I violenti non sono poche mele marce, qualche scheggia impazzita. Perché da una parte ci sono i violenti e dall’altra gli omertosi, e quando qualcuno di loro  ha il coraggio di denunciare paga lui, non il violento e l’omertoso che sapeva ed ha taciuto. Amnesty International ritiene l’Italia un paese “inadempiente” [da 24 anni!] perché non ha mai risposto all’esigenza di istituire il reato di tortura così come ha chiesto anche l’Europa. Ed è proprio per l’assenza di quel reato e grazie ai dispositivi straordinari come l’indulto che i processi che hanno riguardato i funzionari dello stato violenti, mandanti ed esecutori, non si sono conclusi con una sentenza adeguata. Nel paese delle “mele marce” e delle “schegge impazzite” i cittadini non possono avvalersi di un’opportuna tutela legale né ricevere giustizia quando l’assassino non è il maggiordomo ma lo stato.

Anche per quanto riguarda le forze dell’ordine violente un bel po’ di responsabilità ce l’ha, che lo dico a fare, l’informazione. 
In un paese dove la struttura portante, cioè lo stato, sa di avere sempre il fiato sul collo di chi vigila e rende pubblico quel che la gente deve sapere certi orrori non potrebbero succedere. 
Una trasmissione come Presa diretta di ieri sera lascia senza fiato perché qui non siamo abituati ad essere informati così, senza il filtro di quello che è opportuno che la gente non sappia. Invece la gente deve sapere, perché quelle sono cose che possono succedere a tutti. 
E la ministra Cancellieri che pensa ad istituire un nuovo reato per chi ammazza qualcuno quando è alla guida di un’automobile, quando penserà a dei nuovi reati, possibilmente veri e non virtuali, per la polizia violenta che ammazza e dopo non succede niente?

Omicidio colposo quello di chi uccide un ragazzino a calci in testa, sul torace fino a spaccargli il cuore? 
E come può essere normale un paese dove bisogna fare una guerra per riuscire a portare in tribunale degli assassini solo perché indossano una divisa da poliziotto o carabiniere? lo non so se ce l’avrei fatta, al posto di quelle madri, sorelle. No. E’ terribile. Impossibile che cose come quelle possano accadere in una democrazia occidentale.

Perché in quale paese democratico occidentale ad un assassino in divisa oltre a non vedersi mai applicare una sentenza anche quando è ridicola come quella che condanna degli assassini a tre anni e sei mesi – cifra con cui è stata quantificata la vita di Federico Aldrovandi, un ragazzo di diciotto anni – viene permesso di tornare al suo posto di lavoro come se non fosse successo niente? Questi sono argomenti dei quali un’informazione seria si dovrebbe occupare tutti i giorni, invece di star sempre lì a magnificare l’azione di chi arma le mani a degli assassini e poi permette che restino impuniti.

In un paese civile i cittadini hanno il diritto di potersi fidare dello stato e di chi lo rappresenta: da politico e da funzionario qual è un poliziotto. 
In un paese civile non dovrebbe esserci nessuna ragione per temere lo stato e i suoi funzionari. 
In Italia ce le abbiamo TUTTE.

Presa Diretta di ieri sera è un programma che va visto e rivisto, insieme ai figli; per dire ai figli di stare attenti quando escono non solo la sera ma sempre. Non attenti all’uomo “nero”, allo “zingaro” allo spauracchio che viene usato per terrorizzare i figli già da bambini ma all’uomo, e alla donna, in divisa. E mi auguro che anche Alfano e la Cancellieri lo abbiano visto.

E’ ufficialmente primavera

“Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. 
Ci sono entrato per caso. 
E poi ci sono rimasto per un problema morale. 
La gente mi moriva attorno.” 

[Paolo Borsellino]

 

Sottotitolo: L’Italia è un paese che soffoca nella verità negata. E uno stato che nega la verità sui morti di mafia, di stragi fasciste, di situazioni mai chiarite, non dimentichiamoci che se non fosse stato per la pervicacia della madre di Federico Aldrovandi  la questione sarebbe stata risolta con un suicidio per atti di autolesionismo, stessa cosa per Stefano Cucchi il cui caso è salito all’attenzione dei media grazie al coraggio della famiglia che ha permesso che si pubblicassero le foto del ragazzo “morto di fame”, non è uno stato giusto.

E non tutti se la sentono di rispettare a senso unico.

Bisogna togliere alla politica il controllo di tutto ciò che fa la politica, perché la polizia opera secondo la legge che fa la politica, esattamente come la magistratura; il loro agire è determinato da quello della politica, delle leggi che fa il parlamento. E quando il poliziotto pesta a sangue qualcuno fino ad ammazzarlo e poi gli autori delle violenze non vengono puniti come qualsiasi altro cittadino che commettesse le stesse violenze vuol dire che la politica, dunque lo stato, mette in preventivo che questo si possa fare. Che legittima l’agire violento, gli abusi delle forze dell’ordine.
Dunque ci vogliono dei supervisori al di sopra di ogni sospetto  perché come diceva qualcuno “lo stato non può processare se stesso”.

Ad esempio al Copasir che non è il circolo della bocciofila né l’ente statale che si può affidare nelle mani del solito raccomandato carrierista ma il comitato che si occupa della sicurezza del paese,  e che invece viene affidato alla politica che a proposito di Costituzione non ha sempre le idee chiare.

Senza verità non c’è mai giustizia. Antonio Manganelli era il vice di De Gennaro al g8 di Genova, ed era assente perché in vacanza.

E resta difficile comprendere  perché  un vice capo della polizia decida di andare in vacanza proprio durante lo svolgimento di un evento così importante. E comunque l’unico modo di chiedere scusa per uomini e donne dello stato, politici e funzionari è dare le dimissioni.

Ed eventualmente chiedere scusa dopo.

 

Preambolo: morire di una brutta malattia è un destino infame ma che comunque fa parte della fatalità e dei casi della vita.
Morire di botte per mano di poliziotti, dunque funzionari dello stato che poi vengono perdonati dallo stato che non li punisce, non li condanna concedendogli TUTTE le attenuanti e per farlo s’inventa perfino reati inesistenti, gli conserva perfino il posto di lavoro no, non è proprio la stessa cosa.
Non ci somiglia nemmeno.
Purtroppo non tutti disponiamo della grandezza d’animo dimostrata da Patrizia Moretti,  mamma di Federico Aldrovandi, se fossimo però capaci di toglierci il velo dell’ipocrisia e del perbenismo a tutti i costi forse sarebbe meglio, più costruttivo dei facili commenti a proposito di chi oltre alla pietas umana non riesce a provare, quando muore un uomo dello stato, di questo stato.

Che deve fare qualcuno per farsi almeno criticare [ché la morte non lava via proprio nulla] più che rappresentare chi  ha ammazzato un ragazzino a calci e a botte riprendendosi in casa i suoi assassini come se niente fosse accaduto? per aver ordinato i pestaggi e i maltrattamenti ai NOTAV, donne incinte comprese, a manifestanti di piazza che non fanno niente di male ma  chiedono il riconoscimento dei diritti,  la loro messa in pratica e il rispetto che si deve ai cittadini, a studenti che protestano per difendersi la scuola e il loro diritto allo studio sancito dalla Costituzione? non so.

Antonio Manganelli verrà  ricordato dai più  come il funzionario più pagato del mondo, perfino più del presidente americano che è stato a capo di una polizia troppo spesso indegna di uno stato civile, soprattutto grazie ai suoi dirigenti a cui piace il metodo della violenza e dell’abuso.

Mi fanno piuttosto schifo  quelli che gioiscono davanti alla morte di qualcuno, mi limito solo a considerare l’ipocrisia che circola ogni volta che muore un uomo dello stato, di questo stato.

 Sappiamo tutti che se la polizia usa certi sistemi è perché qualcuno ordina di farlo.

Ma veramente bastano le scuse del capo della polizia di stato per annullare tutte le violenze perpetrate a gente innocente, inerme in nome dello stato? magari, bastassero le scuse.

‘sta guerra fra bande di bloggers che difendono se stessi e giornalisti che devono occuparsi di quel che fanno i bloggers, delle loro cazzate tipo che l’aids è una leggenda metropolitana e dispensare i loro consigli anche a quelli eletti da nonsisabenechi a “coordinatori di comunicazione di portavoce” ufficiali di partito e che poi decidono di fare i  coordinatori dei portavoce senza voce di un partito che fa le conferenze stampa senza rispondere alla stampa  ha sinceramente rotto le palle, anche a chi non ne possiede.
Fatevi una telefonata, mandatevi una mail, regolate i vostri contenziosi a botte ma disoccupate la zona informativa per favore.
Non c’interessano le vostre beghe personali, molto spesso frutto di antichi rancori mai sopiti.

I portasilenzio
Marco Travaglio, 21 marzo

Nel ’94, per metter fine alla cacofonia dei suoi ministri che parevano usciti da Prova d’orchestra di Fellini, il Cainano nominò portavoce del suo primo governo Giuliano Ferrara. Che, come ministro dei Rapporti col Parlamento, aveva già instaurato col Parlamento i peggiori rapporti della storia repubblicana. L’uomo giusto al posto giusto. Anche come portavoce comunque non fu niente male: appena aprì bocca, accusò Borrelli di parlare “come un capomandamento mafioso” innescando una guerra termonucleare col Quirinale (c’era Scalfaro, non Mister Monito) e con la magistratura. Assediato da tutti i fronti, B. tolse la voce al portavoce, sospirando: “Qui ci vorrebbe un portasilenzi”. Da allora Ferrara portò solo se stesso, che comunque era già un bell’impegno. Qualcosa di simile, mutatis mutandis, accade da due giorni al M5S, dopo la geniale trovata di Casaleggio di spedire a Roma due noti blogger, Messora e Martinelli, come portavoce dei gruppi parlamentari. Messora è noto per le sue posizioni complottiste, espresse con foga in alcuni programmi tv, soprattutto L’ultima parola di Paragone. Martinelli è noto in rete per aver seguito come inviato, per i blog di Grillo e Di Pietro, alcuni processi dimenticati dalla stampa di regime (tipo Dell’Utri). Ma il blogger è per sua natura un cane sciolto, un solista dall’individualità molto spiccata, perché deve districarsi nella web-jungla con una trovata originale al giorno. Altrimenti sparisce. Una figura totalmente incompatibile con quella del portavoce, che deve annullare la propria personalità fino a diventare lo specchio dell’immagine altrui, il megafono delle decisioni altrui. In questo caso, dei gruppi di M5S alla Camera e al Senato. Ma soprattutto il portavoce dei gruppi parlamentari deve confrontarsi ogni giorno con la stampa parlamentare, che lavora prevalentemente per giornali e tv. Con i molti difetti e i pochi pregi ben noti, ma che non spetta a un portavoce stigmatizzare. Il tragicomico equivoco ha subito prodotto effetti esilaranti. Martinelli ha esordito mettendo in guardia i 5Stelle dall'”ingenuità” che li porta a “cadere nelle trappole di chi vuole sputtanarli”. Senonché subito dopo è caduto nella trappola da lui stesso fabbricata, dichiarando a La Zanzara (ottima idea, andare a La Zanzara) che l’euro fu “la mossa massonica di un gruppo di banchieri”. Il che, per carità, può anche essere, ma non pare il primo punto all’ordine del giorno di M5S, che chiede al Parlamento di varare subito i tagli alla casta e qualche misura per il rilancio dell’economia. Messora intanto spiegava di essere lì per costruire un “team” che “armonizzi le posizioni” dopo “il casino”. Il guaio è che al casino ha subito contribuito lui: anziché spiegare ai capigruppo che non si convoca una conferenza stampa senza domande, ha insultato su Facebook i giornalisti “pseudo-omuncoli” e “spalamerda”. Che, per carità, esistono: l’assalto quotidiano ai grilli per strappar loro un sì alla solita domanda che raccoglie solo no, “Voterete la fiducia al governo Bersani?”, è un caso di stalking umiliante che tradisce il servaggio di molti cronisti al regime dei partiti. Ma non spetta a un portavoce denunciarlo: il suo compito è rispondere a tutti, anche a chi non gli garba, magari per comunicare le iniziative che sono la vera forza di M5S: spulciare, chieder conto di tutto, costringere i partiti a seguirlo su terreni mai praticati come la sobrietà, i risparmi, la guerra ai privilegi, ai conflitti d’interessi, l’ineleggibilità dei condannati, la difesa dei deboli, dell’ambiente e degli altri beni comuni. Invece i nostri eroi fanno gli offesi perché “parlavamo a titolo personale” e i giornalisti non li hanno capiti (ma un portavoce non parla mai a titolo personale o, se vuole farlo, si dimette da portavoce). Il risultato è da ammazzarsi dalle risate: i portavoce, da ieri, sono in silenzio stampa.

Non sono Stato loro

“Ragion di stato” come se piovesse. Anche questo, evidentemente, fa parte della strategia finalizzata ad allentare le tensioni sociali.

Prosciolto De Gennaro: non fu coinvolto nell’operazione Diaz.

Il primo caso nella storia di tutti i tempi  [e di tutto il mondo, presumo]  di qualcuno che,  all’epoca dei fatti del G8 di Genova e dei relativi massacri compiuti dalle forze dell’ordine alla Diaz e a Bolzaneto (su ordine di chi,  di Topo Gigio, di Gargamella?) era capo della polizia a sua insaputa.

Nessuna prova contro Gianni De Gennaro ma sugli occupanti della Diaz sono state compiute “inqualificabili violenze”. Si torturava  gente innocente, incolpevole, inerme e senza difese a sua insaputa.

Gianni De Gennaro è stato appena nominato da Monti sottosegretario per la sicurezza della Repubblica Italiana.

Da Portella della Ginestra a Genova, passando per Brescia fino ad arrivare nel cielo di Ustica ma,  quando lo stato, questo stato, non può dare una risposta forse  perché sarebbe fin troppo ovvia, lo fanno per noi, per non considerarci dei perfetti imbecilli, ecco,  non condanna mai nessuno.
Sessant’anni di repubblica durante i quali sono accaduti gli orrori più efferati che però  non hanno mai trovato una risposta e dunque nemmeno giustizia.
Il colpevole non c’è, non si trova,  non confessa e quindi non si può condannare nessuno.
Non è mai  Stato nessuno.

Eppure ci sono paesi dove avere un ruolo comporta davvero maggiori responsabilità, e in caso di violazioni della legge di chi ricopre quei ruoli le pene sono adeguate proprio per evitare che la gente perda fiducia nelle istituzioni.

Qui no, nonostante e malgrado le istituzioni abbiano fatto e facciano di tutto per far perdere la fiducia non solo non succede niente, ma quelle ‘istituzioni’ vengono anche premiate, anziché punite.

Ma se lo dici sei giustizialista, qualunquista, populista, terrorista.

Ecco perché Monti De Gennaro l’ha voluto sottosegretario:  per premio, per non aver commesso il fatto; fosse stato quell’altro lo avrebbe nominato prima della sentenza, affinché non avesse niente da rischiare.

A mafialand ha sempre funzionato così, nel silenzio dei conati di monito, peraltro.
Io penso che uno schifo più schifo di questo non esista in nessuna parte del mondo.

Viene voglia di smettere anche di pensare. Siamo disarmati, non possiamo decidere niente, non possiamo ribellarci alle ingiustizie, non possiamo dire quello che non va bene senza essere accusati di essere contro lo stato, contro la politica, e invece quelli che lo stato l’hanno violentato vengono premiati, promossi, encomiati; sinceramente: quanto ancora si può sopportare tutto questo? c’è da sentirsi male a vivere in questo paese ridicolo, dove c’è paura a condannare qualcuno quando lo merita solo in virtù dell’abito che porta, che sia una divisa, una tonaca o un doppiopetto blu.

Non vorrei sentire più nessuno parlare di Italia come di uno stato di diritto, ci risparmiassero almeno questa indecenza, questa grossolana menzogna, questa falsità.

Pulizia di Stato – Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano – 24 aprile

Gentile dottor Antonio Manganelli, come capo della Polizia lei avrà senz’altro visto il bellissimo film Diaz di Daniele Vicari che sta riscuotendo un buon successo di pubblico nelle sale.
L’ho visto anch’io assieme a mio figlio che — posso assicurarle — non è stato educato all’odio contro le forze dell’ordine. Anzi, personalmente ho sempre pensato e detto che, fino a prova contraria, le forze dell’ordine sono dalla parte del giusto.
Eppure, all’uscita dal cinema, mio figlio che ha 17 anni ha commentato: “Mi è venuta una gran voglia di prendermela con i poliziotti”.
Ho cercato di spiegargli che quel che accadde 11 anni fa al G8 di Genova è un unicum, tant’è che ancora se ne parla, al punto da farci un film.
Che non tutti i poliziotti sono come quelli ritratti da Vicari.
Anzi, la maggior parte prova per quelle scene (purtroppo reali, documentate da testimonianze e filmati e atti processuali) lo stesso orrore che proviamo noi.
E ogni giorno migliaia di agenti rischiano la pelle per un misero stipendio, catturando killer della mafia addirittura con le proprie auto, com’è accaduto ancora l’altro giorno in Calabria, visto che le volanti sono spesso senza benzina o arrugginiscono guaste nei garage per i continui tagli al bilancio dell’ordine pubblico.
Ma temo di non averlo convinto. E lo sa perché? Perché alla fine del film una scritta agghiacciante ricorda che decine di quegli agenti e dirigenti violenti e deviati sono stati condannati in primo e secondo grado per le mattanze alla Diaz e a Bolzaneto (a proposito: si spera che la Cassazione si sbrighi a giudicarli, per evitare che la facciano franca per la solita prescrizione), ma nessuno è stato rimosso dal corpo.
Qualcuno anzi ha fatto addirittura carriera.
Come Vincenzo Canterini che, dopo la condanna in primo grado a 4 anni per la Diaz, divenne questore e ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest.
O Michelangelo Fournier, quello che al processo parlò di “macelleria messicana”, che dopo la prima condanna a 4 anni e 2 mesi ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga.
O Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un ragazzo di 15 anni, condannato in tribunale a 2 anni e 4 mesi per le sevizie di Bolzaneto e a 2 anni e 3 mesi per arresti illegali, e subito dopo promosso capo della Questura di Genova e poi dirigente di quella di Alessandria.
Molti di loro avrebbero subito sanzioni ancor più pesanti se l’Italia avesse recepito il reato di tortura, cosa che non avvenne per la strenua opposizione del Pdl e della Lega, guardacaso al governo nel 2001 e dunque responsabili politici e morali di quel che accadde. Nemmeno il dirigente che portò nella Diaz due molotov ritrovate altrove per giustificare ex post l’ignobile pestaggio di gente inerme fu cacciato dalla polizia.
E nemmeno quello che, come si vede nel film, si ferì da solo per simulare un corpo a corpo con i fantomatici “black bloc” che in quella
scuola, quella notte, non esistevano. Molti altri, nascosti sotto l’anonimato del casco, non sono stati identificati, dunque neppure processati. È difficile non pensare che gli agenti che si sono macchiati di violenze gratuite negli ultimi anni, per esempio in Val di Susa contro i No-Tav, possano essere gli stessi che la passarono liscia per i fatti di Genova, o altri loro emuli, incoraggiati dall’impunità generale. Lei, dottor Manganelli, 11 anni fa non era a Genova e non può essere ritenuto responsabile di quel che accadde. Ma oggi che la verità processuale è sotto gli occhi di tutti, validata dai due gradi di giudizio di merito (la Cassazione deve pronunciarsi solo sulla legittimità delle sentenze) e finalmente immortalata da un film (era già tutto nel documentario Bella ciao di Giusti, Torelli e Freccero, ma la Rai vergognosamente lo censurò), non può chiamarsi fuori. La prego, metta subito alla porta chi si macchiò di quei crimini orrendi.
Ci aiuti a credere ancora nella Polizia di Stato.