Sottotitolo: Tutto sommato è divertente assistere alle cazziate quotidiane di Monti a Bersani.
Chissà come si sente il segretario a vedere ricambiata così la sua lealtà incondizionata, senza se e senza ma…e chissà come si sente Re Giorgio, ex comunista [ah ah], sarà orgoglioso di averci appioppato ‘sta piattola a vita.
Sarebbe carino se Bersani dicesse a Monti di silenziare i suoi, chessò, il vaticano, la Trilaterale, Goldman Sachs, oppure Bilderberg. Così, giusto per vedere che succede. Essì, era proprio necessario il governo tecnico ma soprattutto sobrio. Un reazionario della risma di Monti non si vedeva in questo paese dal ventennio fascista. Ma il pericolo sono i movimenti, Grillo, Ingroia e la gente perbene.
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“È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.”
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Qualche costituzionalista dovrebbe spiegare la dinamica che ha portato alla nomina di senatore a vita di Monti, visto che lo stipendio glielo paghiamo noi.
Ci vorrebbe, ma davvero, una commissione d’inchiesta per scoprire quali meriti – altissimi, per giunta – sociali, artistici, scientifici e letterari abbia avuto Mario Monti per meritarsi la nomina per direttissima a senatore a vita da Napolitano il quale era senatore a vita già prima di diventare presidente di questa repubblica sciagurata.
Sfregi alla Costituzione come se piovesse, tanto, chi se ne accorge?
Tutt’al più, quelli che se ne accorgono possono sempre essere insultati, accusati di essere degli eversori antistato, di avere scarse qualità intellettive, di essere dei malpensanti. Che problema c’è?
Certe cose possono succedere perché troppa gente non conosce la Costituzione e non le interessa niente salvare quello che va protetto e difeso, salvo poi mettersi di traverso davanti alla persona fisica che rappresenta l’istituzione; Napolitano e Monti sono considerati due grandi statisti nonostante e malgrado i loro errori vistosi che hanno danneggiato proprio lo stato.
Le persone però passano, gli sfregi purtroppo no, e creano il precedente.
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E, mentre berlusconi si riprende il centro della scena, inutile la richiesta implorante di NON parlare h24 delle sue puttanate a getto continuo, intorno succede il tutto e l’oltre:
Per Camera e Senato
un ambulatorio da
2 milioni all’anno
Con una nuova delibera datata 18 dicembre, Palazzo Madama punta a rafforzare ulteriormente il presidio di cardiologi e infermieri interni (già 60 i medici sotto contratto): aperte le selezioni per altri cinque cardiologi e altrettanti tra anestesisti e rianimatori. [Il Fatto Quotidiano]
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Sempre la Costituzione recita all’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
E dove sarebbe questa uguaglianza se c’è chi si cura gratis e chi no, chi mangia e chi no, chi può studiare e chi no, chi si prende i diritti anche quando non sono tali attraverso leggi apposite fatte da loro stessi e dai loro pari e chi invece è costretto a rispettare anche quelle ingiuste, inique, quelle che creano nei fatti la disuguaglianza? dov’è l’uguaglianza se gli stessi diritti di cui godono le varie caste e sottocaste sono poi negati ai cittadini? sarebbe questa la democrazia in politica?
Ricordiamoci anche di questo, a febbraio.
Di chi accorcia e taglia per noi con la benedizione della lealtà, dei senza se e senza ma [anche] per aumentare i propri privilegi, fra i quali quello di essere curati gratuitamente e direttamente sul posto di “lavoro”.
Mentre i cittadini italiani, i residenti sul sacro suolo italico devono aspettare mesi per una tac, una mammografia, un’ecografia, mentre un letto d’ospedale diventa un lusso, un caso fortuito quanto un terno al lotto, e nel frattempo che nei reparti hospice, quelli destinati ai malati terminali viene a mancare la terapia del dolore il parlamento tutto intero si assicura – coi soldi dei contribuenti – il presidio medico fisso direttamente sul posto.
Ricordiamoceli tutti, questi infami traditori dello stato e del loro mandato che a nulla vogliono e sanno rinunciare per se stessi ma a tutto vogliono che rinunciamo noi che li manteniamo a vita.
Vigliacchi parassiti.
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Il grande deserto dei diritti
STEFANO RODOTÀ
Si può avere una agenda politica che ricacci sullo sfondo, o ignori del tutto, i diritti fondamentali? Dare una risposta a questa domanda richiede memoria del passato e considerazione dei programmi per il futuro.
Ma bilanci e previsioni, in questo momento, mostrano un’Italia che ha perduto il filo dei diritti e, qui come altrove, è caduta prigioniera di una profonda regressione culturale e politica. Le conferme di una valutazione così pessimistica possono essere cercate nel disastro della cosiddetta Seconda Repubblica e nelle ambiguità dell’Agenda per eccellenza, quella che porta il nome di Mario Monti. Solo uno sguardo realistico può consentire una riflessione che prepari una nuova stagione dei diritti. Vent’anni di Seconda Repubblica assomigliano a un vero deserto dei diritti (eccezion fatta per la legge sulla privacy, peraltro pesantemente maltrattata negli ultimi anni, e alla recentissima legge sui diritti dei figli nati fuori del matrimonio). Abbiamo assistito ad una serie di attentati alle libertà, testimoniati da leggi sciagurate come quelle sulla procreazione assistita, sull’immigrazione, sul proibizionismo in materia di droghe, e dal rifiuto di innovazioni modeste in materia di diritto di famiglia, di contrasto all’omofobia. La tutela dei diritti si è spostata fuori del campo della politica, ha trovato i suoi protagonisti nelle corti italiane e internazionali, che hanno smantellato le parti più odiose di quelle leggi grazie al riferimento alla Costituzione, che ha così confermato la sua vitalità, e a norme europee di cui troppo spesso si sottovaluta l’importanza.
La considerazione dei diritti permette di andare più a fondo nella valutazione comparata tra Seconda e Prima Repubblica, oggi rappresentata come luogo di totale inefficienza. Alcuni dati. Nel 1970 vengono approvate le leggi sull’ordinamento regionale, sul referendum, il divorzio, lo statuto dei lavoratori, sulla carcerazione preventiva. In un solo anno si realizza così una profonda innovazione istituzionale, sociale, culturale. E negli anni successivi verranno le leggi sul diritto del difensore di assistere all’interrogatorio dell’imputato e sulla concessione della libertà provvisoria, sulla delega per il nuovo codice di procedura penale, sull’ordinamento penitenziario; sul nuovo processo del lavoro, sui diritti delle lavoratrici madri, sulla parità tra donne e uomini nei luoghi di lavoro; sulla segretezza e la libertà delle comunicazioni; sulla riforma del diritto di famiglia e la fissazione a 18 anni della maggiore età; sulla disciplina dei suoli; sulla chiusura dei manicomi, l’interruzione della gravidanza, l’istituzione del servizio sanitario nazionale. La rivoluzione dei diritti attraversa tutti gli anni ’70, e ci consegna un’Italia più civile.
Non fu un miracolo, e tutto questo avvenne in un tempo in cui il percorso parlamentare delle leggi era ancor più accidentato di oggi. Ma la politica era forte e consapevole, attenta alla società e alla cultura, e dunque capace di non levare steccati, di sfuggire ai fondamentalismi. Esattamente l’opposto di quel che è avvenuto nell’ultimo ventennio, dove un bipolarismo sciagurato ha trasformato l’avversario in nemico, ha negato il negoziato come sale della democrazia, si è arresa ai fondamentalismi. È stata così costruita un’Italia profondamente incivile, razzista, omofoba, preda dell’illegalità, ostile all’altro, a qualsiasi altro. Questo è il lascito della Seconda Repubblica, sulle cui ragioni non si è riflettuto abbastanza.
Le proposte per il futuro, l’eterna chiacchiera su una “legislatura costituente” consentono di sperare che quel tempo sia finito? Divenuta riferimento obbligato, l’Agenda Monti può offrire un punto di partenza della discussione. Nelle sue venticinque pagine, i diritti compaiono quasi sempre in maniera indiretta, nel bozzolo di una pervasiva dimensione economica, sì che gli stessi diritti fondamentali finiscono con l’apparire come una semplice variabile dipendente dell’economia. Si dirà che in tempi difficili questa è una via obbligata, che solo il risanamento dei conti pubblici può fornire le risorse necessarie per l’attuazione dei diritti, e che comunque sono significative le parole dedicate all’istruzione e alla cultura, all’ambiente, alla corruzione, a un reddito di sostentamento minimo. Ma, prima di valutare le questioni specifiche, è il contesto a dover essere considerato.
In un documento che insiste assai sull’Europa, era lecito attendersi che la giusta attenzione per la necessità di procedere verso una vera Unione politica fosse accompagnata dalla sottolineatura esplicita che non si vuole costruire soltanto una più efficiente Europa dei mercati ma, insieme una più forte Europa dei diritti. Al Consiglio europeo di Colonia, nel giugno del 1999, si era detto che solo l’esplicito riconoscimento dei diritti avrebbe potuto dare all’Unione la piena legittimazione democratica, e per questo si imboccò la strada che avrebbe portato alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questa ha oggi lo stesso valore giuridico dei trattati, sì che diviene una indebita amputazione del quadro istituzionale europeo la riduzione degli obblighi provenienti da Bruxelles a quelli soltanto che riguardano l’economia. Solo nei diritti i cittadini possono cogliere il “valore aggiunto” dell’Europa.
Inquieta, poi, l’accenno alle riforme della nostra Costituzione che sembra dare per scontato che la via da seguire possa esser quella che ha già portato alla manipolazione dell’articolo 41, acrobaticamente salvata dalla Corte costituzionale, e alla “dissoluzione in ambito privatistico” del diritto del lavoro grazie all’articolo 8 della manovra dell’agosto 2011. Ricordo quest’ultimo articolo perché si è proposto di abrogarlo con un referendum, unico modo per ritornare alla legalità costituzionale e non bieco disegno del terribile Vendola. Un’agenda che riguardi il lavoro, oggi, ha due necessari punti di riferimento: la legge sulla rappresentanza sindacale, essenziale strumento di democrazia; e il reddito minimo universale, considerato però nella dimensione dei diritti di cittadinanza. E i diritti sociali, la salute in primo luogo, non sono lussi, ma vincoli alla distribuzione delle risorse.Colpisce il silenzio sui diritti civili. Si insiste sulla famiglia, ma non v’è parola sul divorzio breve e sulle unioni di fatto. Non si fa alcun accenno alle questioni della procreazione e del fine vita: una manifestazione di sobrietà, che annuncia un legislatore rispettoso dell’autodeterminazione delle persone, o piuttosto un’astuzia per non misurarsi con le cosiddette questioni “eticamente sensibili”, per le quali il ressemblement montiano rischia la subalternità alle linee della gerarchia vaticana, ribadite con sospetta durezza proprio in questi giorni? Si sfugge la questione dei beni comuni, per i quali si cade in un rivelatore lapsus istituzionale: si dice che, per i servizi pubblici locali, si rispetteranno “i paletti posti dalla sentenza della Corte costituzionale”, trascurando il fatto che quei paletti li hanno piantati ventisette milioni di italiani con il voto referendario del 2011.
Queste prime osservazioni non ci dicono soltanto che una agenda politica ambiziosa ha bisogno di orizzonti più larghi, di maggior respiro. Mostrano come un vero cambio di passo non possa venire da una politica ad una dimensione, quella dell’economia. Serve un ritorno alla politica “costituzionale”, quella che ha fondato le vere stagioni riformatrici.