Baciamo le mani

Preambolo: l’Italia è un paese fantastico: si può commissariare il comune di Roma con la scusa dell’incapacità del sindaco, la presidenza del consiglio piazzando non uno ma tre capi di governo usciti dal cilindro di un presidente della repubblica con velleità da imperatore, il Quirinale rinominando una seconda volta il presidente imperatore come se la prima non fosse bastata ma guai a toccare la FIGC di Carlo Tavecchio.
Il presidente del Coni Malagò si dispiace e si rincresce per le parole inaccettabili di Tavecchio ma la FIGC non si può commissariare.
Tavecchio come Vincenzo De Luca, sgridato da madamigella Boschi per gli insulti a Rosy Bindi ma irremovibile dalla carica per questioni di stima e fiducia che nessuno mette in discussione per qualche sciocchezza, anche se la sciocchezza fosse una condanna in primo grado per abuso d’ufficio.
E questa è la conferma che persone come De Luca e Tavecchio, entrambi impresentabili per motivi diversi ma ugualmente importanti, gravi e che nessun’altra società davvero civile assolverebbe per bocca del ministro, del presidente del consiglio e della massima autorità sportiva sono il meglio che c’è per i loro rispettivi ruoli. Insostituibili entrambi.
Nel paese normale non serve nemmeno la seconda gaffe, alla prima si va a casa, anche quando la gravità di un’affermazione è infinitamente minore di quanto lo sono le cose dette da Tavecchio e De Luca.
Chissà se anche la nomina di Tavecchio è una responsabilità degli italiani.

Sottotitolo: “in epoca fascista i prefetti furono uno degli strumenti di cui si avvalse Mussolini per la politica di centralizzazione e rafforzamento del potere esecutivo. Il ruolo del prefetto fu, quindi, ulteriormente rafforzato e il regime si servì di istituti quali il collocamento a riposo per ragioni di servizio o il collocamento a disposizione allo scopo di allontanare i prefetti sgraditi”. [wikipedia]

Francesco Paolo Tronca, voluto da Renzi per realizzare il suo “dream team” per il giubileo ma soprattutto per sostituire l’indegno, il goffo, l’incapace, il bugiardo, lo spendaccione, il patetico Marino è lo stesso prefetto che a Milano ha nominato un commissario apposito per cancellare il registro sulle coppie di fatto istituito dalla giunta di Pisapia [ma anche da Ignazio Marino a Roma], che si beccò pure una denuncia per questa iniziativa.

Se Renzi può parlare con la solita volgare strafottenza di Marino come di un patetico fallito, un disonesto intellettuale che si è inventato la congiura che invece c’è stata, è anche grazie a chi non ha capito che nelle ore precedenti l’agguato di Renzi, del pd e dei 26 traditori non bisognava difendere Marino ma mettersi  contro la congiura per mezzo della quale Marino è stato cacciato dal Campidoglio: il solito colpetto allo stato per non dire di.
Uno che sta al governo con alfano e Verdini, che ha fatto il patto col primo delinquente d’Italia,  senza il benché minimo senso della moralità, del rispetto, della decenza, un cospiratore col cinismo e la spietatezza del serial killer che toglie di mezzo tutti quelli che non sono funzionali al suo progetto antidemocratico non può dare del disonesto e del patetico a nessuno.

In Italia per non sbagliare è sufficiente sapersi inchinare di fronte all’autorità giusta.

Dalla posizione assunta da Tronca, un po’ troppo oltre il doveroso e rispettoso omaggio che si deve al capo di stato estero, nonché massima autorità della chiesa cattolica è facile immaginare che lui sia una di quelle persone che Francesco non si vergognerebbe di invitare lui.  In ogni caso, la fascia tricolore non spetta al commissario voluto da Renzi  su intercessione del papa ma al sindaco eletto dai cittadini. Chiaro?

L’Inchino  – Marazico – 2015

Nun so se siate bono o autoritario
né quer che avete dentro alla capoccia,
ma avete da sapè, sor commissario,
che a ‘sta città ferita assai je scoccia

che arivi quarcheduno da Milano
cor compito de dije che quer tale
che aveva eletto er popolo romano
è inadeguato e che l’ha scelto male.

Rispetto a quello che v’ha preceduto
avrete meno rogne de sicuro
e ve daranno tutto quell’aiuto
che v’abbisogna pe’ nun sbatte ar muro.

Dovrete da sta’ accorto ai criminali
che stanno dappertutto come blatte.
Chi scippa e ruba? Quelli so’ normali,
i peggio c’hanno rolex e cravatte.

Nun romperanno certo li giornali,
i delinquenti, li palazzinari,
i bibitari in centro e i cardinali.
Quest’ultimi teneteveli cari,

me raccomanno, nun li contristate,
prestate ascolto ad ogni piagnisteo.
Del resto è bene che ve ricordate
che c’è da mette mano ar Giubileo

e che li preti oltre ar sacramento
è chiaro che ce tengono parecchio
che a spenne bene i fondi state attento…
Pe’ er resto, ve lo dico in un orecchio:

sapete qui chi regna pe’ davero
spartennose da secoli er bottino
senza conosce requie? Ladri e Clero.
Che pensa de decide un questurino?

Per cui l’esordio in foto immortalato,
fasciato già da primo cittadino,
è certamente quello più indicato:
un prete ride e voi fate l’inchino.

La logica del mercato [tanto, paga lo sponsor, no?]

Tre milioni e seicentomila euro, quasi otto miliardi l’anno, 9800 euro al giorno, ovvero quasi venti milioni di ex lire per Antonio Conte, dopato da calciatore, corrotto da allenatore dunque promosso a pieno titolo Commissario tecnico della Nazionale. Poi magari andiamo a prendercela con l’extracomunitario che vende monnezza per mangiare o col poveraccio che si fa un secondo lavoro in nero per mantenere lo stretto necessario alla famiglia. Sono loro il fastidio, i nemici coi quali essere inflessibili, rigorosi, non questi parassiti che non dicono mai “no, grazie, mi basta anche la metà”. Che sarebbe troppo anche quella.
La regola del mercato in questo paese e nel mondo è che ci deve essere chi ha tutto: un piccolo esercito di mantenuti coi soldi di chi se li guadagna col sudore, la fatica perché gli, le viene concesso dai padroni, quelli che comandano il mondo e chi niente perché, evidentemente, non l’ha meritato, non ha i giusti requisiti, ecco. 

“I soldi dello sponsor” non sono somme in denaro messe a disposizione da qualche filantropo che usa le sue risorse per finanziare progetti di interesse comune.
“I soldi dello sponsor” sono la cifra con cui vengono caricati i prezzi rispetto al reale valore commerciale del venduto affinché si possano ricavare poi guadagni maggiorati con cui “lo sponsor” – che non è un’entità astratta ma ha nomi e cognomi – pagherà chi farà da testimonial ai suoi prodotti. Quando si compra il pallone, la tuta, l’accappatoio col marchio della squadra del cuore quei soldi non vanno poi a coprire solo le spese vive della merce e consentire il giusto guadagno a chi li produce e li vende ma vanno a finanziare anche tutto il business che ruota attorno alle società sportive, compresi i compensi milionari dell’ultimo anello della catena, ovvero i calciatori dei club.
Questa leggenda popolare che tanto, siccome paga lo sponsor allora a noi cittadini non costerà nulla un allenatore che andrà a guadagnare venti milioni delle vecchie lire al giorno è la stessa con cui per anni la gggente si è fatta infinocchiare rispetto alle tv di berlusconi che, perché non fa pagare il canone, la tassa, allora è bravo e magnanimo e sta lì ad offrire gratuitamente un servizio.
Mentre quando noi andiamo a comprare il bagnoschiuma, la pasta, i biscotti, i pannolini per il pupo, tutto ciò che vediamo passare nelle pause pubblicitarie paghiamo tasse a ripetizione, perché quegli oggetti, prodotti, cose da mangiare potrebbero costare tranquillamente la metà di quel che vengono pagate per consentire a berlusconi di guadagnare dei soldi, molti soldi e comprare le porcherie che verranno trasmesse poi dalle sue televisioni.
La logica del mercato è anche questa: far pagare la tassa occulta anche a chi non guarda le tv di berlusconi e le partite della Nazionale.

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I bei discorsi sull’ordine, la legalità applicati al quotidiano perdono qualsiasi significato in un paese e generalmente nel mondo dove ai pochi è concesso tutto e ai molti il quasi niente o il niente e basta.
 Chi pretende che si rispettino ordine e regole deve essere migliore di quelli a cui chiede di farlo.
Ecco perché so, l’ho imparato, che non posso individuare nel mio nemico chi si aggrappa ogni giorno ad una non vita, fatta di stenti, rifiuti, emarginazione, offese quotidiane,  il nemico  devo andare a cercarlo altrove, lì dove sono quelli che sulle disparità economiche, sociali guadagnano consenso e potere. Non si può cadere nel tranello di chi ha tutto l’interesse che la guerra fra poveri diventi sempre più violenta.
Fra l’ambulante che vende la merce illegale e alfano che è potuto diventare niente meno che ministro dell’interno di questo paese sciagurato grazie ad un intero sistema che ha fatto dell’illegalità le sue fondamenta, su quelle è cresciuto diventando sempre più resistente e refrattario a qualsiasi forma di onestà civile potendo contare sull’appoggio e sul sostegno di chi, grazie all’illegalità di stato non si arricchisce solo economicamente ma contribuisce all’estensione di quel potere malato, quello che crea la disparità e la povertà il mio nemico resta alfano e tutta la compagnia di giro che nel tempo ha legittimato quel sistema che non è nato con berlusconi ma è soprattutto grazie a lui e ai suoi sodali, anche ai servi sciocchi come alfano che ha inquinato, avvelenato e demolito anche l’idea di Italia paese normale e civile.

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Ad occhio, anche le nomine di Tavecchio alla FIGC e di Conte, scelto da Tavecchio, quale nuovo allenatore della Nazionale di calcio entrano a pieno titolo nel processo riformatore di Renzi, quello concordato col noto delinquente.
L’unica solida realtà di questo paese è che i vari poteri non deludono mai, si muovono, agiscono, operano sempre nel loro recinto di scorrettezze e illegalità. Senza un avviso di garanzia, una condanna – anche definitiva come quella di berlusconi – in questo paese è impossibile ambire al posto, al ruolo che conta. Avere voce in capitolo negli affari che poi sono di tutti, che riguardino la politica o altri settori “di questa zozza società” non fa nessuna differenza.
Agli onesti e incensurati non si offrono chances, i signori e padroni del calcio fra Albertini e il cinque volte condannato Tavecchio non hanno avuto alcun dubbio su chi scegliere per rappresentare il calcio in Italia e nel mondo.
E, a parità di esperienza ma non di comportamenti, qualcuno onesto e che non abbia avuto procedimenti penali c’è rimasto anche nel calcio, Tavecchio non ha avuto nessun dubbio su chi doveva ricevere l’eredità del sopravvalutato Prandelli.
Così come Renzi e i signori e padroni della politica non hanno avuto nessun dubbio sul fatto che un delinquente condannato alla galera potesse avere lo stesso i giusti requisiti per poter mettere mano a leggi e riforme costituzionali.
Ai piani alti del potere se non sono delinquenti, un po’ o un po’ tanto, non ce li vogliono: l’onestà e la correttezza non sono evidentemente la “conditio sine qua non” come invece dovrebbe essere, come è nei paesi solo semplicemente normali.

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Firme e schiforme – Marco Travaglio

Un mese fa il Fatto lanciava la petizione “Contro i ladri di democrazia e il Parlamento dei nominati, per riforme che facciano contare i cittadini”. In trenta giorni abbiamo già raccolto le firme di quasi 230mila cittadini, molti più della somma dei nostri lettori e abbonati, circa un quarto dei visitatori del nostro sito. Ma ci piace pensare che l’appello, girando in modo virale in Rete, abbia attirato l’attenzione di tanti italiani che abitualmente non ci leggevano. Magari perché si erano bevuti le leggende nere sul giornale fazioso, distruttivo, berlusconidipendente, mai contento, disfattista, organo delle procure o dei comunisti o dei grillini, bollettino dei gufi e altre amenità. In realtà non ci siamo limitati a indicare in dieci punti i principali pericoli contenuti nel combinato disposto delle schiforme di Senato & Italicum: abbiamo anche formulato una serie di proposte costruttive, con l’aiuto di alcuni fra i migliori giuristi e costituzionalisti italiani, per cambiare qualche legge e articolo della Costituzione, ma nel senso opposto a quello del Patto del Nazareno: cioè per fare dell’Italia una democrazia più orizzontale e più partecipata, convinti come siamo che la crisi drammatica che continuiamo a vivere si possa superare soltanto coinvolgendo maggiormente i cittadini nella vita pubblica, e non tenendoli fuori dalla porta delle segrete stanze per lasciardecidere i soliti noti, ma soprattutto ignoti.  

Finora, purtroppo, è stata quest’ultima la strada imboccata da Renzi e dal suo compare pregiudicato (e, prima di loro, da Monti e da Letta jr., sempre in società con B.), con i risultati che tutti stiamo vedendo. È la strada indicata dal famigerato rapporto 2013 di JP Morgan (la banca d’affari additata dallo stesso governo americano fra i principali colpevoli della bolla dei supbrime che scatenò la crisi finanziaria): quello che consigliava ai governi del Sud Europa di superare la crisi liberandosi delle loro “Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo”, ritenute “inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”: cioè troppo democratiche, a causa della presunta “influenza delle idee socialiste” che avrebbe prodotto “esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori…; e la licenza di protestare” che avrebbe favorito la “crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”.   La ricetta JP Morgan non è solo pornografica-mente autoritaria, ma ha anche dimostrato e continua a dimostrarsi fallimentare. Eppure è quella seguita dagli ultimi quattro governi italiani. Che aspetta Renzi a fare davvero il rottamatore, ribaltando quell’agenda e ingranando la retromarcia? Anziché andare a Canossa, anzi al Quirinale e a Città della Pieve, a prender ordini da nonno Napolitano & zio Draghi, salvo poi fare il ganassa a colpi di “Bruxelles chi?”, il premier dovrebbe dire finalmente la verità agli italiani. Che non è quella dei complottisti sempre pronti a dare all’Europa delle banche e della Merkel la colpa di tutti i nostri mali: con tutti i trattati che abbiamo firmato (anche al buio), tutto possiamo fare fuorché indignarci se la Bce ci chiede di cedere altri brandelli di sovranità. Soprattutto se abbiamo promesso di ridurre il debito pubblico e poi scopriamo che, solo nei primi sei mesi di quest’anno, l’abbiamo lasciato galoppare (insieme alla spesa pubblica incontrollata) di altri 10 miliardi fino al record del 134% del Pil. Che si debbano rastrellare decine di miliardi per rispettare gl’impegni, è fuor di dubbio. Compito della politica, per quel poco di sovranità che ci rimane, è decidere chi paga. E qui non si scappa: quei soldi si possono prelevare dalle solite tasche dei lavoratori, pensionati e imprenditori onesti che pagano le tasse e i contributi; oppure da quelle dei ladri, che vivono sulle spalle degli altri rapinandoli con un’arma più insidiosa e anche più vile della pistola: l’evasione.

Finora si è scelta l’opzione A. Ora, tanto per cambiare un po’, si potrebbe tentare con la B. Se Renzi, anziché perder tempo con le schiforme che non fregano niente a nessuno (basta ripristinare il Mattarellum: la maggioranza in Parlamento ci sarebbe, con i 5Stelle) o col solito articolo 18, si presenterà agl’italiani rivelando finalmente le ragioni e l’ammontare della prossima stangata, troverà tanti cittadini disponibili a partecipare. Purché i sacrifici siano davvero distribuiti con equità: lotta senza quartiere all’evasione, alla corruzione e ai patrimoni mafiosi, recuperando i miliardi che occorrono non per regalare spiccioli a pioggia (come fece Letta abolendo per un anno l’Imu sulla prima casa per un anno e come ha fatto Renzi con gli 80 euro), ma per iniziare a ridurre seriamente le imposte a chi le paga. E chi non le paga, in galera. Il che, è ovvio, significherebbe archiviare la stagione delle schiforme, stracciare il papello occulto del Nazareno e sostituirlo con un patto trasparente con tutti gl’italiani di buona volontà.   La conta è già cominciata: le nostre 230 mila firme non saranno granché, ma sono sempre più numerose del duo Renzi-Berlusconi, magari con l’aggiunta del suo ultimo fan Bono Vox (grande cantante, per carità, ma guardacaso dal 2006 domiciliato con tutto il patrimonio degli U2 nel paradiso fiscale delle Antille Olandesi…).

Vergogna, manco a parlarne

Sottotitolo extrapost: fra tutti quelli che sono insorti per l’uno due di minchiate di Tavecchio ce ne fosse stato uno che abbia ribadito l’inadeguatezza del bifolco cialtrone per il motivo più importante, ovvero le sue cinque condanne penali per reati di ordine fiscale e tributario.
Di quelle non si parla, perché poi diventerebbe difficile spiegare come è potuto succedere che uno così abbia potuto fare – oltre agli altri e importanti incarichi che gli sono stati affidati [ad uno così] – anche il consulente del ministero dell’economia.

Matteo Renzi il 14 febbraio 2013 disse: “tecnicamente tutto è possibile, ma l’immunità sarebbe un errore clamoroso. Non abbiamo bisogno di dare qualche garanzia in più ai parlamentari, ma di farli diventare sempre più normali”. Andando a ritroso di due anni, sempre a febbraio, si vede che è un mese che ispira,  troviamo un’altra dichiarazione del Matt’attore,  22 febbraio 2011: “l’immunità parlamentare è una barzelletta, sono contrario. Reintrodurla sarebbe un errore clamoroso”.

Lo “strumento pensato dai costituenti”, ovvero l’immunità secondo il piddino Zanda, non era stato pensato per immunizzare ladri, mafiosi, corruttori e delinquenti  che commettono reati di criminalità comune.
I padri costituenti nella loro lungimiranza infinita pensarono che fosse opportuno riparare il parlamento principalmente dal rischio del reato di opinione così come è ben specificato nell’articolo 68, ovvero che nessuno dei parlamentari dovesse mai rischiare di venire incriminato per aver detto qualcosa nell’esercizio delle sue funzioni.

Giustificare questa porcheria con l’alibi della Costituzione significa essere disonesti e bugiardi non solo nel metodo e nel merito ma anche storicamente, sminuire l’importanza e il valore della Costituzione.
Significa rendere invisa la Costituzione facendo credere che sia l’ombrello per riparare la delinquenza comune a chi pensa che ladri, corruttori e criminali comuni non debbano stare in parlamento ma in una galera come tutti quelli che relativamente ad altri ambiti e altre categorie sociali e lavorative, commettono dei reati.

SI TENGONO L’IMMUNITÀ (Wanda Marra)

A PALAZZO MADAMA LA RELATRICE FINOCCHIARO DIFENDE LO SCUDO. IL MINISTRO BOSCHI (CHE AVEVA DETTO DI VOLERLO TOGLIERLO) NON FIATA.

 

 I lor signori, ma anche le signore ché si sa, le donne lo fanno meglio e Anna Finocchiaro in questa ed altre occasioni ha fatto in modo che il concetto si capisse bene,  vogliono l’immunità nel parlamento ma poi non sono capaci di cacciare dai partiti gli elementi di disturbo come consigliava anche Paolo Borsellino, ricordato con ipocrisia e finta commozione ogni 19 luglio anche da chi sta permettendo che si faccia strame delle regole fondamentali di una democrazia, ovvero quel capo dello stato che dovrebbe essere il garante della Costituzione, non il primo ispiratore della sua devastazione.
Invece i partiti se li tengono tutti, indagati, inquisiti, imputati e anche condannati perché, ça va sans dire, questo è il paese del garantismo tout court. Nessuno è colpevole fino al terzo grado e in qualche caso, uno nella fattispecie, nemmeno dopo quello.

Il 23 giugno scorso nessuno, specialmente la ministra Boschi che dà dei bugiardi agli altri, a chi almeno ci prova ad opporsi alle schifezze a ciclo continuo proposte e purtroppo realizzate dal governo degli abusivi si voleva assumere la responsabilità di aver rimesso l’immunità in agenda, come se da questa dipendesse il miglioramento delle condizioni di un paese disastrato,  mentre nessuna delle cosiddette riforme di Renzi avrà poi qualche ricaduta positiva fra le cose che contano: una su tutte quella crisi del lavoro che ha impoverito i tre quarti d’Italia a cui non frega un beneamato cazzo della riorganizzazione della casta visto che non sarà questa a restituire dignità e la sicurezza del pranzo e la cena nella stessa giornata, possibilmente.

E, mentre si votano l’autoautorizzazione a delinquere depotenziano l’azione della magistratura con quella responsabilità civile che significherà sanzioni pesanti per i giudici che sbagliano, un provvedimento che però chissà perché  non è mai stato pensato per i politici che hanno devastato questo paese. 

L’unica cosa veramente rottamata, e definitivamente demolita da Renzi è quella fiducia che Napolitano e Laura Boldrini avevano promesso di restituire agli italiani per evitare il rischio della deriva populista. Sono dei bugiardi, tutti, né più né meno della feccia dei delinquenti,  fascista e razzista con cui il pregiudicato  ri-costituente ha riempito nel tempo  il parlamento.
Vergogna, manco a parlarne.

La Repubblica e la Gazzetta dello Sport aumentano di dieci centesimi, ce ne vorranno addirittura venti in più per ambire alla lettura dei pregiatissimi buongiorni gramellineschi su La Stampa e per Il Secolo XIX le cui quote di maggioranza se le è aggiudicate quel che resta della famiglia Agnelli nella persona di John Elkann, che in una spericolata operazione di inchiostro fuso ha gemellato la testata torinese e quella genovese. Repubblica giustifica l’aumento quale “misura indispensabile per la qualità dell’informazione”. Nell’euro e trenta la qualità evidentemente non ci stava.

Guapparia
Marco Travaglio
Pur con i metodi spicci che abbiamo descritto, Renzi ha stravinto in pochi giorni la prima battaglia contro l’opposizione sulla cosiddetta riforma del Senato. Ora, per vincere la guerra, deve sperare che la sua legge costituzionale passi senza modifiche alla Camera e poi, dopo tre mesi di pausa, di nuovo al Senato e alla Camera. Dopodiché, se non avrà raggiunto i due terzi, i cittadini voteranno nel referendum confermativo (che non è, come credono lui e la Boschi, una gentile concessione del governo, ma un diritto previsto da quel che resta della Costituzione). La “riforma” – stando ai sondaggi – interessa non al 40,8%, ma al 3% degli italiani e in venti giorni ha raccolto il No di 210mila amici del Fatto. Ma, come si dice, contento lui… In politica però non basta vincere. Bisogna saper vincere, impresa ancor più ardua del saper perdere. E Renzi, con l’intervista di ieri a Repubblica, dimostra di non saper vincere.

Anziché riconoscere cavallerescamente l’onore delle armi ai suoi avversari, fra i quali militano alcuni fra i migliori intellettuali e costituzionalisti, ha seguitato a insultarli con un linguaggio guappesco a metà strada fra il bar sport e la curva sud (“gufi professori, gufi brontoloni, gufi indovini”). E pure minaccioso: “Parte dell’establishment che non sopporta il mio stile. Ma verrà il giorno in cui si potrà finalmente parlare delle responsabilità delle élite culturali nella crisi italiana: professori, editorialisti, opinionisti”. Stile? Quale stile? E cosa gli impedisce oggi di denunciare le responsabilità delle élite culturali, visto che le insolentisce da mesi a ogni pallida critica. Il bello è che il bullo si dipinge come un premier assediato, solo contro tutti, mentre è il più omaggiato e leccato dai poteri forti e dalla stampa al seguito che si sia mai visto: nemmeno il suo socio B. aveva goduto di consensi così oceanici nell’Italia che conta, oltreché in Parlamento. Il sopravvivere di alcuni pensatori critici è un’anomalia solo per il fatto che essi siano così pochi. Le responsabilità dell’intellighenzia nella crisi italiana esistono, e sono gravi, ma esattamente opposte a quelle indicate da lui: il guaio in Italia non è l’eccesso, ma il deficit di controcultura rispetto al potere. Il fatto che non lo capisca o finga di non capirlo è allarmante, perché la democrazia è anzitutto rispetto e tutela delle minoranze. Che significa “verrà il giorno”? Cosa intende fare quel giorno ai dissenzienti? Fustigarli sulla pubblica piazza? Metterli alla gogna? Ripristinare l’Indice dei libri proibiti? La Guapparia alla fiorentina dilaga per li rami dal Capo ai suoi sottopancia, con episodi di bullismo ancor più tragicomici dei suoi. L’altro giorno Benedetta Tobagi ha osato aderire all’appello del Fatto contro la svolta autoritaria. E subito tal Lorenza Bonaccorsi, membro della Vigilanza per il Pd, le ha inviato un pizzino degno di Gasparri: “La consigliera trova il tempo di attaccare la maggioranza di governo, anziché occuparsi di quanto accade in Rai. Altro che aderire a campagne politiche di parte che nulla hanno a che vedere col ruolo affidatole dal Parlamento”. Capito il messaggio? Cara Tobagi, siccome il Pd ti ha messa nel Cda, smetti di pensare con la tua testa e pensa invece a turibolare il partito e il governo come tutti gli altri. Miglior conferma della svolta autoritaria non poteva arrivare. Intanto Sabina Guzzanti anticipava il suo film La Trattativa, in programma al Festival del Cinema di Venezia. Nuovo pizzino pidino, firmato dalla stessa Bonaccorsi e dai suoi sodali Gelli (ma sì), Magorno, Oliverio e Anzaldi (quello che protestò perché Virginia Raffaele osava imitare Monna Boschi). “Il film della Guzzanti appare decisamente irrispettoso del simbolo della Repubblica, con al centro un uomo con coppola e lupara: un modo per accomunare l’intero Paese alla cupola mafiosa che offende e appare decisamente fuori luogo”. Se Renzi non richiama subito i rottweiler, qualcuno si chiederà: a quando il ripristino del Minculpop? Ma poi si morderà la lingua, perché al confronto di questi bulletti il Minculpop era roba seria.

 

Siamo sempre lì, anzi, qui

L’Italia, come dice spesso Marco Travaglio è il paese dove non bastano i cartelli con la scritta “vietato”, bisogna aggiungerci anche il “severamente”, altrimenti la gggente non capisce. E nonostante e malgrado questo molta di quella gggente riesce lo stesso ad infischiarsene delle regole: per non parlare della legge.

Penso che chi ama davvero lo sport e il calcio abbia il diritto di potersi godere la sua passione. Ma siamo sempre lì, anzi qui, in Italia, dove è la regola a non essere in linea col sentire comune. Lo dimostra anche la possibilità di fare continui ricorsi contro i vari provvedimenti disciplinari. Una multa è una multa, se passo col rosso il ricorso non lo posso fare, pago e zitta. E così dovrebbe essere per tutto. Ma, proprio come nella politica chi non rispetta e non fa rispettare le regole sono quelli che le fanno.  Il comune denominatore sono sempre  i soldi, lo spettacolo non si può fermare [e il governo che  non può cadere] per “sciocche questioni di forma”:  la violazione della regola allo stadio come i ministri che non svolgono correttamente il loro mestiere. E’ questo il dramma: ed è tutto e solo italiano.  Altrove il calcio fa il calcio e la politica la politica. Qua si mischia tutto, la politica non fa le leggi severe da applicare negli stadi dove comunque il primo giudizio è quello degli organi interni perché sa che poi i “tifosi” vanno a votare. C’è una connivenza insopportabile da sempre che con berlusconi è solo peggiorata. In Inghilterra sono riusciti a fermare gli hooligans, qua non ci riescono con dei semplici e ignorantissimi idioti?

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Juve, multa di 5mila euro per gli insulti
dei bimbi in curva al posto degli ultras

5000 euro di multa alla Juventus per le parolacce che i giovani virgulti chiamati a riempire le curve dello stadio sanzionate per razzismo hanno rivolto al portiere dell’Udinese. 

Qui lo sport, il tifo e il calcio non c’entrano niente ma c’entra, e molto, la moda tipicamente italiana di aggirare le regole invece di rispettarle. 

Se un giudice sportivo stabilisce una sanzione bisognerebbe attenersi alla sanzione proprio in virtù di quella funzione educativa che si chiede sempre allo sport.

Mentre quella funzione viene sistematicamente disattesa dai pessimi atteggiamenti di “campioni”, dirigenti, allenatori, per non parlare delle migliaia di imbecilli che siedono sugli spalti che si esibiscono nel loro squallido show sempre uguale fatto di cori razzisti, di esibizioni di vessilli fascisti; gente che usa lo sport per sfogare le proprie frustrazioni e spesso lo fa anche in modo violento perché sa che tanto dopo non succede quasi niente.

Se l’AD della Juventus permette, chissenefrega della teoria del sociologo che “il calcio senza spettatori è pari allo zero” usata quale giustificazione per non attenersi alla regola che imponeva che quella parte di stadio dovesse restare vuota. Anche nell’ambito usato spesso quale metafora per definire il paese, la gente e la politica la regola viene anestetizzata e la sanzione mascherata da festa, spettacolo gioioso; proprio come se non fosse successo quello che ha giustificato la sanzione.

E dunque l’ipocrisia non è pensare che in fin dei conti “so’ ragazzi” e che sarà mai qualche parolaccia che dicono tutti, la vera ipocrisia è pretendere il rispetto delle regole in altri ambiti della società, dello stato, dalla politica salvo poi dimenticarsi della propria coscienza civile quando di mezzo c’è il calcio.

Lo spettacolo comunque è anche quello che non si vede in tv: quello delle partite nei campetti amatoriali fra squadre di categorie inferiori. Qui da me, la squadra fa la seconda categoria mi pare, un paio di volte l’arbitro, che molto spesso ha la stessa età dei ragazzi e ragazzini che giiocano, è dovuto andare via scortato dai carabinieri. E dai genitori che nel frattempo si prendono anche a botte sulle gradinate si sente di tutto: inviti a spezzare le gambe e finezze del genere. E coi figli generalmente vale il detto che “quello che si semina, si raccoglie”.

 

L’IMBALSAMATORE FALLITO (Marco Travaglio)

L’Amaca, Michele Serra – 4 dicembre

Forse nemmeno Jonathan Swift poteva concepire una così perfida allegoria come quella andata realmente in scena allo Juventus Stadium. Sgomberata dal giudice la curva dagli ultras che urlavano “Napoli colera”, la Juve ha voluto virtuosamente riempirla di bambini, simbolo dell’innocenza sportiva. Decisione da tutti salutata come esemplarmente pedagogica, in tipico stile Juventus. Ma i piccoli cari hanno provveduto a restituire agli adulti quanto gli adulti gli hanno insegnato, gridando in coro (sia pure un coro di voci bianche) “merda” al portiere avversario, e procurando al povero Andrea Agnelli una ulteriore multa. Ai bimbi quel coretto, udito ogni santa domenica in quello stesso stadio, doveva sembrare una piccola festa, uno scongiuro scanzonato e niente più. Si tratta di una specialità locale, sebbene già emulata in altri stadi: si attende che il portiere rinvii e gli si grida “merda”, a lui e alla sua traiettoria, all’avversario infame, al mondo nemico. Merda a tutti voi, che non siete noi. Che volete che ne sappiano, quei bimbi belli e quelle (poche) bimbe, del fair play,visto che in mezzo a quelle urla ci sono cresciuti, e chissà se il babbo che li teneva per mano gli ha spiegato che quelle cose non si dicono, oppure pure lui gridava merda?