“Se mi capitasse qualcosa, dite che ho fatto di tutto per campare”

“Un giullare che dileggia il potere”.
Con questa motivazione  il 13 ottobre di diciannove anni fa Dario Fo fu premiato col  Nobel per la letteratura.
Oggi i giullari che un tempo il regimetto democristiano si limitava a censurare come capitò proprio a Dario Fo e Franca Rame, cacciati dalla Rai dove non poterono mettere piede per quindici anni, si portano in tribunale.
E’ la modernità, bellezza.

dario-foUn’intera generazione di italiani sta scomparendo lasciando un paese peggiore di quello che aveva provato a costruire anche attraverso la cultura nel momento peggiore per l’Italia uscita dal regime fascista e dalla guerra.
Molti, fra i quali Dario Fo lo hanno fatto mettendosi a disposizione di chi non aveva mezzi, possibilità, conoscenza e sapere.
Se guardiamo a chi è andato e chi di quella generazione è ancora qui, con altri obiettivi, c’è da avere paura.

Dario Fo, diversamente da chi dopo aver costruito una carriera dall’altra parte del potere ha abdicato al suo ruolo incamminandosi sulla facile scorciatoia per avvicinarsi al potere nel modo peggiore, sostenendo apertamente quel potere, ha difeso la sua libertà fino all’ultimo assumendosene sempre la responsabilità: non ha mai usato il paravento dell’ipocrisia.

“Io, populista e me ne vanto”

Farsi sfiorare dal dubbio sui motivi che spingono una persona di enorme cultura,  intelligenza ad avvicinarsi al movimento ‘populista’ non interessa quanto, invece, è interessato a tutta la cosiddetta intellighenzia de’ sinistra marchiare Dario Fo col bollino riservato alle canaglie.
Scalfari addirittura si scandalizzò ascoltando Fo a Otto e mezzo parlare di Grillo, si meravigliò e lo accusò di essere un Narciso, ma non si vergogna né prova imbarazzo il fondatore di un giornale chiamato Repubblica quando scrive editoriali che celebrano l’oligarchia come unica forma di potere.

mistero-buffo

 Grazie ad un uomo che più e meglio di altri e di tanti ha saputo dare un valore concreto e  prezioso alla parola “libertà”.

“Dio c’è, è comunista e donna” – Franca Rame

Dario e suo figlio sono riusciti a trasformare in un incontro di popolo, quasi in una festa gioiosa un giorno di morte, di separazione dall’affetto supremo, dall’amore di tutta la loro vita. 
Non è una cosa che possono fare tutti, bisogna avere un di più che non tutti hanno.

Quella di Dario e Jacopo Fo è stata una grande, grandissima lezione di vita, da conservare per la vita.
Emozioni rare, preziose per la loro unicità che è difficile provare.

L’Umanità non può mai prescindere dalla Bellezza e dall’Amore.

Tutte le menti belle, pulite, oneste, hanno sempre parlato di bellezza e d’amore, anche quando si occupavano delle miserie, della miserabilità disumane, quando lottavano contro un orrore  come la mafia.

Penso a Peppino Impastato, anche lui credeva che la bellezza è l’unica salvezza, l’ho sempre pensato anch’io e mai come oggi.

Strepitoso Dario Fo e agghiacciante la sua lucidità nel momento più triste della sua vita.

Questa è l’Italia bella, quella della testa alta sempre.

E con tutto il rispetto, il funerale laico è molto più suggestivo di quello religioso; ognuno dice quello che vuole e nessuno deve essere sottoposto alla tortura di ascoltare le cose che i preti recitano sull’altare: sempre le stesse.
Sempre la stessa favola che ripetono da duemila anni e cioè che la vita bella è solo quella del dopo.

E che se in questa si soffre, si sta male non fa niente ché il riscatto l’avremo sicuramente quando saremo chissà dove.
Mentre non è affatto così, e quel regno dei cieli di cui si millanta l’esistenza non è nell’altra vita, il miglior regno della e per la vita bisogna costruirselo qui, sulla terra, e da vivi.

L’antipatico Rodotà

L’insulto è solo la scorciatoia per chi non ha argomenti.
E dispiace che questa semplicissima cosa non venga compresa proprio da tutti.
Nessuno ha i titoli per insultare nessun altro.
Nel dibattito pubblico l’insulto è un pessimo biglietto da visita, lo abbiamo sperimentato e subito con berlusconi e non ci piaceva, dunque si presume che non dovrebbe piacere nemmeno quando ad insultare sono altre persone.
Chi non giustificava, giustamente, berlusconi non dovrebbe farlo nemmeno adesso con Grillo.
Altrettanto giustamente.

MA

Non dico di essere coerenti ma insomma, a tutto c’è un limite.

Dire che una persona sbaglia non significa mettersi dalla parte di chi da quella persona è stato sempre criticato.
Ma per dire che quella persona sbaglia bisognerebbe avere i titoli per farlo.
Io Grillo e il movimento li ho sempre difesi nelle questioni di principio ma li ho anche criticati quando andavano criticati. 
E quando critico qualcuno lo faccio in base alle mie riflessioni, non me le faccio prestare dal segretario di partito, dal politico o dal quotidiano.
Il pd che oggi difende Rodotà non è lo stesso che in tempi recentissimi e non solo non l’ha degnato della benché minima considerazione, che si è arrampicato sugli specchi per giustificarsi di non averlo potuto votare, che ha ritenuto più opportuno rieleggere alla presidenza della repubblica Napolitano perché serviva il presidente “garante”? 
Correttezza vorrebbe che oggi i tromboni piddini invece di approfittare delle cadute di stile di Grillo tacessero, così come hanno fatto in altri contesti e situazioni, visto che lo stesso Rodotà ha detto più volte di essere stato abbandonato dalla sua politica di riferimento e di non riconoscersi più nel pd, probabilmente perché non ritiene più credibile quel partito ed è facile anche immaginare il perché.

Grillo è un peso per i 5s quanto lo è berlusconi per un progetto di centrodestra almeno decente.

No non ci sto più, non li ho votati ma ho difeso il principio, i diritti democratici per i quali se qualcuno ti vota devi avere le stesse possibilità date a tutti ma questo fatto che nessuno può parlare senza essere bersagliato dagli insulti di Grillo no.

Non mi va più bene.

Non è un episodio, due, è un fatto SISTEMATICO che avviene ogni volta che qualcuno prova a dire qualcosa .

Ci vuole non il pelo sullo stomaco ma bisogna proprio non avercelo uno stomaco per trovare una spiegazione all’insulto a Rodotà.

Lui deve smetterla di decidere cosa si può dire e chi lo deve dire, perché lui per primo non ha mai risparmiato nessuno.

ciao Franca2

Franca Rame, la bellissima moribonda e il baciamano di

Calderoli

Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano

Da quando l’ho conosciuta io, cioè da almeno quindici anni, è sempre stata moribonda. Bella – perché era tanto bella, la più bella – e moribonda.

“Maaarco, sto maaalissiiiiimo…”, ogni sua telefonata si apriva così. Poi partiva uno sfavillìo di battute, idee, progetti, commenti sull’ultimo articolo o l’ultima puntata di Servizio Pubblico, suggerimenti da farci un giornale intero. “Francuccia, non mi pare che tu stia poi così male”. “Ma va là, tu non puoi capire, sto sempre a letto. O muoio da me o trovo qualcuno che mi ammazzi. A proposito, tu che sei il diavolo conosci mica un killer?”. Una volta era la pressione (sempre bassa, bassissima), una volta la depressione, una volta l’ischemia, una volta l’aritmia, una volta la respirazione, una volta la vertebra schiacciata, una volta il prurito, insomma non ho mai conosciuto una moribonda più in salute di lei.

La prima volta fu a Palermo, a un dibattito su mafia e giustizia. Non ci eravamo mai visti prima. Lei insultò Leonardo Marino, il pentito del delitto Calabresi, io intervenni a difenderlo. Lei non replicò. Alle due di notte rientravo in albergo, e mi sentii toccare una spalla: “Lei, signorino, è quello che oggi mi ha contraddetta su Marino?”. “Sì e se vuole le spiego perché”. Tre ore di accanito dibattito sul divanetto della reception, Dario intanto era passato e salito, augurandoci la buona notte. Non la convinsi io, non mi convinse lei. Però alla fine, barcollando verso la camera, esalò: “Vabbè, per me Sofri è innocente perché lo dico io. Ma, siccome scrive sul Foglio, forse un po’ di galera se l’è meritata. E adesso vado a letto perché sono le cinque e io sto malissimo”.

Nel marzo 2001 vado a presentare L’odore dei soldi su Rai 2, al Satyricon di Daniele Luttazzi. Succede il finimondo. L’indomani mattina il primo squillo sul telefonino è di Franca. “Maaarco, erano anni che non avevo un orgaaasmo!”.

Un’altra volta presento il mio libro su Montanelli, con cui lei e Dario avevano avuto scontri epici negli anni 70. Eccola lì in prima fila, maestosa, smagliante e fiera, accanto a Dario, al Circolo della Stampa di Milano. “Che ci fai qui, Francuccia?”. “Non dirlo a nessuno, ma Montanelli era bellissimo”.

La prima dell’ultima pièce scritta con Dario, L’anomalo bicefalo, su Berlusconi e Putin. “Marco, alla fine sul palco voglio organizzare un dibattito sul lodo Schifani, invitiamo qualche giudice?”. “Se vuoi provo con Armando Spataro”. E così, dopo gli applausi finali, Spataro e io la raggiungiamo in camerino. Il magistrato fa il baciamano e i complimenti. Lei lo fissa: “Ma io a lei la conosco”. “Può darsi”. “Ma sì, lei è quello che voleva arrestare mio figlio negli anni 70!”. “Arrestare proprio no, però insomma, mi occupavo anche di gruppi extraparlamentari…”. Tutti e due se la ridono di gusto. E lei: “Guarda te i miracoli che fa Berlusconi. Ma chi me lo doveva dire che sarei passata dalla parte dei magistrati”.

Nel 2006, sarà stato febbraio, lei mi chiama con la solita voce dall’oltretomba. Io la prendo in giro, ormai è un gioco: “Francuccia, stai morendo o sei già morta?”. “Peggio, peggio”. “Cosa?”. “C’è qui Di Pietro che vuole candidarmi al Senato”. “E allora?”. “E allora non so cosa dire. Nessuno mi aveva mai candidata al Senato. Dario dice che è meglio di no, Jacopo che è meglio di sì, così mi levo dai coglioni. Siamo uno a uno. Decidi tu”. “Direi di sì: vuoi mettere la scena madre di te che muori in pieno Senato?”. “Hai ragione, accetto”.

Qualche tempo dopo la incontro a Fiumicino, già senatrice, ringiovanita di vent’anni, dritta come un fuso, bella come un fiore. È tampinata da Calderoli, che si profonde in salamelecchi: senatrice di qua, senatrice di là. “Franca, vieni in taxi con me?”. “No, approfitto del passaggio di Calderoli, lui è vicepresidente e lo vengono a prendere”. Mi chiama un’ora dopo: “Maaarco, guai a te se dici a qualcuno quello che hai visto. Tu non ci crederai, ma il Calderoli è sempre così gentile, mi corteggia, mi fa anche il baciamano. Se i suoi elettori sapessero com’è davvero, non lo voterebbero più”. “Ma neanche te i tuoi, Franca”. “Ecco, appunto. Zitto”.

Due anni fa torna a teatro dopo un bel po’, col Mistero buffo al fianco di Dario. Un salutino in camerino, prima che entri in scena. “Maaarco, sto malissimo, mi sa che stasera svengo sul palco”. In effetti è pallida, si regge in piedi a stento, gli occhi persi dietro le lenti a fondo di bicchiere, sempre bellissima, ma di carta velina. Quando tocca a lei, però, è un’altra. Sicura, altera, avanza a grandi falcate, in gran forma come Totò che sui legni del palcoscenico ritrovava persino la vista, attacca col monologo di Maria sotto la Croce e incanta tutti. Dario se la bacia tutta dietro la quinta.

“Da quando è nato il Fatto, ho di nuovo il mio giornale. Posso mandarvi delle cosette?”. E quante ne ha mandate, di “cosette”. Lettere aperte, articoli, racconti, appelli da far firmare ai lettori, proposte di intervista, post per il suo blog, campagne contro gli sprechi della casta, le spese militari, gli inciuci, per i familiari dei soldati morti di uranio impoverito, per quella sinistra a cui ha dato tutto senza riceverne nulla, l’ultimo per Rodotà. Aveva quasi finito un libro sulle sue memorie di un anno e mezzo in Senato: “Non vedo l’ora di fartelo leggere. Lì c’è tutta l’inutilità del Parlamento. Ti guardano, ti sentono, ma non ti ascoltano. Una volta ho fatto un esperimento con un collega senatore: gli ho detto che avevo nella mia valigia un cadavere e che all’aeroporto stavano per scoprirmi perché un dito era uscito dalla cerniera lampo. Sai cosa mi ha risposto, guardandomi in trasparenza come tutti? ‘Ah sì, ne parliamo nella riunione di gruppo’…”.

Da una delle ultime mail: “Caro Marco, mi sto esaltando… una pagina del Fatto tutta per me. Grazie! Grazie! Da un po’ di tempo non mi faccio sentire con congratulazioni, ma dopo l’ischemia faccio fatica a riprendermi. Ho, come dico sempre, tanti anni e quindi accetto serena ciò che mi sta capitando. Verrà l’estate e andrà meglio, speriamo. Aspettiamo giovedì sera con allegria e tensione… Nella puntata ultima guardavo la tua faccia onesta, e per la prima volta ho realizzato che i tuoi capelli si stanno ingrigendo. Mi ha fatto una gran tenerezza e ho sentito il bene che ti voglio come fossi della mia famiglia. Un abbraccio grande, franca. Ps. Ti allego un altro racconto un po ’ imbarazzata”.

Quanto era bella Franca.

Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2013

Bella, ciao

Su wikipedia tutti hanno la possibilità di aggiungere informazioni e dettagli a tutti gli argomenti che sono contenuti nell’enciclopedia on line che ogni giorno viene consultata da miliardi di persone.
Solo però, come diceva Grillo tanti anni fa, se qualcuno scrive una cazzata tempo due minuti e gli si rivolta contro il mondo.
E allora io mi chiedo: qual è il senso di diffondere cazzate, anche offensive, se grazie alla Rete tempo due minuti e non dico il mondo ma un sacco di gente giustamente incazzata e stanca di essere trattata da imbecille poi si rivolta contro?

Per la cosiddetta informazione italiana, pubblica e privata, la parola fascismo è off limit, non si può dire, non si può pronunciare, non si deve dire, ad esempio, che Franca Rame non fu vittima della sua bellezza [finché, ‘sto cazzo] quando il 9 marzo del 1973 fu stuprata da un branco di  fascisti e che il suo fu uno stupro su commissione non perché lei fosse una gran bella donna ma perché era una donna comunista e dunque doveva essere punita per questo.
E non si può dire che quello stupro fu ordinato da alcuni ufficiali dei carabinieri come riportano le cronache del periodo.

Ieri il TG2 ha mandato in onda un servizio vergognoso su Franca Rame: la conduttrice  ha detto che Franca Rame avrebbe usato la sua bellezza finché non fu stuprata omettendo il perché di quello stupro, ovvero la parte fondamentale che fu quella che poi segnò per sempre la vita dell’artista.

Dopo mezz’ora dalla fine del telegiornale in Rete è successo il finimondo come sempre accade quando l’informazione ufficiale, quella che paghiamo tutti, non assolve al suo dovere che è appunto, quello di informare e non di dare la versione più comoda, riveduta, corretta e addolcita di un fatto che è accaduto.

E dai fatti che hanno riguardato  la splendida vita di Franca Rame non si può stralciare qualcosa che è ormai di pubblico dominio, e specialmente nel giorno della sua morte e dopo che  la vicenda drammatica dello stupro subito da Franca Rame aveva già fatto il giro del mondo in Rete.
A distanza di quarant’anni, il servizio pubblico come quello privato nella figura di Enrico Mentana, anche lui così poco coraggioso da evitare di pronunciare la parola “fascisti” in riferimento agli stupratori,  non possono oscurare il fatto che lo stupro di Franca sia stato una vera spedizione punitiva eseguita da una squadraccia fascista e ordita per motivi politici.

Solo in tarda serata è arrivata una specie di rettifica da parte del TG2, ma come sempre accade in casi come questi la toppa è stata peggiore del buco, perché il direttore Marcello Masi ha fatto l’offeso e lo sdegnato invitando a vergognarsi tutti quelli, me compresa che si erano già attivati su facebook per pretendere il chiarimento, colpa nostra che  avevamo capito male e non c’era nessuna finalità offensiva né tanto meno censoria nell’intervento di Carola Carulli al telegiornale.

Nella richiesta di rettifica non c’era nessuna volontà di ripristinare la gogna per la giornalista disinformata: bastava ammettere l’errore e  fare un opportuno passo indietro senza i se i ma del direttore.

E inoltre, se l’informazione facesse il suo dovere non servirebbero nemmeno certe “scuse”.

Lo stupro è un orrore che ammazza dentro.

Quello che si vive dopo è solo un surrogato di vita: un’apparenza di vita.

Grazie a Franca Rame per aver saputo, invece, vivere così bene la sua, mettendosi a disposizione per un progetto di civiltà.

E, a proposito di balle e ballisti,  qual è il senso di fare il Pigì Battista se poi c’è sempre almeno un Marco Travaglio che gli fa fare la figura di merda che si merita?

I ragazzi del coro
Marco Travaglio, 30 maggio

L’altra sera il giornalismo indipendente ha fatto un altro passo da gigante a Ballarò con l’intervista, si fa per dire, di Giovanni Floris a Pier Luigi Bersani. Parevano due compari che si ritrovano al bar dopo tanto tempo e il più cazzaro dei due racconta all’altro che lo voleva la Juve come centravanti, ma lui ha rifiutato perché merita ben di meglio. Solo che al bar, di solito, l’altro compare guarda il cazzaro con un misto di simpatia e commiserazione, e se è molto buono lo asseconda, altrimenti gli ride in faccia. Floris invece assisteva alle bugie di Bersani con compunta partecipazione, alzandogli lui stesso la palla per aiutarlo a mentire meglio. Così lo smacchiatore di giaguari ha potuto raccontare la favola del “governo del cambiamento” con i 5Stelle, abortito per il no di Grillo (tutti sanno che era un governo Bersani di minoranza, in cui i 5Stelle non avrebbero avuto alcun ministro e alcuna voce in capitolo sul programma, che Bersani si era premurato di preparare in anticipo: i famosi otto punti di sutura). La frottola della sua proposta ai grillino di votare Prodi al Quirinale (proposta mai fatta né in pubblico né in privato, mentre fu Grillo a proporgli pubblicamente di votare Rodotà e poi discutere di un governo insieme). La balla del no del Pd a Rodotà perché “non avrebbe avuto i voti” (e allora perché proporre Marini e Prodi, che non avevano neppure i voti del Pd, ed escludere in partenza Rodotà, che aveva già i voti dei 5Stelle e di Sel e avrebbe potuto essere eletto anche senza un terzo del Pd?). La bufala della sua disponibilità a farsi da parte (lo disse solo il 2 aprile, dopo aver ripetuto per un mese e mezzo “governo Bersani o elezioni”, e poi non lo fece mai). La patacca del “sempre stato contrario al finanziamento pubblico dei partiti” (celebre il refrain della campagna elettorale:”anche Clistene era favorevole, sennò fan politica solo i ricchi”). E via balleggiando. L’unica volta che Bersani ha detto qualcosa di vero, e cioè che sa chi sono i 101 “o forse 110” parlamentari del Pd che han tradito Prodi e il partito, ma non intende svelarli, Floris ha lasciato pietosamente cadere la questione. Meglio non metter troppo in imbarazzo l’ospite. Meglio servirgli altri assist spiritosi, tipo: “È più facile governare con Alfano o con Casaleggio?”. Ah ah, zuzzurellone. Il clima è da quiete dopo la tempesta: ce la siamo vista brutta, ma ora è passata, tutto è tornato al suo posto: Grillo perde, i partiti vincono (mettono in fuga 4 elettori su 10, ma è un trionfo), i giornalisti tornano a sdraiarsi dopo tanta paura, la cadrega è salva e si può anche riscrivere la storia a uso e consumo dei presunti vincitori. È lo stesso clima che si respira nei giornali, che celebrano il record dell’astensionismo con titoli virili del tipo “Una domanda di governo” (Corriere ), “Il riscatto dei partiti” (Repubblica ), “Il voto sveglia la sinistra” (l’Unità). Anche gli onanisti di twitter si scatenano. Il neomartire Pigi Battista (Grillo l’ha insultato per le balle che scrive, dunque tutti solidali, mentre chi viene insultato da Battista non merita nulla) cinguetta: “Per Ingroia l’anno della catastrofe: arrestato il suo pataccaro Ciancimino jr.”. Strana esultanza, da parte di uno che passa il tempo a travestire da Tortora qualunque potente arrestato o inquisito. Figurarsi se avessero ingabbiato uno a scelta fra i suoi editori evasori: pianti a dirotto e alti lai contro le manette facili e l’accanimento delle toghe cattive. Trattandosi invece di Ciancimino, viva la garrota. Peccato che il primo a far arrestare Cincimino per calunnia e porto di esplosivi sia stato proprio Ingroia, che poi lo fece rinviare a giudizio per minaccia a corpo dello Stato e concorso esterno. E peccato che l’arresto per evasione fiscale non c’entri nulla con la veridicità o meno di quel che Ciancimino ha detto sulla trattativa e dei 50 documenti che ha prodotto (già autenticati dalla Scientifica). 
Queste cose le sanno tutti i giornalisti, anche i meno dotati. Dunque non Battista.

Dis’affezione

 

Un abbraccio affettuoso a Dario Fo e un arrivederci chissà dove a Franca Rame.

FRANCA RAME MORTA A MILANO

L’attrice, moglie di Dario Fo, impegnata per i diritti delle donne, aveva 84 anni. Era malata da tempo.

Letta: “la gente ha capito la scelta delle larghe intese“.

Infatti: ecco perché  Marino aveva votato Rodotà e aveva votato contro la fiducia al governo Letta.

Sottotitolo: non si recupera un paese ostaggio della disinformazione, vittima di chi vuol far credere sistematicamente e puntualmente che Cristo morì di freddo e dove quelle poche voci che cercano di farsi spazio nella melma vengono considerate eversive, anti stato, nemiche della democrazia.
In un paese amico della verità non esisterebbero, ad esempio, crimini impuniti da quarant’anni e nemmeno quella che è molto più di un’ipotesi: lo stato che preferì trovare un accordo con la mafia anziché contrastarla con tutte le sue forze.
La verità, quando viene negata va anche pretesa, ma, evidentemente, non è un interesse comune, c’è ancora troppa gente a cui la verità non interessa, può farne a meno o forse la teme.

Se l’informazione, quella ufficiale, che paghiamo attraverso una tassa alla tv cosiddetta di stato e finanziando la carta stampata con tanti, troppi soldi, fosse stata così precisa e puntuale a rilevare gli errori delle varie maggioranze e opposizioni, della politica tutta, quella bella, quella tradizionale dei partiti – diciamo negli ultimi vent’anni –  così come lo è non facendo passare nulla ai 5stelle, oggi probabilmente parleremmo di un maggio che sembra novembre.

Una corretta informazione è la struttura portante di ogni democrazia. E noi non l’abbiamo mai avuta.



Chi non va a votare non è disaffezionato né alla politica né al voto ma solo e unicamente a chi rappresenta in quel momento la politica.

Sono le facce ad aver stancato, non la politica.

Il pd non paga solo l’alleanza italicida con Monti ma soprattutto il suo essersi allontanato da un’idea di sinistra vera. 
Di non aver proposto un programma di sinistra.
Paga il non aver tentato un’altra soluzione invece di adeguarsi ai desiderata di Napolitano che ha tirato dentro Monti come se quella fosse l’unica soluzione possibile.
Quindi è perfettamente inutile il giochino di cercare il colpevole adesso.
Rilanciare ogni giorno la questione del di chi è la colpa è un affare buono dal punto di vista mediatico, per farci stare qui tutti i giorni a dire le stesse cose.
E gli italiani questo lo hanno capito benissimo, altrimenti non avrebbero disertato in massa queste elezioni; il fatto che a Roma, dopo i disastri prodotti dall’ex picchiatore sia andata a votare la metà degli aventi diritto dovrebbe suscitare tutt’altro tipo di riflessioni, a differenza di quello che pensano dicono e scrivono i soliti soloni che cercano di far credere che queste elezioni siano state un tributo al governo delle larghe intese.
Mi dispiace per il fan club di Bersani che ieri sera si è commosso rivedendo l’ex segretario in tv ma Bersani è lo stesso che abbracciò Alfano, lo stesso che si commosse quando l’inciucio venne trasformato in solida realtà. 

Il problema in Italia non è solo la mancanza di rappresentazione politica di sinistra, è stato soprattutto il non aver avuto una vera opposizione.

 Con una opposizione convintamente oppositiva e non facilmente seducibile dall'”antagonista” berlusconi sarebbe stato sconfitto come piacerebbe a tanti, anche a sinistra, e cioè politicamente, semmai sia giusto che ad un delinquente vengano date ancora e ancora opportunità come quelle regalate a berlusconi dalla politica e dalle istituzioni.
Chi è vittima dei suoi errori non può prendersela con nessun altro oltre a se stesso.

Veni, vidi, inciuci
Marco Travaglio, 29 maggio

Chi ha visto i tg e i talk di lunedì e ha letto i giornali di ieri s’è fatto l’idea che gli italiani, improvvisamente impazziti tre mesi fa quando andarono in massa a votare Grillo, siano prontamente rinsaviti precipitandosi a premiare il Pd e le sue larghe intese col Pdl. A parte una quota crescente di elettori che, in preda a una non meglio precisata “disaffezione” o “distacco” dalla politica, è rimasta a casa. Corriere : “Vince l’astensione, perde Grillo, sale il Pd”. Repubblica : “La rivincita del Pd, crolla Grillo”. La Stampa: “Fuga dal voto, flop dei grillini, il Pd risale”. L’Unità: “Avanti centrosinistra”, “La spinta per ripartire”. Libero : “La tenuta del Pd allunga la vita al governo Letta”. Poi uno legge i numeri e scopre che non ha perso solo Grillo. Han perso tutti. Chi molto, chi moltissimo. Prendiamo Roma. Alle ultime comunali del 2008, quando Alemanno batté Rutelli al ballottaggio, il Pd prese 520.723 voti (34,04%) e il Pdl 559.559 (36,57%). L’altroieri il Pd s’è fermato a 267.605 (26,26%) e il Pdl a 195.749 (19.21%). Cioè: il Pd ha perso 295.160 voti (-43%) e il Pdl 457.935 (-65%). Ma, si dirà, era un altro mondo: i neonati 5Stelle si fermarono al 2%. Bene. Allora vediamo le politiche di febbraio 2013. A Roma il Pd raccolse 458.637 voti (28,66%) e il Pdl 299.568 (18,72%). Cioè: in tre mesi il Pd ha perso per strada 191.032 voti (-41%) e il Pdl 103.819 (-34%). Che senso ha dire che il Pd “sale”, o”avanza”, o “tiene”, o “risale” o addirittura ottiene la “rivincita”, quando nei comuni capoluogo perde il 38% dei voti in tre mesi? Sappiamo bene che, nelle comunali, conta arrivare primi. Ma questo varrebbe anche se la prossima volta i votanti fossero tre, e due scegliessero il Pd e uno il Pdl: sarebbe questa una vittoria, una salita, una risalita, una rivincita, una tenuta, un’avanzata, una spinta? Ma ecco l’angolo del buonumore, cioè il Giornale. Titolo: “Il voto non preoccupa il Cav: il governo rimane al sicuro”. Svolgimento: “Che avrebbe dovuto pagare un piccolo pedaggio alle larghe intese, il Cavaliere l’aveva messo in conto”. Piccolo pedaggio? Perdere due terzi dei voti a Roma in cinque anni e un terzo in tre mesi è un “piccolo pedaggio”? E l’estinzione allora che cos’è, un medio pedaggio? Sallusti News parla anche di “flop dell’antipolitica”: il 50% fra astenuti e grilli non gli basta, comincerà ad accorgersene dal 90% in su. Il meglio però lo danno gli aruspici delle larghe intese, intenti a leggere i fondi di caffè per saggiare la magnifiche sorti e progressive dell’inciucio. Enrico Letta non ha dubbi: “Ha vinto il governo delle larghe intese, nessun premio alle forze di opposizione. Dicevano che il cosiddetto inciucio doveva portare Grillo all’80%: si sbagliavano, al ballottaggio vanno solo candidati del Pd e del Pdl”. Il Genio Nipote non s’è neppure accorto che i protagonisti delle larghe intese, Pd e Pdl, han perso almeno un milione di voti su sette in tre mesi (di Monti è inutile dire: non pervenuto). E non lo sfiora neppure l’idea che Pd e Pdl vadano al ballottaggio proprio perché si presentano l’un contro l’altro armati, non affratellati in un’unica lista, secondo uno schema che è l’esatto opposto delle larghe intese. Ma sentite l’acuto Epifani: “La gente ha capito che questo governo non è un inciucio, ma un servizio al Paese”. Forse non sa che Marino è uno dei pochi pidini che han votato contro il governo Letta. O forse pensa davvero che a Isola Capo Rizzuto i pochi elettori superstiti, mentre si trascinavano ai seggi, si interrogassero pensosi sui destini delle larghe intese. Ma sì, dai, non è successo niente, anzi è tornato tutto come prima. A parte un filo di “disaffezione”, ecco. Questi, quando vedranno i primi i forconi, esulteranno fischiettando: “Visto? Stiamo rilanciando l’agricoltura”.

Ps. A Sulmona va al ballottaggio, secondo classificato
col 21,8%, l’ingegner Fulvio Di Benedetto, della coalizione civica Sulmona Unita. Il quale, purtroppo, è morto 15 giorni fa. Un altro ottimo auspicio per le larghe intese.

Fermiamolo: con la Legge

Per quasi vent’anni i partiti politici democratici, il sistema dei media, i maitres à penser dei principali giornali italiani, hanno chiuso gli occhi di fronte a questo fenomeno degenerativo, hanno evitato che Berlusconi venisse escluso dal Parlamento, pur essendo ineleggibile, lo hanno accettato come un normale interlocutore politico, pienamente legittimato, nel gioco delle parti, a realizzare l’alternanza politica. [Domenico Gallo – Micromega]

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Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Articolo 54

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

Quando una persona, abitualmente, proprio per un suo modus operandi naturale, direi quasi genetico viola la legge in maniera sistematica perché evidentemente le sue necessità, esigenze, ambizioni non collimano col rispetto di quelle leggi che regolano tutte le democrazie degne di questo nome, limitano i suoi obiettivi perché lo renderebbero un cittadino come tutti gli altri così come in qualsiasi paese normale i cittadini sono tutti uguali almeno di fronte a due cose, la legge e la morte, figuriamoci dunque come dovrebbe essere nel nostro dove l’uguaglianza fra cittadini è prevista, ORDINATA proprio per Costituzione e poi da uomo pubblico quale qualcuno ha permesso che fosse – grazie ad una violazione della legge – invita alla sommossa popolare contro le istituzioni preposte a far sì che TUTTI rispettino le leggi, le insulta affermando, ripetendo da anni [cosa che a nessun altro cittadino sarebbe permesso fare senza rischiare ALMENO  una denuncia per vilipendio] che sono  “il cancro della democrazia” ben sapendo che la vera anomalia democratica è lui,  non è solo qualcuno che, secondo la sentenza di un giudice,  ha “una naturale propensione alla delinquenza”, un fuorilegge ma una persona pericolosa che va fermata. 
Con la legge.

Quando tutti si renderanno conto che non aver applicato una semplicissima legge ha stravolto e deformato la storia di questo paese nella sua eternità forse molti la pianteranno di fare i tifosi della politica e si attiveranno per diventare attivisti della civiltà, della democrazia e di una Costituzione che non può essere usata come uno stacco di carta igienica salvo poi riempirsi la bocca coi valori democratici, coi doveri dei cittadini se i primi a non rispettare quei doveri sono e sono stati proprio quelli chiamati per ruolo e istituzione ad essere i testimoni e i  difensori non solo dei doveri ma anche dei diritti e della legge. Il caso di berlusconi dimostra e ci dice anche altro, e cioè che siccome è stata la politica nel suo complesso ad averlo legittimato, probabilmente anche la politica ne ha tratto un vantaggio a noi sconosciuto ma che c’è, e la dimostrazione è che NESSUNO ha mai voluto regolare il conflitto di interessi di berlusconi perché sicuramente questo avrebbe significato poi doverlo fare anche per i conflitti che riguardano altri.  Eludere una legge affinché qualcuno possa trarne un vantaggio a discapito di un paese intero e in barba alla Costituzione è un’azione molto simile ad un colpo di stato.

Se domani si riunisse una giunta che stabilisca che un cittadino su cinque il cui nome inizia per S è autorizzato a stuprare, rubare, ammazzare che cosa succederebbe? non serve essere anti niente per capire quello che è successo in Italia dal ’94 in poi, quando ad un signore estraneo alla politica è stato consentito di poter intraprendere una carriera politica a cui non aveva il benché minimo diritto e quando fra l’altro aveva già confessato PUBBLICAMENTE che quella per lui era l’extrema ratio per evitarsi la galera.

Il problema, lo ripeterò SEMPRE, non sono i cittadini che lo votano ma è stato chi lo ha proposto e legittimato alla carriera politica, continuando peraltro a farlo, a considerarlo un normale interlocutore politico con cui confrontarsi  anche nel merito della  costruzione di quelle leggi che lui per primo è disposto a violare.

silvio berlusconi deve andare via da ogni ambito istituzionale, politico, perché non può rappresentare nient’altro che stesso, deve assumersi la responsabilità delle sue azioni come qualsiasi altro cittadino è obbligato a fare,  è assolutamente INADEGUATO a rappresentare un paese composto in maggioranza da cittadini onesti, che non violano le regole e la legge, e quand’anche lo facessero sono obbligati a risponderne in prima persona davanti ad un giudice e ad accettare l’eventuale sanzione e condanna. 
Non possono contare su nessun impedimento, tanto meno legittimo.
Questa persona nonostante i suoi precedenti, le sue numerose pendenze penali, i suoi processi, la sua reputazione privata ma soprattutto pubblica che è costata all’Italia la ridicolizzazione in ambito internazionale non ha mai pagato, né intende farlo,  il suo debito con la giustizia e con quel popolo italiano che vorrebbe rappresentare.
Abbiamo una legge, applichiamola, anche se in modo tardivo ma dobbiamo assolutamente liberare la scena politica da silvio berlusconi.
E, aggiungo, bisognerebbe chiedere con forza al Presidente Napolitano di revocargli la nomina di cavaliere della Repubblica Italiana come fu fatto per Calisto Tanzi colpevole di aver disonorato il Paese, esattamente come ha fatto il cittadino – imputato – pregiudicato – prescritto  silvio berlusconi.

Il cancro della democrazia – Domenico Gallo per Micromega

Adesso è ufficiale, Berlusconi convoca la piazza contro la magistratura e chiama il popolo a manifestare il 23 marzo contro questo “cancro della nostra democrazia”.

Probabilmente le ultime rivelazioni sulla vicenda De Gregorio sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso della strutturale insofferenza di Berlusconi al controllo di legalità ed alle regole dello Stato di diritto.

Qui viene fuori l’anomalia del sistema politico italiano che ha consentito che venissero affidate funzioni di uomo di Stato ad un personaggio che, oltre ad essere coinvolto, con i suoi più stretti collaboratori, in vicende di malaffare di ogni tipo, ha fatto della lotta alle regole costituzionali e dell’aggressione alle istituzioni di garanzia la ragione d’essere stessa del movimento da lui capeggiato.

Quello di Berlusconi non è semplicemente un rifiuto “ideologico” dei principi basilari dello Stato di diritto nel quadro di una visione monocratica in cui tutti i poteri sono concentrati nelle mani del sovrano. Egli non è semplicemente portatore di una cultura politica contraria alla Costituzione. Anche una cultura politica antidemocratica si può evolvere e può accettare compromessi: quella di Berlusconi, invece, è una lotta corpo a corpo contro la Costituzione che non può accettare mediazioni: o riuscirà a mettere sotto controllo politico l’attività della magistratura (inquirente e giudicante) oppure ne resterà travolto e gli si apriranno le porte del carcere o dell’esilio in Tunisia. 

In questo contingente la realtà supera l’immaginazione e Berlusconi sta mettendo in opera la scena finale del film il Caimano con la folla che si scaglia contro i giudici. Quando un capo politico scaglia i suoi partigiani contro le istituzioni di garanzia, rivendicando il diritto di non essere sottoposto alla legge, siamo in presenza di un fatto gravemente eversivo. E’ la rivendicazione del Fuhrer Prinzip. E’ eversione allo stato puro.

Per quasi vent’anni i partiti politici democratici, il sistema dei media, i maitres à penser dei principali giornali italiani, hanno chiuso gli occhi di fronte a questo fenomeno degenerativo, hanno evitato che Berlusconi venisse escluso dal Parlamento, pur essendo ineleggibile, lo hanno accettato come un normale interlocutore politico, pienamente legittimato, nel gioco delle parti, a realizzare l’alternanza politica. 

Le ultime elezioni politiche ormai hanno dimostrato a tutti che le finzioni non reggono più e che, arrivati ad un certo punto, inevitabilmente si devono fare i conti con la realtà: non si può più continuare a non vedere quanto Berlusconi ed il suo partito siano strutturalmente inconciliabili con le regole minime della democrazia con la quale hanno intrapreso una lotta mortale, al fondo della quale o soccomberanno loro o soccomberà la democrazia nel nostro paese. 

Quando Berlusconi parla della magistratura come di un “cancro della democrazia”, evidentemente pensa a se stesso ad al movimento di cui è proprietario.

Adesso che tutte le finzioni sono crollate è venuto il tempo di incidere politicamente con il bisturi su questo cancro ed evitare che le metastasi si estendano oltre nel corpo delle istituzioni. 
Si cominci ad escluderlo dalla corsa alla Presidenza delle Camere e si assumano atteggiamenti politici conseguenti con la gravità della situazione.

Firma anche tu per cacciare Berlusconi dal Parlamento(facendo applicare la legge 361 del 1957)

Una legge sul conflitto di interessi, che rende Berlusconi ineleggibile, esiste già. Vittorio Cimiotta, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Dario Fo, Margherita Hack, Franca Rame, Barbara Spinelli chiedono al nuovo Parlamento che venga finalmente applicata, e Berlusconi non avrà più nessuna immunità di impunità.
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