Smemorandaland

Questi cosiddetti vip, che poi chissà perché li chiamano così vista la miserabilità che li distingue, che fanno la fila per andare all’isola dei famosi per fare finta di saper sopravvivere anche alla fame e poi si disperano per il black out di Cortina.

Nel paese dei senza memoria, a vent’anni dalla famosa discesa in campo c’è ancora bisogno della letteratura per scoprire chi è silvio berlusconi e cos’ha fatto. Evidentemente la cronaca non è bastata. E se non è bastata significa che non è stata ben fatta.  Qui siamo ancora a berlusconi antagonista politico con tutte le carte in regola per fare campagne elettorali ed essere battuto politicamente, anziché al condannato alla galera ancora a piede libero.

Nel paese dei senza memoria oggi Emma Bonino fa la figura della statista per aver riportato in Italia la donna kazaka sequestrata con sua figlia non da una banda di rapitori anonimi ma dalla polizia di stato a cui qualcuno ai piani alti ha dato evidentemente un ordine. 

E a quei piani alti nessuno ha pagato per quell’errore, sono ancora tutti lì a perpetuare le figuracce planetarie che questa politica inetta continua a far fare all’Italia. 

Nel paese dei senza memoria oggi forza italia si può unire al boicottaggio di Napolitano e del suo discorso di fine anno, perché nessuno va a ricordare a quelli di forza italia che se berlusconi può ancora vantare una libertà che non gli spetta per sentenza un bel po’ del merito ce l’ha anche Napolitano, interventista per quello che gli pare, raramente però per cose importanti, tipo quel sostegno a Nino Di Matteo che da parte sua non è ancora arrivato: è troppo occupato a fare il capo del governo, il presidente di garanzia, quello dal ruolo super partes che la Costituzione assegna al presidente della repubblica.

In un paese dove l’informazione avesse svolto la sua funzione molte delle porcherie accadute in questi due decenni si sarebbero potute evitare. 

Ma gl’irriducibili dell’asservimento, quelli che si mettono non al servizio dei cittadini ma sistematicamente e puntualmente dalla parte opposta, del potere che li stritola, da quest’orecchio non vogliono proprio ascoltare.

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OPS!  – Marco Travaglio, 28 dicembre

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QUANDO BERLUSCONI BRINDAVA ALL’EURO – Marco Travaglio, 28 dicembre

A sentire oggi i suoi esponenti, sembra che la destra abbia sempre combattuto contro la moneta europea. E invece le cronache dell’epoca sono piene di inni alla nuova valuta. A cominciare da quelli del presidente del consiglio di allora…

Accecati dall’odio per gli “usurpatori” a 5 Stelle, visti come i colpevoli della mancata vittoria elettorale del centrosinistra dovuta invece agli errori del centrosinistra, Letta jr., il Pd e i giornali al seguito stanno regalando a Berlusconi un vantaggio propagandistico mica da ridere: lo associano a Grillo nel nuovo nemico da battere, cioè il fronte “populista” M5S-Forza Italia che minaccerebbe l’Italia con la sua antica e costante ostilità all’euro. Senz’accorgersi che, così dicendo, regalano al Cavaliere una comodissima patente di coerenza e perfino di estraneità alla moneta unica europea, divenuta il bersaglio fisso di tutte le proteste politiche e sociali. E contribuiscono ad accreditare autolesionisticamente, nell’opinione pubblica più insofferente e meno informata, la leggenda nera secondo cui l’euro sarebbe figlio della sinistra, mentre la destra l’avrebbe sempre combattuto.

Niente di più falso. Il primo passo dell’euro fu il Sistema monetario europeo (Sme), creato nel 1978 ed entrato in vigore il 13 marzo 1979, quando in Italia governava per la quarta volta Giulio Andreotti. Nel dibattito parlamentare che precedette la firma, l’allora “ministro degli esteri del Pci” Giorgio Napolitano lanciò il 13 dicembre 1978 alla Camera un duro attacco agli accordi Sme che garantivano la sola Germania, «paese a moneta più forte», col rischio di indebolire «i paesi più deboli della Comunità» e di portare l’Italia «a intaccare le sue riserve e a perdere di competitività», oltre a dover «adottare drastiche politiche restrittive». Il trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio 1992, quando in Italia governava per la settima e ultima volta Giulio Andreotti. L’area Euro fu definita nel 1998, sotto il primo governo Prodi, con un tasso di cambio concordato in Europa dal ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi.

L’euro nacque ufficialmente il 1° gennaio 1999 ed entrò in circolazione il 1° gennaio 2002, quando da sette mesi in Italia governava per la seconda volta Silvio Berlusconi. Il quale, vinte le elezioni del 2001, tenne subito a rassicurare chi temeva l’avvento di un governo euroscettico: «Voglio mandare – disse il 14 maggio subito dopo la vittoria nelle urne – un messaggio ai leader e agli amici dell’Unione europea… Siamo orgogliosi di far parte dell’Europa e di avere nel presidente Ciampi il più illustre interprete del sincero e fattivo europeismo degli italiani».

Poi, alla cerimonia ufficiale di presentazione della divisa europea, il 26 novembre 2001, esaltò le magnifiche sorti e progressive della moneta unica, frutto di un «europeismo senza macchia» e foriera di «vantaggi di gran lunga superiori ai dubbi che qualcuno nutre per le difficoltà ad adattarsi e a fare i calcoli del cambio». La definì «un traguardo di arrivo, ma anche di partenza». E, durante il festoso brindisi, accompagnò con ampi cenni di assenso le parole commosse del presidente Ciampi («l’euro è un evento storico, la realizzazione di un sogno e il sinonimo di risanamento dell’economia, di stabilità monetaria, di bassi tassi di interesse, di trasparenza dei beni e servizi, quindi di maggiore libertà dei consumatori, ma soprattutto della nascita dell’Europa come soggetto politico»). E quelle del presidente della Commissione europea Prodi («quando a gennaio l’euro entrerà nelle tasche di tutti i cittadini europei creerà una economia più forte nella Ue, ma soprattutto l’identità di cittadini europei»).

Non contento, Berlusconi fece stampare e recapitare per posta a 20 milioni di italiani «una sorpresa», «un piccolo omaggio che spero gradito»: l’euroconvertitore in plastica azzurra, per «facilitare i calcoli da lira a euro», «con i più cordiali auguri di Silvio Berlusconi». Come se l’euro l’avesse inventato lui.

Visto il livello di impopolarità raggiunto dall’euro negli ultimi mesi, e visto il boom nei sondaggi di chiunque lo contesti, non sarebbe male se chi vuol battere Berlusconi alle prossime elezioni tirasse fuori quel pezzo di plastica azzurro con la griffe del Cavaliere per rinfrescare la memoria ai tanti che l’hanno perduta. Semprechè chi vuol battere Berlusconi alle elezioni esista, in natura.

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NEL LIBRO DI DE LUCIA SMONTATA LA BALLA DELLE “TOGHE ROSSE”.

Onore e dignità

Sottotitolo: Angelina regala l’isoletta a forma di cuore al suo Brad per il cinquantesimo compleanno, ché sono buone tutte a presentarsi col profumo, la cravatta e l’agenda in pelle.
Noi italiani invece dovremo pagare coi nostri soldi l’isola di Budelli venduta all’asta ad un ricco neozelandese che lo stato italiano, il magnifico stato italiano, ha deciso di riacquistare. 
Sono tutti neozelandesi col culo degli altri.

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Dopo ogni puntata di Report avverto sempre un’insopportabile mancanza.
Quella di un Tir che parte per la retata finale.
E dire che c’è anche chi si dispiace che Romano Prodi non sia stato nominato presidente della repubblica al posto del Napolitano bis.
Questi politici di lungo corso che non trovano sconveniente collaborare, a stipendio,  con i reggenti  dei peggiori regimi e che ovviamente dicono di doverlo fare per il bene della nazione. 
Abbiamo una commissione che si occupa di diritti umani che ha definito il Kazakistan una dittatura “temperata”.
All’interno di quella commissione c’è Luigi Manconi che fra le altre cose si occupa di monitorare la condizione delle carceri italiane, è sempre in prima linea quando si parla di amnistie e indulti ma evidentemente non considera né ha considerato troppo drammatica e fuori dalla legalità la vicenda del  rapimento e la successiva deportazione di una donna e della sua bambina in un paese dove non si può nemmeno inserire nel dibattito politico la questione relativa alla condizione dei detenuti nelle carceri. 
Perché quel paese è tutt’altro che una dittatura temperata.
E’ un paese dove ai dissidenti si applica il carcere duro e la tortura [e chissà che succede ai delinquenti comuni] ma l’argomento non smuove la sensibilità umana e nemmeno un’azione di contrasto concreta della nostra magnifica politica democratica italiana qui sempre pronta e unita nella lotta quando si tratta di alleggerire e in molti casi annullare con provvedimenti ad hoc quei dispositivi legali che marcano, così come si fa in tutti i paesi civili, la differenza fra onesti e criminali.

Milena Gabanelli alla fine della puntata di Report ieri sera ha detto che tutti sanno che nelle relazioni politiche ed economiche internazionali spesso si deve anche trattare con quei paesi dove i diritti umani sono un inutile dettaglio trascurabile, ma che ci dovrebbe anche essere un limite di fronte al quale fermarsi. Che esiste anche una questione di onore e dignità. Dice il contrario, e cioè che non ci si può affatto fermare,  l’accoglienza in pompa magna riservata a Vladimir Putin, ricevuto anche dal papapiùbuonochecisiamaistato, capo di uno stato dove ai dissidenti non solo si applica il carcere duro ma talvolta, per maggiore sicurezza, specialmente se fanno i giornalisti, si fanno anche sparire a colpi di pistola. E quindi è abbastanza evidente che parole come onore e dignità non si possono neanche nominare nel paese dove i governi si svendono e ci svendono ai peggiori offerenti.

“VI PENTIRETE CON VOSTRI FIGLI”. 

Il Fatto scrive “anatema”, io dico intimidazione di stampo mafioso. 

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L’assurdo dello spregevole individuo è il suo essere naturalmente refrattario al concetto minimo di regole, e l’assurdo elevato all’ennesima potenza è che alla “sua gente”, a quei poveri decerebrati che dicono che sarebbero disposti a morire per lui, piaccia soprattutto per questo. 

Perché sono talmente idioti da non pensare nemmeno per un attimo che questo tentativo continuo di berlusconi di rovesciare il senso dello stato riuscendo nell’impresa di trasformarlo in uno stato che fa senso, stravolgere quello di una civile e pacifica convivenza, del rispetto reciproco potrebbe coinvolgere anche loro ma da vittime.

Che ne sarebbe di un paese dove non si rispettassero le leggi, le sentenze, dove chi commette dei reati pretendesse di non doverne poi rispondere ad un tribunale e al popolo offeso da quei reati? E tutto questo mentre si deve occupare di quel paese da istituzione?

Non pensano, gli stolti, nemmeno per un attimo, di non essere silvio berlusconi, di non avere le sue stesse possibilità: quelle che si è potuto comprare specialmente rubando, corrompendo e quelle che questo stato gli ha amorevolmente regalato. 

Oppure pensano che nel momento del bisogno silvio si ricordi di loro, o che sarebbe disposto a morire per loro.
Imbecilli.
Complici di un delinquente per natura.

Clemenza senile
Marco Travaglio, 26 novembre

La penosa conferenza stampa di B. sulle “nuove prove” che non solo giustificherebbero la revisione del processo Mediaset, ma addirittura lo scagionerebbero, è – come si dice a Roma – una sòla. Una patacca. Nessuno ha mai sostenuto che il produttore egizio-americano Frank Agrama sia uno stinco di santo: altrimenti non sarebbe suo amico e sodale. Del resto è stato condannato per frode fiscale anche lui. In ogni caso la legge prevede le procedure per la revisione: se B. la chiederà, la Corte d’appello di Brescia deciderà ciò che è giusto fare. Nel frattempo, siccome B. è un pregiudicato, la legge Severino impone che esca con le mani alzate dal Senato: avrebbe dovuto farlo “immediatamente” fin dal 1 agosto, se i partiti suoi complici nelle larghe intese non avessero rinviato con ogni scusa il voto in giunta e poi in aula. Su un punto, però, il Cainano ha qualche ragione di lamentarsi: quello della grazia. Non perché vi abbia diritto. Anzi, nel suo caso la grazia non è ammissibile, sia per i numerosi processi che ancora pendono sul suo capo, sia perché sono trascorsi appena tre mesi dalla sentenza della Cassazione. Peccato che Napolitano non abbia mai osato dirglielo fino all’altroieri. Il 13 agosto, 12 giorni dopo la condanna, diramò un mega-monito in cui spiegava le istruzioni per l’uso della clemenza, lasciando intendere – come in varie repliche successive – che il principale ostacolo alla grazia era che B. non l’aveva chiesta, e comunque avrebbe potuto coprire solo la pena principale (quella detentiva) e non la pena accessoria (l’interdizione dai pubblici uffici). In realtà – come scrisse lui stesso – la grazia “può essere concessa anche in assenza di domanda”, e pure sulla pena accessoria (lo fecero altri presidenti prima di lui). Napolitano definì “legittimi” e “comprensibili” il “turbamento” e la “preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”. Cioè ammise che B. non è un cittadino come gli altri. Tant’è che incredibilmente invitò i giudici a concedergli “precise alternative al carcere, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto”. Come se fossero dovute per legge, mentre non lo sono. Mai, nella storia repubblicana e pure monarchica, un capo dello Stato aveva spiegato come ottenere la grazia a un tizio appena condannato (che non gliel’aveva neppure chiesta e rifiutava la sentenza), collegandola fra l’altro al suo sostegno al governo, cioè a una scelta politica che dovrebbe essere libera e nulla ha a che vedere con il diritto costituzionale. È da quell’atto inaudito e forse – quello sì – “dovuto”, in base a precedenti impegni assunti alla nascita delle larghe intese dopo la rielezione, che iniziano le ambiguità, i non detti, le aspettative mancate ora sfociate nella furia di B.

Un giorno, forse, capiremo perché il presidente fece annusare la grazia al pregiudicato, che ora schiuma di rabbia perché si sente preso in giro. Ma sono tante le cose che dobbiamo ancora capire. Un’altra è il motivo dell’inquietante tira-e-molla ingaggiato da Napolitano con i giudici del processo Trattativa che l’hanno citato come teste sulle confidenze che scrisse di avergli fatto il consigliere D’Ambrosio: prima ha dichiarato di essere “ben lieto” di testimoniare, ora invece manda a dire di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo” e pensa di cavarsela con una letterina in cui dice di non sapere nulla: come se D’Ambrosio si fosse inventato tutto. Ora, se un testimone non ha nulla da dire, non manda una lettera per chiedere l’esonero: si presenta e risponde alle domande. I giudici alla fine decidono se è credibile, o magari reticente o menzognero, nel qual caso lo indagano per false dichiarazioni (un tempo potevano arrestarlo su due piedi). Cosa che non possono fare se uno testimonia per lettera. Mentre dà lezioni di diritto al Cainano, il presidente farebbe bene a prenderne qualcuna per sé.

Amato, da chi?

 

Come dice un mio caro amico è vero che in Italia abbiamo un problema culturale enorme da cui scaturiscono limiti intellettuali altrettanto enormi, ma la colpa non è solo nostra, della gggente, è soprattutto di chi da pulpiti autorevoli, da ribalte pubbliche, maggiormente nella politica e nelle istituzioni stimola certe reazioni, riflessioni.
C’è un sacco di gente, me compresa, che quando si alza al mattino vorrebbe pensare ad altro, occuparsi serenamente delle sue cose, ma non ce lo fanno fare.
Nel dibattito pubblico non cambia una virgola da vent’anni; berlusconi, i reati di berlusconi, le condanne di berlusconi, i salvataggi in extremis di berlusconi, i papi, gli anatemi sulla famiglia uomo + donna = figli, la negazione dei diritti civili, la politica che non si occupa più di niente se non di stessa, chiusa nella sua autorefenzialità di casta e inginocchiata davanti a poteri più dannosi e devastanti di quanto possa esserlo la politica stessa.

L’Italia è un paese per schizofrenici, non per persone normali, sane, che vogliono essere libere di vivere, respirare e farlo possibilmente in un un paese sano, non corrotto, non nelle mani dei soliti ignobili personaggi.

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Nuovo ricatto dei Riva “Dopo sequestro di ieri chiudiamo le aziende” 

In un paese normale una volta stabilito che un imprenditore è un criminale gli si toglie la possibilità di nuocere ancora, come anche al politico criminale.
Qui no, si preferisce il sadomaso.
Ce piace soffrì.

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Se una gigantessa come Barbara Spinelli scrive che un’eventuale caduta di governo non comporterebbe nessun’aggiunta alla catastrofe in corso da una ventina d’anni [per tacere sui precedenti] io le credo: istintivamente sono più propensa ad avere fiducia in lei che in Napolitano, Letta e in tutti quelli che dalle loro tribune, specialmente quelle “repubblicane” [ogni riferimento a Scalfari non è puramente casuale] minacciano miseria, terrore e morte se il capolavoro napoletano delle larghe intese dovesse si dovesse guastare.

Barbara Spinelli: “Lo stravolgimento dell’art.138 è un colpo di mano”

“Si parla di deroga, ma la parola giusta è violazione della Costituzione: finché non è modificato, l’articolo 138 è legge da osservare. Tanto più è un colpo di mano se pensiamo alla presente congiuntura storica: un Parlamento di nominati, un governo di larghe intese che gli elettori non volevano e che distorce la democrazia”.

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Papa Francesco: “Fecondità dalla differenza. Matrimonio uomo-donna nella Costituzione”.

Ennò, purtroppo non c’è.
Quegli sbadati dei padri costituenti hanno dimenticato di precisare che il matrimonio è quello previsto solo fra donne e uomini. L’articolo 29 parla genericamente di CONIUGI ma non specifica che debbano essere specificamente moglie e marito, ovvero ‘n omo e ‘na donna [cit. Carlo Verdone].

Perché il papa non va a dire a Francia e Inghilterra che hanno appena approvato la legge sui matrimoni omosessuali che “la fecondità sta nella differenza”?

E chi non vuole figli? chi non li può avere? 

Ma basta con questa storiaccia che l’unico matrimonio è quello finalizzato a far nascere dei figli.

 

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Quando è stata approvata la legge che trasforma gli arresti domiciliari in un specie di telelavoro, uno di quelli che si facevano una volta da casa  tipo fare le collanine, imbustare documenti eccetera?

Perché sentir ripetere la storiella che berlusconi non avrebbe problemi a lasciare il parlamento perché potrebbe poi continuare a fare politica “da fuori” a me pare l’ennesima presa per i fondelli in quanto berlusconi più che avere la possibilità di fare politica da fuori dovrebbe smettere di farla, semmai l’abbia mai fatta, in quanto il suo posto sarebbe “dentro”.

I cosiddetti ladri di polli quando sono ai domiciliari devono rispettare anche il confine fra la porta di casa e il pianerottolo, se si azzardano a superarlo e li beccano li riportano direttamente in galera per evasione, qui invece abbiamo avuto alessandro sallusti che in qualità di detenuto ai domiciliari, sebbene per poche ore, ha avuto la possibilità di usare un computer, connettersi alla rete e twittare tutta la sua disperazione di persona deprivata ingiustamente della libertà di poter diffamare ancora e ancora, tant’è che Napolitano alla fine si è commosso e lo ha messo nella condizione di poter continuare a farlo da persona libera.

Perché finché certe cose le dicono i soliti, quelli che sulle balle, sulla disinformazione hanno creato la loro fortuna e il loro potere è una cosa, ma se una minchiata come la politica svolta per videoconferenza mentre si scontano gli arresti domiciliari la dice anche Cacciari in televisione la questione diventa seria.

Avere a disposizione un computer per connettersi ad internet è molto di più che avere la possibilità di uscire di casa, significa poter continuare a comunicare con l’esterno con chi si vuole e quando si vuole, qualcosa che ai detenuti normali, sia che scontino la pena in carcere o a casa non è concessa.

Avvertite Cacciari.

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Napolitano piazza Amato alla Consulta

L’ennesima poltrona per il signore della Casta, Giorgio Meletti

 

Napolitano ha nominato Giuliano Amato giudice della Corte costituzionale

Presidente del Consiglio, ministro della Repubblica in tre diversi governi (Goria, Prodi, D’Alema), già senatore e deputato, giurista e docente universitario. Con questo curriculum l’ex socialista (e braccio destro di Craxi) e poi democratico diventa nuovo componente della Consulta. Il centrodestra lo ha candidato due volte al Quirinale.

AMATO, PIÙ POLTRONE DI DIVANI&DIVANI (DI M. TRAVAGLIO)


BOBO CRAXI DISSE: “PAPÀ CAPO DEI LADRI? AMATO ERA IL VICE” 

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Se il centrodestra che è di berlusconi come un sacco di altre cose, pure troppe, ha candidato due volte Giuliano Amato al Quirinale sarà legittimo dubitare della sua imparzialità quando la Consulta sarà chiamata a decidere su questioni che riguardano berlusconi? io penso di sì.

Fino ad oggi avevamo l’ultimo appiglio, l’ultima speranza che che gli errori, chiamiamoli così, fatti dalla politica trovassero poi una giusta correzione, che i giudici della Corte Costituzionale rendessero nulle le decisioni che la politica prende non in funzione degli interessi di tutti come dovrebbe essere ma solo di qualcuno, spesso solo di uno, il noto pregiudicato delinquente.

E’ grazie alla Consulta che sono state rigettate quelle leggi su cui Napolitano metteva frettolosamente la sua firma senz’accorgersi  che non andavano bene, che non erano in linea con quella Carta che dovrebbe essere il faro nella nebbia della politica e non un fastidioso orpello di cui liberarsi.

Oggi questa certezza non l’abbiamo più, e non perché Giuliano Amato non abbia le competenze per occupare quel ruolo ma perché è un uomo della politica, di quella politica che ha trascinato l’Italia nel baratro, e come scrive Marco Travaglio nel fondo di oggi se a capo di quella Corte così importante, fondamentale per la stabilità della democrazia Napolitano avesse messo una persona “terza” sarebbe stato molto meglio, avrebbe rassicurato tutti circa quell’imparzialità indispensabile con la quale è chiamata a decidere la Consulta.

Invece io ho la sensazione che questa nomina sia  il vero scacco matto alla democrazia, un altro duro colpo inferto alla Costituzione dal bravo presidente, quel garante di tutti ma che in realtà, proprio nei fatti, ha dimostrato di voler garantire solo qualcuno.

Se Amato è il migliore che c’è sulla piazza, e contando gli incarichi che ha avuto, la sua pensione milionaria pare proprio di sì, forse è la risposta del perché questo è un paese da buttare, da radere al suolo e spargerci su il sale, come dopo la battaglia di Cartagine.

E pensare che avere una seconda occupazione per tentare almeno di sopravvivere qui è un reato.
E’ lavoro considerato nero; una truffa allo stato.

E chissà perché chi fa le leggi poi può permettere ai soliti noti di  avere sette, otto, dieci, trenta incarichi tutti pagati [per informazioni citofonare Befera, Abete, Montezemolo, Mastrapasqua, Amato and so on], di fare tutto ciò che vuole tranquillamente, alla luce del sole, lontani dal nero della miseria e della povertà in cui sta sprofondando l’Italia.

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Orgasmo da Rotterdam, Marco Travaglio, 13 settembre

Un giorno o l’altro, magari da qualche casuale intercettazione o ritrovamento di elenchi o liste, scopriremo le doti nascoste di Giuliano Amato, l’uomo che non doveva pensionarsi mai, la salamandra che passava indenne tra le fiamme, il dinosauro sopravvissuto alle glaciazioni, il “sederinodoro” (come diceva Montanelli) che riusciva a occupare contemporaneamente mezza dozzina di cadreghe alla volta. I collezionisti di poltrone e pensioni troveranno a pagina 3 l’elenco completo delle sue. Ma qui c’è di più e di peggio: in un Paese dove nessuno riconosce più alcun arbitro imparziale, figura terza, autorità indipendente, non si sentiva proprio il bisogno di trapiantare un vecchio arnese della politica in quello che dovrebbe essere il massimo presidio della legalità costituzionale: la Consulta. Già negli ultimi anni, spesso a torto e qualche volta a ragione, la Corte è finita nella rissa politica per sentenze o decisioni che puzzavano di compromesso col potere. Specie da quando l’arbitro supremo che sta sul Colle ha smesso la giacchetta nera e s’è messo a giocare le sue partite politiche trasformando la Repubblica in sultanato (vedi bocciatura del referendum elettorale e verdetto sul caso Mancino).

Lo vede anche un bambino che di questi tempi la Consulta e gli altri organi di garanzia hanno bisogno di un surplus di indipendenza e di terzietà. Invece che t’inventa Re Giorgio? Prende un suo amico, ex braccio destro di Craxi, deputato e vicesegretario Psi, vicepremier, due volte premier, ministro del Tesoro (due volte), dell’Interno, delle Riforme, degli Esteri, senatore dell’Ulivo e deputato dell’Unione, candidato al Quirinale nel ’99, nel 2006 e nel 2013, “vicino” (si dice così?) al Montepaschi, consulente Deutsche Bank, insomma ex tutto, e lo promuove giudice costituzionale. Possibile che Napolitano non conosca un giurista meno incistato nel potere politico e finanziario di lui? Gli dicono nulla nomi come Pace, Carlassare, Cordero? Già la Corte è piena di politicanti camuffati da giureconsulti e nominati dal Parlamento, cioè dai partiti. Almeno il Quirinale avrebbe potuto, anzi dovuto scegliere una figura indipendente, fuori dai giochi, magari sotto i 50 anni (e, se non è troppo, donna): invece ha voluto il Poltronissimo. Nonostante certi suoi trascorsi, o forse proprio per quelli.

Nel 1983, spedito da Craxi e commissariare il Psi travolto dallo scandalo Zampini, Amato rimproverò al sindaco Novelli di aver portato il testimone d’accusa in Procura anziché “risolvere politicamente la questione” (tipo insabbiarla). Nell’84-85 ispirò i vergognosi decreti Berlusconi – le prime leggi ad personam di una lunga serie – donati da Craxi all’amico Silvio quando tre pretori sequestrarono le antenne Fininvest fuorilegge. Infatti nel ’94 il Cavaliere riconoscente lo issò all’Antitrust, dove Amato non si accorse mai del monumentale trust berlusconiano sul mercato della tv e della pubblicità (in compenso sbaragliò impavido un temibile trust nel ramo fiammiferi e accendini). Non riportiamo qui, per carità di patria, i fax di Bettino da Hammamet sul “professionista a contratto” che in tante campagne elettorali non s’era mai accorto delle tangenti al Psi. Molto più interessante è la sua intervista del 2009 a Report. Bernardo Iovene gli ricorda che il decreto Craxi-Berlusconi del-l’85 era “provvisorio” e doveva durare solo 6 mesi, in attesa della legge di sistema sulle tv; ma lui s’inventò che era solo “transitorio”, quindi non andava neppure rinnovato una volta scaduto. Anziché arrossire e nascondersi sotto il tavolo, Amato s’illumina d’incenso: “Sa, noi giuristi viviamo di queste finezze: la distinzione fra transitorio e provvisorio è quasi da orgasmo per un giurista… Quando discuto attorno a un tavolo tecnico e qualcuno dice ‘questa cosa è vietata’, io faccio aggiungere ‘tendenzialmente’…”. Ora che dovrà esaminare la legittimità delle leggi firmate dall’amico Giorgio, sarà tutto un orgasmo. Provvisorio e tendenziale.

Più digiuno per tetti [o era per tutti? che confusione…]

 

Sottotitolo: i papi comandano da molto prima della politica.
Se avessero voluto impegnarsi davvero nel corso dei millenni per contrastare le guerre avrebbero potuto farlo e con ottimi risultati, ma il “dividi et impera” ha sempre fatto molto comodo anche, soprattutto anzi, alle religioni create apposta per separare e non certo per unire.

In tutti i conflitti si nomina il nome di Dio invano, da hitler a bush passando per i folli dittatori islamici tutti si sono sempre dichiarati autorizzati dalla chiamata del loro Dio quando hanno compiuto stragi per la conquista del potere.

E in vaticano hanno trovato ospitalità i tiranni di tutti i tempi, anche un boss della malavita sepolto in una chiesa come i santi.

Chi oggi pensa di lavarsi la coscienza digiunando, quella di chi alla guerra non ha mai detto un no deciso ma al contrario ha accusato una persona come Gino Strada di essere un fiancheggiatore del terrorismo [vero, Emma?] approfittando di un papa che dice cose diverse perché è arrivato, anzi è stato messo lì apposta per rialzare le quotazioni di una chiesa cattolica in caduta libera e per questo non lancia anatemi ad ogni stormir di fronda ma usa un linguaggio diverso, perfino simpatico, commette la cosa più disgustosamente falsa che si possa fare.

Digiunare insieme a chi come il ministro della difesa pensa che per amare la pace bisogna armare la pace, oppure col rappresentante di una comunità religiosa i cui vertici alti e altissimi hanno sempre accolto con tutti gli onori dittatori sanguinari, ci hanno fatto affari e accettato i loro soldi sporchi di sangue è solo l’ennesima dimostrazione di quell’ipocrisia che purtroppo fa viaggiare il mondo.

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Se degli operai vanno per protesta sui tetti delle fabbriche per difendere il posto di lavoro, se lo fanno dei ricercatori su quelli delle università per dire no ad un disegno di legge scellerato vengono elevati ad eroi e certi politici per farsi un po’ di pubblicità si fanno fotografare mentre li vanno a trovare. 

Se invece dei parlamentari per difendere la Costituzione salgono sul tetto di palazzo Madama sono degli sciagurati che “si esibiscono in inutili e alquanto folcloristiche proteste” secondo Roberto Speranza mentre per la solita Boldrini sono persone che stanno commettendo “un atto grave” i cui costi [assistenza in caso di emergenze] ricadranno sui contribuenti.

E meno male che c’è sempre Laura Boldrini a ricordarci quali sono le vere violazioni delle istituzioni, altrimenti qualcuno potrebbe pensare che quelli che le offendono davvero siano altrove, ad esempio al Quirinale dove il presidente della repubblica riceve un privato cittadino senza dar conto al popolo italiano del perché ha concesso udienza a Fedele Confalonieri: cosa c’entra con le istituzioni un signore estraneo alla politica e alle istituzioni che può avere libero accesso e ottenere ascolto da Napolitano circa questioni che presumibilmente nulla c’entrano con la politica e con le istituzioni ma molto con silvio berlusconi.

Oppure si potrebbe pensare che la vera violazione sia un pregiudicato, delinquente, condannato, uno che per proteggere se stesso, i suoi figli e la sua roba non chiede aiuto allo stato che ha allegramente depredato evadendo le tasse ma alla mafia, che dello stato è nemica giurata, a cui si permette di ricattare, minacciare, tenere sotto scacco il parlamento e in ostaggio tutta l’Italia.

E non si capisce perché lo stato, nella persona del suo più alto funzionario che rappresentando lo stato agisce in nome e per conto di tutti i cittadini  a cui viene impedito così di potersi opporre all’idea che a un delinquente debbano essere garantite l’impunità, la possibilità di continuare a vivere da cittadino libero e di potersi fare beffe delle istituzioni come ha sempre fatto anche quando era presidente del consiglio, uno che ha usato lo stato per i suoi sporchi affari e interessi e nessuno ha mosso un dito per impedirlo, possa scegliere a suo nome e non in quello del popolo italiano di dare ascolto e udienza agli intermediari del fuorilegge che dello stato, delle sue leggi, delle regole e di quella Costituzione su cui molti, compreso lui, vorrebbero mettere le loro mani sporche, se avesse potuto ne avrebbe fatto volentieri a meno.

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SILENZIO, PARLANO GLI AMBIENTI DEL COLLE (Alessandro Robecchi)

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Quirimediaset
 Marco Travaglio, 7 settembre

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La domanda è molto semplice e, nonostante
la comicità della situazione generale, molto
seria. 

Se è vera la notizia — pubblicata da alcuni
quotidiani e non smentita per tutta la giornata
di ieri — del “colloquio riservato” di Fedele Confalonieri
con Giorgio Napolitano per impetrare
la grazia o altri salvacondotti sfusi per l’amico
Silvio, a che titolo il presidente della Repubblica
ha ricevuto il presidente di Mediaset? Il 2 luglio
scorso, quando Beppe Grillo, leader del M5S
che aveva appena raccolto il 25% alle elezioni,
chiese sul suo blog di incontrare il capo dello
Stato, questi rispose piccato di non aver “ricevuto
alcuna richiesta di incontro nei modi necessari per poterla prendere in considerazione”.

Resta ora da capire se, quando e come il
signor Confalonieri, privato cittadino sprovvisto
di qualsivoglia carica o politica — anzi da
vent’anni dichiarato dal Parlamento ineleggibile
ai sensi della legge 361/1954 per assicurare
l’eleggibilità abusiva a B. — abbia formulato una
richiesta di incontro col Presidente, e nei modi
necessari per essere presa in considerazione dal
destinatario. Ma purtroppo non se ne sa nulla,
come non è dato sapere a che titolo Gianni Letta,
altro privato cittadino sprovvisto di qualunque
carica elettiva o politica a parte la parentela
diretta con il Premier Nipote, entri ed esca dal
Quirinale, come riferiscono i giornali vicini a B.
e N., anch’essi mai smentiti.
In qualunque democrazia, anche la più scalcinata,
quando un’alta carica dello Stato riceve
Tizio o Caio, lo comunica ufficialmente ai cittadini,
spiegandone il perché. 

In Italia invece la
clandestinità del potere è diventata normale anche
sul Colle più alto, come insegnano le trame
per assecondare le pretese del signor Mancino,
indagato per falsa testimonianza sulla trattativa
Stato-mafia. E come dimostra l’incredibile nota
diffusa l’altroieri, poco dopo l’incontro aumma
aumma Napolitano-Confalonieri, non direttamente
dal capo dello Stato, ma da non meglio
precisati “ambienti del Quirinale” che nessuno
ha mai capito in che cosa consistano, a chi rispondano,
che valore abbiano, perché parlino.
Un modo come un altro per dire e non dire,
lanciare il sasso e ritrarre la mano, una via di
mezzo fra ufficialità e ufficiosità (l’ufficialosità)
per poi, a seconda delle convenienze, poter dire
“io l’avevo detto” o “io non l’avevo detto”. Nella
nota ufficialosa, si comunicava che il Presidente
“non sta studiando o meditando il da farsi in
casi di crisi” perché “conserva fiducia nelle ripetute
dichiarazioni dell’on. Berlusconi sul sostegno
al governo”. A parte l’involontaria assonanza
con il “nutro fiducia” di Luigi Facta,
ultimo premier democratico d’Italia prima del
fascismo, nei giorni della marcia su Roma, quelle
parole sanno di presa in giro degli italiani,
visto che la visita di Confalonieri le smentisce
platealmente: il Presidente sta studiando e meditando
eccome, infatti prosegue la trattativa
(ancora!) con gli emissari privati del noto ricattatore
pregiudicato perché tenga in piedi il
governo Letta.

É la trattativa Stato-Mediaset.
Non è la prima volta che Confalonieri scende a
Roma e consulta politici di destra, centro e sinistra:
lo fa ogni qualvolta l’amico Silvio, e dunque
la ditta, è in difficoltà. Lo fece nel 2006
quando tentò di mandare l’amico D’Alema al
Quirinale. Lo rifece nel novembre 2011 quando
le azioni Mediaset precipitavano nel gorgo della
tempesta finanziaria e si trattava di pilotare la
ritirata di B. in cambio del suo salvataggio politico
e aziendale col governo Monti e le mancate
elezioni anticipate. E ora rieccolo — scrive il
Corriere — “parlare di politica con i politici” in un
“giro romano delle sette chiese” e “consultare
amici e avversari, prima e dopo la sua salita al
Colle”, convinto che “è necessario muoversi
senza fare casino”. Per parlare di cosa? Dei nuovi
palinsesti di Canale 5? Delle azioni Mediaset?
Delle polizze Mediolanum? Della campagna acquisti
del Milan?

No, secondo il Corriere ha parlato di “garantire l’agibilità
personale per Berlusconi con un gesto di
clemenza”. Sarà un caso, ma appena il presidente di
Mediaset è sceso dal Colle, i proclami guerreschi del Pdl
si sono interrotti. È l’apoteosi del conflitto d’interessi
che, dopo avere privatizzato governi, parlamenti, codici,
leggi e Costituzione, s’impossessa dell’ultimo arbitro,
cancellandone definitivamente la terzietà e l’imparzialità.
Dopo Confalonieri e Letta, si attende con
ansia il pellegrinaggio al Colle di Doris, Galliani, Marina
e Pier Silvio, Allegri, Balotelli, Kaká e Gabibbo (ma
perché non Dell’Utri?). Poi sul campanile del Quirinale,
al posto del Tricolore, garrirà giuliva la bandiera del
Biscione.

Il governo dei larghi sottintesi

Mucchetti [pd], che insieme al suo collega Zanda ha proposto una legge per dilatare i tempi di sopravvivenza di berlusconi in parlamento a discapito di quella del paese, non voterà la mozione di sfiducia all’inutile ministro dell’interno alfano, quello che non sapeva, non c’era e nessuno gli dice niente se un mezzo esercito di polizia va a rapire e sequestrare persone colpevoli di niente perché la vicenda di Alma e Alua si deve inserire semplicemente in un contesto di realpolitik; cose che succedono “ma che speriamo non accadano più” che non devono e non possono determinare la caduta del governissimo del largo inciucio.

Ecco: io auguro a Mucchetti e a tutti quelli come lui, quindi quasi tutti,  che qualcuno li faccia uscire dal parlamento, quando questo incubo sarà finito, con le stesse dinamiche da realpolitik utilizzate per due persone innocenti, una delle quali è una bambina.

Il fatto che alfano non si dimetta, calderoli non si dimetta, Napolitano che non fiata sulla vicenda kazaka, la difesa disperata e ridicola di letta che “non vede nubi” mentre invece dovrebbe sentire il peso di una meteorite che gli è cascata addosso è un’offesa per tutta l’Italia onesta e perbene. 

 In un paese normale TUTTO il governo avrebbe fatto le valigie, e invece sono ancora tutti lì a dire di non aver capito, di non sapere e che insomma, madre e figlia se la caveranno.  La politica dello ‘sticazzismo sfrenato a vantaggio e beneficio delle proprie poltrone rese intoccabili dal presidente della repubblica anche a sprezzo del ridicolo.

Per tacere di tutti quelli che si staranno fregando le mani per l’assoluzione del generale Mori che di fatto vanifica ogni speranza di fare chiarezza sulla trattativa tutt’altro che presunta fra lo stato e la mafia.

Nota a margine: quei quasi 92 milioni, tutti per medicine, fino all’ultimo centesimo.

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Alfano e Calderoli, si salvi chi può? [Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano]

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Renzi: ‘Perdiamo voti per le poltrone’

Democratici divisi sul ministro dell’Interno. I renziani chiedono le dimissioni. Anche Finocchiaro per
il passo indietro. La segreteria si schiera: “Esecutivo deve andare avanti”. E Letta dice: “Non vedo nubi”.

Camera boccia stop finanziamento partiti
Flash mob M5S: “Si tengono il malloppo”

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Al di sotto di ogni sospetto
Marco Travaglio, 18 luglio

Non c’è analisi politica o sentenza giudiziaria che descriva la nostra classe dirigente meglio di un detto napoletano: “Fa il fesso per non andare in guerra”. Si riferisce all’usanza di fingersi scemi alla visita di leva per essere riformati. Poi, naturalmente, capitava che qualcuno venisse riformato perché era scemo davvero. Ecco, noi non sappiamo quanti politici o imprenditori o manager o funzionari o alti ufficiali siano scemi e quanti fingano di esserlo.

Ma prendiamo atto che molti, moltissimi, fanno di tutto per sembrarlo. 

E, va detto a loro onore, ci riescono benissimo. L’altra sera Angelino Alfano, nientemeno che segretario del Pdl, vicepremier e ministro dell’Interno, doveva essere davvero orgoglioso della sua performance davanti al Senato e poi alla Camera, quando leggeva solenne e ieratico il rapporto Pansa che gli faceva fare la figura del fesso, tra un “aperte virgolette”, un “chiuse le virgolette” e un “aperte e chiuse le virgolette all’interno del virgolettato”. 

Manco si rendeva conto di essere la parodia di Alberto Sordi che, nel film Il vedovo , ripassa con i complici il piano per far precipitare la moglie nella tromba dell’ascensore, nella quale alla fine sprofonderà lui (“Volta foglio! Proseguiamo: paragrafo 21, volta pagina! Alt!”). Ora c’è pure il Procaccini espiatorio che racconta: fu il ministro a chiedermi di incontrare l’ambasciatore kazako e, dopo, gli riferii le sue richieste. Ma il premier Nipote non sente ragioni: “Alfano è totalmente estraneo”, dunque resta al suon posto. In fondo è per questo che andiamo a votare: perché venga fuori una maggioranza che esprima un governo che nomini dei ministri che non sappiano una mazza di quel che avviene nel loro ministero. 

Totalmente estranei. Sono lì apposta: per non sapere nulla. Dunque Jolie è assolto — si dice in linguaggio penalistico — per totale incapacità di intendere e volere. Di solito, il passo successivo è il ricovero in un’apposita comunità di recupero. Ma pure il governo può andar bene. Lo stesso dicasi per i politici Prima e Seconda Repubblica, destra e sinistra, che fino all’altroieri han fatto affari con Ligresti: chi l’avrebbe mai detto che era un poco di buono. In fondo don Salvatore già vent’anni fa entrava e usciva dalle patrie galere. In fondo le sue aziende colavano a picco da anni mentre i compensi della famiglia lievitavano (nel 2008-2010, 9 milioni a Jonella più laurea honoris causa all’Università di Torino in Economia aziendale, e in cosa se no?; 10 a Gioacchino Paolo; 3,4 a Giulia; 8 al manager Talarico; 15 al manager Marchionni). Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe tornato al gabbio. Pareva una così brava persona. E Tronchetti Provera? Sono sei anni che tutti sanno dello spionaggio ordito dalla Security Telecom del fedelissimo Tavaroli nell’ufficio accanto al suo, e tutti a domandarsi: chissà mai se Tronchetti lo sapeva. Qualcuno si sbilanciò a ribattezzarlo Tronchetti Dov’Era.

Poi ieri arriva una sentenza, di primo grado per carità: forse sapeva. In un paese decente si leverebbe un coro di giubilo (anche da lui): meno male, vuol dire che almeno era un buon capo. Invece no. La comunità finanziaria è sgomenta: ma come, un top manager che sa qualcosa di quanto accade nella sua azienda? Dove andremo a finire. Quel che è certo invece da ieri — in attesa delle motivazioni — è che il generale Mori era sì un grande detective antimafia. Però prima catturava un boss e non gli perquisiva il covo; poi l’altro boss non lo catturava proprio. Ma sempre in buona fede (il fatto non costituisce reato: cioè è vero, ma senza dolo). Mica voleva favorire la mafia: semmai lo Stato, ammesso e che ci sia qualche differenza. Anche lui agiva a sua insaputa, mirabile emblema di una classe dirigente al di sotto di ogni sospetto. Alla fine però chi fa il fesso è furbo. Il vero fesso — scriveva Giuseppe Prezzolini — “è stupido. 
Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo”.

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Il ministro ombra –  Massimo Gramellini, La Stampa, 18 luglio

È possibile che travestire una palestra da prima casa sia colpa infinitamente più grave che consegnare moglie e figlia di un dissidente al satrapo di un Paese fornitore di petrolio. Quindi non le dimissioni della perfida Idem si pretendono dal timido Alfano, ma semmai un’immissione sulla poltrona di ministro dell’Interno, che per sua stessa ammissione è attualmente disabitata. Alfano ha un vero talento nel non abitare le poltrone che occupa. Sarà per questo che gliene offrono in continuazione. Se fosse stato effettivamente il segretario del Pdl, quando il proprietario del partito gli fece ringoiare la promessa delle primarie avrebbe dovuto dimettersi. Ma lui non è il segretario del Pdl, lui non è il ministro dell’Interno, lui probabilmente non è neanche Alfano, ma un cortese indossatore di cariche per conto terzi. Tra le tante squisitezze che ha pronunciato l’altro giorno al Senato vi è l’affermazione perentoria che al cognato della signora kazaka (o kazakistana, per citare quell’acrobata del vocabolario di La Russa) i poliziotti non abbiano torto un capello. E pazienza se nell’intervista al nostro Molinari il cognato racconta di essere stato preso a pugni e ceffoni, come conferma il verbale del pronto soccorso pubblicato dall’«Espresso». Alfano era e rimane all’oscuro di tutto: pugni, ceffoni, cognati, forse anche che esista una polizia e che sia alle sue dipendenze. 
Rimane la speranza che certi giudizi come questo lo offendano a morte e che in un soprassalto di dignità il ministro ombra di se stesso si dimetta, preferendo passare per responsabile che per inutile. Ma la nostra è, appunto, solo una speranza.

La nebbia all’irto Colle

Pdl, norma ‘anti-contestatori’ arriva alla
Camera. Pene fino a tre anni di carcere 

 Tutto perfettamente  in linea con l’andazzo generale. Gli eversori ormai sono quelli che difendono lo stato.

***

Ci impongono i governi per evitare il default, ma noi siamo già in default per faccende molto più serie di un’economia che va a rotoli.

Lo siamo perché stiamo permettendo a chi è stato la causa della crisi di avere ancora voce in capitolo nella politica.

Lo siamo perché la democrazia in questo paese non esiste più da un pezzo; il colpo di stato non è la discesa dei carri armati sulle piazze e la presa del potere per mezzo della violenza ma è tutto quello che succede prima, la sua preparazione, quelle azioni spacciate per legittime, che rientrano perfettamente nella gestione della democrazia di uno stato di diritto mentre non lo sono affatto.

E’ colpo di stato sequestrare due persone a casa loro per consegnarle al dittatore amico dell’impostore abusivo che ancora detta legge, la sua, quella del ricatto, delle minacce e il parlamento s’inginocchia, sospende i lavori per solidarizzare con un fuorilegge: il governante occulto, quello che strepita che lo vogliono estromettere dal parlamento per legge ma in quel parlamento non ci va 99 volte su 100.

E quale che sia la sua condanna lui avrà sempre la possibilità, offerta in grande stile da chi avrebbe dovuto proteggere non lui dallo stato ma lo stato da lui, ovvero il padre di tutti gli italiani, il garante della Costituzione, di condizionare la politica.

E questo può succedere solo in un paese dove si chiede, si pretende anzi, l’assunzione di responsabilità di tutti, del loro agire, che siano Magistrati, medici, avvocati, insegnanti, il barista sotto casa meno però della politica che non paga mai per i suoi errori, molti dei quali fatti tutt’altro che per sbaglio.

Può sembrare banale, anzi, demagogico come dicono quelli bravi ma spesso la verità si spiega meglio con frasi semplici che coi tanti artifici verbali che invece si usano per nasconderla.
I cittadini italiani, noi, dopo averne dovuto subire un altro, imposto, non scelto – quello dei  guastatori dello stato sociale mascherati da tecnici sobri –  stiamo pagando un governo [ di necessità, s’intende], tutto il suo contorno, quello dei saggi prima e dopo [con buona pace di chi si lamenta che per pensare non guadagna un cazzo],  consulenti, portaborse e borsette griffatissime, la macchina costosissima del Quirinale al cui interno risiede un signore che ha dimostrato ampiamente che i fatti di tutti gli italiani non gli interessano più quanto invece ha a cuore il destino di uno in particolare –  per rispondere agli ordini di quell’uno in particolare.

Napolitano oltre ad essere il presidente della repubblica è anche il capo supremo della Magistratura, e di fronte all’atto eversivo di ieri ma anche in occasione delle “manifestazioni” davanti ai tribunali di Milano e Brescia a cui hanno partecipato ministri di questo governo, il vicepresidente del consiglio, agli insulti quotidiani rivolti alla Magistratura non ha detto e non dice  una parola a difesa dei giudici.

Non gli è sfuggito neanche un monito: la sua preoccupazione maggiore è che questo bel governo dell’inciucio a cielo aperto vada avanti; a fare che, non è dato sapere.

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Il caso Ablyazov: nuova vergogna per il governo Letta

Parlamento vergogna. Nell’anonimato

[Il Fatto Quotidiano]

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Rutto nazionale
Marco Travaglio, 11 luglio

Nel Paese del Partito Unico Pdmenoellepiùelle, dove basta un ruttino o un peto del padrone del governo, del Parlamento e del Quirinale per scatenare l’allarme generale, accade pure questo: la serrata delle Camere in segno di lutto nazionale perché la Cassazione, anziché prescriverlo per l’ottava volta, pretende addirittura di giudicarlo in tempo utile. Una minaccia bella e buona del potere legislativo a quello giudiziario in vista del 30 luglio, spacciato come una riedizione del 25 luglio 1943, anche se tutti sanno che B., diversamente dal Duce, non finirebbe agli arresti né in ambulanza neppure se condannato e interdetto, anzi continuerebbe a comandare fuori dal Parlamento, dove peraltro già ora non mette piede. Insomma non cambierebbe nulla. Ma il fatto che sia arrivato terzo alle elezioni (cioè ultimo, se non ci fosse il partito di Monti che svolge in Italia le funzioni della Grecia in Europa) aggiunge un tocco di surrealismo al calarsi le brache del cosiddetto Pd che, sebbene fosse arrivato primo, conta ormai quanto un pelo superfluo. Siccome poi si chiama Democratico, s’è accodato alla protesta eversiva del Pdl dopo un’approfondita riunione fra tre persone di ben 10 minuti (comunque meglio di quanto fece per dire no a Rodotà, riesumare Napolitano e governare con B.). E, per entrare definitivamente nella leggenda, ha affidato la comunicazione dello storico evento a tal Roberto Speranza, inopinatamente capogruppo alla Camera, lo stesso che da giorni ci spiega come superare il complesso di B. e intanto propone le stesse “riforme” della giustizia di B. Sentite che concentrato di neuroni: “Non c’è stata nessuna moratoria. Abbiamo solo votato per consentire al Pdl di tenere l’assemblea del gruppo nel pomeriggio. Abbiamo invece respinto una richiesta ingiustificata di sospendere tutti i lavori per tre giorni”. Cioè, siccome il Pdl voleva prima una novena e poi un triduo penitenziale, chiudere il Parlamento per 24 ore è una grande vittoria del Pd. Intanto l’ologramma di Epifani strapazza il Cainano da par suo: “Quanto accaduto rende ancora una volta esplicito il problema di fondo di questi mesi: la vicenda giudiziaria di Berlusconi e il rapporto d’azione di governo e di Parlamento. Questo nodo deve essere sciolto solo tenendo distinte le due sfere, perché se no, a furia di tirare, la corda si può spezzare con una scelta di irresponsabilità verso la condizione del Paese e la sua crisi drammatica”. Il ruggito del coniglio: ne ho prese tante, ma quante gliene ho dette! Nessuno, nel Pd come in tv e sui giornali, dedica una parola al merito della questione: B. ha un processo in Cassazione per frode fiscale perché è un monumentale evasore fiscale. Interessa a qualcuno sapere se, come dice lui, è un perseguitato politico o, come emerge dagli atti, è un delinquente matricolato? No, a nessuno, perché tutti sanno che è buona la seconda. Lo sa B. e ci mancherebbe. Lo sanno i suoi eletti, che lo conoscono bene e gli somigliano. Lo sanno i suoi elettori, che lo votano apposta e vorrebbero somigliargli. Lo sa il Pd, che gli ha fatto scegliere il presidente della Repubblica e quello del Consiglio e ha deciso di governare con lui e di riformare la Costituzione con lui, quando era arcinoto che era imputato nei processi Mediaset, Ruby, Unipol, De Gregorio e Tarantini, destinati a ripartire dopo l’incredibile pausa elettorale e post-elettorale imposta dal Quirinale. E lo sapeva naturalmente il regista di tutto: Napolitano, che il Foglio descrive sconfitto nel suo “lavoro di costruzione di un equilibrio possibile” (sarebbe un attentato alla Costituzione, ma il Colle non si degna neppure di smentirlo). Tutti insieme, in barba agli elettori che
l’avevano punito con 6,5 milioni di voti in meno, hanno riportato al governo un delinquente e ora tremano all’idea che la Cassazione lo metta nero su bianco. Se cade lui, cadono tutti. Dunque la parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: “Nessuno tocchi Cainano”.

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IL PRESIDENTE E IL VERME NELLA MELA [Antonio Padellaro, 11 luglio]

La domanda è: possibile che Giorgio Napolitano non sapesse che il governo delle larghe intese, da lui fortemente voluto e imposto, contenesse in sé, come un verme nella mela, i problemi giudiziari di Silvio Berlusconi? Escludiamo che abbia potuto minimamente fidarsi della promessa del Caimano di tenere il governo Letta al riparo dalle conseguenze dei suoi molteplici reati. Chi può credere infatti che un personaggio navigato come il capo dello Stato, magistrale artefice della propria rielezione al Quirinale, abbia potuto dare retta all’uomo più bugiardo del pianeta? Resta la seconda risposta: che cioè Napolitano, purché si desse vita a quel mostro politico che è la maggioranza Pd-Pdl, non ha badato a spese, non prevedendo forse un prezzo così salato. Dopo aver tradito il mandato elettorale con gli elettori (“Mai con Berlusconi”), ora il Pd è costretto a vergognarsi di se stesso. Aver votato quell’indegna sospensione dei lavori parlamentari non solo equivale a una sottomissione ai voleri del Pdl, ma acquista un valore simbolico incancellabile nel momento in cui quella pausa istituzionale diventa omaggio penitenziale al miliardario plurinquisito, oltreché pressione inaudita sulla Corte di Cassazione. Il fatto è che il gruppo dirigente democratico, a furia di compromessi con la propria storia, ha perso completamente identità e orientamento, tanto che oggi, per dire, tra uno Speranza e un Alfano non si nota nessuna differenza. Ma forse era proprio questo che si voleva. Il verme nella mela sta producendo un altro inevitabile effetto. I guai penali dell’affettuoso protettore di Ruby Rubacuori, da ossessione privata dell’imputato e problema esclusivo del Pdl, grazie alle improvvide intese allargate si è trasformato in un gigantesco affare di governo e di Stato. Addirittura una bomba termonucleare sul futuro dell’Italia, come vanno preconizzando i terrorizzati giornaloni. Poiché, se la Cassazione dovesse confermare la condanna di Berlusconi con le annesse pene accessorie, costui risulterebbe interdetto dai pubblici uffici. Compresi quelli che non esercita come senatore della Repubblica, visto che è risultato assente dall’aula nel 99,7 per cento delle sedute. Un’onta che, secondo i profeti di sventura, comporterebbe con la crisi di governo una serie di catastrofi a catena, comprese la peste bubbonica e le cavallette. Un trucco da imbroglioni che ha l’unico scopo di far ricadere sui giudici della sezione feriale della Cassazione una responsabilità enorme. Insomma, visto che il governo non decide un fico secco e che l’economia va di male in peggio, retrocessa dalle agenzie di rating, che fosse questo il vero scopo delle larghe intese, salvare il Cavaliere?

Un conto è la politica, un altro il pd e il pdl

Sottotitolo: nell’eventualità della conferma della condanna di berlusconi bisognerebbe iniziare a preparare spiritualmente non tanto i fedelissimi di b quanto quelli che avrebbero dovuto fare quell’opposizione che non c’è mai stata. 

Per battere politicamente qualcuno come si sono sempre augurati tutti quelli che, anche a centrosinistra hanno parlato di accanimento giudiziario nei confronti di berlusconi bisognerebbe fare politica, non gli interessi di quel qualcuno, per dire.
Ci resteranno malissimo, tutti questi anni a tirarlo fuori dai guai e poi arriva un giudice che pretende di applicare la legge anche a silvio berlusconi proprio come è scritto nella Costituzione.

Non è bello, non si fa, ecco.

In ogni caso, stando alla scelta di chi dovrà formare la corte che giudicherà se berlusconi è colpevole o innocente credo che possiamo stare tutti tranquilli a goderci l’estate, anche silvio potrà rimandare il suo esilio a data da destinarsi.
Che si rilassino, i suoi aficionados: Sansone non muore, e figuriamoci i filistei.

Questo paese è irrecuperabile anche a causa di chi vede il pericolo in una Magistratura che essendo composta da donne e uomini può sbagliare, certo, ma non lo fa scientemente come chi delinque di proposito per avvantaggiare la propria condizione economica e sociale.
Dopo diciotto anni bisogna ancora leggere chi prende le difese di un individuo che ha fatto strame perfino delle regole più semplici, quelle che s’insegnano ai bambini.
I Magistrati saranno anche una casta privilegiata ma mi pare che spesso e volentieri non esitano a punire chi tra i loro pari si macchia di un reato, i politici no, questo non l’hanno mai fatto, da parte loro nessuna condanna, nemmeno morale, nei confronti di chi pensa di essere più uguale degli altri anche di fronte alla legge. 
Lo stesso Letta ieri sera si è rifiutato di commentare la sentenza che verrà e questo dovrebbe spiegare molte cose.
E nessuno di questi che si chieda ad esempio perché i coinvolti nei reati e processi insieme a berlusconi siano stati sempre condannati mentre lui no, l’ha sempre scampata grazie ai provvidenziali escamotage da lui stesso voluti e ottenuti grazie ad un parlamento complice e connivente.
Non va lontano un paese dove una sostanziosa parte di gente, anche fra le istituzioni, pensa che sia giusto applicare la legge alla criminalità di strada mentre di fronte alla delinquenza e alla criminalità dei palazzi si possa chiudere un occhio, sorvolare, magari in virtù della pacificazione nazionale.

LA CORTE SARA’ SCELTA DAL PRESIDENTE SANTACROCE. FU TESTIMONE NEL CASO PREVITI

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Il Corriere della Sera calcola che Berlusconi, grazie a una parziale prescrizione, potrebbe scampare la temuta interdizione per il processo Mediaset (leggi). E la Corte di Cassazione fissa subito un’udienza per fine mese (leggi). La decisione provoca una reazione furiosa del Pdl, che grida al “colpo di Stato” e reclama la piazza e invoca “azioni forti” (leggi)

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Il piduista cicchitto dopo essersi permesso di correggere niente meno che il papa chiede che venga “affermata una ragionevole, non oltranzista, ma seria e reale autonomia dello Stato dalla Chiesa”. Chissà perché lui o qualcun altro non l’hanno mai chiesta e non la chiedono quando la chiesa s’intromette in faccende che non la riguardano, l’elenco è infinito: sesso, aborto, diritti civili, argomenti che non dovrebbero interessare chi ha scelto di occuparsi di anime e spiritualità. Adesso che un papa prova a cambiare registro, ipocritamente o meno però lo sta facendo, ci prova a sovvertire l’importanza delle cose, a non lanciare anatemi un giorno sì e l’altro pure, a dire cose di buon senso usando toni non sgradevoli apprezzate anche da chi non è cattolico, secondo cicchitto sarebbe opportuno fare il giochino dell’uva; ognuno a casa sua. Ecco perché cicchitto è uno di quelli che meglio rappresenta questa politica miserabile e cialtrona.

Forse  Napolitano dovrebbe spiegare a quelli del pdl che gridano al colpo di stato promettendo rivolte di ogni genere che la sentenza di un tribunale non è un golpe ma lo sarebbe se s’impedisse a quel tribunale di poterla pronunciare.

Letta ieri sera a Ballarò non ha voluto commentare la prossima sentenza di b e l’ha buttata, come si usa dire in caciara cianciando dei problemi della  giustizia civile per non parlare di quella penale semidistrutta dalle leggi ad personam confezionate intorno a berlusconi.
“Non è compito di un presidente del consiglio commentare sentenze e date delle sentenze”.
Invitare a palazzo il condannato, già abusivo della politica secondo il Letta pensiero, e anche quello di Napolitano che lo ha ricevuto al Quirinale come fosse uno statista vero, sì.

Dice brunetta che arrivare ad una sentenza definitiva in nove mesi è qualcosa di pauroso, io penso invece che chi sa di essere innocente se la augura una sentenza in nove mesi, altroché averne paura.
Perché chi sa di essere innocente non vede l’ora di poterlo dimostrare. 
Magari la giustizia fosse sempre così veloce ed efficiente in Italia.

Quello che dovrebbe far paura anche a brunetta e a tutta la teppa di destra che insorge contro la Magistratura non è la conclusione di un processo; dovrebbe essere un ministro degli esteri che rifiuta di dare asilo politico ad un uomo in pericolo rifiutandosi di spiegare il perché della sua scelta. [Bonino, perché non risponde?]
Dovrebbero essere 50 poliziotti che sequestrano una donna e una bambina su ordine di non si sa bene chi ma si sa benissimo per fare un favore a chi e dopo non succede niente, il presidente della repubblica non pensa di dover intervenire in materia di violazione dei diritti circa due persone, una è una bambina di sei anni, che sono state rimandate illegalmente e senza un ragionevole motivo nel paese dove rischiano la tortura e la vita: questa sì che è roba da gestapo, da “banditi di stato” come titola oggi il giornale diretto dal diffamatore seriale sallusti in riferimento alla Magistratura.
Queste non sono cose degne di una democrazia né di un paese civile. [Caso Ablyazonv, liberare Alma e Alua]
L’applicazione della legge e dunque della Costituzione non dovrebbe spaventare nessuno, soprattutto chi sa di essere innocente. 

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La storia di berlusconi descrive perfettamente perché gli italiani non hanno più fiducia nella politica.

Ancora ieri sera Goffredo Bettini [pd] a Linea notte si crucciava perché la sinistra non si è impegnata abbastanza per battere berlusconi sul piano politico. 
E ancora da Floris a Ballarò si parlava del berlusconi statista, quello che in vent’anni ha segnato la vita politica italiana così bene evidentemente che sarebbe molto complicato farne a meno.
Il pensiero di Bettini, che poi è largamente condiviso anche a centrosinistra è alquanto buffo se si pensa che la sinistra prima ha contribuito in larga parte a rendere fattibile, possibile la “discesa in campo” e il centrosinistra dopo a fare in modo che la permanenza nell’agone politico dell’impostore abusivo fosse il più serena possibile.

Perché bisogna capirci una volta e per tutte; berlusconi non l’hanno voluto gli italiani, berlusconi è il prodotto delle solite manovre occulte di palazzo, è il risultato di chi ha pensato che dopo gli scandali di tangentopoli la persona più adatta a ricomporre una classe dirigente semidistrutta potesse essere un imprenditore i cui trascorsi oscuri, certe amicizie e frequentazioni erano già note, basterebbe leggere qualche libro del periodo per saperlo e l’articolo di Gianni Barbacetto sul Fatto di oggi per sapere come sono andate le cose nella loro cronologia.

berlusconi non è l’uomo arrivato dalla fine del mondo come papa Francesco per risolvere i problemi della chiesa, berlusconi è arrivato dal suo mondo, quello dell’imprenditoria per aggiustare i suoi, e intuire che un imprenditore è per natura portato a fare i suoi interessi è una cosa così semplice che dovevano e potevano capire tutti, perfino d’alema.

Una classe politica/dirigente che vuol farsi rispettare propone il meglio per farsi rappresentare, non si va a cercare i suoi referenti in ambiti estranei alla politica, proprio quelli che la politica dovrebbe controllare, e quand’anche facesse un errore così grave come quello di permettere ad un tycoon disonesto l’accesso alla politica cercherebbe di porvi rimedio, non lascerebbe che a farlo sia un altro potere dello stato dopo avergli permesso l’inenarrabile sul quale poi far ricadere la “colpa” di aver applicato la legge anche con  silvio berlusconi così come Costituzione comanda.

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Vent’anni di inciuci per salvare B. 
 Saraceni: “Vent’anni fa un ordine salvò B.”

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Possano avverarsi i tuoi desideri – Massimo Rocca, il Contropelo di Radio Capital

E alla fine ce ne libereremo per via giudiziaria. Come che decida poi in sentenza, la Cassazione ha fatto capire a Berlusconi che non c’è più trippa per gatti. I giudici non vivono in un altro paese. I sei milioni di voti persi alle politiche, la catastrofe delle amministrative, il conflitto con L’Europa, non sono elementi del processo, ma ne sono la cornice. Oggi il circuito tra il popolo della destra e il suo corpo mistico è in corto, come andò in corto quello della prima repubblica con Craxi o Andreotti . I supremi accelerando il calendario, hanno offerto a Berlusconi l’occasione per un ultimo spettacolo. Coincideranno con lo svanire delle promesse sulle tasse, il pretesto buono, che in autunno non ci sarebbe più stato, per rovesciare il tavolo. Il vecchio titano non avrebbe esitato. Se, stavolta, rinuncerà sarà un rimettersi alla clemenza della corte. Se pigerà l’acceleratore sarà chiaro a tutti che, come sempre, iddu pensa solo a iddu.

La sentenza, in fondo, come ha sempre sperato sarà lui stesso a scriversela.

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La Corte di Cassazione: “Abbiamo obbligo di fissare udienza prima della prescrizione del reato” (leggi)

PRESCRIZIONE ADDIO. “SEGUITA LA LEGGE, COME PER TUTTI” (di M. Lillo e A. Mascali)

Processo Mediaset, udienza il 30 luglio
Pdl contro la Cassazione: ‘Colpo di Stato’

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La congiura degli eguali
Marco Travaglio, 10 luglio

In un paese civile non ci sarebbe nemmeno discussione: un politico che per giunta sostiene il governo dopo averlo presieduto tre volte, imputato per frode fiscale, rinuncerebbe alla prescrizione per essere assolto nel merito, sempreché — si capisce — fosse innocente. Perché, se dovesse mai incassare una prescrizione dopo due condanne, dovrebbe subito dimettersi da ogni incarico pubblico in base all’articolo 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. E, se non gli fossero chiari i concetti di “disciplina e onore”, provvederebbero i compagni di partito e gli alleati di maggioranza, scaricandolo su due piedi per evitare l’imbarazzo di sedergli accanto. E il capo dello Stato rifiuterebbe di riceverlo al Quirinale, per motivi igienici. Ma, siccome siamo in Italia, dov’è reato dire “paese di merda” ma è lecito far di tutto perché i cittadini onesti lo pensino, ecco il coro delle prefiche, dei servi e dei venduti contro la Cassazione che — horribile dictu — tenta di evitare che il processo Mediaset venga ancora falcidiato dall’ennesima prescrizione. I fatti sono chiari: quando i reati — falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita — furono scoperti (era il 2004), la frode ammontava a 368 milioni di dollari di costi gonfiati tramite società offshore per non pagare le tasse (fatti commessi nel 1995-’98, con effetti fiscali fino al 2003). Nel 2005 B. scoprì di essere indagato e impose subito l’ex-Cirielli, che tagliava la prescrizione da 10 anni a 7 e mezzo, e una raffica di condoni e scudi fiscali. Così ogni anno vide evaporare un pezzo del suo monumentale delitto e nel maggio scorso, quando arrivò la condanna d’appello, restavano 4,9 milioni di euro evasi nel 2002 e 2,4 nel 2003. Ma a metà settembre si estingueranno anche quelli del 2002. Dunque, se la Cassazione non sentenzia prima, la pena di 4 anni scenderà, probabilmente sotto i 3, con due conseguenze: il processo tornerà in Corte d’appello per rideterminarla; e sparirà la pena accessoria dell’interdizione di 5 anni dai pubblici uffici, prevista solo per le pene sopra i 3 anni. Insomma B., che già non rischia il carcere perché ha più di 70 anni (grazie al regalo di compleanno contenuto nell’ex Cirielli) e perché 3 dei 4 anni sono coperti da indulto (gentile omaggio del centrosinistra), potrebbe restare tranquillamente in Parlamento. Almeno per un altro anno, fino a quando la Corte d’appello rideterminerà la sua pena. O per sempre, se poi la pena scendesse sotto i 3 anni. Peccato però che la Cassazione abbia l’obbligo di esaminare subito i processi a rischio di prescrizione o di decorrenza dei termini di custodia cautelare. Per evitare che i delitti restino impuniti (con grave danno per le vittime: in questo caso l’Erario) e che soggetti pericolosi escano dal carcere e spariscano dalla circolazione prima della condanna. La Sezione Feriale della Cassazione (che resta aperta durante le ferie estive, da luglio a settembre) è lì apposta: per trattare i processi che, diversamente da quelli normali rinviabili a dopo le vacanze, sono urgenti: quelli con imputati detenuti in scadenza e quelli — vedi decreto del primo presidente Ernesto Lupo del 24-6-2011 — “per i quali la prescrizione maturi durante la sospensione o nei successivi 45 giorni”. Proprio il caso del processo Mediaset, che a metà settembre sarebbe dimezzato dalla prescrizione. Perciò è stato assegnato alla Sezione Feriale per il 30 luglio. E gli alti lai del Pdl & company sulla “fretta sospetta” (figuriamoci: per un processo nato 9 anni fa!) della Cassazione per eliminare B. dalla vita politica sono pura propaganda, e di bassissima lega: come se la prescrizione fosse un diritto dell’imputato, o addirittura il fine ultimo del processo penale. Anche stavolta, la Cassazione ha trattato B. come qualunque imputato nelle sue condizioni, perché la legge è uguale per tutti. Ed è proprio questo lo scandalo.

Sfrizzola il vilipendulo

 1000 euro di multa a un pensionato di 71 anni perché ha detto davanti a dei pubblici ufficiali che l’Italia è un paese di merda.

Giustissimo: vilipendio è  infatti considerare ancora l’Italia una repubblica democratica la cui sovranità è affidata al popolo come da Costituzione.

Dovrebbe essere questo, il reato.

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Nel giorno che la Bonino nega asilo politico ad una persona minacciata dai potenti della terra per non infastidire la sua adorata America, Laura Boldrini che non va a visitare lo sfruttatore Marchionne [Monti c’era andato] fa la figura della gigantessa.

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Della Valle: “Elkann chiama il Colle? Sembra una scena da Istituto Luce”

L’imprenditore commenta la telefonata con cui il presidente di Fiat annunciava a Napolitano di essere pronto a scalare il Corriere della Sera con i soldi del Lingotto: “Mi è sembrato di tornare bambino, quando i comunicati dell’Istituto Luce mostravano il duce che mieteva il grano”. [Il Fatto Quotidiano]

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Elkann vuole la maggioranza di RCS per poter esercitare da imprenditore il controllo sul Corriere della Sera, il quotidiano dell’alta borghesia e degli imprenditori “coi soldi del Lingotto”, ovvero i nostri, Napolitano lo sta pure a sentire e Della Valle, parte in causa, giustamente s’incazza.

Penso che Della Valle sia un imprenditore perbene che ancora conosce il valore e l’importanza dell’etica applicata anche alla professione, il suo marchio in giro per il mondo è uno di quelli che ancora è motivo di orgoglio, la stessa cosa non si può dire della Fiat, però continuo ad essere convinta che in un paese normale i quotidiani non devono essere sottoposti al controllo degli imprenditori e che in questo paese l’unica legge necessaria, ed è per questo che nessuno la vuole fare, è quella per regolare i conflitti di interesse.

Non sarà mai libero un giornale che deve rendere conto ad un editore [o a molti] che ha i suoi interessi da tutelare.

E figuriamoci se il presidente della repubblica può permettersi di intercedere a favore di qualcuno in particolare.
E’ stato perfino troppo gentile della Valle a ricordare a Napolitano che i doveri di un presidente della repubblica sarebbero altri, specialmente in un periodo disastroso come questo.
Napolitano dovrebbe stare meno al telefono e, in generale, occuparsi meno di affari che non lo riguardano.

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Ritenta, sarai più fortunato
Marco Travaglio, 5 luglio

Spiace per i tromboni che da mesi si prodigano contro il processo sulla trattativa Stato-mafia, ma quella di ieri è stata un’altra bella giornata per la Giustizia italiana. La Corte d’assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto ha fatto a pezzi le eccezioni dei difensori (ufficiali, ma soprattutto ufficiosi) degli imputati di Stato per trasferire la competenza a Roma. È il destino di un processo che, fuori dalle aule di giustizia, cioè nei palazzi della politica, nelle tv e sui giornaloni, vede gli imputati sempre innocenti, immacolati e candidi come gigli di campo. Ma, appena approda davanti a un giudice terzo, vince sempre la Procura. Era accaduto all’udienza preliminare, col rinvio a giudizio di tutti gli imputati. È riaccaduto ieri nel-l’aula bunker dell’Ucciardone. E dire che l’altroieri l’Università di Palermo, con uno zelo e un tempismo degni di miglior causa, aveva radunato i migliori difensori d’ufficio di Mancino, Mannino, Conso, Dell’Utri, Mori e De Donno per una gran soirée simposio contro il processo, alla presenza di Macaluso, storici, giuristi e persino magistrati in servizio o in pensione (c’era pure Di Lello), tutti stretti attorno al nuovo idolo del partito anti-pm: l’esimio professor Giovanni Fiandaca, già candidato trombato alle primarie del centrosinistra per il Comune di Palermo e autore di uno squisito “saggio” pubblicato sul Foglio col raffinato titolo “Il processo sulla trattativa è una boiata pazzesca”. Talmente pazzesca che tutti gli imputati, a suo dire innocenti, sono a giudizio; e il processo, a suo dire inevitabilmente destinato a Roma, rimane a Palermo. Un figurone. Cose che càpitano quando si scrivono saggi o articoli prêt-à-porter, con procedura d’urgenza, senz’avere il tempo o la voglia di leggersi gli atti del processo. Anche Macaluso, che almeno non insegna, dunque fa meno danni, si prodiga da mesi contro quel processo: specie da quando l’amico Napolitano fece di tutto per soffocarlo nella culla a gentile richiesta di Mancino. Ultimamente si è esposto a epiche figuracce scopiazzando la memoria difensiva di Mori, con errori di date e di fatto da matita rossa e blu. Chi volesse farsi quattro risate può ascoltare su Radio Radicale la sua scombiccherata prolusione palermitana (lui, per dire, il 41-bis lo chiama “441”). In stereo con Mori, che attribuisce i suoi guai giudiziari a una congiura di giornalisti capitanata dal sottoscritto, il Macaluso deplora “gli attacchi rozzi e strumentali alla magistratura, dovuti alle vicende personali (sic, ndr) di Berlusconi”, sferrati da chi? “Da Travaglio, quando questi organi prendevano decisioni sgradite all’una o all’altra (sic, ndr)”. Invece Fiandaca, “per la sua autorevolezza e il suo argomentare, ci dà il senso che una critica alle sentenze e alle procure può e deve essere fatta”. Ecco, Fiandaca con quella bocca può dire ciò che vuole, perché, diversamente da altri, autorevolmente argomenta. Un po’ come il ragionier Ugo Fantozzi, a cui il titolo del saggio autorevole e argomentato è dedicato. E qui Macaluso estrae l’asso dalla manica: “Io contesto la formula ‘trattativa’”. Pazienza se alcune sentenze di Cassazione, un’ordinanza di rinvio a giudizio e financo le testimonianze di Mori e De Donno, usano la formula “trattativa”. Lui ne sa una più del diavolo, infatti parte con un pippone su Colajanni, Salvemini, Giolitti, Stalin, Andreotti, Rizzotto e il bandito Giuliano per dimostrare che “in Sicilia abbiamo avuto un lungo periodo di convivenza” fra Stato e mafia. E, siccome lo Stato ha sempre trattato con la mafia, non si parla di trattativa e, soprattutto, non si processa chi la fece. Tesi davvero avvincente e foriera di ulteriori sviluppi: siccome gli omicidi e le rapine ci sono sempre stati, perché processare gli assassini e i rapinatori? Se la scoprono Ghedini e Longo, hanno già pronto l’appello alla sentenza Ruby: siccome l’uomo è cacciatore e la prostituzione è il mestiere più antico del mondo, Berlusconi è innocente.

3 maggio: Giornata internazionale della libertà di stampa e informazione

Naturalmente l’Italia, col suo 57° posto nella classifica internazionale di Report sans frontiéres  [l’anno scorso era al 61°], e in quella della Freedom House non è che le cose vadano tanto meglio, si può esimere dai festeggiamenti.

Laura Boldrini: “Sulla Rete campagne d’odio, è tempo di fare una legge” (Concita De Gregorio)

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Preambolo: mandare affanculo e sparare sono due cose diverse, ha detto vauro commentando una sua  vignetta ieri sera a Servizio Pubblico.
E se sparare è sempre sbagliato chi si veste coi panni del rappresentante di uno stato democratico che ripudia la guerra per Costituzione non dovrebbe dire che ci sono guerre giuste, giudicare irresponsabili e ancorché fiancheggiatori dei terroristi chi a quelle guerre si è opposto e si oppone come ha fatto varie volte Emma Bonino considerata, chissà perché, un personaggio politico di livello superiore.
Se la vita è ancora un valore universale dovrebbe esserlo per tutti, non ci sono situazioni che possono metterlo in discussione, chi spara lo fa per ammazzare, sia che indossi una divisa da soldato, da funzionario dello stato o la sua disperazione. La Bonino è un bluff democratico in cui è caduto perfino Lerner tutto contento che Emma sia stata nominata ministro degli esteri e che se lo merita perché “parla anche l’arabo”. E chissà con chi deve parlarci, in arabo.

 La risposta dello stato alla disperazione, al disagio sociale non è aumentare la protezione verso la politica raddoppiando e triplicando le scorte,  aumentando de facto le spese della politica e sottraendole, ça va sans dire, al sociale, quello in cui nasce e si alimenta la disperazione e tutte le sue conseguenze tragiche.

Quando uno stato guadagna fabbricando e vendendo armi, quando contribuisce alle guerre mandando il suo esercito a sparare nonostante una Costituzione che lo vieta, nessuno dei suoi rappresentanti dovrebbe permettersi di salire sul pulpito a dire che la violenza no, mai.

Questo lo possiamo dire noi che non fabbrichiamo e non vendiamo le armi, che non promuoviamo la giustezza della guerra e che mai accetteremmo di ammazzare gente per mestiere.

La biancofiore e micciché nella squadra di governo sono l’espressione della democrazia [quella esercitata sotto il ricatto di un malfattore] o un’istigazione alla violenza, almeno a quella mentale, nel senso che ognuno che conosca in che modo dovrebbe essere esercitata la democrazia può pensare quello che vuole?
Io mi riservo di pensare quello che voglio, e anche di dirlo e scriverlo, mi spiace per i fan sperticati dell’abbassamento dei toni e del linguaggio consono, ma finché in questo paese di consono non ci sarà niente a partire dalle sue rappresentanze più “alte” le conseguenze non possono e non potranno essere che queste.
Quando uno stato risponde al disagio sociale e alla disperazione aumentando la protezione alla politica, ostentando personaggi ambigui presentandoli come se fossero davvero statisti in grado di operare per il bene, non tutelando né dimostrando di preoccuparsi di chi è stato danneggiato, offeso, vilipeso da quello stesso stato bisognerebbe almeno piantarla con le ipocrisie.

In nessun paese normale un politico viene processato 24 volte, ha detto l’ottimo sallusti sempre da Santoro.
Ha ragione, nei paesi normali un politico che avesse accumulato una tale quantità di capi di imputazione da richiedere [sempre se questo fosse un paese normale. quindi esente da impedimenti più o meno legittimi e presidenti della repubblica che sgridano i magistrati invece degli imputati] la sua presenza ciclica nei tribunali in qualità di imputato, sarebbe stato fermato molto prima. E anche sallusti, se questo fosse un paese normale non avrebbe la possibilità di andare a pontificare in nessun talk show ma sarebbe a casa a riflettere sulla differenza fra informazione, diritto di critica e di cronaca e DIFFAMAZIONE, il reato di cui lui si è macchiato sei volte ma questo non ha impedito a Napolitano di concedergli il perdono istituzionale su cauzione. 
Ieri sera sallusti ha confermato che questo governo è nato sotto l’egida del ricatto di berlusconi come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fosse normale che quella che doveva essere l’opposizione non si è mai opposta come ci ha ricordato un Travaglio superlativo, ma stamattina, sono sicura, ci sarà qualcuno che invece di guardare all’enormità del danno prodotto dalla politica di questo paese a questo paese preferirà criticare Santoro e Travaglio che “dicono sempre le stesse cose”, cosa che è del tutto naturale, se le cose sono le stesse da vent’anni.

“Ma che fai ahò, prima spari e poi dici chi va là?
Sentinella: è sempre mejo ‘n amico morto che un nemico vivo! 
Chi sete? semo l’anima de li mortacci tua! 
Sentinella: E allora passate!” [dal film La grande guerra, di Mario Monicelli]

Questi non hanno fatto nemmeno finta di sparare al nemico.
Sono passati direttamente all’annientamento dell’amico.

Marco Travaglio riepiloga la presunta guerra civile tra centrodestra e centrosinistra negli ultimi 20 anni.

In un paese collocato per libertà di stampa e informazione alle stesse posizioni di altri che almeno non si ammantano dell’aggettivo di democrazie ci mancano solo le leggi speciali per il riordino della Rete.
Non ci vuole nessuna legge speciale, evocatrice peraltro di periodi tristissimi, e tutti i paesi che hanno applicato restrizioni alla Rete secondo le loro leggi non si possono ascrivere nella categoria delle democrazie, in quella delle dittature sì.
Ci vorrebbe l’applicazione di leggi già esistenti, e se una pagina web veicola violenza, minacce, apologie di razzismi, fascismi, xenofobia e omofobia va chiusa e va denunciato il suo creatore, nonché i partecipanti consapevoli che contribuiscono alla diffusione di quella che non è libera espressione del pensiero ma un reato.
Vale per la pagina di facebook aperta dai soliti imbecilli frustrati in cerca di attenzione ma anche per quei siti tipo pontifex che, nello stesso modo diffondono odio e istigazioni alle violenze facendosi scudo con la croce di Cristo.
Ho imparato a diffidare della politica quando cerca di allungare le mani sulla Rete, anche se ufficialmente a fin di bene ma nascondendo in realtà la voglia di censura. Il web non ha bisogno di tutori terzi ma di responsabilizzazione individuale, da parte dei gestori di siti, portali e social network ma soprattutto di chi usufruisce dei servizi in Rete.

Perché poi se i parametri di libertà li stabilisce la politica sono guai.

 Non ho mai pensato che il web sia una zona franca ed esente da regole, anzi, essendo stata una vittima di quella “libertà” e pur avendo sperimentato personalmente cosa si prova ad essere molestati, minacciati continuo a rifiutare l’idea che si possano pensare leggi “speciali” per tutelare il quieto vivere virtuale.

Le leggi ci sono, basterebbe applicarle seriamente.

Il Portabugie
Marco Travaglio, 3 maggio

In questi tempi bizzarri accadono cose davvero strane. Càpita persino di ricevere lezioni di giornalismo e deontologia da Pasquale Cascella, giornalista di cui sfuggono i pensieri e le opere, ma non le parole e le omissioni. Giornalista dell’Unità a targhe alterne, Cascella fu portavoce di Napolitano presidente della Camera, poi di D’Alema premier (quando Palazzo Chigi divenne — Guido Rossi dixit — “l’unica merchant bank dove non si parla inglese”), poi di Violante capogruppo Ds alla Camera, poi di nuovo di Napolitano presidente della Repubblica. Dunque è Cavaliere di Gran Croce, Grand’Ufficiale e Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica, e ora candidato del Pd a sindaco della natìa Barletta. Ieri il Port. Cand. Cav. Gr. Cr. Grand’Uff. ha rilasciato un’intervista al prestigioso programma radiofonico La Zanzara: “La vicenda D’Ambrosio? Bisogna chiedere a Travaglio se non ha problemi di coscienza, per il modo in cui ha fatto informazione, non credo sia un modo di fare giornalismo. È stato un attacco mirato alla persona, a Napolitano. Mi chiedo come alcuni facciano informazione sul Fatto , come facciano a convivere con la propria coscienza e deontologia professionale, che nel caso D’Ambrosio è stata violata”. Questo monumento dell’informazione libera e indipendente si riferisce al magistrato Loris D’Ambrosio, come consigliere giuridico di Napolitano, sorpreso l’anno scorso dalle intercettazioni disposte dai giudici di Palermo sui telefoni di Nicola Mancino ad attivarsi, su richiesta dell’ex ministro indagato per falsa testimonianza, per deviare le indagini sulla trattativa Stato-mafia con pressioni sul procuratore antimafia Grasso e sui Pg della Cassazione Esposito e Ciani. Il Fatto , come tutti i quotidiani, pubblicò le telefonate, depositate e non più segrete. Criticò, come pochi quotidiani, le intromissioni del Quirinale in un’indagine In corso. E, come nessun quotidiano, diede la parola a D’Ambrosio con un’ampia intervista. D’Ambrosio disse di non poter rispondere sul ruolo di Napolitano mandante delle sue mosse (come emergeva dalle sue parole intercettate), perché era tenuto a un presunto “segreto” e a un’imprecisata “immunità” presidenziale. Ma s’impegnò a farlo se il capo dello Stato l’avesse svincolato. Il che purtroppo non avvenne: al posto suo intervenne Cascella per opporre il silenzio stampa. Il Fatto inviò le domande direttamente a Napolitano. Il quale rispose, con un dispaccio recapitatoci da un messo in motocicletta, che non intendeva rispondere. Però fece poi sapere che D’Ambrosio gli aveva offerto le dimissioni e lui le aveva respinte confermandogli “affetto e stima intangibili”. Anche quella fu una risposta ai nostri interrogativi, incentrati su una questione cruciale: quando D’Ambrosio svelava a Mancino di aver parlato a Grasso, Esposito e Ciani in nome e per conto del “Presidente” che “ha preso a cuore la questione” e “sa tutto”, millantava credito o diceva la verità? Il fatto che Napolitano gli confermasse fiducia significa che D’Ambrosio non millantava: obbediva agli ordini. Dunque tutto ciò che ha fatto, conseguenze comprese, è responsabilità di Napolitano (e Mancino). Forse tutto sarebbe ancor più chiaro se il Colle avesse divulgato il contenuto delle quattro telefonate Napolitano-Mancino, anziché scatenare la guerra termonucleare ai pm di Palermo per farle distruggere, a maggior gloria dell’inciucio. Non contento, quando D’Ambrosio morì d’infarto, Napolitano tentò di scaricare la colpa su chi l’aveva criticato. Ora il Port. Cand. Cav. Gr. Cr. Grand’Uff. Cascella ci riprova. Ma sbaglia indirizzo. Noi siamo a posto con la nostra coscienza, avendo esercitato il dovere di cronaca, il diritto di critica e di replica.

Chissà se può dire altrettanto chi usò D’Ambrosio come scudo umano e parafulmine.

Ma in Italia, oltre al principio di responsabilità, è stata abolita anche la vergogna.

“Cercavi giustizia, trovasti la legge” [a volte]

Sottotitolo: all’Ilva è tutto a posto, dunque a Taranto si può continuare a lavorare e morire e non necessariamente in questo ordine. Chi l’ha detto che le leggi in Italia non funzionano e non si rispettano? un paese dove la gente deve scegliere se lavorare o morire di cancro è come uno nel quale  bisogna difendere  un Magistrato coi mitra e un delinquente con la presidenza del consiglio.
Uguale, pare anzi  e addirittura lo stesso paese.

“Legge salva-Ilva è costituzionale”
Consulta respinge ricorso Procura

Articolo 32 della Costituzione Italiana

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. 
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

La nomina dei membri della Corte Costituzionale è per due terzi politica, quindi è perfettamente inutile aspettarsi sentenze che rovescino le decisioni dei Magistrati, quando di mezzo ci sono grandi interessi come a proposito dell’Ilva di Taranto.
Un organo istituzionale ci ha fatto sapere ieri che “la robba” è più importante della vita autorizzando e legittimando gli avvelenatori a continuare a farlo in virtù di interessi economici.
E, siccome la Corte Costituzionale non si può privatizzare, affidarla ad un’istituzione diversa dalla politica e che sia davvero di garanzia, se non si cambia la politica non cambieranno mai le conseguenze delle azioni politiche.
E finché a decidere per noi, per la nostra salute, sicurezza, istruzione, diritti, lavoro, saranno sempre le stesse persone che non hanno – perché lo hanno dimostrato più e più volte – come obiettivo primario i nostri interessi ma quelli di qualcun altro che talvolta coincidono coi loro questo paese non potrà mai essere migliore di quello che è.

Non capisco perché dovrebbe essere inutile andare avanti sulla questione dell’ineleggibilità di b.
Semmai è stato non inutile ma dannoso e devastante non averci pensato fino ad ora.
Esiste una legge, non c’è nemmeno bisogno di pensarla perché qualcuno molto più saggio e lungimirante di questi geni della politica del terzo millennio ma il cui cervello è rimasto al secondo, in qualche caso ancora più indietro nel tempo ci aveva già pensato, non vedo quale sarebbe e dove il problema nel renderla finalmente operativa.
O il pacchetto salvasilvio, oltre alle leggi prêt-à-porter fatte apposta per lui, quelle à la carte messe a disposizione sempre per lui, prevede che una legge già esistente e ignorata volutamente possa passare di moda come un oggetto vintage?

Intanto il 25 aprile ci toccherà ancora il discorso del grande statista in dirittura d’arrivo.
Se l’anno scorso ci ha ammorbato con la filippica sui pericoli del populismo non oso pensare alla trama di quello di quest’anno se l’ispirazione gli viene da quel “fanatismo moralizzatore” di cui vaneggia.
In uno dei paesi più corrotti del mondo, con una classe politica/dirigente che in gran parte ha dimostrato come ha potuto di essere collusa, connivente con le mafie, corrotta e corruttibile a livelli insopportabili, dove la gente onesta è costretta a farsi carico del tributo di dover mantenere caste e sottocaste di privilegiati, disonesti, profitattori, parassiti, nell’unico paese democratico al mondo dove è stato possibile che un imprenditore fallito  imputato, indagato, inquisito, condannato e prescritto abbia potuto ottenere un ruolo politico di spicco e cavarsela grazie a leggi fatte su misura e legittimate da quello che dovrebbe essere garante di tutti e non di uno solo, di se stesso o di qualcuno e ancora oggi che è praticamente nessuno consentirgli di essere ancora determinante per la politica, quell’ago della bilancia da cui un paese intero deve ancora dipendere, sottostare ai suoi ricatti c’era proprio la necessità di un presidente della repubblica che esprimesse un’opinione così volgare, che definisse la voglia di pulizia e trasparenza all’interno della politica come una specie di capriccio e non un’urgenza, non foss’altro perché è soprattutto grazie all’immoralità della classe politica se oggi questo paese è ridotto così male.
 Io mi sento offesa, defraudata del mio diritto di vivere in un paese gestito da gente normalmente onesta, che anteponga sempre e davanti a tutto gli interessi di tutti così come il ruolo le impone e  non quindi i suoi,  quelli degli amici, e degli amici degli amici, un paese la cui anormalità è stata istituzionalizzata e legalizzata proprio da chi avrebbe dovuto opporsi  all’illegalità, alla disuguaglianza e alle ingiustizie con tutti i mezzi che la democrazia mette a disposizione.

Madonna Bonino
Marco Travaglio, 10 aprile

Quando ho scritto “Si fa presto a dire Bonino”, la sapevo apprezzata da molti italiani per le caratteristiche che illustravo nelle prime righe: donna, competente, onesta, impegnata per i diritti civili, umani e politici in tutto il mondo. Non la sospettavo, però, circondata di persone adoranti che la guardano con gli occhi che dovevano avere i pastorelli di Fatima davanti alla Madonna. A questi innamorati che non sentono ragioni, anzi preferiscono non conoscere o non ricordare le zone d’ombra (solo politiche, lo ripeto) della sua lunghissima carriera politica, non so che dire: al cuore non si comanda. Rispondo invece alle cortesi obiezioni del segretario radicale Mario Staderini, il quale — diversamente da me — la ritiene il presidente della Repubblica ideale. E, per nobilitarla e dipingerla come antropoligicamente estranea al berlusconismo, cita alcuni suoi imbarazzanti avversari (Ferrara, Gasparri, Libero ). Potrei rispondere che invece Mara Carfagna la vuole al Quirinale, ma preferisco concentrarmi sulla biografia della Bonino. Chi auspica un Presidente estraneo alla casta, tipo Zagrebelsky, Settis, Gabanelli, Caselli, Guariniello, Strada e altri, non può certo sostenere la Bonino, 8 volte parlamentare italiana e 3 volte europea. I suoi amici la raffigurano come un’outsider estranea all’establishment. Che però non è d’accordo: altrimenti la Bonino non sarebbe stata invitata a una riunione del gruppo Bilderberg, o almeno non ci sarebbe andata. Sulla sua vicinanza, “fra alti e bassi”, al Polo berlusconiano dal 1994 (quando fu eletta con Forza Italia fino al ’96, senza dire una parola contro le prime violenze alla Giustizia e alla Costituzione) al 2006, ci sono tonnellate di articoli di giornale, lanci di agenzia, esternazioni, vertici, incontri, tavoli, inseguimenti, corteggiamenti, ammuine. Il tutto mentre il Caimano ne combinava di tutti i colori, nel silenzio-assenso della Bonino (che ancora nel 2004 veniva proposta da Pannella per un posto di ministro; e nel 2005 dichiarava: “Con Berlusconi abbiamo iniziato un lavoro molto serio… apprezziamo ciò che sta facendo come premier, ma la posizione degli alleati è nota”: insomma cercava disperatamente l’alleanza con lui, che alla fine la scaricò per non inimicarsi “gli alleati” e il Vaticano). Poi la Emma passò armi e bagagli col centrosinistra e cambiò musica. Un po’ tardi, a mio modesto avviso. Ma neppure in seguito, sulle questioni cruciali del berlusconismo (leggi vergogna, rapporti con la mafia, corruzioni, attacchi ai magistrati e alla Costituzione, conflitti d’interessi, editti bulgari e postbulgari), risulta un solo monosillabo della Bonino. Forse perchè, pur con motivi molto diversi, sulla giustizia B&B hanno sempre convenuto: separazione delle carriere, abolizione dell’azione penale obbligatoria (altro che difesa della “Costituzione più bella del mondo”, caro Staderini), per non parlare dell’idea intimidatoria e pericolosa della responsabilità civile dei magistrati che non esiste in nessun’altra democrazia. La corrispondenza di amorosi sensi con B. si estende al No radicale all’arresto di Cosentino perchè “siamo contro l’immunità parlamentare, però esiste”. Al fastidio per i sindacati, definiti in blocco “barbari, oscurantisti e retrogradi” (Ansa, 22-1-2000). E alla lettura dell’inchiesta Mani Pulite come operazione politica filocomunista: per la Bonino le tangenti di Craxi furono solo “errori” e occorre “una rivisitazione seria di cosa è successo dal ’90 in poi: la mia analisi è che indubbiamente, soprattutto nel ’92, si è cercato di risolvere alcuni problemi politici per vie giudiziarie, un po’ orientate perché poi se n’è salvato uno solo di partito” (Ansa, 19.11.99). Per non parlare dello scandalo delle frequenze negate per dieci anni a Europa7 per non disturbare Rete4 che le occupava abusivamente. Il 1° aprile 2007, ministro delle Politiche europee del governo Prodi-2, la Bonino porta in Consiglio dei ministri tutte le sentenze della Corte di giustizia europea per darne finalmente attuazione. Tutte, tranne una: quella che dà ragione a Europa7 e torto al gruppo B. Una cronista le chiede il perchè, e lei risponde che non c’è alcuna urgenza (in effetti Europa7 attende le frequenze negate solo dal 1999, quando vinse la concessione e Rete4 la perse).
C’è poi il bilancio di Commissario europeo dal 1994 al ’99 su nomina di B,. quando insieme a battaglie sacrosante la Bonino sponsorizza i cibi OGM senza etichettatura.
E soprattutto sostiene l’insensata sospensione degli aiuti all’Afghanistan, dopo la sforunata missione a Kabul in cui è stata fermata dalla polizia religiosa perché i suoi collaboratori fotograno e filmano il volto delle donne in barba alla legge islamica. Durante la guerra in Afghanistan – da lei appoggiata come quelle nell’ex Jugoslavia e in Iraq (“io credo che non ci fosse alternativa per sconvolgere la rete terroristica:se mandiamo il messaggio che dopo le torri di New York possono bombardare, senza colpo ferire, anche il Colosseo e la torre Eiffel, non ci dà sicurezza”) la Bonino si oppone alla sospensione dei bombardamenti per aprire un corridoio umanitario agli aiuti ai profughi (servirebbe solo ai talebani per riorganizzarsi, Ansa 2-11-2001).
Nel 2007, poi, durante il sequestri Mastrogiacomo non trova di meglio che prendersela con Gino Strada accusandolo di trescare con i talebani col suo “atteggiamento ambiguo, tra l’umanitario e il politico, che si può prestare a qualsiasi illazione” perché “scientemente o incoscientemente – che sarebbe ancora peggio finisce per giocare un ruolo che è sempre un ruolo ambiguo fra torturati e torturatori. Quando uno si mette a praticare una linea così ambigua, così poco limpida, si presta a qualsiasi gioco altrui. Nell’illusione di tirare lui le fila finisce che il burattinaio non è lui” Ansa, 9-4-2007).
A proposito di ambiguità fra torturati e torturatori, ho cercato disperatamente nell’archivio Ansa una parola della Bonino su Abu Ghraib e Guantanamo.
Risultato: non pervenuta.