Meglio tardi che mai: sicuro?

Diaz, Cassazione: «discredito sull’Italia agli occhi del mondo intero»

Mauro Biani

Riepilogo, per non dimenticare:  a capo del governo c’era berlusconi, al ministero dell’interno scajola [forse già a sua insaputa], c’erano la russa, fini, il regista, e gasparri che invocavano punizioni esemplari. I mandanti sono sempre gli stessi, cambiano nome ma non ruolo; da Portella della Ginestra alle stragi  neofasciste passando per le brigate rosse, al tentativo di golpe, servizi deviati al soldo del neofascismo e della mafia, la solita gente impunita fino ai giorni nostri.

La notte della Repubblica bis, targata berlusconi, durante la quale lo stato ha usato violenza a gente incolpevole, che dormiva, non ha difeso lo stato da pericolosi terroristi.

Essere un funzionario di polizia in Italia è un privilegio, perché si può tranquillamente tradire lo stato [di diritto?] che si rappresenta massacrando, ammazzando gente a calci e manganellate ed essere giudicati poi secondo la legge di uno stato di diritto.
Non finiremo mai di ringraziare mastella e l’indulto da lui voluto per fare un favore a berlusconi mentre era ministro col governo Prodi, che non si oppose,  decretando di fatto la morte del suo governo, e anche chi in tutti questi anni si è opposto affinché non si istituisse il reato di tortura, visto che la prescrizione ai macellai di stato è scattata proprio sul reato di lesioni e in assenza di quell’indulto molte sentenze avrebbero avuto tutt’altri esiti.

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Nel paese dove la giustizia uguale per tutt* è diventata ormai un’utopia quanto l’uguaglianza che mette quei tutt* allo stesso livello anche per quanto attiene alla giustizia, entrambe ordinate dalla Costituzione e dunque non opzionali ma obbligatorie, il ministro della giustizia  pensa a dei provvedimenti di facciata per salvare la sua faccia e la sua credibilità che lei stessa ha messo in discussione quando, da ministro, si attivò per accelerare i tempi della concessione degli arresti domiciliari all’amica di famiglia Ligresti.  Compito dello stato è – sempre per Costituzione – garantire  i diritti, fra i quali esiste anche quello della restituzione della giustizia a chi ne è stato privato, in special modo con la violenza. In Italia questo non succede  mai quando a commettere violenza e delitti sono i funzionari dello stato, ai quali viene riservato un trattamento diverso concedendo loro una corsia preferenziale anziché agire nei loro riguardi con maggior severità proprio perché rappresentano lo stato. 

G8 Genova, 3 poliziotti ai domiciliari 13 anni dopo. Agnoletto: “Ora le scuse”

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E furono tutti prescritti e contenti

15 giugno 2013

“Dice Amnesty International, che definì le violenze al G8 “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale”: “la Cassazione ha ribadito in modo definitivo che a Bolzaneto furono commesse gravi violazioni dei diritti umani, che la sentenza di ieri conferma le responsabilità della maggior parte degli imputati, ma la prescrizione comporta la sostanziale impunità per molti di loro”. E dice anche che da parte dello stato non c’è stata nessuna assunzione di responsabilità nel merito delle violenze.

La mancanza di una legge contro la tortura è una questione politica che la politica non ha nessuna intenzione di risolvere.

Molte sentenze a carico di funzionari dello stato hanno ammesso che quei funzionari in varie occasioni non hanno affatto tutelato l’ordine pubblico ma, al contrario, hanno contribuito in modo violento al disordine però non si possono punire perché [casualmente? eppure è l’Europa che ce lo chiede] manca il reato.

Le sentenze non si discutono? ma per favore”.

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Siamo ridotti talmente male che per festeggiare il compimento della giustizia basta che un processo si concluda con una sentenza. 
Quale che sia. 
Andò così per Federico Aldrovandi nonostante la non condanna dei quattro poliziotti che lo pestarono fino a spaccargli il cuore e a cui lo stato ha avuto la premura di mantenergli il posto di lavoro. 
E’ andata così per silvio berlusconi anche se non risulta nessuna applicazione della sentenza che lo ha condannato e nemmeno se ne parla per adesso, tanto abbiamo tempo: tutta la vita davanti, che problema c’è? 
E anche ora, dopo la non condanna di tre dei responsabili dei massacri di Genova al G8 c’è chi pensa che “giustizia” sia stata fatta. 
Dopo 13 anni, le promozioni in carriera dei vertici della polizia di stato fra cui i “condannati” di ieri, gli insulti a Carlo Giuliani, i non risarcimenti alle vittime della “più grave sospensione della democrazia dopo la seconda guerra mondiale” ordinata e voluta dalla politica ed eseguita dal braccio violento e infame del potere.

 

“Non voltiamo pagina. Per voltarla serve chiarezza su cosa è successo intorno a piazza Alimonda. E poi, ricordiamocelo tutti e con buona pace del giudice Caselli, se i nemici dell’economia imperante al G8 erano tutti quei ragazzi che gridavano ‘un altro mondo è possibile’, oggi i nemici dell’economia imperante sono i ragazzi della Val di Susa. Li caricano come allora e loro, come allora, chiedono giustizia. Attenzione a non girarci dall’altra parte, ancora una volta”. [Don Andrea Gallo, prete del Marciapiede]

E’ ufficialmente primavera

“Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. 
Ci sono entrato per caso. 
E poi ci sono rimasto per un problema morale. 
La gente mi moriva attorno.” 

[Paolo Borsellino]

 

Sottotitolo: L’Italia è un paese che soffoca nella verità negata. E uno stato che nega la verità sui morti di mafia, di stragi fasciste, di situazioni mai chiarite, non dimentichiamoci che se non fosse stato per la pervicacia della madre di Federico Aldrovandi  la questione sarebbe stata risolta con un suicidio per atti di autolesionismo, stessa cosa per Stefano Cucchi il cui caso è salito all’attenzione dei media grazie al coraggio della famiglia che ha permesso che si pubblicassero le foto del ragazzo “morto di fame”, non è uno stato giusto.

E non tutti se la sentono di rispettare a senso unico.

Bisogna togliere alla politica il controllo di tutto ciò che fa la politica, perché la polizia opera secondo la legge che fa la politica, esattamente come la magistratura; il loro agire è determinato da quello della politica, delle leggi che fa il parlamento. E quando il poliziotto pesta a sangue qualcuno fino ad ammazzarlo e poi gli autori delle violenze non vengono puniti come qualsiasi altro cittadino che commettesse le stesse violenze vuol dire che la politica, dunque lo stato, mette in preventivo che questo si possa fare. Che legittima l’agire violento, gli abusi delle forze dell’ordine.
Dunque ci vogliono dei supervisori al di sopra di ogni sospetto  perché come diceva qualcuno “lo stato non può processare se stesso”.

Ad esempio al Copasir che non è il circolo della bocciofila né l’ente statale che si può affidare nelle mani del solito raccomandato carrierista ma il comitato che si occupa della sicurezza del paese,  e che invece viene affidato alla politica che a proposito di Costituzione non ha sempre le idee chiare.

Senza verità non c’è mai giustizia. Antonio Manganelli era il vice di De Gennaro al g8 di Genova, ed era assente perché in vacanza.

E resta difficile comprendere  perché  un vice capo della polizia decida di andare in vacanza proprio durante lo svolgimento di un evento così importante. E comunque l’unico modo di chiedere scusa per uomini e donne dello stato, politici e funzionari è dare le dimissioni.

Ed eventualmente chiedere scusa dopo.

 

Preambolo: morire di una brutta malattia è un destino infame ma che comunque fa parte della fatalità e dei casi della vita.
Morire di botte per mano di poliziotti, dunque funzionari dello stato che poi vengono perdonati dallo stato che non li punisce, non li condanna concedendogli TUTTE le attenuanti e per farlo s’inventa perfino reati inesistenti, gli conserva perfino il posto di lavoro no, non è proprio la stessa cosa.
Non ci somiglia nemmeno.
Purtroppo non tutti disponiamo della grandezza d’animo dimostrata da Patrizia Moretti,  mamma di Federico Aldrovandi, se fossimo però capaci di toglierci il velo dell’ipocrisia e del perbenismo a tutti i costi forse sarebbe meglio, più costruttivo dei facili commenti a proposito di chi oltre alla pietas umana non riesce a provare, quando muore un uomo dello stato, di questo stato.

Che deve fare qualcuno per farsi almeno criticare [ché la morte non lava via proprio nulla] più che rappresentare chi  ha ammazzato un ragazzino a calci e a botte riprendendosi in casa i suoi assassini come se niente fosse accaduto? per aver ordinato i pestaggi e i maltrattamenti ai NOTAV, donne incinte comprese, a manifestanti di piazza che non fanno niente di male ma  chiedono il riconoscimento dei diritti,  la loro messa in pratica e il rispetto che si deve ai cittadini, a studenti che protestano per difendersi la scuola e il loro diritto allo studio sancito dalla Costituzione? non so.

Antonio Manganelli verrà  ricordato dai più  come il funzionario più pagato del mondo, perfino più del presidente americano che è stato a capo di una polizia troppo spesso indegna di uno stato civile, soprattutto grazie ai suoi dirigenti a cui piace il metodo della violenza e dell’abuso.

Mi fanno piuttosto schifo  quelli che gioiscono davanti alla morte di qualcuno, mi limito solo a considerare l’ipocrisia che circola ogni volta che muore un uomo dello stato, di questo stato.

 Sappiamo tutti che se la polizia usa certi sistemi è perché qualcuno ordina di farlo.

Ma veramente bastano le scuse del capo della polizia di stato per annullare tutte le violenze perpetrate a gente innocente, inerme in nome dello stato? magari, bastassero le scuse.

‘sta guerra fra bande di bloggers che difendono se stessi e giornalisti che devono occuparsi di quel che fanno i bloggers, delle loro cazzate tipo che l’aids è una leggenda metropolitana e dispensare i loro consigli anche a quelli eletti da nonsisabenechi a “coordinatori di comunicazione di portavoce” ufficiali di partito e che poi decidono di fare i  coordinatori dei portavoce senza voce di un partito che fa le conferenze stampa senza rispondere alla stampa  ha sinceramente rotto le palle, anche a chi non ne possiede.
Fatevi una telefonata, mandatevi una mail, regolate i vostri contenziosi a botte ma disoccupate la zona informativa per favore.
Non c’interessano le vostre beghe personali, molto spesso frutto di antichi rancori mai sopiti.

I portasilenzio
Marco Travaglio, 21 marzo

Nel ’94, per metter fine alla cacofonia dei suoi ministri che parevano usciti da Prova d’orchestra di Fellini, il Cainano nominò portavoce del suo primo governo Giuliano Ferrara. Che, come ministro dei Rapporti col Parlamento, aveva già instaurato col Parlamento i peggiori rapporti della storia repubblicana. L’uomo giusto al posto giusto. Anche come portavoce comunque non fu niente male: appena aprì bocca, accusò Borrelli di parlare “come un capomandamento mafioso” innescando una guerra termonucleare col Quirinale (c’era Scalfaro, non Mister Monito) e con la magistratura. Assediato da tutti i fronti, B. tolse la voce al portavoce, sospirando: “Qui ci vorrebbe un portasilenzi”. Da allora Ferrara portò solo se stesso, che comunque era già un bell’impegno. Qualcosa di simile, mutatis mutandis, accade da due giorni al M5S, dopo la geniale trovata di Casaleggio di spedire a Roma due noti blogger, Messora e Martinelli, come portavoce dei gruppi parlamentari. Messora è noto per le sue posizioni complottiste, espresse con foga in alcuni programmi tv, soprattutto L’ultima parola di Paragone. Martinelli è noto in rete per aver seguito come inviato, per i blog di Grillo e Di Pietro, alcuni processi dimenticati dalla stampa di regime (tipo Dell’Utri). Ma il blogger è per sua natura un cane sciolto, un solista dall’individualità molto spiccata, perché deve districarsi nella web-jungla con una trovata originale al giorno. Altrimenti sparisce. Una figura totalmente incompatibile con quella del portavoce, che deve annullare la propria personalità fino a diventare lo specchio dell’immagine altrui, il megafono delle decisioni altrui. In questo caso, dei gruppi di M5S alla Camera e al Senato. Ma soprattutto il portavoce dei gruppi parlamentari deve confrontarsi ogni giorno con la stampa parlamentare, che lavora prevalentemente per giornali e tv. Con i molti difetti e i pochi pregi ben noti, ma che non spetta a un portavoce stigmatizzare. Il tragicomico equivoco ha subito prodotto effetti esilaranti. Martinelli ha esordito mettendo in guardia i 5Stelle dall'”ingenuità” che li porta a “cadere nelle trappole di chi vuole sputtanarli”. Senonché subito dopo è caduto nella trappola da lui stesso fabbricata, dichiarando a La Zanzara (ottima idea, andare a La Zanzara) che l’euro fu “la mossa massonica di un gruppo di banchieri”. Il che, per carità, può anche essere, ma non pare il primo punto all’ordine del giorno di M5S, che chiede al Parlamento di varare subito i tagli alla casta e qualche misura per il rilancio dell’economia. Messora intanto spiegava di essere lì per costruire un “team” che “armonizzi le posizioni” dopo “il casino”. Il guaio è che al casino ha subito contribuito lui: anziché spiegare ai capigruppo che non si convoca una conferenza stampa senza domande, ha insultato su Facebook i giornalisti “pseudo-omuncoli” e “spalamerda”. Che, per carità, esistono: l’assalto quotidiano ai grilli per strappar loro un sì alla solita domanda che raccoglie solo no, “Voterete la fiducia al governo Bersani?”, è un caso di stalking umiliante che tradisce il servaggio di molti cronisti al regime dei partiti. Ma non spetta a un portavoce denunciarlo: il suo compito è rispondere a tutti, anche a chi non gli garba, magari per comunicare le iniziative che sono la vera forza di M5S: spulciare, chieder conto di tutto, costringere i partiti a seguirlo su terreni mai praticati come la sobrietà, i risparmi, la guerra ai privilegi, ai conflitti d’interessi, l’ineleggibilità dei condannati, la difesa dei deboli, dell’ambiente e degli altri beni comuni. Invece i nostri eroi fanno gli offesi perché “parlavamo a titolo personale” e i giornalisti non li hanno capiti (ma un portavoce non parla mai a titolo personale o, se vuole farlo, si dimette da portavoce). Il risultato è da ammazzarsi dalle risate: i portavoce, da ieri, sono in silenzio stampa.

Scontri un cazzo

Se un ministro dell’interno può esprimere apprezzamento e solidarizzare con le povere forze dell’ordine costrette loro malgrado ad un eccesso di uso del manganello, ognuno di noi è legittimato a solidarizzare con chi vuole, anche con chi, eventualmente e casualmente è vittima di pestaggi ordinati e voluti da TUTTE le politiche di questo paese.
La polizia e i carabinieri non agiscono come vogliono, ma fanno quello che qualcuno più in alto di loro gli chiede di fare.
Ma nonostante la mattanza di Genova e l’omicidio di Federico Aldrovandi, di Stefano Cucchi e di tutti i morti per caso, per sbaglio, per eccesso della qualunque c’è ancora troppa gente che fa finta di non sapere o, peggio ancora che giustifica chi massacra e uccide  in nome e per conto dello stato.

Scriveva Enrico Berlinguer:

Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e l’ingiustizia.

E ancora, Pasolini: “la Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratico – rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline.”

Tanto per dire, due Totem dimenticati dalla cosiddetta sinistra italiana.

A questi il pantheon non spetta. Non l’hanno meritato.

Video Manganellate in faccia 

Roma, un manifestante racconta: “Colpito alle spalle da agente”. Il video e la foto

Il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha espresso ”la più ferma condanna” per i gravi episodi di violenza verificatisi oggi in varie città. Ha, inoltre, espresso ”apprezzamento per l’operato delle Forze di polizia”.

C’è modo e modo, certo.
Ma vale per tutti, allora.
Per la politica a cui non si chiede di impoverire un paese, di fare in modo che lo studio e il lavoro siano privilegi riservati ad una élite di fortunati figli di papà e di mamme illustri.
E c’è modo e modo anche per fare in modo che le leggi e la loro applicazione non svantaggino poi chi a quell’impoverimento si ribella, cornuti e mazziati per un po’ si può anche sopportare, pensare però  che possa durare per sempre lo spettacolo di pochi eletti che leccano il gelato e di una platea immensa di chi sta a guardare è un’idea criminale.

Nel mio linguaggio quando qualcuno è disarmato e l’altro no si chiama repressione. Uno scontro prevede che si abbiano a disposizione le stesse armi e la stessa autorità. Se la lingua italiana ha ancora un significato.

 Voglio i numeri di chi ha preso le botte e come, quanti poliziotti e quanti manifestanti contusi sfregiati e feriti.

Poi parliamo di scontri o di sentenze che, perché INUTILI non hanno insegnato niente a certi farabutti in divisa.

E poi nome e numero di matricola, ché io voglio sapere chi è che mi rimanda a casa un figlio con la testa spaccata.

Lo voglio guardare in faccia,  se questo vuole diventare un paese civile, perché ancora non lo è né lo diventerà mai.

 Se tutto questo può accadere ancora e ancora non dipende da chi va alle manifestazioni col casco e il passamontagna, dai cosiddetti infiltrati di cui tutti sanno tutto meno chi è preposto a fermarli prima che facciano confusione,  ma dal fatto che in questo paese indossare una divisa è garanzia di impunità.

Le sentenze,  virtuali,  sulla Diaz e su Federico Aldrovandi ce lo hanno solo confermato.

Questo paese ha urgentemente bisogno di chi faccia in modo che di fronte ad una violazione della legge i cittadini tornino ad essere davvero tutti uguali come vuole l’articolo 3 della Costituzione.

Che chiunque si ponga oltre la legge si spogli immediatamente della sua professione e ruolo.

Sia che faccia il politico connivente con le mafie, il giornalista diffamatore per conto di un “delinquente naturale” o il poliziotto dal manganello facile.

C’è una sentenza che ha detto che l’Italia è stata infamata a livello mondiale dagli ordini di un ex capo della polizia che ha fatto pestare gente innocente, inerme, che dormiva per terra per dispetto e che oggi è sottosegretario alla sicurezza di questo paese. Nominato dal presidente del consiglio sobrio.

E questo dovrebbe bastare e avanzare, credo.

Sicuramente queste manifestazioni non otterranno nulla, ma mi auguro che qualsiasi cosa di positivo dovesse uscir fuori da questa protesta globale non abbia alcun effetto a vantaggio di quelli che ragionano “si può manifestare in un altro modo”.
Egoisti, ignoranti storici che avrebbero detto anche ai Partigiani di restarsene a casa perché ai fascisti non si doveva sparare, ché forse pareva brutto liberare un paese da un regime. 

Ed è a causa di gente così che in questo paese bisogna ridiscutere e ridifendere diritti già acquisiti praticamente tutti i giorni.
Perché la maggior parte di quelli che se li sono ritrovati fra le mani non sanno neanche da dove sono arrivati.
Quindi anche in questo modo, soprattutto in questo modo quando non ce n’è un altro per farsi ascoltare.
La mia stima e solidarietà quindi a chi mette a repentaglio la sua sicurezza e spesso la vita a beneficio del bene comune.
Anche del mio.

Solidarietà d’accatto

Sottotitolo: un normalissimo capoufficio risponde in prima persona, sempre, dell’operato dei suoi sottoposti.
Ma in questo paese più si sale di grado e meno è richiesta, anzi, pretesa  l’assunzione di responsabilità.
Questo non è solo sbagliato e ingiusto ma proprio pericoloso.
Il capo è tenuto ad assumersi le responsabilità di ciò che commettono i suoi subalterni. SEMPRE. E in casi come quelli di cui si parla, il minimo che fa è scusarsi e dimettersi,  soprattutto in relazione alla pervicace e protratta attuazione di depistaggi e minacce ai testi, il capo è professionalmente responsabile.
La solidarietà ai condannati sarebbe sufficiente a costringere il capo del governo a cacciarlo.
E comunque, nei paesi normali, le dimissioni sono la prassi in casi di questa gravità all’apertura del procedimento, senza neanche considerare le motivazioni relative alla possibilità che ha un poliziotto mantenuto in servizio di inquinare le prove.

Se un sottosegretario di governo può solidarizzare con la parte [purtroppo minima] dei criminali che hanno ordinato e fatto eseguire i massacri al G8 nella notte della repubblica bis di questo paese, durante la quale ci fu la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese dal dopoguerra in poi secondo la stima [moderata] di Amnesty International significa che da ieri in poi ognuno di noi è legittimato a solidarizzare con chi vuole, anche con chi, eventualmente, si ribella a questo stato ridicolo gestito da gente altrettanto ridicola quanto pericolosa dove leggi e giustizia vengono applicate e fatte rispettare ad cazzum, e a certe solidarizzazioni d’accatto.
Io, ho già iniziato.

La madre di Aldrovandi: “Accetto le scuse, ma non riesco a perdonare”

Dopo la richiesta d’incontro del capo della polizia Manganelli e del ministro Cancellieri, Patrizia Moretti scrive sul suo blog: “Accetto volentieri, non ho mai provato rancore per la polizia, ma per me Federico è ancora lì, su quell’asfalto, mentre invoca aiuto e supplica coloro che lo bastonano di smetterla”.

[Troppo buona questa madre, io non avrei accettato nemmeno le scuse]

Diaz, De Gennaro: “Le sentenze vanno rispettate anche quando assolvono”

“Nelle parole dell’ex capo della polizia non c’è nemmeno l’ombra delle scuse che, se pur solo formalmente, ha chiesto il suo successore Manganelli”. “De Gennaro – aggiunge – con arroganza rivendica ogni cosa e, sfottendo i giudici, osa addirittura affermare che tutto si è svolto secondo la Costituzione, lui che a Genova nel 2001 era il capo della polizia e quindi il responsabile della gestione dell’ordine pubblico”. “Nemmeno una critica – sottolinea Agnoletto – verso i dirigenti di polizia condannati per reati estremamente gravi, ai quali va anzi la sua solidarietà. La stessa solidarietà in nome della quale per undici anni i vertici della polizia hanno cercato di impedire l’azione dei pubblici ministeri e di bloccare i processi. Per tutti gli altri resta solo un generico dolore; nemmeno un accenno alle vittime della violenza provocata dai suoi sottoposti”. “In qualunque altro Paese europeo De Gennaro sarebbe stato sospeso dall’incarico già nel 2001; è inaccettabile – conclude Agnoletto – che resti al governo nel silenzio colpevole di tutto il parlamento”. [Vittorio Agnoletto]

De Gennaro assolto. Ma solo in tribunale

Noi popolo, gente comune, normale, dunque esente da privilegi e immunità nell’eventualità dovessimo commettere qualche reato non siamo praticamente nessuno per impedire che i politici abbiano, amicizie come dire, più che discutibili con delinquenti, mafiosi et similia.
Però da popolo, da gente che in linea di massima certa gente non la frequenta, non l’ammira né la considera ‘eroe’ non dovremmo considerare normale che quei politici esprimano pubblicamente, ad esempio da presidente della camera la loro solidarietà ad un condannato per mafia come fece casini appena si concluse il processo a totò – cuffaro – vasa vasa.

E come fanno puntualmente onorevoli, senatori, deputati di ogni schieramento ogni volta – quasi mai, dunque – che un politico deve passare per il giudizio di un tribunale.
E non dovremmo considerare normale che un sottosegretario, Gianni De Gennaro, fresco di nomina [per decisione di Mario Monti che non è lì per fare politica, s’intende, e chissà che farebbe se la potesse/dovesse fare] perché scampato, grazie all’iniquità della giustizia italiana ad una condanna sacrosanta a proposito della sua responsabilità sui massacri del G8 di Genova – visto che all’epoca era lui il capo della polizia dunque proprio il primo responsabile dell’operato dei suoi uomini e donne – si dispiaccia ed esprima altrettanto pubblicamente solidarietà e affetto a quegli uomini così “duramente colpiti” perché nonostante tutti i tentativi degli apparati dello stato di fare in modo che non si arrivasse mai ad un processo né ad una sentenza non sono riusciti a scampare ad una condanna, benché ipotetica e virtuale dal momento che la vita di queste persone non cambierà né è cambiata in questi undici lunghissimi anni. Tanto infatti c’è voluto per stabilire che l’assassino stavolta, era proprio e solo il maggiordomo.

Anzi, è perfino migliorata.

Gente che ha fatto carriera sulla pelle altrui e non per modo di dire ma per modo di fare.
 In un paese normale ci si dimette per molto meno di atteggiamenti e dichiarazioni di questo tipo, qualcuno, magari Napolitano,  lo dica a De Gennaro.

Si può essere solidali da privati cittadini, ma quando si rappresenta lo stato sarebbe meglio dimostrare di essere dalla parte dello stato, dunque quella della gente onesta, che non abusa del suo ruolo, che non ordina massacri né li esegue,  che non ammazza ragazzini a manganellate e a calci, che non si mette mafiosi in casa mascherati da stallieri, non li frequenta né si dispiace quando vengono  condannati né si duole quando, raramente, lo stato riesce a processare  chi invece, proprio grazie al suo ruolo ha commesso crimini che una persona qualunque  avrebbe pagato con anni ed anni di carcere.

Chi rappresenta lo stato si mette dalla parte delle vittime senza se e senza ma, non certo  da quella dei carnefici.

Una legge contro le torture [di stato] servirebbe anche a dare sicurezza a chi vuole manifestare pacificamente, ovvio che poi, chi rompe paga, ma in un paese normale non si possono rischiare 15 anni di galera per devastazioni e, di contro, condonare con l’indulto tre miseri anni  per omicidio  volontario [altro che colposo] e praticamente niente grazie alle prescrizioni chi massacra di botte decine di persone inermi, indifese e disarmate causando danni permanenti che non sono stati mai nemmeno risarciti.

L’altra verità politica nel merito  di questo episodio disgustoso, degno dei peggiori regimi sudamericani, nazisti, inaccettabile per una società che vuole dirsi civile è che tutto sommato alle istituzioni repubblicane, democratiche, va bene che un ex capo della polizia abbia un precedente grave e mai sanzionato  come quello di aver comandato la polizia di stato anche quando bastonava e massacrava. Così bene da averlo elevato di grado nominandolo nientemeno che sottosegretario alla sicurezza del governo.
Promosso perché incapace quindi innocuo o perché ha eseguito bene gli ordini ai tempi, quindi capace ma con comportamento e mentalità criminale, dunque inadatto a ricoprire qualsiasi carica che abbia a che fare con uno stato democratico?

E Napolitano, il presidente di tutti [?], come di solito fa quando invece ci sarebbe molto da dire, tace.

A volte, per quanto ci si sforzi, tutto appare inutile…

 059 200200 numero unico protezione civile assistenza zona #Modena #terremoto. Facciamo girare il più possibile. E’ UN DISASTRO.

Terremoto, scossa in Emilia e nel Nord
“Crolli capannoni industriali: almeno 8 morti”

“Finale, giù case”. Crolla duomo Mirandola Foto Twitter
Terrore nelle zone già colpite.Avvertita anche a Milano
L’appello: togliete le password dai vostri impianti wi-fi

Napolitano: la verità sulla strage di Brescia del 28 maggio 1974 “fu ostacolata da apparati dello Stato.”

Più che un monito, una confessione in piena regola visto che Napolitano è stato casualmente anche ministro dell’Interno in questo paese e, se avesse voluto, avrebbe potuto contribuire a sbrogliare le matasse che riguardano le stragi impunite magari agendo su quell’obbrobrio che si chiama segreto di stato. Qui tutti possono avere segreti, lo stato, la chiesa, meno noi  cittadini che possiamo essere passibili di qualsiasi controllo, che veniamo trattati da delinquenti anche quando non lo siamo mai stati.

Fa male dovere ascoltare, anno dopo anno, ad ogni commemorazione, ricorrenza tragica,  le solite parole vuote di significato e così piene,  invece e soltanto, di retorica e di una sottile, ma nemmeno tanto, presa per i fondelli verso tutti coloro che hanno perso persone care nelle stragi di stato.

OSSERVATORIO sulla REPRESSIONE: G8 Genova: La vergogna continua…. assolto De Gennaro

Chissà che emozione si prova a svegliarsi ogni giorno in uno di quei paesi [e sono tanti] dove a nessuno [tantomeno ad un capo di governo che, fino a prova contraria dovrebbe agire in nome e per conto del popolo che amministra] verrebbe in mente di promuovere, dunque premiare persone con procedimenti penali in corso, e tantomeno a quelle persone verrebbe concesso di occuparsi [nel frattempo] di politica, giustizia, pubblica sicurezza.
E tutto questo – sembra incredibile – ma accade anche quando le sentenze non sono ancora definitive.
Cioè, c’è qualche povero illuso, utopista, visionario [o populista qualunquista, chissà] ai piani alti delle istituzioni di quei paesi in giro per il mondo che pensa che non sia il caso di promuovere, premiare, concedere di fare politica, occuparsi della sicurezza dello stato e dunque dei cittadini, a gente con dei trascorsi poco chiari, e ci sono paesi dove – [ri]sembra incredibile – che la giustizia sia [davvero] uguale per tutti non è uno stupido luogo comune, una banalità da barzellette al bar ma la verità.

– Diaz Genova 2001, Agnoletto: “Tutto già scritto da anni, gli intoccabili sono salvi”

Il Manifesto

Tutto come da copione. Tutto era già scritto da molto tempo, fin da quell’ ormai lontano luglio 2001. I vertici della polizia non pagheranno mai per le violenze della scuola Diaz, sono intoccabili.

Anzi chi ha partecipato a quella mattanza, chi non è intervenuto ad interrompere lo torture, chi ha ordinato quell’assalto, chi ha costruito prove false va ringraziato e promosso. E visto che le condanne in appello hanno toccato anche i più alti vertici delle forze dell’ordine gli imputati e i condannati hanno pensato bene di promuoversi a vicenda fra loro; poi ci ha pensato la politica con logica bipartisan a promuovere chi stava in cima alla piramide. A cancellare le condanne emesse da qualche giudice che non è stato al gioco ci ha pensato (processo De Gennaro) e ci penserà (tra meno di un mese per il processo Diaz) la Cassazione. Tutto sarà cancellato, come se nulla fosse accaduto.
Le anticipazioni sulle motivazioni della sentenza con la quale la Cassazione ha assolto De Gennaro, dall’accusa di aver istigato l’ex questore di Genova alla falsa testimonianza e per la quale l’ex capo della polizia era stato condannato in appello ad un anno e quattro mesi non entrano minimamente nel merito delle specifiche accuse, non affrontano i fatti per i quali De Gennaro era stato condannato.

La questione era molto semplice: è vero che De Gennaro e Colucci, , si sono incontrati a Roma, e che De Gennaro ha spinto Colucci ha modificare la versione fornita, in modo tale da lasciare “il capo” totalmente fuori da tutta la vicenda ? Oppure Colucci nelle telefonate intercettate millantava fatti che non erano accaduti ? E’ lo stesso De Gennaro che davanti ai magistrati, spiega le ragioni del suo interessamento alla deposizione di Colucci: non certo un’interferenza,sostiene, ma un’azione tesa a trovare “la consonanza per l’accertamento della verità”. Ma fino a prova contraria per l’accertamento della verità la dovrebbero stabilire i magistrati ricostruendo i fatti e non due testimoni!!

Di tutto questo la Cassazione non parla. Ma la Cassazione sta anche ben attenta a non dire mai che non c’è prova, perché tale affermazione condurrebbe sì all’annullamento del processo d’appello, ma con rinvio ad un nuovo processo con il conseguente rischio di una nuova condanna. La Cassazione parla d’altro afferma che per De Gennaro “non si è acquisita alcuna prova o indizio di un ‘coinvolgimento’ decisionale di qualsiasi sorta nell’operazione Diaz”; ma non è questa l’accusa per la quale De Gennaro era stato condannato. L’accusa lo ripetiamo era l’istigazione alla falsa testimonianza del questore di Genova con l’obiettivo di evitare qualunque possibile coinvolgimento di De Gennaro nella notte cilena della Diaz. Ovvio che qualora la prima versione del questore fosse quella vera, ossia che fu De Gennaro a consigliarli di chiamare quella notte l’addetto stampa della polizia a tenere la conferenza stampa davanti alla Diaz sarebbe stato difficile sostenere che il capo della polizia era all’oscuro di quanto stava avvenendo. Ma I pubblici ministeri proprio per evitare di essere accusati di aver costruito dei teoremi si erano rigidamente attenuti a dei fatti, che la Cassazione ha invece totalmente ignorato.

La lettura delle motivazioni confermano ancora una volta che la sentenza di assoluzione di De Gennaro senza nemmeno il rinvio ad un nuovo processo prescinde totalmente da qualunque questione di diritto, ma ribadisce una verità molto semplice: nel nostro Paese c’è chi è al di sopra di ogni legge, intoccabile. E questo qualcuno è stato recentemente nominato sottosegretario alla sicurezza della Repubblica, con il plauso bipartisan del Parlamento. Se la sicurezza che tutelerà i cittadini italiani nel prossimo futuro è quella che abbiamo sperimentato la notte del 21 luglio a Genova c’e da preoccuparsi. E non poco.


Non sono Stato loro

“Ragion di stato” come se piovesse. Anche questo, evidentemente, fa parte della strategia finalizzata ad allentare le tensioni sociali.

Prosciolto De Gennaro: non fu coinvolto nell’operazione Diaz.

Il primo caso nella storia di tutti i tempi  [e di tutto il mondo, presumo]  di qualcuno che,  all’epoca dei fatti del G8 di Genova e dei relativi massacri compiuti dalle forze dell’ordine alla Diaz e a Bolzaneto (su ordine di chi,  di Topo Gigio, di Gargamella?) era capo della polizia a sua insaputa.

Nessuna prova contro Gianni De Gennaro ma sugli occupanti della Diaz sono state compiute “inqualificabili violenze”. Si torturava  gente innocente, incolpevole, inerme e senza difese a sua insaputa.

Gianni De Gennaro è stato appena nominato da Monti sottosegretario per la sicurezza della Repubblica Italiana.

Da Portella della Ginestra a Genova, passando per Brescia fino ad arrivare nel cielo di Ustica ma,  quando lo stato, questo stato, non può dare una risposta forse  perché sarebbe fin troppo ovvia, lo fanno per noi, per non considerarci dei perfetti imbecilli, ecco,  non condanna mai nessuno.
Sessant’anni di repubblica durante i quali sono accaduti gli orrori più efferati che però  non hanno mai trovato una risposta e dunque nemmeno giustizia.
Il colpevole non c’è, non si trova,  non confessa e quindi non si può condannare nessuno.
Non è mai  Stato nessuno.

Eppure ci sono paesi dove avere un ruolo comporta davvero maggiori responsabilità, e in caso di violazioni della legge di chi ricopre quei ruoli le pene sono adeguate proprio per evitare che la gente perda fiducia nelle istituzioni.

Qui no, nonostante e malgrado le istituzioni abbiano fatto e facciano di tutto per far perdere la fiducia non solo non succede niente, ma quelle ‘istituzioni’ vengono anche premiate, anziché punite.

Ma se lo dici sei giustizialista, qualunquista, populista, terrorista.

Ecco perché Monti De Gennaro l’ha voluto sottosegretario:  per premio, per non aver commesso il fatto; fosse stato quell’altro lo avrebbe nominato prima della sentenza, affinché non avesse niente da rischiare.

A mafialand ha sempre funzionato così, nel silenzio dei conati di monito, peraltro.
Io penso che uno schifo più schifo di questo non esista in nessuna parte del mondo.

Viene voglia di smettere anche di pensare. Siamo disarmati, non possiamo decidere niente, non possiamo ribellarci alle ingiustizie, non possiamo dire quello che non va bene senza essere accusati di essere contro lo stato, contro la politica, e invece quelli che lo stato l’hanno violentato vengono premiati, promossi, encomiati; sinceramente: quanto ancora si può sopportare tutto questo? c’è da sentirsi male a vivere in questo paese ridicolo, dove c’è paura a condannare qualcuno quando lo merita solo in virtù dell’abito che porta, che sia una divisa, una tonaca o un doppiopetto blu.

Non vorrei sentire più nessuno parlare di Italia come di uno stato di diritto, ci risparmiassero almeno questa indecenza, questa grossolana menzogna, questa falsità.

Pulizia di Stato – Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano – 24 aprile

Gentile dottor Antonio Manganelli, come capo della Polizia lei avrà senz’altro visto il bellissimo film Diaz di Daniele Vicari che sta riscuotendo un buon successo di pubblico nelle sale.
L’ho visto anch’io assieme a mio figlio che — posso assicurarle — non è stato educato all’odio contro le forze dell’ordine. Anzi, personalmente ho sempre pensato e detto che, fino a prova contraria, le forze dell’ordine sono dalla parte del giusto.
Eppure, all’uscita dal cinema, mio figlio che ha 17 anni ha commentato: “Mi è venuta una gran voglia di prendermela con i poliziotti”.
Ho cercato di spiegargli che quel che accadde 11 anni fa al G8 di Genova è un unicum, tant’è che ancora se ne parla, al punto da farci un film.
Che non tutti i poliziotti sono come quelli ritratti da Vicari.
Anzi, la maggior parte prova per quelle scene (purtroppo reali, documentate da testimonianze e filmati e atti processuali) lo stesso orrore che proviamo noi.
E ogni giorno migliaia di agenti rischiano la pelle per un misero stipendio, catturando killer della mafia addirittura con le proprie auto, com’è accaduto ancora l’altro giorno in Calabria, visto che le volanti sono spesso senza benzina o arrugginiscono guaste nei garage per i continui tagli al bilancio dell’ordine pubblico.
Ma temo di non averlo convinto. E lo sa perché? Perché alla fine del film una scritta agghiacciante ricorda che decine di quegli agenti e dirigenti violenti e deviati sono stati condannati in primo e secondo grado per le mattanze alla Diaz e a Bolzaneto (a proposito: si spera che la Cassazione si sbrighi a giudicarli, per evitare che la facciano franca per la solita prescrizione), ma nessuno è stato rimosso dal corpo.
Qualcuno anzi ha fatto addirittura carriera.
Come Vincenzo Canterini che, dopo la condanna in primo grado a 4 anni per la Diaz, divenne questore e ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest.
O Michelangelo Fournier, quello che al processo parlò di “macelleria messicana”, che dopo la prima condanna a 4 anni e 2 mesi ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga.
O Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un ragazzo di 15 anni, condannato in tribunale a 2 anni e 4 mesi per le sevizie di Bolzaneto e a 2 anni e 3 mesi per arresti illegali, e subito dopo promosso capo della Questura di Genova e poi dirigente di quella di Alessandria.
Molti di loro avrebbero subito sanzioni ancor più pesanti se l’Italia avesse recepito il reato di tortura, cosa che non avvenne per la strenua opposizione del Pdl e della Lega, guardacaso al governo nel 2001 e dunque responsabili politici e morali di quel che accadde. Nemmeno il dirigente che portò nella Diaz due molotov ritrovate altrove per giustificare ex post l’ignobile pestaggio di gente inerme fu cacciato dalla polizia.
E nemmeno quello che, come si vede nel film, si ferì da solo per simulare un corpo a corpo con i fantomatici “black bloc” che in quella
scuola, quella notte, non esistevano. Molti altri, nascosti sotto l’anonimato del casco, non sono stati identificati, dunque neppure processati. È difficile non pensare che gli agenti che si sono macchiati di violenze gratuite negli ultimi anni, per esempio in Val di Susa contro i No-Tav, possano essere gli stessi che la passarono liscia per i fatti di Genova, o altri loro emuli, incoraggiati dall’impunità generale. Lei, dottor Manganelli, 11 anni fa non era a Genova e non può essere ritenuto responsabile di quel che accadde. Ma oggi che la verità processuale è sotto gli occhi di tutti, validata dai due gradi di giudizio di merito (la Cassazione deve pronunciarsi solo sulla legittimità delle sentenze) e finalmente immortalata da un film (era già tutto nel documentario Bella ciao di Giusti, Torelli e Freccero, ma la Rai vergognosamente lo censurò), non può chiamarsi fuori. La prego, metta subito alla porta chi si macchiò di quei crimini orrendi.
Ci aiuti a credere ancora nella Polizia di Stato.

Pulizia di Stato

L’onta delle promozioni assegnate ai responsabili della “più grave sospensione dei diritti democratici di un paese dal dopoguerra in poi” come fu giustamente definito da Amnesty International il massacro di Genova al G8 del luglio 2001  non potrà mai essere cancellata.

Guardare “Diaz” è stata una vera prova di forza fra me e le mie emozioni.
E penso che questa sia stata una delle pochissime occasioni in cui ho provato davvero una profonda vergogna per questo paese. Non c’è solo la gravità dei fatti accaduti, la morte di Carlo, c’è soprattutto quel marchio di infamia sulle conseguenze, per un fatto del genere si sarebbe dovuto fermare il mondo, e invece per la giustizia italiana non è successo praticamente niente.

Non penso sia giusto generalizzare, io non sono fra quelli che lo fanno, loro, le forze dell’ordine  però sì, lo hanno fatto, e più della violenza in sé è stata la violenza gratuita verso persone che non avevano nessuna colpa, anche se nulla avrebbe potuto giustificare un trattamento del genere.
Quel film dovrebbe essere inserito nei programmi scolastici delle scuole primarie e secondarie per insegnare a bambini e ragazzi come non si deve mai essere né diventare.
E non perdonerò mai Di Pietro per essersi opposto alla Commissione di inchiesta sui fatti di Genova.


Genoa-Siena, stadio Marassi
a porte chiuse per due turni

I compari del calcio

Fa piacere che il ministro Cancellieri abbia elogiato il comportamento delle forze dell’ordine a proposito dei fatti vergognosi accaduti allo stadio di Genova. Mi auguro che possa fare lo stesso anche quando, anziché fronteggiare un manipolo di delinquenti mascherati da tifosi di calcio le forze dell’ordine verranno chiamate a garantire la stessa sicurezza che è stata assicurata a loro anche a chi partecipa ad eventi ben più importanti di una partita di calcio.

Pulizia di Stato – Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano – 24 aprile

Gentile dottor Antonio Manganelli, come capo della Polizia lei avrà senz’altro visto il bellissimo film Diaz di Daniele Vicari che sta riscuotendo un buon successo di pubblico nelle sale.
L’ho visto anch’io assieme a mio figlio che — posso assicurarle — non è stato educato all’odio contro le forze dell’ordine. Anzi, personalmente ho sempre pensato e detto che, fino a prova contraria, le forze dell’ordine sono dalla parte del giusto.
Eppure, all’uscita dal cinema, mio figlio che ha 17 anni ha commentato: “Mi è venuta una gran voglia di prendermela con i poliziotti”.
Ho cercato di spiegargli che quel che accadde 11 anni fa al G8 di Genova è un unicum, tant’è che ancora se ne parla, al punto da farci un film.
Che non tutti i poliziotti sono come quelli ritratti da Vicari.
Anzi, la maggior parte prova per quelle scene (purtroppo reali, documentate da testimonianze e filmati e atti processuali) lo stesso orrore che proviamo noi.
E ogni giorno migliaia di agenti rischiano la pelle per un misero stipendio, catturando killer della mafia addirittura con le proprie auto, com’è accaduto ancora l’altro giorno in Calabria, visto che le volanti sono spesso senza benzina o arrugginiscono guaste nei garage per i continui tagli al bilancio dell’ordine pubblico.
Ma temo di non averlo convinto. E lo sa perché? Perché alla fine del film una scritta agghiacciante ricorda che decine di quegli agenti e dirigenti violenti e deviati sono stati condannati in primo e secondo grado per le mattanze alla Diaz e a Bolzaneto (a proposito: si spera che la Cassazione si sbrighi a giudicarli, per evitare che la facciano franca per la solita prescrizione), ma nessuno è stato rimosso dal corpo.
Qualcuno anzi ha fatto addirittura carriera.
Come Vincenzo Canterini che, dopo la condanna in primo grado a 4 anni per la Diaz, divenne questore e ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest.
O Michelangelo Fournier, quello che al processo parlò di “macelleria messicana”, che dopo la prima condanna a 4 anni e 2 mesi ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga.
O Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un ragazzo di 15 anni, condannato in tribunale a 2 anni e 4 mesi per le sevizie di Bolzaneto e a 2 anni e 3 mesi per arresti illegali, e subito dopo promosso capo della Questura di Genova e poi dirigente di quella di Alessandria.
Molti di loro avrebbero subito sanzioni ancor più pesanti se l’Italia avesse recepito il reato di tortura, cosa che non avvenne per la strenua opposizione del Pdl e della Lega, guardacaso al governo nel 2001 e dunque responsabili politici e morali di quel che accadde. Nemmeno il dirigente che portò nella Diaz due molotov ritrovate altrove per giustificare ex post l’ignobile pestaggio di gente inerme fu cacciato dalla polizia.
E nemmeno quello che, come si vede nel film, si ferì da solo per simulare un corpo a corpo con i fantomatici “black bloc” che in quella
scuola, quella notte, non esistevano. Molti altri, nascosti sotto l’anonimato del casco, non sono stati identificati, dunque neppure processati. È difficile non pensare che gli agenti che si sono macchiati di violenze gratuite negli ultimi anni, per esempio in Val di Susa contro i No-Tav, possano essere gli stessi che la passarono liscia per i fatti di Genova, o altri loro emuli, incoraggiati dall’impunità generale. Lei, dottor Manganelli, 11 anni fa non era a Genova e non può essere ritenuto responsabile di quel che accadde. Ma oggi che la verità processuale è sotto gli occhi di tutti, validata dai due gradi di giudizio di merito (la Cassazione deve pronunciarsi solo sulla legittimità delle sentenze) e finalmente immortalata da un film (era già tutto nel documentario Bella ciao di Giusti, Torelli e Freccero, ma la Rai vergognosamente lo censurò), non può chiamarsi fuori. La prego, metta subito alla porta chi si macchiò di quei crimini orrendi.
Ci aiuti a credere ancora nella Polizia di Stato.