Ha vinto la sinistra senza sinistra

Sottotitolo: qualcuno dica a Ezio Mauro, Massimo Giannini e al fondatore anziano che il risultato di ieri  non significa affatto “vittoria della sinistra” come trionfalmente ha titolato oggi Repubblica. Se Atene piange Sparta non ride, a Roma ha vinto Ignazio Marino che è lontano, lontanissimo, e per fortuna, dall’idea di sinistra che hanno alla redazione di Repubblica e anche nel pd che quell’idea nemmeno ce l’ha, visto che sta governando – si fa per dire – col perdente berlusconi.

E adesso quelli faranno finta che vada tutto benissimo. 

Faranno finta che non ci sia stato l’astensionismo più alto della storia repubblicana. Faranno finta che nell’elezione più significativa (Roma) non abbia vinto un outsider eretico, più ‘nonostante’ il Pd che ‘grazie’ al Pd. Faranno finta che non siano amministrative, dove da sempre si va molto meglio. Faranno finta di non accorgersi che Berlusconi a questo giro se n’è fottuto, lasciando Alemanno e gli altri al loro destino, ma quando il tycoon si butta pancia  a terra in campagna elettorale è un’altra storia.

E cosí via. Faranno finta per non mettersi in discussione, come sempre. E continueranno cosí, mentre la loro campana è già molto suonata da tempo, e non saranno né la pochezza di Alemanno né le isterie di Grillo a resuscitarli.

 

Preambolo: nessuno, spero,  dimentica che al governo nazionale pd e pdl sono insieme in virtù di un’emergenza nazionale di cui però ancora nessuno si sta occupando.

Gli impegni del governo attualmente sono altri: il presidenzialismo, l’assalto alla Costituzione,  i tentativi di censurare la Rete, come rifilare alla gente l’ennesima truffa sui finanziamenti ai partiti; cose così e tutte importantissime, ci mancherebbe.

Ma a me oggi, quello che interessa più di tutto è che Roma sia tornata al ruolo che le compete di città Antifascista.

Le polemiche le lascio volentieri a quegl’irriducibili che non vedono la differenza fra Ignazio Marino e gianni alemanno e che quindi si presume non vedano nemmeno quella fra il razzista gentilini e il nuovo sindaco di Treviso.

A guardare bene, invece, la differenza c’è.

Marino non ha vinto grazie al pd, ha vinto nonostante il pd.

 Epifani, segretario del suo partito, non era al suo fianco mentre cercava di sottrarre Roma ad alemanno.

Quando i talk show smetteranno di fare i processi a Grillo forse Grillo smetterà di avercela coi giornalisti.

E dire che di argomenti ce ne sarebbero come si dice, “a iosa”.

Si potrebbe parlare di un governo di emergenza che non fa fronte alle emergenze ma poi per bocca del presidente del consiglio si vanta dei risultati elettorali che sarebbero una prova di fiducia dei cittadini verso le larghe intese: e ci vuole o una grande fantasia o una enorme scorrettezza per leggere questo nei risultati di ieri.

A Roma vota un quinto degli elettori e la prima cosa che fa Letta è tributare l’onore alle larghe intese? la politica, quella bella che piace a Napolitano che ha sempre ottime parole di elogio per il suo bel governo del largo inciucio non imparerà mai la lezione.

 Su una popolazione di cinque milioni di persone sono andati a votare in 630.000. Per fortuna sono bastati a cacciare il fascista.

Oppure  della disfatta della lega;  gentilini ha perso a Treviso, lo sceriffo, l’immondo razzista leghista che voleva travestire gli immigrati da leprotti “per fargli pum pum”.

[Il virgolettato è suo, originale, una persona normale si vergognerebbe perfino di pensarla una cosa del genere].
O ancora, analizzare il fenomeno di un astensionismo preoccupante; in questo paese la maggioranza dei cittadini a votare non ci vuole andare più perché ha perso la fiducia nella politica non per colpa di Grillo ma proprio e solo della politica.  

Marino ha vinto a Roma soprattutto perché si è distaccato dal pd che di sinistra non ha nemmeno un’idea.


CASSE VUOTE URNE VUOTE [Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano]

Le larghe intese non c’entrano nulla, la catastrofe Pdl è la fotografia di un partito padronale che quando il padrone non scende in campo è costretto a schierare vecchi catorci o giovani nullità e i risultati si vedono. La destra perde a Brescia a furor di popolo, tracolla a Imperia dove l’ex potente Scajola è finito in un buco nero e crolla a Treviso dove quel Gentilini che voleva sparare agli immigrati è finito impallinato lui. Poi c’è Alemanno, il peggior sindaco che si ricordi, con la Capitale ridotta a una discarica attraversata da bande di raccomandati e grassatori. Le larghe intese non c’entrano nulla, il 16 a 0 del centrosinistra è frutto di candidature mediamente decenti che al confronto con gli impresentabili dell’altra sponda fanno per forza un figurone. Poi c’è Ignazio Marino, marziano a Roma, come Pisapia a Milano o De Magistris a Napoli o Zedda a Cagliari solo che questa volta il Pd ci ha messo il timbro. Chirurgo di fama, dovrà amministrare una città con immensi problemi dove per la prima volta nella storia repubblicana ha votato meno della metà degli elettori. Ma questo è anche il ritratto di un Paese, massacrato dalla crisi e imbrogliato dalle false promesse, che fugge velocemente dalla politica. C’è un nesso strettissimo tra le casse vuote e le urne vuote. L’Italia amava votare ed era in materia la prima della classe in Europa. Adesso non è più così, ma i politologi del reparto frenatori dicono: niente paura e parlano di fenomeno fisiologico, come se fosse una botta di cattivo umore collettivo e non il segno di un disgusto sempre più profondo. E perché mai non dovrebbe essere così? Mentre il progressivo calo del Pil è il segnale di un declino industriale forse irreversibile, il governo galleggia nell’incertezza, convalidata dai segnali del Quirinale che un giorno sì e l’altro pure fissano un termine all’esperienza del giovane Letta. Una politica degli annunci che si sposa a quella del rinvio, mentre lo Stato ha già speso i soldi destinati a tutto il 2013. In queste condizioni, votare non è dunque un atto eroico?