Il paese dei “figli di…”

Evidentemente la valutazione del governo è stata positiva. E tanto basta per definire di che pasta è fatto il governo di Renzi: la solita, condita con l’autoreferenzialità di casta e priva del senso minimo di responsabilità che un politico dovrebbe assumersi anche quando non gli conviene.

Sottotitolo: bei tempi quando su facebook si litigava perché qualcuno almeno si degnava di chiedere le dimissioni di ministri “inadeguati”.
Ad esempio Renzi.
Quella santa donna della Idem dovrebbe fare una class action contro chi l’ha costretta a dimettersi.
La Cancellieri e alfano no: loro hanno detto “sto”, come a sette e mezzo col cinque, e senza nemmeno soffrire come Lupi che  è uno dei risultati disastrosi delle larghe intese napolitane.  Perché non bisogna dimenticare chi ha voluto a tutti i costi gemellare e unire sotto l’ombrello di una necessità che non c’era gente che non poteva fare altro che produrre i disastri a cui assistiamo senza poter fare nulla. 

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La legge sulla responsabilità civile dei giudici non la chiedeva nessuno: nemmeno l’Europa.
Ma per Renzi era un’esigenza irrimandabile, da approvare in tempi brevissimi.
Quella sull’anticorruzione è chiusa da due anni in un cassetto e non saranno gli “alleluja” di Grasso a renderla operativa ma soprattutto efficace.
Solo uno stato profondamente corrotto intimidisce la Magistratura e lascia in pace i delinquenti, in particolar modo quelli “eccellenti” che piacciono alla destra, al centro e alla “sinistra”.  Il presidente del consiglio non dice nulla sugli arresti “eccellenti” di persone vicine al suo governo e vicinissime ai suoi ministri, così tanto da regalare Rolex a figli che si laureano, però sente il dovere di replicare al Presidente dell’Anm che lamenta un diverso trattamento della politica rispetto ai Magistrati e ai corrotti, che denuncia un governo che fa praticamente il contrario di ciò che dovrebbe mettendo l’urgenza sui provvedimenti disciplinari ai giudici e dilatando oltremodo quelli contro la corruzione che si è mangiata il paese. 

Ad oggi gli unici ad aver provato a ripulire questo paese sono stati i giudici, non la politica che li ha sempre osteggiati e contrastati in tutti i modi.
Non è colpa dei giudici se la politica ha sempre aspettato l’intervento della magistratura ma della politica che non ha mai fatto quello che deve, lo diceva ancora due sere fa Peter Gomez a Piazza pulita ad una frastornata Bonafè che insisteva nel dire che De Luca è stato votato, e finché la gente vota anche i condannati – talvolta anche i pregiudicati – non si può fare diversamente, mentre Gomez cercava di spiegarle che un partito serio non permette a un condannato, sebbene solo  in primo grado di potersi candidare in nessuna sede,  perché le regole del circolo della bocciofila che non manda in presidenza i condannati sono più severe di quelle che si dà la politica, che poi comunque le disattenderebbe come al solito.
Quindi i giudici andrebbero ringraziati, non rimproverati dal Leopoldo sdegnato che invece di agire contro il malaffare e la criminalità, anche quella di stato, ha pensato che fosse più utile e necessario fare strame dei diritti, del lavoro, della scuola: ci sono volute poche settimane per abolire l’articolo 18 ma la legge contro la corruzione è solo una delle tante ipotesi, come il game e over, il daspo per i politici indagati e condannati, del presidente del consiglio che si mette contro i giudici come un berlusconi qualunque.
E’ proprio ‪#‎lavoltabuona‬, come no.

 

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“Giovani choosy che vogliono restare sotto la gonna di mammà, sfaticati senz’ambizioni se non quella del monotono posto fisso”.
Tutte definizioni [relative ai figli degli altri] estrapolate da discorsi di genitori eccellenti di figli che, evidentemente, essendo i più bravi di tutti hanno invece meritato tutto quello che si ritrovano.
Due cattedre nell’università dove guarda caso insegnavano e facevano ricerca mamma e papà come la dottoressa Silvia Deaglio figlia di mamma Fornero, importanti incarichi manageriali strapagati durante e dopo con liquidazioni milionarie come Piergiorgio Peluso figlio di mamma Cancellieri, una vicepresidenza alla banca d’affari Morgan Stanley a 43 anni come Giovanni Monti, figlio del più noto Mario.
E come dimenticare il già viceministro della Fornero, Michel Martone, quello che “chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato”: figlio di Antonio, magistrato, professore associato a 27 anni, giusto un attimo prima della sfiga.
Alla lista si potrebbero aggiungere altri cognomi illustri: Catricalà, Profumo, Clini, Gnudi, Passera, Balduzzi, Severino i cui figli non hanno il destino e il futuro appesi, ma più che altro demoliti dalle leggi fatte col contributo dei loro genitori essendoseli assicurati per dinastia, si aggiunge ora anche il figlio di Lupi, un altro nato e cresciuto nella sua bella torre d’avorio del feudo Italia dove solo ai “figli di…” viene riconosciuto il merito, le competenze necessarie per accedere ai posti migliori.
Lupi è solo l’ultimo di un elenco odioso fatto di gente che ha letteralmente rubato la vita di chi se la deve inventare dal giorno in cui viene al mondo, e se lui “prova amarezza” per il figlio sbattuto in prima pagina provi ad immaginare cosa proviamo noi che non abbiamo un cognome eccellente, gli amici giusti al posto giusto che regalano Rolex da diecimila euro per tutte le porte sbattute in faccia ai nostri figli che, grazie ai genitori come lui, non possono nemmeno dimostrare quanto valgono.

Per indebolire Letta, mandarlo a casa sereno, Renzi ha usato anche la richiesta delle dimissioni della Cancellieri, fregandosene altamente se questo poteva dispiacere Napolitano, il grande sponsor dell’ex prefetta promossa ministra nel governo di Monti.
Nel caso di Lupi, che nel paese normale dovrebbe essere già a casa e non importa se sereno o no, nessuno vuole darsi reciproci dispiaceri.

Un partito insignificante per la politica come l’Ncd ma che può godere di protezioni altissime grazie alla vicinanza stretta con Comunione e Liberazione, che a sua volta è vicinissima anche al cardinal Bagnasco che pare accorgersi solo oggi che la corruzione in Italia è diventata insostenibile: vent’anni di berlusconi non gli avevano chiarito così bene le idee che può tenere sotto scacco il residuo minimo di dignità della politica e delle istituzioni, il cui unico interesse è che il governo dell’illegittimo non abbia di che preoccuparsi fino alla data di scadenza.

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Il ministro ai dipendenti “Non si accettano regali oltre 150 euro di valore” – Sebastiano Messina, La Repubblica, 18 marzo

Un anno fa Lupi firmò il codice etico del suo dicastero che vieta di ricevere doni o benefici come un Rolex o un lavoro.
La regola che dovrebbe spingerlo a dimettersi subito, il ministro Maurizio Lupi l’ha scritta lui stesso il 9 maggio dell’anno scorso. E’ il Codice Lupi, un decreto che fissa in maniera chiarissima cosa è tassativamente vietato a tutti i dipendenti del suo ministero, applicando il Codice Etico approvato dal governo Monti. Articolo 4: «Regali, compensi e altre utilità». Comma 2: «Il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore», ovvero «non superiore a 150 euro». Queste sono le regole etiche di cui il ministro pretende l’assoluto rispetto da parte dei dirigenti e dei funzionari che lavorano con lui: mai accettare, «per sé o per altri», regali imbarazzanti come un Rolex o «altre utilità» come l’assunzione di un figlio.
Dunque il ministro sa benissimo come bisogna comportarsi in un ministero, visto che la norma l’ha scritta lui. In realtà, è stato obbligato a farlo. Il merito è di Mario Monti, che l’8 febbraio 2012, come titolare ad interim del ministero dell’Economia e delle Finanze, inviò una circolare ai suoi dirigenti che finì sui giornali perché a partire da quel giorno proibiva le spese di rappresentanza, le consulenze e i convegni. Minore attenzione fu inevitabilmente dedicata alla seconda parte della circolare, quella in cui Monti imponeva il rigoroso rispetto di un codice etico per i regali, vietando di accettare, «per sé o per altri, beni materiali quali regali o denaro, o beni immateriali o servizi e sconti per l’acquisto di tali beni (…) che eccedano il valore di 150 euro». Poi, per essere ancora più chiaro, il presidente del Consiglio aggiungeva: «I regali e gli omaggi ricevuti (…) in ogni caso devono essere tali da non poter essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio».
Ma quel governo non si accontentò di una circolare. E prima di uscire di scena approvò il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, un regolamento previsto dalla riforma Bassanini del 2001 ma inutilmente atteso da dodici anni. Alla voce «regali, compensi e altre utilità» il Codice – che porta la firma del ministro Patroni Griffi – ripeteva esattamente il divieto imposto da Monti: «Il dipendente non accetta, per sé o per altri…». Poi però rinviava a ciascun ministero il compito di emanare un decreto ad hoc, che adattasse quella regola ai meccanismi dei suoi uffici. Così il 9 maggio dell’anno scorso la pratica è arrivata sul tavolo di Lupi, che ha firmato le norme valide per il suo ministero.
Ma lui che ha scritto il Codice Lupi, invece di dare l’esempio è stato il primo a non rispettarlo. Ha lasciato che un imprenditore al centro di appalti miliardari – capace di dirigere i lavori di 17 opere pubbliche contemporaneamente – regalasse a suo figlio Luca un Rolex Daytona, il più ambito dai collezionisti, un orologio da 10 mila euro. E non ha battuto ciglio quando lo stesso imprenditore, Stefano Perotti, un anno fa ha fatto assumere il giovane Lupi da suo cognato, spiegando che «il ragazzo deve prendere 2000 euro più Iva mensili ». Regali e favori che erano evidentemente destinati a ottenere la benevolenza del ministro e che Maurizio Lupi ha accettato: non per sé, ma «per altri», ovvero per suo figlio.
Non basta, come fa il ministro, prendere le distanze da quell’imbarazzante dono del Rolex: «L’avesse regalato a me non l’avrei accettato » ha detto al nostro giornale. Chi ha visto «I tartassati» – il magnifico film di Steno del 1959 – ricorda che a un certo punto il maresciallo della tributaria (Aldo Fabrizi) si accorge che il commerciante evasore (Totò) sta cercando di corromperlo svendendo a sua moglie un abito con l’improbabile sconto del 70 per cento. «Posalo» ordina il maresciallo alla moglie. Ecco, il ministro avrebbe dovuto imitare il maresciallo Fabrizi, e fare la stessa cosa: ordinare al figlio di restituire immediatamente quell’orologio. Ma lui non lo ha fatto, ha accettato che un suo familiare ricevesse un costosissimo regalo. Altrettanto zoppicante è la sua autodifesa sul lavoro che Perotti, tramite il cognato, ha procurato a suo figlio. «Per tutta la vita ho educato i miei figli a non chiedere favori» ha assicurato Lupi. Ha fatto benissimo. Ma avrebbe dovuto aggiungere che non bisogna neanche accettarli, i favori, soprattutto se a farli è un imprenditore che lavora con il ministero di papà. E forse è vero che lui non ha mai chiesto nulla, a quel potente imprenditore a casa del quale andava così spesso a cena. Eppure, come direbbe lui stesso se un dirigente fosse colto a violare il Codice etico in materia di regali, certi doni non basta non chiederli: non bisogna accettarli, né per sé ne per altri, se «possono essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio». Questa è la vera colpa politica del ministro. Che oggi non è più moralmente legittimato a chiedere ai suoi sottoposti il rispetto di regole che lui per primo ha infranto. E’ il Codice Lupi che oggi inguaia il ministro Lupi.

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FACCE DI BRONZO – Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano, 18 marzo

Lo scandalo è bello grosso e infatti di prima mattina eccoli paracadutati nei talk show per difendere l’indifendibile, negare l’evidenza, confondere le acque. In missione per conto di Renzi, in quel di Agorà (Rai3), la parola all’onorevole Ivan Scalfarotto, trascorsi decorosi per i diritti civili, oggi detergente multiuso. Prova “schifo” Ivan Mastro-lindo e vorrei vedere voi a passare lo straccio sul sistema Incalza, 35 anni di appalti, 14 inchieste, un vorace amico detto Pigliatutto. Niente paura, l’ottimo governo lavora indefesso per il bene comune e la puzza diventa odor di gelsomino. Nello studio delle facce di bronzo “siamo tutti garantisti” che per l’uso smodato del termine ricorda il patriottismo secondo Samuel Johnson, ultimo rifugio dei farabutti.

Il ministro Lupi non è indagato, lasciamo lavorare i magistrati, nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, non esistono più le mezze stagioni. E la legge anti-corruzione che giace da due anni? Utile approfondimento. E il premier che voleva il Daspo per i corrotti? Quando mai. La consigliera Ncd non finge di turarsi il naso. Lupi deve dimettersi? Giammai. E il figlio di Lupi? E il Rolex da diecimila euro? E l’assunzione presso lo studio Pigliatutto? E l’abito su misura? Niente persecuzioni. Si chiude con l’ossessione Salvini e i clandestini di Crotone, “che vogliono il wi-fi, ma non le lasagne”(mah).   Possibile che nulla riesca a scuoterli? Che il format sia sempre lo stesso, un compitino scritto per non dispiacere ai capi ? Mai che qualcuno dica: sì abbiamo sbagliato, fingevamo di non vedere che l’inamovibile supermanager era il palo di un sistema tangentizio che faceva comodo a tutti. E quando dal passato è apparso sullo schermo Antonio Di Pietro che nessun ladro ha fatto fesso, di fronte alle parole di plastica abbiamo provato nostalgia per la cruda umanità di Tangentopoli.