Onore e dignità

Sottotitolo: Angelina regala l’isoletta a forma di cuore al suo Brad per il cinquantesimo compleanno, ché sono buone tutte a presentarsi col profumo, la cravatta e l’agenda in pelle.
Noi italiani invece dovremo pagare coi nostri soldi l’isola di Budelli venduta all’asta ad un ricco neozelandese che lo stato italiano, il magnifico stato italiano, ha deciso di riacquistare. 
Sono tutti neozelandesi col culo degli altri.

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Dopo ogni puntata di Report avverto sempre un’insopportabile mancanza.
Quella di un Tir che parte per la retata finale.
E dire che c’è anche chi si dispiace che Romano Prodi non sia stato nominato presidente della repubblica al posto del Napolitano bis.
Questi politici di lungo corso che non trovano sconveniente collaborare, a stipendio,  con i reggenti  dei peggiori regimi e che ovviamente dicono di doverlo fare per il bene della nazione. 
Abbiamo una commissione che si occupa di diritti umani che ha definito il Kazakistan una dittatura “temperata”.
All’interno di quella commissione c’è Luigi Manconi che fra le altre cose si occupa di monitorare la condizione delle carceri italiane, è sempre in prima linea quando si parla di amnistie e indulti ma evidentemente non considera né ha considerato troppo drammatica e fuori dalla legalità la vicenda del  rapimento e la successiva deportazione di una donna e della sua bambina in un paese dove non si può nemmeno inserire nel dibattito politico la questione relativa alla condizione dei detenuti nelle carceri. 
Perché quel paese è tutt’altro che una dittatura temperata.
E’ un paese dove ai dissidenti si applica il carcere duro e la tortura [e chissà che succede ai delinquenti comuni] ma l’argomento non smuove la sensibilità umana e nemmeno un’azione di contrasto concreta della nostra magnifica politica democratica italiana qui sempre pronta e unita nella lotta quando si tratta di alleggerire e in molti casi annullare con provvedimenti ad hoc quei dispositivi legali che marcano, così come si fa in tutti i paesi civili, la differenza fra onesti e criminali.

Milena Gabanelli alla fine della puntata di Report ieri sera ha detto che tutti sanno che nelle relazioni politiche ed economiche internazionali spesso si deve anche trattare con quei paesi dove i diritti umani sono un inutile dettaglio trascurabile, ma che ci dovrebbe anche essere un limite di fronte al quale fermarsi. Che esiste anche una questione di onore e dignità. Dice il contrario, e cioè che non ci si può affatto fermare,  l’accoglienza in pompa magna riservata a Vladimir Putin, ricevuto anche dal papapiùbuonochecisiamaistato, capo di uno stato dove ai dissidenti non solo si applica il carcere duro ma talvolta, per maggiore sicurezza, specialmente se fanno i giornalisti, si fanno anche sparire a colpi di pistola. E quindi è abbastanza evidente che parole come onore e dignità non si possono neanche nominare nel paese dove i governi si svendono e ci svendono ai peggiori offerenti.

“VI PENTIRETE CON VOSTRI FIGLI”. 

Il Fatto scrive “anatema”, io dico intimidazione di stampo mafioso. 

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L’assurdo dello spregevole individuo è il suo essere naturalmente refrattario al concetto minimo di regole, e l’assurdo elevato all’ennesima potenza è che alla “sua gente”, a quei poveri decerebrati che dicono che sarebbero disposti a morire per lui, piaccia soprattutto per questo. 

Perché sono talmente idioti da non pensare nemmeno per un attimo che questo tentativo continuo di berlusconi di rovesciare il senso dello stato riuscendo nell’impresa di trasformarlo in uno stato che fa senso, stravolgere quello di una civile e pacifica convivenza, del rispetto reciproco potrebbe coinvolgere anche loro ma da vittime.

Che ne sarebbe di un paese dove non si rispettassero le leggi, le sentenze, dove chi commette dei reati pretendesse di non doverne poi rispondere ad un tribunale e al popolo offeso da quei reati? E tutto questo mentre si deve occupare di quel paese da istituzione?

Non pensano, gli stolti, nemmeno per un attimo, di non essere silvio berlusconi, di non avere le sue stesse possibilità: quelle che si è potuto comprare specialmente rubando, corrompendo e quelle che questo stato gli ha amorevolmente regalato. 

Oppure pensano che nel momento del bisogno silvio si ricordi di loro, o che sarebbe disposto a morire per loro.
Imbecilli.
Complici di un delinquente per natura.

Clemenza senile
Marco Travaglio, 26 novembre

La penosa conferenza stampa di B. sulle “nuove prove” che non solo giustificherebbero la revisione del processo Mediaset, ma addirittura lo scagionerebbero, è – come si dice a Roma – una sòla. Una patacca. Nessuno ha mai sostenuto che il produttore egizio-americano Frank Agrama sia uno stinco di santo: altrimenti non sarebbe suo amico e sodale. Del resto è stato condannato per frode fiscale anche lui. In ogni caso la legge prevede le procedure per la revisione: se B. la chiederà, la Corte d’appello di Brescia deciderà ciò che è giusto fare. Nel frattempo, siccome B. è un pregiudicato, la legge Severino impone che esca con le mani alzate dal Senato: avrebbe dovuto farlo “immediatamente” fin dal 1 agosto, se i partiti suoi complici nelle larghe intese non avessero rinviato con ogni scusa il voto in giunta e poi in aula. Su un punto, però, il Cainano ha qualche ragione di lamentarsi: quello della grazia. Non perché vi abbia diritto. Anzi, nel suo caso la grazia non è ammissibile, sia per i numerosi processi che ancora pendono sul suo capo, sia perché sono trascorsi appena tre mesi dalla sentenza della Cassazione. Peccato che Napolitano non abbia mai osato dirglielo fino all’altroieri. Il 13 agosto, 12 giorni dopo la condanna, diramò un mega-monito in cui spiegava le istruzioni per l’uso della clemenza, lasciando intendere – come in varie repliche successive – che il principale ostacolo alla grazia era che B. non l’aveva chiesta, e comunque avrebbe potuto coprire solo la pena principale (quella detentiva) e non la pena accessoria (l’interdizione dai pubblici uffici). In realtà – come scrisse lui stesso – la grazia “può essere concessa anche in assenza di domanda”, e pure sulla pena accessoria (lo fecero altri presidenti prima di lui). Napolitano definì “legittimi” e “comprensibili” il “turbamento” e la “preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”. Cioè ammise che B. non è un cittadino come gli altri. Tant’è che incredibilmente invitò i giudici a concedergli “precise alternative al carcere, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto”. Come se fossero dovute per legge, mentre non lo sono. Mai, nella storia repubblicana e pure monarchica, un capo dello Stato aveva spiegato come ottenere la grazia a un tizio appena condannato (che non gliel’aveva neppure chiesta e rifiutava la sentenza), collegandola fra l’altro al suo sostegno al governo, cioè a una scelta politica che dovrebbe essere libera e nulla ha a che vedere con il diritto costituzionale. È da quell’atto inaudito e forse – quello sì – “dovuto”, in base a precedenti impegni assunti alla nascita delle larghe intese dopo la rielezione, che iniziano le ambiguità, i non detti, le aspettative mancate ora sfociate nella furia di B.

Un giorno, forse, capiremo perché il presidente fece annusare la grazia al pregiudicato, che ora schiuma di rabbia perché si sente preso in giro. Ma sono tante le cose che dobbiamo ancora capire. Un’altra è il motivo dell’inquietante tira-e-molla ingaggiato da Napolitano con i giudici del processo Trattativa che l’hanno citato come teste sulle confidenze che scrisse di avergli fatto il consigliere D’Ambrosio: prima ha dichiarato di essere “ben lieto” di testimoniare, ora invece manda a dire di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo” e pensa di cavarsela con una letterina in cui dice di non sapere nulla: come se D’Ambrosio si fosse inventato tutto. Ora, se un testimone non ha nulla da dire, non manda una lettera per chiedere l’esonero: si presenta e risponde alle domande. I giudici alla fine decidono se è credibile, o magari reticente o menzognero, nel qual caso lo indagano per false dichiarazioni (un tempo potevano arrestarlo su due piedi). Cosa che non possono fare se uno testimonia per lettera. Mentre dà lezioni di diritto al Cainano, il presidente farebbe bene a prenderne qualcuna per sé.

Il governo dei larghi sottintesi

Mucchetti [pd], che insieme al suo collega Zanda ha proposto una legge per dilatare i tempi di sopravvivenza di berlusconi in parlamento a discapito di quella del paese, non voterà la mozione di sfiducia all’inutile ministro dell’interno alfano, quello che non sapeva, non c’era e nessuno gli dice niente se un mezzo esercito di polizia va a rapire e sequestrare persone colpevoli di niente perché la vicenda di Alma e Alua si deve inserire semplicemente in un contesto di realpolitik; cose che succedono “ma che speriamo non accadano più” che non devono e non possono determinare la caduta del governissimo del largo inciucio.

Ecco: io auguro a Mucchetti e a tutti quelli come lui, quindi quasi tutti,  che qualcuno li faccia uscire dal parlamento, quando questo incubo sarà finito, con le stesse dinamiche da realpolitik utilizzate per due persone innocenti, una delle quali è una bambina.

Il fatto che alfano non si dimetta, calderoli non si dimetta, Napolitano che non fiata sulla vicenda kazaka, la difesa disperata e ridicola di letta che “non vede nubi” mentre invece dovrebbe sentire il peso di una meteorite che gli è cascata addosso è un’offesa per tutta l’Italia onesta e perbene. 

 In un paese normale TUTTO il governo avrebbe fatto le valigie, e invece sono ancora tutti lì a dire di non aver capito, di non sapere e che insomma, madre e figlia se la caveranno.  La politica dello ‘sticazzismo sfrenato a vantaggio e beneficio delle proprie poltrone rese intoccabili dal presidente della repubblica anche a sprezzo del ridicolo.

Per tacere di tutti quelli che si staranno fregando le mani per l’assoluzione del generale Mori che di fatto vanifica ogni speranza di fare chiarezza sulla trattativa tutt’altro che presunta fra lo stato e la mafia.

Nota a margine: quei quasi 92 milioni, tutti per medicine, fino all’ultimo centesimo.

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Alfano e Calderoli, si salvi chi può? [Peter Gomez, Il Fatto Quotidiano]

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Renzi: ‘Perdiamo voti per le poltrone’

Democratici divisi sul ministro dell’Interno. I renziani chiedono le dimissioni. Anche Finocchiaro per
il passo indietro. La segreteria si schiera: “Esecutivo deve andare avanti”. E Letta dice: “Non vedo nubi”.

Camera boccia stop finanziamento partiti
Flash mob M5S: “Si tengono il malloppo”

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Al di sotto di ogni sospetto
Marco Travaglio, 18 luglio

Non c’è analisi politica o sentenza giudiziaria che descriva la nostra classe dirigente meglio di un detto napoletano: “Fa il fesso per non andare in guerra”. Si riferisce all’usanza di fingersi scemi alla visita di leva per essere riformati. Poi, naturalmente, capitava che qualcuno venisse riformato perché era scemo davvero. Ecco, noi non sappiamo quanti politici o imprenditori o manager o funzionari o alti ufficiali siano scemi e quanti fingano di esserlo.

Ma prendiamo atto che molti, moltissimi, fanno di tutto per sembrarlo. 

E, va detto a loro onore, ci riescono benissimo. L’altra sera Angelino Alfano, nientemeno che segretario del Pdl, vicepremier e ministro dell’Interno, doveva essere davvero orgoglioso della sua performance davanti al Senato e poi alla Camera, quando leggeva solenne e ieratico il rapporto Pansa che gli faceva fare la figura del fesso, tra un “aperte virgolette”, un “chiuse le virgolette” e un “aperte e chiuse le virgolette all’interno del virgolettato”. 

Manco si rendeva conto di essere la parodia di Alberto Sordi che, nel film Il vedovo , ripassa con i complici il piano per far precipitare la moglie nella tromba dell’ascensore, nella quale alla fine sprofonderà lui (“Volta foglio! Proseguiamo: paragrafo 21, volta pagina! Alt!”). Ora c’è pure il Procaccini espiatorio che racconta: fu il ministro a chiedermi di incontrare l’ambasciatore kazako e, dopo, gli riferii le sue richieste. Ma il premier Nipote non sente ragioni: “Alfano è totalmente estraneo”, dunque resta al suon posto. In fondo è per questo che andiamo a votare: perché venga fuori una maggioranza che esprima un governo che nomini dei ministri che non sappiano una mazza di quel che avviene nel loro ministero. 

Totalmente estranei. Sono lì apposta: per non sapere nulla. Dunque Jolie è assolto — si dice in linguaggio penalistico — per totale incapacità di intendere e volere. Di solito, il passo successivo è il ricovero in un’apposita comunità di recupero. Ma pure il governo può andar bene. Lo stesso dicasi per i politici Prima e Seconda Repubblica, destra e sinistra, che fino all’altroieri han fatto affari con Ligresti: chi l’avrebbe mai detto che era un poco di buono. In fondo don Salvatore già vent’anni fa entrava e usciva dalle patrie galere. In fondo le sue aziende colavano a picco da anni mentre i compensi della famiglia lievitavano (nel 2008-2010, 9 milioni a Jonella più laurea honoris causa all’Università di Torino in Economia aziendale, e in cosa se no?; 10 a Gioacchino Paolo; 3,4 a Giulia; 8 al manager Talarico; 15 al manager Marchionni). Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe tornato al gabbio. Pareva una così brava persona. E Tronchetti Provera? Sono sei anni che tutti sanno dello spionaggio ordito dalla Security Telecom del fedelissimo Tavaroli nell’ufficio accanto al suo, e tutti a domandarsi: chissà mai se Tronchetti lo sapeva. Qualcuno si sbilanciò a ribattezzarlo Tronchetti Dov’Era.

Poi ieri arriva una sentenza, di primo grado per carità: forse sapeva. In un paese decente si leverebbe un coro di giubilo (anche da lui): meno male, vuol dire che almeno era un buon capo. Invece no. La comunità finanziaria è sgomenta: ma come, un top manager che sa qualcosa di quanto accade nella sua azienda? Dove andremo a finire. Quel che è certo invece da ieri — in attesa delle motivazioni — è che il generale Mori era sì un grande detective antimafia. Però prima catturava un boss e non gli perquisiva il covo; poi l’altro boss non lo catturava proprio. Ma sempre in buona fede (il fatto non costituisce reato: cioè è vero, ma senza dolo). Mica voleva favorire la mafia: semmai lo Stato, ammesso e che ci sia qualche differenza. Anche lui agiva a sua insaputa, mirabile emblema di una classe dirigente al di sotto di ogni sospetto. Alla fine però chi fa il fesso è furbo. Il vero fesso — scriveva Giuseppe Prezzolini — “è stupido. 
Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo”.

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Il ministro ombra –  Massimo Gramellini, La Stampa, 18 luglio

È possibile che travestire una palestra da prima casa sia colpa infinitamente più grave che consegnare moglie e figlia di un dissidente al satrapo di un Paese fornitore di petrolio. Quindi non le dimissioni della perfida Idem si pretendono dal timido Alfano, ma semmai un’immissione sulla poltrona di ministro dell’Interno, che per sua stessa ammissione è attualmente disabitata. Alfano ha un vero talento nel non abitare le poltrone che occupa. Sarà per questo che gliene offrono in continuazione. Se fosse stato effettivamente il segretario del Pdl, quando il proprietario del partito gli fece ringoiare la promessa delle primarie avrebbe dovuto dimettersi. Ma lui non è il segretario del Pdl, lui non è il ministro dell’Interno, lui probabilmente non è neanche Alfano, ma un cortese indossatore di cariche per conto terzi. Tra le tante squisitezze che ha pronunciato l’altro giorno al Senato vi è l’affermazione perentoria che al cognato della signora kazaka (o kazakistana, per citare quell’acrobata del vocabolario di La Russa) i poliziotti non abbiano torto un capello. E pazienza se nell’intervista al nostro Molinari il cognato racconta di essere stato preso a pugni e ceffoni, come conferma il verbale del pronto soccorso pubblicato dall’«Espresso». Alfano era e rimane all’oscuro di tutto: pugni, ceffoni, cognati, forse anche che esista una polizia e che sia alle sue dipendenze. 
Rimane la speranza che certi giudizi come questo lo offendano a morte e che in un soprassalto di dignità il ministro ombra di se stesso si dimetta, preferendo passare per responsabile che per inutile. Ma la nostra è, appunto, solo una speranza.