Siamo tutti sallusti de che, ma soprattutto, perché?

“Anche se non vado in carcere e quindi non ci sarà la violenza fisica della detenzione –  resta comunque la violenza psicologica dell’essere privati della libertà”.[Alessandro Sallusti]

Giusto, ha ragione: quelli come lui trovano assai meno disdicevole privarsi della dignità. In uno dei tanti passaggi televisivi che gli sono stati concessi da amorevoli colleghi [ché non si sa mai, oggi a me domani a te] aveva dichiarato che in caso di condanna definitiva avrebbe rinunciato ai domiciliari e scelto di scontare la pena in carcere.

Caso Sallusti, cancellare le norme che puniscono con la galera i reati di opinione [Franco Siddi, presidente FNSI – 24 settembre 2012]

«Non si può andare in galera per un’opinione anzi per il mancato controllo su un’opinione altrui. È una decisione che deve suscitare scandalo» Ezio Mauro.«È davvero molto grave che si arrivi ad ipotizzare il carcere per un collega su un cosiddetto reato d’opinione» Ferruccio De Bortoli. «Questo mestiere non si può più fare. Se i giornalisti devono pagare con la propria libertà le opnioni che esprimono, non si può più fare» Maurizio Belpietro. Il segretario della Federazione Nazionale della Stampa, Franco Siddi «È sconvolgente. In questo momento siamo tutti Sallusti».

Quello di sallusti e di farina, alias betulla, alias alias dreyfus, ovvero l’estensore di quella schifezza spacciata per informazione non è un reato di opinione, si chiama DIFFAMAZIONE.

Una delle pagine più squallide della cronaca giudiziaria di questo paese.
C’è da vergognarsi ad aver sostenuto l’insostenibile a proposito di libertà di espressione e informazione nel caso di sallusti.
Per tutto ciò che si è scatenato intorno ad una sentenza giusta, ineccepibile e anzi, arrivata anche con troppo ritardo rispetto a quello che ha dovuto subire il povero PM diffamato verso il quale NESSUNO di quelli che si sono sperticati a difendere sallusti ha pensato fosse il caso di spendere una parola di solidarietà, che lì ci stava tutta.  Noi cittadini, normali e mortali, non andiamo ai domiciliari se diffamiamo qualcuno; andiamo in galera. Un direttore che fa scrivere un criminale espulso dall’ordine per reati che riguardano l’etica professionale, commissionandogli per di più un articolo diffamatorio contro un giudice, per una campagna indegna a sostegno dell’antiabortismo integralista potrebbe anche non essere punito con la privazione della libertà personale ma deve restare DISOCCUPATO.

La pena giusta è il divieto di esercitare quella professione che ha svilito e offeso. E non solo in questa occasione.

Senza passare per i talk show televisivi.

Tanto pignoli con i blogger, costretti a smentire le notizie degli altri e tutti preoccupati per sallusti, uno con una spiccata capacità a delinquere secondo una sentenza  della Cassazione e non un’opinione di qualcuno, uno che in un paese normale sarebbe finito in galera nel silenzio generale, altro che presenziare in tutti i talk show televisivi.

Ad un professionista della diffamazione e delle notizie false dovrebbero imporre le rettifiche e la liquidazione dei danni morali.

Via quell’obbrobrio dell’ordine fascista dei giornalisti  che ha permesso ad un radiato di poter ancora impiastrare un fogliaccio coi suoi delirii integralisti e via anche le rotative, quando la calunnia e la diffamzione sono il leit motiv di un giornale che, ricordo, paghiamo tutti.

14 mesi non sono niente rispetto a sei anni di attesa per avere giustizia.
La pena per un direttore di giornale che permette che qualcuno, nella fattispecie un radiato dall’albo possa diffamare un onesto professionista non può essere la partecipazione a tutti i talk show dove gli si permette di gettare fango sulla Magistratura.
Sono tutti colpevoli,  da Lerner a Santoro passando per la Gruber e Floris, gente così non s’invita in televisione, è diseducativo.

E adesso, pover’uomo?
 Marco Travaglio, 27 settembre

Nonostante gli immani sforzi compiuti per finire in carcere, è molto probabile che Sallusti non ce la faccia. Ce l’ha messa tutta, niente da dire: ci teneva. Pur di andare in galera, aveva persino rifiutato la nostra proposta di rettificare, scusarsi e risarcire il danno in cambio del ritiro della querela da parte del giudice diffamato (che aveva accettato). Ogni giorno intimava ai pm di mandarlo a prendere dai carabinieri senz’ulteriori indugi, e niente servizi sociali o domiciliari: prigione. Nei talk show s’affacciava tutto emaciato, barba lunga e occhiaie, a portata di mano lo zainetto con spazzolino, dentifricio e il necessaire del perfetto galeotto, comprese manette d’ordinanza e pigiama a strisce acquistati in un negozio di Carnevale. Ma qui i colletti bianchi non finiscono dentro neppure se insistono.
“Nemmeno se va a bussare al portone di San Vittore”, aveva vaticinato Gerardo D’Ambrosio. Piuttosto, la richiesta della Procura di Milano al giudice di sorveglianza di fargli scontare 16 mesi ai domiciliari in casa Santanchè dimostra inoppugnabilmente il perfido sadismo delle toghe rosse. Olindo e Rosa, come li chiama Feltri, saranno l’uno la punizione dell’altra (lei però, per sua fortuna, può uscire). E poi che ci fa uno come Sallusti chiuso in casa h 24? Viene in mente Fantozzi va in pensione, dove il ragionier Ugo si ritrova da un giorno all’altro recluso fra quattro mura, con l’aggravante della moglie Pina. La quale, dopo qualche giorno, vedendolo così inutile e depresso, offre denaro al megadirettore galattico perché se lo riprenda a lavorare. Pare di vederlo, zio Tibia, che si alza di buon mattino pieno di idee e dossier farlocchi. Toilette e colazione a razzo per fiondarsi al Giornale. Ma, giunto alla porta, si ricorda di non poter uscire. “Cazzo, e che faccio qui tutto il giorno?”. Infila vestaglia e babbucce, si trascina fino alla poltrona e accende la tv: solo programmi di cucina. E non lo chiamano più, da quando ha perso l’appeal del nuovo caso Tortora. Arriva la colf con i giornali: il suo, senza di lui, sembra perfino migliorato. Mezz’ora di lettura, ed è di nuovo lì che smania. Prova ad alzarsi, ma la filippina lo fulmina: “Dottoreee, abbia pazienza, devo lavorare. Non si muova e alzi i piedi, così passo l’aspirapolvere sotto la poltrona”. “Se vuole le do una mano”. “Ma va là, poi mi fa qualche disastro e la signora chi la sente”. Suonano al portone: finalmente qualcuno con cui scambiare due parole. Fa per alzarsi, ma riecco la jena delle pulizie: “Le pattine, dottoreee!”. Risponde al citofono: un rappresentante della Folletto. “Venga, si accomodi, facciamo due chiacchiere”. “No, guardi, non ho tempo da perdere, o mi compra qualcosa o la saluto”. Altro squillo. “Evvai, sarà un amico o un collega di buon cuore venuto a trovarmi”. Macché: il postino. E sono solo le 11. Ciabatta fino alla cucina.
“Dottoreee, non vede che il pavimento è bagnato? Ora mi tocca rilavare da capo. Ma non ce l’ha qualcosa da fare?”. Si spinge fino al pianerottolo e suona al vicino, vedi mai che cerchi compagnia. Viene ad aprire un vecchietto in carrozzella: “Guardi, buonuomo, ho un sacco di roba da fare. Magari un’altra volta, eh?”. Chiama il Giornale, casomai servisse un editoriale. Segretaria nuova: “Sallusti chi? Qui non risulta nessun Sallusti. Il direttore? Non scherziamo, il direttore si chiama Feltri. La saluto. E non ci riprovi, se no la denuncio per stalking”. Rientra la Daniela con le ultime notizie: “Le primarie Pdl non si fanno, Silvio non mi ricandida, il Parlamento è chiuso. Farò la casalinga”. “Tutto il giorno in casa anche tu?”. “Certo, non sei contento, teschietto mio?”. “Pronto, parlo con i Testimoni di Geova? Sono un vostro adepto, leggo tutti i numeri della Torre di Guardia. Mi tengono prigioniero in casa, non è che mandereste qualcuno a liberarmi?”.

La Repubblica censura Odifreddi [e Il Fatto Quotidiano i commenti dei lettori]

Per criticare devi essere migliore e non usare gli stessi sistemi che condanni. Certo, ad Odifreddi gliel’hanno fatta proprio lurida. Ma per la censura vale il principio, o sei per la libertà di espressione o non lo sei, e nessuno dei due quotidiani lo è. C’è gente a cui andrebbe interdetto l’uso di un computer, altro che affidare cose delicate come la moderazione di un sito on line di un giornale o la responsabilità di una piattaforma e un social network.

Oggi il quinto potere è il click di un mouse, no, non può essere.

809 giorni di libertà [Odifreddi su Repubblica]

Tutte le persone che curano un blog sul sito di Repubblica dovrebbero pubblicamente solidarizzare con Odifreddi, dire che la censura fa schifo quando non si veicolano idee pericolose e che istigano a violenze, fascismi e razzismi.

 Odifreddi questo non lo ha mai fatto, quel post su Israele è uno scritto forte sì ma coraggioso e veritiero, a proposito di un argomento di cui pare che non si possa né si debba parlare.

Lo devono fare  per una questione di immagine, perché altrimenti diventa legittimo pensare che altri scrivano cose per non dispiacere editore, fondatore e direttore. Secondo me.

Odifreddi scrive contro Israele
Repubblica lo censura. Lui: ‘Lascio’

[Il Fatto Quotidiano, nell’articolo il post censurato, anzi tagliato di netto da Repubblica]

Piergiorgio Odifreddi viene censurato da Repubblica con l’intera rimozione di un suo post nel blog.

E’ la nuova linea editoriale del giornale fondato dal furbacchione di Largo Fochetti al quale piace vincere facile, perché è davvero troppo semplice fare battaglie di libertà solo quando si tratta di mignotte, papponi ed erotomani confusi con statisti o su signore offese da quello più alto che intelligente.

Le battaglie per la libertà si fanno sulla qualunque, non si nega la parola a Piergiorgio Odifreddi, su un quotidiano che si definisce libero e liberale.
Né si tace o si scrive a vanvera sulla trattativa stato mafia per non dispiacere l’amico e coetaneo coinvolto nella faccenda.
Né  Odifreddi  può essere bravo quando parla di laicità, quando fa notare le contraddizioni della religione, lo scempio di quella che dovrebbe essere una società civile anziché la fogna a cielo aperto che è diventato questo paese  ed essere meno bravo quando affronta argomenti che il pd – oramai partito di riferimento di Repubblica –  non gradisce affrontare come  dovrebbe per non dover prendere una posizione. Repubblica è lo stesso giornale dove praticamente a cadenza quotidiana ci ragguagliano sulla non democrazia del M5S, per dire.
E al Fatto Quotidiano, dove non vedono l’ora di poter ridare vigore al conflitto aperto mesi fa con Repubblica ma soprattutto con  Scalfari, da quando ha definitivamente abbandonato l’idea di fare giornalismo per mettersi al servizio di Napolitano e del partito di Bersani,  prendono subito  la palla al balzo e rilanciano la notizia in pompa magna.
Poi succede che una persona decida di andare nel sito del Fatto a commentare  e che dopo cinquanta secondi veda sparire il suo commento.
O che se ne veda cancellare altri senz’alcun motivo.
Insomma, in un giornale che si vanta di essere libero davvero  dove spesso si condanna la censura com’è giusto che sia, si censurano le opinioni della gente.

 

E inoltre mi chiedo a cosa cazzo serve mettere a disposizione un’edizione on line di un quotidiano  dove far intervenire i lettori –  molti di quelli che scrivono sono le stesse persone che finanziano attraverso l’acquisto del cartaceo –  per poi scegliersi i commentatori sulla base del sentire personale di gente di cui non si conosce neanche la faccia, a differenza di chi va a commentare in giro per siti e blog mettendoci la sua.
C’è un modo sciatto  di gestire le cose, anzi, di farle gestire da persone mediocri, gente che se  le metti in mano il giocattolino del click con cui può decidere cosa sì e cosa no fa solo disastri.
La censura, il ban, eventuali querele e denunce in fatto di stampa e libertà di  informare o di esprimersi  devono essere l’extrema ratio da utilizzare solo in presenza di pensieri pericolosi, istigazioni, apologie e  diffamazioni.
Non l’ha fatto Odifreddi su Repubblica né altrove, non l’ho mai fatto io che ho dovuto rinunciare a commentare in quel sito per non dovermi accorgere che ogni giorno mi venivano censurati e cancellati commenti, le stesse cose che scrivo qui, sulla mia pagina di Facebook tranquillamente,  né l’ho mai fatto e lo faccio altrove.
Tutto il resto deve essere concesso  altrimenti  inutile vantarsi di essere un giornale libero solo perché non ha un editore a cui rendere conto, perché se poi affida la gestione di una cosa che mette a disposizione in virtù di quella libertà di cui si vanta a persone incapaci e irresponsabili non difende più la libertà ma diventa complice di chi invece la sottrae.
Dunque se mi posso permettere, e mi permetto eccome, né a Repubblica   né al Fatto è ben chiaro il concetto di democrazia e di libertà.
Andate a studiare, ancora un po’.
E poi pontificate.

Strike

  Dagospia: “Quando tutti cantano in coro, conviene ascoltare la voce del cattivo, il giudice Giuseppe Cocilovo. Sentito dalla Stampa (p. 13), racconta che non vi fu mai alcuna rettifica sul Libero: “Quello stesso giorno c’erano stati un comunicato ufficiale e lanci Ansa. Tutti gli altri hanno riparato a quell’errore, hanno informato correttamente i loro lettori. ‘Libero’ non l’ha mai fatto, nemmeno quando l’ho richiesto. Hanno detto che quando uscivano i lanci Ansa erano in auto e non li avevano visti, e negli anni successivi?”. Saranno rimasti intrappolati nel traffico sei anni.

Ma il meglio riguarda la trattativa degli ultimi giorni, saltata perché il povero sallusti racconta che “quel signore pretendeva da me altri soldi”. Ecco la versione di Cocilovo: “Abbiamo fatto una proposta transattiva: avrei ritirato la querela dietro il pagamento di 20.000 euro da devolvere a Save the Children. Invece il giorno dopo mi trovo un editoriale di sallusti in cui sembra che io voglia quei soldi per me, si chiama a raccolta l’intera categoria nel nome della libertà di stampa, s’incassa la solidarietà del Capo dello Stato e si cerca la sponda del ministro della Giustizia. Una campagna stampa allucinante. E allora le domando: qual è la casta?”.

Diffamazione e responsabilità

Tra Sallusti e Travaglio c’è di mezzo un banner

“A Travaglio 8 mesi di carcere: lo salva la prescrizione”; “C’è un giudice anche a Roma: Travaglio diffama di proposito”; “Il giudice lumaca salva Travaglio” – [Il Giornale]

Tanto pignoli con i blogger, costretti a smentire le notizie degli altri e tutti preoccupati per Sallusti che, dovrebbe, andare in galera. Ad un professionista della diffamazione e delle notizie false dovrebbero imporre le rettifiche e la liquidazione dei danni morali.

Oggi tutti parlano bene di sallusti, perfino Norma Rangeri dal Manifesto ci fa sapere che la condanna di sallusti è un attentato alla libera espressione. Naturalmente non una parola su una classe politica INDECENTE che in sessant’anni e oltre di repubblica non ha trovato il tempo e il modo di sostituire le leggi ereditate dal fascismo. 
Fra cui proprio quella che ha condannato sallusti.
E i figli e nipoti di quella classe politica sono gli stessi che oggi non sanno tirare fuori una legge decente contro la corruzione nonostante e malgrado siano 11 anni (undici anni!) che l’Europa ce la chiede.
In poche ore si è formato un piccolo esercito di difensori della libertà di diffamare di sallusti, dal presidente della repubblica che NON si dovrebbe occupare di nessun “caso sallusti” al presidente della federazione nazionale della stampa Siddi, quello che “si sente come sallusti” invece di fare il suo mestiere ricordando magari che sallusti è proprio uno fra quelli che vorrebbe, invoca la galera per quei giornalisti che non diffamano come lui ma si limitano a fare il loro mestiere e cioè informare, passando per il ministro Severino  che non commenta ma qualcosa s’ha da fare [solo perché c’è di mezzo sallusti?]. Per esempio, al direttore Ezio Mauro piace il giornalismo che diffama? anche a Mentana? è legittimo pensare che oggi difendono sallusti per paura che domani tocchi a loro? solo però forse  non sanno che in quel caso i sallusti d’Italia non si faranno trovare pronti.

E tutti hanno fatto strike anche dell’ultimo residuo di credibilità, della loro credibilità istituzionale.

In Italia per vivere bene, avere un futuro assicurato, luminoso, un mucchio di amici che nel momento del bisogno non mancano mai di offrire il proprio sostegno non bisogna nascere con la camicia: bisogna nascere disonesti e irresponsabili.

San(t)ità mentale

Preambolo: 

E’ sano di mente chi uccide 77 persone?

 Un politico ruba? È perseguitato dalla magistratura. Lo Stato fa trattative con la mafia? I giudici sovvertono i poteri costituzionali. L’Italia sprofonda nella crisi economica e migliaia di famiglie e imprese sono alla canna del gas? La fine del tunnel è vicina, tutto ok, dice il nostro presidente del Consiglio. Ormai tutto è sistematicamente capovolto. E purtroppo i teleschermi amplificano il falso.

Alla fine che persone diventiamo se ci nutriamo continuamente di menzogne? Quali riferimenti abbiamo se ci fanno sapere che è sano di mente chi uccide 77 persone? Che speranza abbiamo nel futuro se il falso diventa la normalità? Diciamolo forte: non è sano di mente Breivik! E’ una persona malata. E’ figlio di una società malata, che nutre la mente con fanatismi, programmazioni sociali, odio razziale, estremismo politico. Al contrario, una persona sana di mente non uccide. Ama. Aiuta. Lavora. Fa sacrifici. Crede in un mondo migliore. Si impegna per una società civile. Ma soprattutto – come diceva il filoso Lao Tze – chiama le cose con il loro nome.

Come siamo arrivati a un tale livello di confusione su cose così semplici?

Sottotitolo: se nemmeno quella navigatissima piraña  della Bongiorno che riuscì a dimostrare che si può essere mafiosi solo per un tot di tempo – né un attimo prima né un momento dopo –  a proposito della PRESCRIZIONE PER MAFIA di Giulio Andreotti è riuscita ad ottenere uno sconticino di pena per Antonio Conte, il marcio nel fantastico mondo del calcio italiota dev’essere molto maggiore che non in Danimarca. Come dice la mia amica Barbara, Conte non ha potuto usufruire del servizio “SOS Colle”. Oppure avrà trovato la linea occupata.

La Repubblica e Il Fatto, Zagrebelski e Scalfari: quello che Ezio Mauro non dice

Lo scontro tra il fondatore del quotidiano di Largo Fochetti e il presidente emerito della Consulta, la favola del “tutti abbiamo ragione” e l’attacco ai pm e alla Costituzione: rassegna – punto per punto – dei trucchi per mettere d’accordo capra e cavoli.

Come si permette il direttore  Ezio Mauro di dare anche a me della fascista, della militante di “una nuova destra” solo perché penso che l’informazione debba svolgere la professione a cui si è liberamente dedicata e che in un paese normale i giornalisti  non dovrebbero avere come obiettivo quello di fare favori ad una parte politica piuttosto che ad un’altra? E che in un paese normale la cui Costituzione sancisce con un preciso articolo che TUTTI I CITTADINI SONO UGUALI,  nessuno dovrebbe essere più uguale degli altri sia che si chiami silvio berlusconi, Giorgio Napolitano o Mario Rossi?

Ci vorrebbe una class action contro questi guastatori dell’informazione.

Per quale motivo sostenere dei Magistrati ai quali si sta rendendo difficile, anzi impossibile il raggiungimento dell’obiettivo “Verità” circa la trattativa [tutt’altro che presunta] fra lo stato e la mafia dovrebbe essere di destra mentre invece sostenere un partito come il pd è sicuramente di sinistra? se qualcuno me lo spiega mi fa un favore.
E inoltre, per quale ragione le “prerogative presidenziali” sono state violate dalle intercettazioni Mancino-Napolitano [2012] mentre non lo furono a causa delle intercettazioni Bertolaso-Napolitano del 2009?
Cosa fa la differenza tra le due situazioni, forse il fatto che la trattativa ci fu e questo non si deve sapere ché pare brutto?

 Il Fatto Quotidiano che si schiera dalla parte dei Magistrati è un giornale di destra, Repubblica invece che da mesi ha assunto una linea editoriale irriconoscibile tanto da spingere molti lettori affezionati, me compresa, a smettere di comprare quel giornale è di sinistra?  

Un gruppo potente come quello di De Benedetti non ha gli stessi problemi di un quotidiano che si finanzia da sé. E non c’è bisogno di rinnegare la propria linea editoriale in modo così palese per dimostrare di stare dalla parte dello stato lasciando ad intendere che chiunque abbia in mente l’insana idea di voler perseguire la verità sulle stragi mafiose sia invece contro lo stato, che poi è la stessa opinione/teoria di Violante  che, da essere inqualificabile qual è anziché  chiedere scusa agli italiani e sparire dalla circolazione portandosi dietro tutti i suoi compagnucci di inciucio, da d’alema a veltroni passando per tutta la schiera dei complici di b, tutti quelli che nella presunta sinistra italiana  in questi anni hanno oliato i suoi ingranaggi invece di fare il contrario, per il bene del paese e cioè il loro, delle caste e sottocaste,  si permette anche il lusso e il privilegio di insultare i suoi ex colleghi, quelle persone che non hanno scelto la via facile di un posto in parlamento ma hanno continuato a lavorare in prima linea a prezzo della vita o di un trasferimento “volontario” in Guatemala.

La trattativa spiegata ai media stranieri: “Nessun complotto del Fatto”

Della Repubblica [e dell’informazione che non c’è]

  Sottotitolo:  nel piddì qualcuno mi legge. Solo ieri avevo scritto che il cosiddetto e ormai defunto a quanto pare centrosinistra si trova impossibilitato a fare quelle leggi che in paesi normali e civili fanno anche governi di destra moderati e liberali tipo regolamentare le coppie di fatto e omosessuali perché c’è sempre qualche Fioroni e qualche Binetti di troppo. Avevo dimenticato, purtroppo, il pezzo da novanta, quella Rosy Bindi che in tutti questi anni per molti ha avuto il ruolo della pasionaria, di quella che per il bene del suo partito e di leggi riformiste utili al rinnovamento e alla crescita di un paese ancorato e incollato ai desiderata della vaticano spa e incapace di smarcarsene –  come si fa nei paesi civili dove le leggi si fanno in parlamento e non in sacrestia né nell’anticamera di sua santità – avrebbe messo da parte il suo sentire personale, la sua fede religiosa. Invece Rosy nei momenti topici ci tiene a ricordare che nelle sue intenzioni non c’è niente di tutto questo,  che un cattolico è come un diamante: per sempre, specie se fa il politico in Italia. Ed ecco perché all’interno di un vero partito di sinistra, liberale e riformista non ci possono stare i cattolici. Almeno non quelli come Fioroni, Binetti e Rosy Bindi.

Meno di un mese fa Bersani era ancora a chiedersi se fosse opportuno chiamare “matrimonio” l’unione fra due persone dello stesso stesso. Come se il problema fosse la definizione, il nome e non il fatto che l’Italia nel terzo millennio è ferma al medioevo, e non certo per colpa del vaticano che fa il suo, lo faceva anche quando c’erano fanfani e andreotti ma questo non ha impedito ai governi di allora di varare leggi importanti come la 194 e quella sul divorzio, ma di quella politica (tutta, praticamente) che ha il terrore di perdere il voto dei cattolici più integralisti – oggi più di cinquant’anni fa. E questo è inconcepibile per un paese moderno, di questi tempi.

***

Disastro all’assemblea Democratica Bersani in balia delle correnti del partito


***

Volevo aspettare settembre, avevo deciso di concedere una deroga a Repubblica anche se ultimamente la sua deriva verso la fuffa sembra inesorabile, ma se le cose stanno così non aspetto neanche un minuto di più: arrivo in spiaggia (ieri),  e poi come faccio sempre apro i miei quotidiani sulla prima pagina cercando quelle notizie che voglio leggere prima di altre. Guardo Repubblica e allibisco. Mi sono detta, no, Ezio Mauro, quello delle dieci domande e poi ancora altre dieci  a berlusconi non può fare una cosa del genere, nascondere la dichiarazione scellerata di Letta. E invece sì, lo ha fatto, e allora per me diventa una questione di dignità personale, non faccio da spalla a nessun house organ, né tantomeno a quella stampa che si dice libera e liberale ma poi nega le notizie ai suoi lettori.
Ho smesso di comprare l’Unità a luglio dello scorso anno quando Concita De Gregorio fu cacciata, come già accadde per Colombo, Travaglio e Padellaro per ordini di partito [il pd], e da quando esiste Il Fatto non ne ho perso un solo numero [anche se sono arrabbiata coi moderatori che censurano i commenti dei lettori sul sito on line], insieme al Fatto fino a ieri ho comprato anche Repubblica perché a me piace il giornale di carta, è una lettura diversa rispetto a quella che si fa sui siti on line e su Repubblica scrive gente che mi piace aldilà dei suoi direttori – fondatori – editori.
Però, caro Ezio Mauro, non si fa così l’informazione, sulla prima pagina  di Repubblica di ieri, sabato 14 luglio,  non c’è traccia della dichiarazione del vicesegretario del pd Letta, che preferisce i delinquenti [e non lo sono perché lo dico io ma il numero impressionante di processi, imputazioni, condanne e prescrizioni che riguardano gran parte dei componenti del  partito delle libertà provvisorie a partire dal suo padre padrone assoluto] alle persone oneste, sicché oggi stesso avvertirò il mio edicolante di non conservarmi più Repubblica.
Perché io il gioco non  lo reggo a nessuno, non sono serva di nessuno, tantomeno di un partito ridicolo come il pd.
Se Repubblica ritiene che le dichiarazioni di Letta non meritino l’evidenza della prima pagina significa che non ha rispetto per l’intelligenza dei suoi lettori,  che li considera perfetti idioti che non devono sapere che il vicesegretario del partito che vorrebbe diventare la prima forza di governo ha simpatie per l’avversario più feroce che la politica di sinistra e di centrosinistra ha saputo confezionare, costruire in questi ultimi due decenni, e siccome non è più in grado di combatterlo, semmai ci sia stata davvero la volontà di farlo visto che a quanto pare invece lo ha reso sempre più forte e potente, ne prova perfino nostalgia, lo preferisce ad un movimento  che ha tutto il diritto, se preferito dalla gente a dire la sua anche in parlamento così come funziona in una democrazia che si rispetti.

Io però, no, nostalgie canaglie non ne ho.

E a un delinquente continuerò a preferire sempre una persona, o più persone, oneste.

***

 Ai servi di b ci eravamo abituati, li guardavamo ormai con compassione chiedendoci come fosse possibile arrivare all’ultimo stadio della prostituzione, quella che spesso sfocia nelle peggiori perversioni. E’ agli altri che non ci si abitua, a chi omette, tace e nasconde le malefatte di chi berlusconi avrebbe dovuto contrastarlo ma non l’ha mai fatto. Ogni riferimento – da parte mia –  al pd, a Letta & soci  e a Repubblica non è puramente casuale ma voluto e intenzionale.

***

Salme e salmi
Marco Travaglio, 15 luglio

Si pensava che la ridiscesa in campo del Ricainano e il voluttuoso entusiasmo con cui è stato accolto tra le file della servitù inducesse la servitù medesima ad astenersi dalle litanie sugli antiberlusconiani orfani di B. che non sanno più cosa dire e scrivere, con cui ci ammorbavano dal giorno della caduta di B. Invece insistono imperterriti: ora scrivono che la notizia del riritorno del Rinano avrebbe scatenato caroselli di giubilo a Repubblica, al Fatto, nel clan Santoro e tra i “comici militanti”: “Aiuto, si rivedono gli zombie anti-Cav” (il Giornale), “Quelli che… ricomincia la festa: da Crozza a Travaglio, i comici e i giornalisti militanti non vedevano l’ora del ritorno di Silvio”. Strano, perché gli unici festeggiamenti per la riesumazione della salma si riscontrano proprio sugli house organ della medesima. “Perché torna Berlusconi”. “Si torna a Forza Italia. Comincia la rimonta”. “Berlusconi cerca la donna perfetta per il ticket” (una nuova versione del bungabunga?) titola il Giornale di zio Tibia Sallusti, tutto eccitato per la “buona idea” e arrapatissimo da quel bell’uomo che s’è pure “messo a dieta” facendo footing a villa Ada, ha “sfoltito la corte” e ha addirittura “annullato le vacanze”. “Noi — aggiunge l’impiegato — non l’abbiamo mai visto morto e non abbiamo mai avuto dubbi sul suo ritorno. O ce la fa lui, o addio sogno di un Paese liberale”. Anche Prettypeter, al secolo Belpietro, quando il caro estinto gli annunciò il ritiro dalle scene, capì subito che era tutto “un bluff” e ora la resurrezione lo ringalluzzisce perché “o ci prova lui o non lo fa nessun altro”. Giuliano Ferrara s’era già buttato su Monti (con le conseguenze facilmente immaginabili per Monti). E ora oplà, con agile balzo si rituffa su padron Silvio: “Il pupo ha molta energia. È come un ragazzo”. “Amore, ritorna. Le colline sono in fiore e sarebbe bello che Silvio Berlusconi e Veronica si amassero ancora”. Si attende ad horas il ritorno all’ovile di Schifani, uno dei pochi che aveva creduto al decesso, dunque si era rimesso a vento col classico calcio dell’asino, o del lombrico. Mariastella Gelmini, dal tunnel del Gran Sasso dove ancora insegue i neutrini, scarica Angelino Jolie con cui per sei mesi era tutta puccipucci e annuncia trionfante: “Col Cav riprenderemo Nord e imprese”. Libero comunica esultante: “Operazione pulizia, Berlusconi fa sul serio: la Minetti deve lasciare”. Ma come, non ci avevano spiegato che l’igienista era una superlaureata, un volto nuovo, una statista in erba, una reincarnazione di Luigi Einaudi appena più popputo? Sì, alla fine dobbiamo confessarlo: il riritorno della risalma mette allegria anche a noi, ma non tanto per lui: per lo spettacolo impagabile dei trombettieri che si riposizionano alla spicciolata. Vespa torna a Palazzo Grazioli per raccogliere — informa su La Gazzetta di Parma — dalle labbra di B. “le ragioni del suo ritorno in campo”. Queste: “Se alle elezioni dovessimo scendere per assurdo all’8%, che senso avrebbero avuto 18 anni d’impegno politico?”. All’incontro “partecipa anche Alfano”, con grembiule, crestina e strofinaccio. Un giornalista normale farebbe notare a B. che essere ancora a piede libero e controllare Rai e Mediaset non è malaccio, come bilancio di questi 18 anni. Infatti l’insetto non fa notare. Galli della Loggia non ha mai risparmiato critiche al partito di plastica. Ma non perché fosse berlusconiano, anzi perché non lo era abbastanza: non separava le carriere dei magistrati e non difendeva il “primato della politica”, cioè i politici ladri e mafiosi. Ancora l’altro giorno Polli del Balcone lacrimava per Mancino seviziato dai pm siciliani cattivi. Ora se la prende col “conformismo” del “sistema dell’informazione… eccessivamente indulgente verso il potere politico ed economico” e conclude: “Ci siamo stati dentro tutti nell’Italia degli ultimi anni, se non sbaglio”.

Ecco, sbaglia: ci sono stati dentro in tanti, lui compreso. Noi no. Parli per sé e per loro. Non per noi.