L’unica riforma da fare è quella politica, altroché

Il magnifico stato italiano che fa fallire le imprese che lavorano per per conto dello stato che non le  paga è sempre pronto ad elargire laute prebende ai supermanager che fanno fallire le aziende di stato. 

La liquidazione e il vitalizio concessi a berlusconi sono uno schiaffo all’onestà, alla povertà, all’incertezza di chi a fine mese non viene pagato perché il datore di lavoro è in difficoltà e spesso costretto a dover scegliere se pagare gli stipendi o diventare un evasore fiscale al quale però non viene poi riservato nessun trattamento di favore come è stato fatto per il più ladro e più delinquente di tutti.

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1993-2013: storia del fuggiasco di successo

Dalla discesa in campo per evitare le manette e il crac delle sue aziende alla strenua lotta contro la legge Severino per scampare la decadenza: il ventennio di berlusconi tra cadute e resurrezioni. Con aiutini della sinistra e milioni di italiani che si sono riconosciuti nella sua eterna fuga dalle regole.

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Grandioso il TG3 della Berlinguer che si è perso la dichiarazione della decadenza in diretta dal senato. Che faceva Bianca mentre a palazzo Madama si liberavano dell’impostore delinquente?

Riccardo Mannelli

La politica ha il terrore che la storia si ripeta. Ecco perché i berlusclowns ma anche qualcuno nel pd avrebbero preferito che berlusconi facesse il passo indietro, oppure che si aspettassero i tempi dell’interdizione e addirittura la revisione della legge Severino. Un’uscita silente, senza dare troppo nell’occhio ché il paese è piccolo, la gente mormora e magari impara pure a non votare i criminali. Chissà.
Mentre invece la decadenza di b è stata educativa, pedagogica: i lor signori devono imparare che se la legge è uguale per tutti, per i noi soprattutto, a maggior ragione lo deve essere per loro che fanno le leggi. 

Se la legge Severino così com’è non era applicabile, se fino all’ultimo ieri tutti si appellavano al giudizio ultimo della Corte significa che devono andare tutti a casa, perché sono manifestamente incapaci anche di farsi una legge che gli permette ancora di delinquere, ma solo un po’.
La legge Severino non serve al popolo, non ci dà da mangiare come si era giustificato fassino quando gli chiesero perché non si faceva quella sul conflitto di interessi. Con una legge contro il conflitto di interessi invece avremmo mangiato un po’ di più tutti, non solo qualcuno, specialmente uno.

Hanno ragione Marco Travaglio e anche Massimo Rocca, non ha ragione casini, e perché mai dovrebbe averla quando dice che non vuole che il ventennio di b si riduca ad una lettura di tipo criminale. 

Perché invece è esattamente così, come fu per il disastro politico del dopo Mani pulite anche la cacciata di b, abusivo della prima ora e non dell’ultima ci racconta la storia di una politica che non sa tenersi lontana dal malaffare e dalla criminalità, quella mafiosa di dell’utri, non ancora decaduto né cacciato e quella comune dei Lavitola, dei Tarantino, di questi cosiddetti “faccendieri” che non si capisce che mestiere facciano ma che hanno sempre le mani in pasta nella politica. 

La politica italiana non si sa autogestire e non è colpa dei Magistrati che se ne accorgono e devono intervenire perché quello è il loro lavoro. 

Con un’opposizione vera, che avesse saputo almeno ridurre il danno di aver contribuito a quella che non è stata affatto una discesa ma quell’invasione di campo che ha permesso a berlusconi di entrare in un ambito che non gli competeva per legge non saremmo mai arrivati fino a ieri.

berlusconi sarebbe stato fermato molto prima. 

Invece non solo nessuno lo ha fermato ma è stato addirittura agevolato, tutti, fino ad una manciata di giorni fa hanno fatto finta finta di niente, di non accorgersi che la faccia, l’agire di berlusconi di queste sue ultime ore da “senatore” sono stati uguali a quelli con cui si è presentato agli italiani vent’anni fa.

Per due decenni le istituzioni, la politica, la chiesa che ha iniziato a ridurre il suo appoggio a b solo dopo le storiacce di HardCore hanno retto il gioco ad un delinquente comune, ecco perché nessuno si deve permettere di dire che in Italia si è fatto un uso politico della giustizia. 

Perché la giustizia è la stessa che lo voleva fermare vent’anni fa ma non lo ha potuto fare perché è stata la politica – che ieri come oggi non ha mai saputo, o potuto affrancarsi dalla criminalità – ad andare in soccorso di silvio berlusconi. In Italia non c’è un problema giustizia come vogliono farci credere quelle e quelli che ieri dal senato sbraitavano e singhiozzavano disperati contro la malasorte di berlusconi: in Italia il problema, il dramma è che chi fa le leggi non le fa strettamente in funzione dei tutti ma le fa specialmente in considerazione del fatto che a subirle poi potrebbero essere loro.

Resistere, resistere, resistere – Massimo Rocca – Il Contropelo di Radio Capital

Hanno resistito, resistito, resistito. E oggi è il caso di ricordarli ì primi. I giudici guidati da Francesco Saverio Borrelli. Perchè alla fine, ha ragione Berlusconi nel suo tetro discorso di via del Plebiscito, sono stati loro e non la politica, che con lui pensava fino all’altro ieri di riscrivere la Costituzione, ad aver ragione della deviazione. La politica che ancora ieri mattina nelle parole di Casini chiedeva che il ventennio non fosse ridotto ad una lettura di tipo criminale. Lo stesso appello che la politica aveva lanciato ai tempi di mani pulite, la vicenda del partito socialista e in parte quella della democrazia cristiana non potevano essere lette solo come una storia criminale. Ma anche come una storia criminale si. E’ questa purtroppo è la storia politica dei nostri ultimi quaranta anni. Un romanzo criminale di cui la maggioranza degli elettori e la quasi totalità dei politici si sono resi complici, per ignavia, cinismo, incapacità, collusione. E come aver estirpato il tumore craxiano non ha guarito il paese, temo che non basterà neppure aver rimosso quello berlusconiano. Da qualche parte altre cellule malate aspettano di farsi avanti.

Avanti i prossimi
Marco Travaglio, 28 novembre

Diciamo la verità fino in fondo. Se ieri, per la prima volta nella sua storia, il Parlamento italiano ha espulso un pregiudicato solo ed esclusivamente perché è pregiudicato (e non per effetto dell’interdizione dai pubblici uffici), il merito non è del Parlamento italiano. Ma di una serie di soggetti che stanno fuori. Anzitutto un pugno di giornalisti, alcuni dei quali scrivono su questo giornale, che denunciano da anni sullo scandalo degli onorevoli condannati. E poi di Beppe Grillo, che raccolse quella battaglia sul suo blog con la campagna “Parlamento Pulito”, arrivando nel 2005 ad acquistare una pagina del-l’Herald Tribune (la stampa italiana naturalmente si tirò indietro) per pubblicare la lista delle “quote marron”, e a raccogliere al V-Day del 2007 centinaia di migliaia di firme per una legge di iniziativa popolare che naturalmente fu insabbiata in Parlamento. Senza quel martellamento, che impose il tema nell’opinione pubblica, e senza la paura del trionfo dei 5 Stelle, la legge Severino non sarebbe stata approvata, né presentata, né forse pensata. Poi naturalmente il merito è di alcuni magistrati di Milano: il tanto bistrattato (non a caso) pm Fabio De Pasquale e dei collegi di tribunale e d’appello presieduti da Edoardo d’Avossa e Alessandra Galli, che hanno condotto le indagini e i dibattimenti sul caso Mediaset con fermezza e correttezza, senza raccogliere le infinite provocazioni fabbricate a getto continuo dall’imputato e dai suoi onorevoli avvocati. Sostenuti da sparuti settori della società civile, hanno ignorato gli alti moniti che li invitavano a non disturbare la pacificazione e le larghe intese, insomma a prendersela comoda e a lasciar prescrivere anche quel processo, come altri sette a carico del Caimano: l’ultimo, il processo Mills, cadde scandalosamente in prescrizione 10 giorni prima della sentenza di primo grado, e forse un giorno le stranezze che ne hanno costellato l’ultima fase troveranno una spiegazione e una sanzione per i responsabili.

Ma il merito più grande l’ha Antonio Esposito, fortunatamente capitato per normale turnazione a presiedere la sezione feriale della Cassazione nel luglio di quest’anno. Avrebbe potuto fingere di non vedere che, nel riquadro in alto a destra del fascicolo Mediaset, la Procura generale della Corte d’appello aveva segnato le date di prescrizione delle due frodi fiscali scampate alla falcidie del fattore tempo e alle leggi vergogna: 1° agosto 2013 per quelle del 2002, 1° agosto 2014 per quelle del 2003. Se si fosse voltato dall’altra parte, il processo avrebbe seguito i tempi normali: sarebbe stato assegnato alla III sezione della Cassazione, che aveva già confermato i proscioglimenti di Berlusconi nei processi milanese e romano per il caso gemello di Mediatrade (stessa prassi di gonfiare i costi dei film acquistati negli Usa, ma in anni successivi e con altre società-schermo rispetto al caso Mediaset). Oppure, come si vociferava nei palazzi, alle Sezioni Unite, con tempi più lunghi rispetto a quelli normali. Col risultato che il reato del 2002 si sarebbe nel frattempo prescritto e la Suprema Corte avrebbe dovuto annullare la sentenza e disporre un nuovo passaggio in appello per rideterminare la pena: facendo perdere altro tempo, prescrivere anche l’ultima frode del 2003 e riposare in pace il processo. Invece Esposito trattò quel processo e quell’imputato come un processo e un imputato normali: e assegnò il caso Mediaset alla sezione feriale per scongiurare, com’era suo dovere, la mezza prescrizione. Fu così che, ben prima del dibattito grazia sì-grazia no, il salvacondotto atteso dal Caimano sfumò.

Per questo (e non certo per l’intervista manipolata) Esposito è così detestato da quella proiezione ortogonale di tutti i poteri, politici e togati, che è diventato il Csm: perché, obbedendo soltanto alla legge senza guardare in faccia nessuno, ha fatto saltare il patto non scritto su cui si reggevano le larghe intese. Che infatti, da ieri, sono naufragate, anche se i loro artefici, da Napolitano a Letta jr., dal Pd agli alfanidi, fanno finta di nulla. Berlusconi non finisce certo con la sua cacciata dal Senato, e nemmeno con la sua penosa decadenza anche psicofisica esibita ieri in piazza, travestito da Juliette Gréco. Finirà soltanto quando i milioni di italiani che continuano a credere e a sperare in lui capiranno che non conviene. E quando tutti i berluscloni di destra, di centro, e di sinistra che infestano le istituzioni avranno seguito le sue orme. Possibilmente a un ritmo un po’ più celere di uno ogni vent’anni. Anzi, se il Cavaliere vuotasse finalmente il sacco su chi l’ha tenuto artificialmente in vita (politica) per vent’anni, si renderebbe persino utile. Ormai ha un senso solo come collaboratore di giustizia.

È FINITA, NON È FINITO (Antonio Padellaro)

Un piazzista non può che finire la sua carriera in piazza

Sottotitolo: chi dice che berlusconi andava battuto sul piano politico è un disonesto in malafede quanto lui. 
Perché su piano politico si può battere un avversario che ha le stesse armi, gli stessi strumenti, e che agisce all’interno delle regole democratiche. 
Tutto questo berlusconi non lo ha mai fatto, è entrato in parlamento grazie ad una violazione della legge e quella ha perpetuato: una sistematica violazione della legge, e quelle che non ha potuto violare le ha rese nulle con le sue, quelle che ha voluto, preteso e ottenuto per ripararsi dalla legge uguale per tutti. 
Basta con questo romanticismo: berlusconi è un delinquente che ha violato la legge e tradito lo stato. E siccome è stato bravo lo paghiamo pure, invece di pretendere noi un risarcimento da lui.

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Nel paese normale la cacciata e con disonore [altroché pagare pure 180.000 euro di trattamento di fine rapporto e 8000 al mese di vitalizio ad uno che ha rubato allo stato e a tutti noi], di silvio berlusconi dalle sedi istituzionali non dovrebbe avere nessuna conseguenza politica, per il semplice fatto che l’eversore impostore delinquente pregiudicato condannato in via definitiva e in attesa di altri procedimenti giudiziari per reati gravissimi non è mai stato un politico.

Eppure in tutti questi anni ci hanno fatto credere che berlusconi fosse uno statista vero. Ci hanno raccontato dei cambiamenti che avrebbe apportato a questo paese come se fossero stati epocali, significativi e non invece lo stravolgimento da lui voluto – non senza la collaborazione, anche quella viva & vibrante – del benché minimo senso dello stato e di paese col quale lui ha devastato e deformato l’Italia, altroché modernizzarla.

Eppure ancora ieri sera a Ballarò, approfondimento politico del servizio pubblico di Raitre, nessuno ha avuto il coraggio di mettere in fila la cronologia dell’esperienza “politica” in parlamento di silvio berlusconi. 

Ancora ieri sera Floris e Ballarò hanno dato spazio alla polverini, responsabile delle ladrate avvenute in regione Lazio quando lei era presidentessa, consentendole di dire minchiate su minchiate, ad esempio che il voto palese col quale si deciderà la decadenza di berlusconi mette in discussione il principio della libertà di coscienza: come se ci volesse la coscienza per stabilire che un delinquente condannato non può far parte dello stato né rappresentarlo da senatore della repubblica. 

La polverini che parla di accelerazione della procedura rispetto ad una sentenza che da centoventi giorni non può essere applicata solo perché riguarda silvio berlusconi e di una legge che avrebbe dovuto avere un effetto immediato ma che è stata bellamente aggirata dilatando oltremodo i tempi di applicazione solo perché di mezzo c’è silvio berlusconi. 

Per non parlare di casini, amico personale di totò vasa vasa cuffaro, uno che viene accolto dalle pubbliche tribune come se rappresentasse chissà quale autorità autorevole che viene a raccontarci che bisognava aspettare l’interdizione perché la decadenza rischia di “vittimizzare” il povero frodatore fiscale. Solo nel paese deficiente un criminale può diventare la vittima.

Nel paese normale le sentenze si applicano, non si rimandano a data da destinarsi,  non serve una legge che stabilisca la modica quantità di delinquenza in politica: la decadenza che scatta per condanne oltre i due anni è l’ennesimo auto-salvataggio di una casta che non può evidentemente fare a meno di delinquere, e per questo si mette al sicuro con una legge ridicola che non esiste in nessun altro paese democratico davvero dove la linea di confine fra onestà e delinquenza è ben delineata e rispettata. Nel paese normale il delinquente non fa il politico e viceversa. Su quella legge c’è scritto che l’applicazione deve essere immediata, quindi a sentenza pronunciata il disonorevole impostore delinquente avrebbe dovuto abbandonare la casa. Invece da centoventi giorni continua ad abitarci da abusivo.

Nel paese normale l’informazione di questi giorni e di queste ore avrebbe un ruolo fondamentale nel rammentare agli italiani, anche ai mentecatti che oggi andranno sotto casa del vigliacco, chi è ed è sempre stato silvio berlusconi.

In questo invece, a poche ore da un fatto che nel paese normale non sarebbe mai accaduto perché uno come berlusconi avrebbe trovato sbarrate le porte del parlamento, ancora si consente di poter dire che la cacciata dell’abusivo delinquente produce una ferita nella democrazia. Mentre, e invece, quella ferita diventata ormai piaga purulenta che ha infettato tutti, anche quelli che non si sono resi complici di questo abominio, di questa interruzione dello stato democratico,  di diritto e che sarà difficilissimo curare e guarire si chiama silvio berlusconi.

Nota a margine: semmai ci consentiranno di poter ancora scegliere da chi farci governare [parlando con pardon] non voterò nessun partito che non metta al centro del tavolo della discussione politica la questione relativa al conflitto di interessi e alla sua risoluzione definitiva. Non deve succedere mai più che una persona sola possa avere tanto potere, troppo potere grazie alla sua attività privata. Perché nel paese normale il controllore fa il controllore e il controllato, il controllato. I due ruoli non si mischiano, non si confondono e né tanto meno è concesso impersonarli ad una persona sola. Nel paese normale il politico fa il politico, non pensa che deve avere una banca, un giornale, una televisione, un’azienda che gli consentiranno poi di tracimare in ambiti che non dovrebbero avere niente a che fare con la politica. Il conflitto di interessi deprime ed opprime la crescita economica e anche quella culturale di un paese. E se la lezione non l’abbiamo imparata fino ad ora non succederà più.

SCHERMI, BIBITE E PASCALE: COSÌ SILVIO DECADE OGGI IN PIAZZA 

E CON L’INTERDIZIONE B. NON POTRÀ PIÙ CHIAMARSI “CAVALIERE” 

QUEL CHE RESTA DEL VENTENNIO 

 Il problema da risolvere, il cancro vero di questo paese si chiama conflitto di interessi. Ecco perché nessuno vuole metterci al riparo.

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Vent’anni di decadenza 
Marco Travaglio, 27 novembre 2013

[Da leggere, stampare, conservare e far leggere ai nipotini]

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Oggi, salvo sorprese, per Silvio Berlusconi è l’ultimo giorno di Parlamento. L’ha sempre disprezzato, da oggi lo rimpiangerà (che fa rima con immunità). Tutto accade a vent’anni esatti dalla sua prima uscita politica. È il 23 novembre ’93 quando, inaugurando un ipermercato Standa a Casalecchio di Reno, annuncia il suo appoggio a Fini contro Rutelli, che si giocavano al ballottaggio la poltrona di sindaco di Roma. Forza Italia è pronta da mesi. Marcello Dell’Utri ci ha lavorato da par suo. Il primo a saperlo è stato Craxi, il 4 aprile. La Fininvest affoga nei debiti (2.500 miliardi di lire), il pool Mani Pulite ronza attorno al Cavaliere da un anno, arrestandogli un manager via l’altro. In estate, mentre ad Arcore impazzano i provini per i candidati (uno, per l’emozione, è caduto nella piscina), è stato avvertito anche Indro Montanelli: “Entro in politica, il Giornale sarà con me?”. “Te lo puoi scordare”. Montanelli sostiene i referendum di Segni, per un centrodestra liberale e moderato. E il 25 novembre avverte il Cavaliere sul Giornale: “L’idea di mettere intorno a un tavolo Bossi, Fini, Segni, Martinazzoli e non so chi altro mi sembra un sogno a occhi aperti. Ma anche se Berlusconi riuscisse a realizzarlo, con quegli ingredienti non si fa un programma: si fa solo un minestrone da cui non ci si può aspettare nulla di concreto”.
E, sia chiaro, “l’unico che può cacciarmi è il becchino”. Da quel momento sulle reti Fininvest i vari Sgarbi, Fede e Liguori – i “manganelli catodici” – iniziano a massaggiargli la schiena per indurlo alle dimissioni. Il 26 novembre, mentre Mentana, Costanzo e i giornalisti Mondadori chiedono garanzie sull’autonomia del Gruppo, il vecchio Indro dice a Sette : “Se oggi in Italia saltasse fuori un altro Mussolini, avrebbe spazio libero. Ma abbiamo visto dove portano gli incantatori di masse”. Minoli anticipa un’intervista a Mixer del Cavaliere, che intanto affronta i giornalisti alla Stampa estera, per la prima volta da politico. Finge di non aver deciso se entrare in politica direttamente o solo come sponsor di un rass emblement: la candidatura è solo l’extrema ratio, lui non se la augura. E l’iscrizione alla P2? Una storia vecchia. E il fascismo? Un’ideologia vecchia, “sepolta nel passato”. E chi dice il contrario? “Si vergogni!”. 

La stampa di sinistra, italiana ed europea, è più scandalizzata dall’appoggio al “fascista” Fini che dal finanziere-tycoon in politica. Ma il Berliner Zeitung scrive: “Nessuno in Europa ha tanto potere nei media quanto Berlusconi”, senza contare i “grossi debiti del suo gruppo”. La parola “conflitto d’interessi” fa capolino anche in Italia, perché il Tg4 ha trasmesso integralmente la conferenza stampa. Veltroni annuncia: “Faremo subito una legge antitrust sulle tv e la pubblicità”. Buona questa. Si fa vivo anche Giorgio Napolitano, presidente della Camera con un monito ante litteram: “Possono anche entrare in campo nuovi soggetti dalla vita economica. Ma le istituzioni si facciano carico di garantire il massimo equilibrio nell’uso dei mezzi di informazione”. Buona anche questa. Il Cavaliere replica a stretto giro in terza persona: “Se un editore importante dovesse scendere in campo, mi parrebbe giusto e di buon senso scegliere tra le due cose”. Buona pure questa. Nascono i comitati Boicotta Biscione di Gianfranco Mascia. Tina Anselmi paventa il ritorno della P2. Sgarbi ce l’ha con “i nipotini di Stalin”. Bossi capisce subito che la volpe di Arcore vuole razziare nel suo pollaio: “Un partito non si crea dall’alto, piazzando una decina di generali: deve nascere dal popolo”.

Berlusconi entra per la prima volta in Senato il 16 maggio 1994. Presenta il suo primo governo per la fiducia. E dice: “È stato legittimamente sollevato il problema del conflitto d’interessi… Nel primo Consiglio dei ministri abbiamo deciso una commissione di esperti per trovare delle soluzioni entro fine settembre”. Poi fa gli auguri “ai nostri atleti” in partenza per i Mondiali di calcio in America e, già che c’è, pure al Milan che ha vinto la Champions “per difendere i suoi colori, quelli di Milano ma anche quelli dell’Italia”. Il 19 maggio, a Montecitorio, parla per l’opposizione Giorgio Napolitano. Nuovo monito ante litteram: “Ricercare il più ampio consenso per le riforme costituzionali” e dialogo con il governo: “una linea di confronto non distruttivo tra maggioranza e opposizione”. Che “non deve impedire che il governo governi”. Manco fosse a Westminster. 

Il Cavaliere si arma di un sorriso a 32 denti e sale a stringere la mano a questo “oppositore corretto, all’inglese”. DA ALLORA A OGGI le apparizioni del Cavaliere in Parlamento saranno un po’ meno numerose dei suoi capelli veri, forse anche dei suoi processi. Quasi soltanto per le fiducie dei governi suoi e altrui, e per le leggi sugli affari suoi. Il 2 agosto ’94 tuona contro la sinistra che vorrebbe (addirittura) “l’esproprio proletario” della Fininvest: “ma siamo in Italia, non nella Romania di Ceausescu”. Per il resto “il Parlamento mi fa perdere tempo” (11.10.94). Ma, sia chiaro, “il mio rispetto per il Parlamento è assoluto”. Il 21 dicembre gli tocca proprio andarci, alla Camera, perché Bossi l’ha appena sfiduciato: “Ha una personalità doppia, tripla, forse anche quadrupla. Il suo mandato diventa carta straccia. Una grande rapina elettorale”. Il 2 agosto ’95 lancia la sua riforma costituzional- presidenzialista. L’anno seguente, per oliare l’inciucio della Bicamerale, ottiene dal solito Violante una seduta straordinaria della Camera per denunciare lo scandalo del “cimicione”: “Onorevoli colleghi, il fatto è grave. Un’attività spionistica ai danni del leader dell’opposizione, da chiunque ordita, rientra perfettamente nel panorama non limpido della vita nazionale. Mai, nella storia repubblicana, sono gravate sulla libera attività politica tante ombre e tanto minacciose. Nella giustizia malata di questo Paese siamo alle intercettazioni virtuali” (16.10.96). 

Si scoprirà poi che l’aggeggio trovato a Palazzo Grazioli è un ferrovecchio scassato e inservibile, piazzato lì non dalle toghe rosse, ma dalla stessa ditta da lui incaricata di “disinfestare” la casa. Nel ’97 Berlusconi vota con l’Ulivo per la missione militare in Albania, mentre Lega e Rifondazione sono contro. Il leghista Luigi Roscia lo canzona: “Bravo, inciucione!”. E lui: “Bravo tu, furbacchione: votate con Rifondazione, avete proprio delle facce di cazzo!”. Poi cade Prodi e arriva il governo D’Alema-Cossiga-Mastella.

Il Cavaliere, alla Camera, torna a strillare al ribaltone: “Continua con D’Alema la maledizione dei partiti comunisti: mai riusciti ad andare al governo con un libero voto popolare… Questo è uno sciagurato mix fra vecchi gladiatori e vecchie guardie rosse… Moro fu assassinato dalle Br, i cui volti spuntavano dall’album di famiglia del comunismo italiano. Il suo, onorevole D’Alema, è un governo senza legittimità democratica, ha solo il 28% dei consensi”. Fabio Mussi lo fulmina: “Quando arriva al 100 per cento, Cavaliere, ci faccia un fischio” (24.10.98). NEL 2001 torna al governo, ma non in Parlamento. Un giorno i Ds gli chiedono di riferire alle Camere sul Medio Oriente, e lui: “Sono richieste ridicole! Basta leggere i giornali, anche l’Unità, e tutti possono sapere la situazione in Medio Oriente” (6.3.2002). L’Italia entra in guerra contro l’Iraq. Scalfaro denuncia in Senato il “servilismo” di B. verso Bush. Lui sibila: “Ma vaffanculo!”. L’ulti – ma impresa parlamentare degna di nota è in Senato, all’approvazione della Devolution: “Chi non salta comunista è!” (16.11.05). Poi più nulla fino al 22 aprile 2013, dopo l’ultimo capolavoro: la rielezione di Napolitano. Il Re esalta l’inciu – cio prossimo venturo e lui magnifica “il discorso più straordinario che io abbia mai sentito nei vent’anni di vita politica”. Ergo, “meno male che Giorgio c’è”. Segue abbraccio affettuoso. Sette mesi fa, e pare già un secolo. Il 2 ottobre, mentre Bondi alla Camera tuona contro Letta Nipote (“vergogna vergogna!”), Berlusconi in Senato annuncia la fiducia.

Oggi – salvo colpi di scena, o di coda, o di mano, o di testa, o di sonno – Palazzo Madama voterà la sua decadenza. E, se sarà presente, i commessi lo accompagneranno all’uscita. Potrà rientrare fra sei anni, quando ne avrà 83. E l’ordine lo darà il presidente Piero Grasso, lo stesso che l’anno scorso voleva premiarlo per il suo indefesso impegno antimafia. A quel punto, al Caimano, verrà da ridere. O forse da piangere.

Onore e dignità

Sottotitolo: Angelina regala l’isoletta a forma di cuore al suo Brad per il cinquantesimo compleanno, ché sono buone tutte a presentarsi col profumo, la cravatta e l’agenda in pelle.
Noi italiani invece dovremo pagare coi nostri soldi l’isola di Budelli venduta all’asta ad un ricco neozelandese che lo stato italiano, il magnifico stato italiano, ha deciso di riacquistare. 
Sono tutti neozelandesi col culo degli altri.

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Dopo ogni puntata di Report avverto sempre un’insopportabile mancanza.
Quella di un Tir che parte per la retata finale.
E dire che c’è anche chi si dispiace che Romano Prodi non sia stato nominato presidente della repubblica al posto del Napolitano bis.
Questi politici di lungo corso che non trovano sconveniente collaborare, a stipendio,  con i reggenti  dei peggiori regimi e che ovviamente dicono di doverlo fare per il bene della nazione. 
Abbiamo una commissione che si occupa di diritti umani che ha definito il Kazakistan una dittatura “temperata”.
All’interno di quella commissione c’è Luigi Manconi che fra le altre cose si occupa di monitorare la condizione delle carceri italiane, è sempre in prima linea quando si parla di amnistie e indulti ma evidentemente non considera né ha considerato troppo drammatica e fuori dalla legalità la vicenda del  rapimento e la successiva deportazione di una donna e della sua bambina in un paese dove non si può nemmeno inserire nel dibattito politico la questione relativa alla condizione dei detenuti nelle carceri. 
Perché quel paese è tutt’altro che una dittatura temperata.
E’ un paese dove ai dissidenti si applica il carcere duro e la tortura [e chissà che succede ai delinquenti comuni] ma l’argomento non smuove la sensibilità umana e nemmeno un’azione di contrasto concreta della nostra magnifica politica democratica italiana qui sempre pronta e unita nella lotta quando si tratta di alleggerire e in molti casi annullare con provvedimenti ad hoc quei dispositivi legali che marcano, così come si fa in tutti i paesi civili, la differenza fra onesti e criminali.

Milena Gabanelli alla fine della puntata di Report ieri sera ha detto che tutti sanno che nelle relazioni politiche ed economiche internazionali spesso si deve anche trattare con quei paesi dove i diritti umani sono un inutile dettaglio trascurabile, ma che ci dovrebbe anche essere un limite di fronte al quale fermarsi. Che esiste anche una questione di onore e dignità. Dice il contrario, e cioè che non ci si può affatto fermare,  l’accoglienza in pompa magna riservata a Vladimir Putin, ricevuto anche dal papapiùbuonochecisiamaistato, capo di uno stato dove ai dissidenti non solo si applica il carcere duro ma talvolta, per maggiore sicurezza, specialmente se fanno i giornalisti, si fanno anche sparire a colpi di pistola. E quindi è abbastanza evidente che parole come onore e dignità non si possono neanche nominare nel paese dove i governi si svendono e ci svendono ai peggiori offerenti.

“VI PENTIRETE CON VOSTRI FIGLI”. 

Il Fatto scrive “anatema”, io dico intimidazione di stampo mafioso. 

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L’assurdo dello spregevole individuo è il suo essere naturalmente refrattario al concetto minimo di regole, e l’assurdo elevato all’ennesima potenza è che alla “sua gente”, a quei poveri decerebrati che dicono che sarebbero disposti a morire per lui, piaccia soprattutto per questo. 

Perché sono talmente idioti da non pensare nemmeno per un attimo che questo tentativo continuo di berlusconi di rovesciare il senso dello stato riuscendo nell’impresa di trasformarlo in uno stato che fa senso, stravolgere quello di una civile e pacifica convivenza, del rispetto reciproco potrebbe coinvolgere anche loro ma da vittime.

Che ne sarebbe di un paese dove non si rispettassero le leggi, le sentenze, dove chi commette dei reati pretendesse di non doverne poi rispondere ad un tribunale e al popolo offeso da quei reati? E tutto questo mentre si deve occupare di quel paese da istituzione?

Non pensano, gli stolti, nemmeno per un attimo, di non essere silvio berlusconi, di non avere le sue stesse possibilità: quelle che si è potuto comprare specialmente rubando, corrompendo e quelle che questo stato gli ha amorevolmente regalato. 

Oppure pensano che nel momento del bisogno silvio si ricordi di loro, o che sarebbe disposto a morire per loro.
Imbecilli.
Complici di un delinquente per natura.

Clemenza senile
Marco Travaglio, 26 novembre

La penosa conferenza stampa di B. sulle “nuove prove” che non solo giustificherebbero la revisione del processo Mediaset, ma addirittura lo scagionerebbero, è – come si dice a Roma – una sòla. Una patacca. Nessuno ha mai sostenuto che il produttore egizio-americano Frank Agrama sia uno stinco di santo: altrimenti non sarebbe suo amico e sodale. Del resto è stato condannato per frode fiscale anche lui. In ogni caso la legge prevede le procedure per la revisione: se B. la chiederà, la Corte d’appello di Brescia deciderà ciò che è giusto fare. Nel frattempo, siccome B. è un pregiudicato, la legge Severino impone che esca con le mani alzate dal Senato: avrebbe dovuto farlo “immediatamente” fin dal 1 agosto, se i partiti suoi complici nelle larghe intese non avessero rinviato con ogni scusa il voto in giunta e poi in aula. Su un punto, però, il Cainano ha qualche ragione di lamentarsi: quello della grazia. Non perché vi abbia diritto. Anzi, nel suo caso la grazia non è ammissibile, sia per i numerosi processi che ancora pendono sul suo capo, sia perché sono trascorsi appena tre mesi dalla sentenza della Cassazione. Peccato che Napolitano non abbia mai osato dirglielo fino all’altroieri. Il 13 agosto, 12 giorni dopo la condanna, diramò un mega-monito in cui spiegava le istruzioni per l’uso della clemenza, lasciando intendere – come in varie repliche successive – che il principale ostacolo alla grazia era che B. non l’aveva chiesta, e comunque avrebbe potuto coprire solo la pena principale (quella detentiva) e non la pena accessoria (l’interdizione dai pubblici uffici). In realtà – come scrisse lui stesso – la grazia “può essere concessa anche in assenza di domanda”, e pure sulla pena accessoria (lo fecero altri presidenti prima di lui). Napolitano definì “legittimi” e “comprensibili” il “turbamento” e la “preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”. Cioè ammise che B. non è un cittadino come gli altri. Tant’è che incredibilmente invitò i giudici a concedergli “precise alternative al carcere, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto”. Come se fossero dovute per legge, mentre non lo sono. Mai, nella storia repubblicana e pure monarchica, un capo dello Stato aveva spiegato come ottenere la grazia a un tizio appena condannato (che non gliel’aveva neppure chiesta e rifiutava la sentenza), collegandola fra l’altro al suo sostegno al governo, cioè a una scelta politica che dovrebbe essere libera e nulla ha a che vedere con il diritto costituzionale. È da quell’atto inaudito e forse – quello sì – “dovuto”, in base a precedenti impegni assunti alla nascita delle larghe intese dopo la rielezione, che iniziano le ambiguità, i non detti, le aspettative mancate ora sfociate nella furia di B.

Un giorno, forse, capiremo perché il presidente fece annusare la grazia al pregiudicato, che ora schiuma di rabbia perché si sente preso in giro. Ma sono tante le cose che dobbiamo ancora capire. Un’altra è il motivo dell’inquietante tira-e-molla ingaggiato da Napolitano con i giudici del processo Trattativa che l’hanno citato come teste sulle confidenze che scrisse di avergli fatto il consigliere D’Ambrosio: prima ha dichiarato di essere “ben lieto” di testimoniare, ora invece manda a dire di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo” e pensa di cavarsela con una letterina in cui dice di non sapere nulla: come se D’Ambrosio si fosse inventato tutto. Ora, se un testimone non ha nulla da dire, non manda una lettera per chiedere l’esonero: si presenta e risponde alle domande. I giudici alla fine decidono se è credibile, o magari reticente o menzognero, nel qual caso lo indagano per false dichiarazioni (un tempo potevano arrestarlo su due piedi). Cosa che non possono fare se uno testimonia per lettera. Mentre dà lezioni di diritto al Cainano, il presidente farebbe bene a prenderne qualcuna per sé.

Grazia, perché?

Preambolo: non mi unirò alla manifestazione annuale del 25 novembre, giornata internazionale CONTRO la violenza sulle donne, come se fosse normale essere PRO qualsiasi violenza.Come scrivo già da anni questa come tante altre date scelte per celebrare o commemorare qualcosa è una giornata di cui il mondo e i paesi civili non dovrebbero avere bisogno.

Guardo dietro, alle cose che ho scritto per il 25 novembre, per l’otto marzo e mi accorgo che i concetti espressi sebbene con parole diverse sono stati sempre gli stessi: una ripetizione ossessiva delle stesse cose, ad esempio che non si combatte la violenza mostrandola. Queste foto di donne piangenti, coi lividi in volto non servono a ribadire la contrarietà alle violenze ma ad affermarla.

Non si dice no alla guerra mostrando le foto dei danni della guerra. Ognuno penso che abbia ben chiaro in mente il concetto di violenza e di tutte le sue conseguenze.

Un paio di giorni fa sulla pagina facebook di Alessandro Robecchi mi sono beccata una discreta sfilza di insulti, ovviamente da donne, quelle contro le violenze s’intende, per aver scritto quello che penso del cosiddetto “femminicidio”.

Io ho il vizio di ragionare per conto mio, non mi faccio trasportare da movimenti, movimentini blog e blogghettini tutti rosa, un colore che peraltro detesto e nemmeno penso che le donne siano sempre vittime e gli uomini sempre colpevoli.

La mia solidarietà e vicinanza umana vanno comunque a tutte le donne, alle persone costrette a vivere in situazioni distanti da una normale umanità applicata ai gesti e ai comportamenti quotidiani ma, perdonatemi, sono stanca e stufa di inutili slogan e di una propaganda finalizzata ad esasperare e ingigantire di proposito i drammi.

Oggi alla camera della Boldrini è festa. Una parola per Di Matteo, il magistrato minacciato di morte dalla mafia  però non gliel’abbiamo sentita dire. E non l’abbiamo sentita da Grasso, presidente del senato già superprocuratore antimafia e nemmeno da Napolitano che del CSM è il capo supremo. Forse se al posto suo ci fosse stata una donna oggi, ALMENO oggi,  si sarebbe meritata almeno la menzione.

berlusconi è stato l’eccezione, non dovrà mai diventare la regola che si possano stravolgere le leggi costituzionali per dare più diritti a una persona sola rispetto a tutti i cittadini come comanda la Costituzione.
Perché quelle persone che hanno scritto e firmato quelle regole su una Carta che aveva ancora l’odore del sangue della guerra le hanno pensate e rese inalienabili proprio perché non accadesse mai più che uno solo potesse avere più potere di altri. 

Solo degli sciagurati come i politici di questi ultimi vent’anni potevano riuscire nell’impresa di trasformare la Costituzione in carta straccia, e se nessuno li ferma completeranno l’opera di distruzione iniziata vent’anni fa quando ad un abusivo, ad un impostore delinquente già di suo è stato concesso DALLA POLITICA di sedere nel parlamento da presidente del consiglio.

Dice Napolitano che “non ci sono le condizioni per la grazia”. Ma quelle condizioni non c’erano nemmeno prima, non ci sono mai state. La concessione di un provvedimento di clemenza da parte dello stato verso chi ha violato la legge è prevista solo per quei condannati passati poi alla fase successiva di detenuti e che abbiano scontato almeno una parte della pena. Questo con berlusconi non si è verificato: sono 116 giorni che il pregiudicato condannato, il frodatore traditore è libero di poter agitare le masse, minacciare lo stato, promettere sfracelli perché la sentenza che lo ha condannato non è mai stata applicata. E mi piacerebbe che la cosiddetta informazione mettesse questo in evidenza, non la reazione di Napolitano che solo ieri si è ricordato di avvisare berlusconi di non uscire dalla legalità. berlusconi è sempre stato ed ha sempre agito fuori dalla legalità, ma di che parla Napolitano? l’azione eversiva di berlusconi è stata legittimata anche da lui che spesso e volentieri gli ha offerto il sostegno dello stato sottraendolo a quella Magistratura svilita, offesa e oltraggiata solo perché stava facendo il suo dovere, a differenza di berlusconi.  La grazia dovremmo chiederla noi cittadini costretti ad assistere impotenti a queste oscenità a getto continuo, altroché un delinquente condannato dopo un processo durato dieci anni che pretende di essere più uguale degli altri. Se dieci milioni di italiani sono con lui significa che tutti gli altri non sono con lui. E sono, siamo, di più.

Oggi sono tutti antiberlusconiani, anche quelli che in tutti questi anni hanno creduto di trovarsi di fronte all’uomo dello stato anziché all’irriducibile delinquente qual è sempre stato uno che è arrivato a confessare che se non fosse entrato in politica lo avrebbero arrestato, questo, vent’anni fa. 

Oggi è antiberlusconiano anche Napolitano che solo una manciata di mesi fa si mise di traverso fra berlusconi e la magistratura, non per difendere i giudici ma per intimargli di consentire al pregiudicato di poter partecipare alla delicata fase politica nella quale era compresa la sua rielezione a presidente della repubblica: un fatto mai accaduto nella storia della repubblica. 

Si scopre antiberlusconiana anche Anna Finocchiaro che è la stessa che espresse sentimenti di affetto a schifani quando fu eletto presidente del senato arrivando perfino a baciarlo sulla guancia. E si scopre antiberlusconiano anche Marco Meloni, ritenuto vicinissimo a Enrico Letta [il braccia-letta], il quale Letta, nipote dello zio, due estati fa ebbe a dire che piuttosto che ritrovarsi i 5stelle in parlamento erano meglio berlusconi e la sua teppa, forse perché a loro avevano già preso le misure: l’incerto al posto del certo si sa, può produrre sorprese inaspettate. 

 Le larghe intese nascono molto prima di aprile di quest’anno. La politica italiana è naturalmente larghintesista da sempre. Non si mordono le varie maggioranze e opposizioni, perché ognuno sa che può trovare beneficio nell’errore dell’altro che fa sembrare meno grave il proprio.

E da qui al 27, ovvero alla data fatidica che vedrà l’uscita dalla scena politica, almeno da quella istituzionale, di berlusconi chissà quanti altri si scopriranno antiberlusconiani. 

Mentre i Magistrati che in tutti questi anni hanno lavorato affinché non si snaturasse il senso di quella Costituzione che dice che i cittadini sono tutti uguali e che la legge è uguale per tutti no, non sono mai stati antiberlusconiani: hanno semplicemente svolto con rigore e serietà il loro mestiere, nonostante avessero contro anche molti di questi antiberlusconiani dell’ultim’ora, quelli che per vent’anni hanno fatto finta di fare opposizione, quelli che non trovavano scandalosamente eversive le leggi ad personam firmate da chi solo oggi si ricorda che ai delinquenti si può eccome chiudere la porta in faccia, che hanno consentito a berlusconi di poter proseguire il suo cammino in quella politica da lui usata e abusata pro domo i suoi luridi affari. 

Quelli che “non si demonizza l’avversario” anche se è silvio berlusconi, l’eversore antistato. 

Quelli che come Renzi, dopo la prescrizione al processo Mills da lui definita “proscioglimento”, si augurava che la stagione della contrapposizione di matrice antiberlusconiana si fosse conclusa. 

Invece a concluderla, almeno in parte,  non è stata quella politica che ha fabbricato il mostro, è stata la Magistratura a cui la politica ha delegato il lavoro sporco non essendo in grado di farlo probabilmente perché non lo ha potuto fare. 

E mi piacerebbe che di questo ci ricordassimo tutti quando si ritornerà, speriamo, alla normalità stravolta dalle larghe intese napolitane e i partiti torneranno a bussare alle nostre porte chiedendoci i voti e la nostra fiducia.

Grazia, dal Colle l’ultimo no a Berlusconi
“I suoi giudizi sono di estrema gravità”

Grazia, Graziella e grazie al cazzo – Massimo Rocca, Il Contropelo di Radio Capital

Al capo dello stato va riconosciuta la coerenza. Se il malfattore si fosse fatto da parte, lasciando la vita politica, come nella richiamata nota del 13 agosto, la grazia sarebbe arrivata. Adesso è chiaro e confessato. “Non si sono create via via le condizioni, e nulla è risultato più lontano del discorso tenuto sabato dal senatore Berlusconi dalle indicazioni e dagli intenti che in quella dichiarazione erano stati formulati”. Dunque il cavaliere disarcionato rimproveri solo sè stesso. Il Colle la strada per evitare l’umiliazione di pulire i cessi da un qualche reverendo gliela aveva davvero aperta. Alla faccia dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge, Napolitano era pronto a recitare la parte di Gerald Ford con Richard Nixon, a fare quel gesto di pacificazione nazionale che avrebbe garantito la continuazione del berlusconismo senza il suo fondatore. Il solito calcolo di sinistra nei confronti del Caimano. Se mollo un po’, sul conflitto di interessi, sulle leggi vergogna, sulla bicamerale, sulle riforme lo riconduco alla ragione, quella mentale e quella di stato. Vent’anni dopo la lezione di Scalfaro, l’uomo che aveva annullato il berlusconismo in meno di un anno a colpi di par condicio e schiena dritta!

L’ostatista decaduto

 

Mauro Biani

 Statista: “persona che ha una profonda esperienza, teorica e pratica, dell’arte di governare uno stato”. Se qualcuno ci legge la descrizione anche minima di qualcosa che abbia a che fare con silvio berlusconi si merita un premio.

Ormai non dovrebbe essere più un’ipotesi ma un’assoluta certezza che berlusconi non faccia mai cose per il bene di qualcuno ma che tutto quello che ha fatto, fa e farà è esclusivamente per il suo. 

E allora mi chiedo perché un paese intero deve essere stretto nella morsa mediatica di ogni puttanata che pensa e fa il delinquente condannato per i suoi interessi. Mi chiedo perché si debba dare tanto spazio ai soliti teatrini di lui che parla, dice cazzate, le solite da vent’anni e la gente, spettatori della sua solita platea lobotomizzata e molto spesso pagata buoni per tutto, dalle comparsate dalla de filippi alle manifestazioni davanti ai tribunali, passando per i tributi “affettuosi” sotto le sue case  e per questi improbabili congressi applaude, lui che fa finta di sentirsi male per le troppe “emozioni”, il medico pietoso che accorre e via così, fino alla prossima occasione.

Un film noioso visto e rivisto e che ciclicamente viene riproposto a reti unificate. Il solito Truman show spacciato per notizia di interesse nazionale che merita aperture di telegiornali, prime pagine dei quotidiani e titoloni sensazionalisti al pari di una scoperta scientifica che cura e guarisce malattie.

A meno che qualcuno non creda davvero alla scissione, ai due partiti, a cicchitto, alfano, ai falchi e alle colombe. 

berlusconi è un inguaribile delinquente, uno con manie compulsive anche piuttosto serie che vede comunisti ovunque, che pensa che la legge sia un orpello, un complemento d’arredo di cui si può fare a meno, uno che non esita a giurare il falso sulla testa dei suoi figli, il Nerone dell’era moderna sempre pronto col fiammifero acceso a dare fuoco a tutto quello che ostacola i suoi progetti delinquenziali. Uno che nulla ha fatto per il bene della politica e del paese che verrà ricordato dai libri di storia come un incantatore di serpenti, il gran visir della menzogna, dell’illegalità e dell’indecenza che solo in un paese ridotto ai minimi termini culturalmente come il nostro avrebbe potuto trovare quel terreno fertile che gli ha permesso di spadroneggiare come un ras del quartiere, di farsi beffe di ogni regola minima di civile convivenza. Non è uno statista ma un truffatore, un fuori legge seriale. Tutti quelli che gli stanno intorno lo fanno per ricavare qualcosa e non certo per sentimenti di affetto e stima.

E’ tutto questo e molto altro che ha dimostrato ampiamente, che non ha mai nemmeno nascosto peraltro ma per il circo mediatico italiota da lui ancora controllato e che quindi può orientare eccome l’opinione pubblica  le prove non sono ancora sufficienti: tutto quello che pensa dice e fa deve diventare una notizia da riportare con enfasi in modo tale che le “novità” prendano il sopravvento sull’accaduto reale che è e resta quello di un condannato che da 108 giorni latita a cielo aperto, alla luce del sole e tutto questo sta bene alla politica e alle istituzioni. 

Tutto il resto è farsa, finzione, l’ultimo chilometro di un infinito viale del tramonto sul quale nessuno ha il coraggio di mettere la parola “FINE”.

 

TRA COMPARSE E MALORI COM’È TRISTE FORZA ITALIA NELL’AUTUNNO DI SILVIO 

Schifazzi & Alfapoti
Marco Travaglio, 17 novembre

Che differenza c’è tra Alfano, Schifani, Cicchitto, Formigoni, Quagliariello, Giovanardi, Lupi & C., insomma il “Nuovo Centro-Destra” (Ncd) e Sergio De Gregorio? Una sola: quelli hanno tradito gli elettori del Pdl (che votano Berlusconi, non certo loro) non per soldi ma per poltrone, mentre questo tradì Di Pietro e il centrosinistra per soldi e per poltrone. Che differenza c’è fra l’allegra brigata Ncd e Razzi&Scilipoti? Nessuna. Niente. Nisba. Nada. Razzi&Scilipoti, eletti nel 2008 con l’Idv (centrosinistra) per fare opposizione al governo Berlusconi, passarono col Pdl nel novembre del 2010 per fare da stampelle alla maggioranza divenuta minoranza dopo la defezione dei finiani.

Alfano, Schifani & C. sono stati eletti nel Pdl per contrapporsi al Pd di Bersani. Poi, insieme a Berlusconi, hanno tradito una prima volta il mandato elettorale andando al governo con il Pd (che a sua volta ha tradito il mandato elettorale andando al governo con il Pdl). E ora hanno tradito una seconda volta il mandato elettorale, staccandosi dal Pdl dopo aver capito che le loro posizioni inciuciste erano minoritarie in Consiglio nazionale. Naturalmente l’ultimo che può scandalizzarsene è proprio Berlusconi: chi di tradimenti ferisce, di tradimenti perisce.

L’unico leader di questo ventennio che non può essere accusato di aver cercato ribaltoni è Romano Prodi, che anzi ne subì due, entrambe le volte in cui andò al governo: ed entrambe le volte rifiutò di raccattare voti qua e là per tirare a campare, andando alla conta in Parlamento a costo di farsi sfiduciare e di andare subito a casa, secondo una prassi mai seguita da alcuno e sgradita al Quirinale (Napolitano ha così tanto rispetto del Parlamento da patrocinare regolarmente crisi extraparlamentari e da aver accettato le dimissioni di due governi, il Berlusconi-3 e il Monti, mai sfiduciati dalle Camere).

Qui naturalmente non si tratta di stabilire chi sia peggio fra B. e i suoi ex complici divenuti nemici: è una bella gara da cui è meglio astenersi. Si tratta però di alzare lo sguardo dalle contingenze quotidiane, per capire quali conseguenze avrà lo strappo nel Pdl sulla politica italiana. A leggere la grande stampa, Alfano è una sorta di nuovo De Gasperi che ci regalerà un centrodestra normale, moderato, liberale, europeo. Per non parlare di Schifani, cui già quand’era presidente del Senato furono eretti memorabili monumenti di saliva. Tutti hanno già dimenticato che questi due signori hanno prestato il loro nome e la loro eventuale faccia a tre leggi, o “lodi”, poi dichiarate incostituzionali dalla Consulta: il lodo Schifani per impunità delle cinque alte cariche dello Stato (cioè di B.), il lodo Alfano per l’impunità delle quattro alte cariche dello Stato (cioè di B.), il legittimo impedimento Alfano per l’impunità del premier e dei suoi ministri (cioè di B.).

Ora questi due impuniti vengono a raccontarci che B. deve scindere le sorti dei suoi processi da quelle del governo. E trovano pure qualcuno che li prende sul serio, anziché risate e pernacchie. Sul Corriere si legge che Alfano parla ogni giorno al telefono con Napolitano. E tutti sanno che a incoraggiare questi conigli travestiti da colombe a rompere con B. sono stati Letta e Napolitano: anche e soprattutto con la garanzia che per un bel po’ non si andrà a votare. Altrimenti gli elettori li asfalterebbero, visto che senza B. non prendono un voto nemmeno nelle rispettive famiglie.

Quel che accadrà nei prossimi mesi è un film già visto nell’anno di Monti: B. passerà all’opposizione di un governo immobile (altro che stabile) che non fa nulla o, se fa qualcosa, è per imporre nuove tasse e sacrifici. Uno spot permanente per B., che è già in campagna elettorale contro il governo delle tasse e dell’euro. Così, quando finalmente si voterà, B. risorgerà un’altra volta grazie a quelli che pensavano di averlo ucciso. E la speranza di un centrodestra normale, anziché più vicina, sarà più lontana. Ringraziamo anticipatamente i grandi strateghi per questo bel regalo.

Il presidente cattivo

Dopo quello colluso e connivente con la mafia, corruttore, immorale, disonesto, frodatore, concussore e puttaniere effettivamente ci mancava quello cattivo, meno male che ci ha pensato Confalonieri a dircelo, a farci sapere che berlusconi avrebbe dovuto essere più cattivo, e magari pensare di più ai suoi interessi. Sarebbe carino sapere cosa si sono detti con Napolitano nel recente incontro al Quirinale. Quali sono stati gli argomenti della loro conversazione.

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Mediaset, giudici più veloci della politica
Due anni di interdizione per Berlusconi
 

Confalonieri: “B. doveva essere più cattivo”

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Che intende Confalonieri, un habitué dei palazzi istituzionali al pari di Letta zio, l’altro mentore del delinquente condannato, Quirinale compreso, e non si capisce in che veste lo possa fare e perché Napolitano lo debba ricevere, quando dice che berlusconi “in politica” doveva essere più cattivo? il presidente di mediaset va ad insegnare ai giovani imprenditori – che lo stanno pure a sentire invece di sommergerlo con una selva di pernacchie – come agire in regime di conflitto di interessi. Come se anche i giovani imprenditori non sapessero che berlusconi non aveva proprio nessuna facoltà né il diritto di fare politica, né da buono né da cattivo. E figuriamoci da delinquente, da corruttore, da concussore amico dei mafiosi. E non si capisce inoltre cosa c’è da aggiungere alla cattiveria di uno che ha fatto strame di un paese intero per i suoi luridi interessi. Ma a Confalonieri, uno dei numerosi  cattivi maestri di una classe dirigente da buttare  che può andare a raccontare un mucchio di balle in giro facendo finta di dimenticare che berlusconi nella politica è un’anomalia voluta dalla politica e  che l’alternativa per lui sarebbe stata San Vittore – considerato e ascoltato anche dalle nostre belle e rispettabili istituzioni, questo non basta: voleva un presidente del consiglio a mano armata.

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Chi di gossip ferisce
Marco Travaglio, 20 ottobre

Allora siamo d’accordo: aboliamo il gossip. Almeno quello sulla vita privata. Almeno per chi non lo gradisce e non firma la liberatoria. Se la puntata di Servizio Pubblico con Michelle Bonev servisse almeno a questo, sarebbe un trionfo. Prima però bisognerebbe sapere se B. è d’accordo, visto che il principale editore di gossip è lui; e i suoi giornali usano la vita privata altrui per bastonare o ricattare i nemici (le presunte amiche di Di Pietro, il fidanzato della Boccassini, Sircana accanto al trans, Marrazzo al festino con trans e coca, la Tulliani che guarda storto Fini…) e santificare gli amici (il finto fidanzato di Noemi inventato da Chi, i servizi posati di Silvio, Francesca e Dudù), o semplicemente per far soldi (Panorama. it : “Raoul Bova: divorzio ma non sono gay”; Chi: “Chiara Giordano: Raoul, adesso parlo io”). E poi a imporre come fatto politico, dunque pubblico, la vita privata di B. fu B. nel 2001, quando diffuse in milioni di copie l’opuscolo elettorale “Una storia italiana” col ritratto edificante della Sacra Famiglia. A mandarlo in frantumi provvidero nel 2010 i casi D’Addario-Tarantini e Noemi, poi Veronica che chiese il divorzio e parlò di un uomo malato che va a minorenni. Scandali che gli costarono milioni di voti. Nel videomessaggio del 16 gennaio 2011, alle prime notizie sull’inchiesta Ruby-bungabunga, B. sparò: “Da quando mi sono separato ho uno stabile rapporto di affetto con una persona che era spesso con me in quelle serate e non avrebbe consentito quegli assurdi fatti che certi giornali ipotizzano”. L’annuncio scatenò una guerra all’ultimo gossip fra le pretendenti al lettone, finché la Pascale si aggiudicò ufficialmente l’ambìto riconoscimento. Da allora è tutto un fiorire di servizi fotografici e giornalistici autorizzati sulla Sacra Famiglia ricomposta e prossima all’altare. Se B. avesse rivendicato il suo libertinaggio – “nei miei letti faccio quel che voglio” – nessuna notizia sul tema avrebbe avuto rilevanza pubblica (salvo, si capisce, reati come i rapporti prezzolati con minorenni, i ricatti delle signorine, i pagamenti delle medesime con soldi Rai o Finmeccanica cioè nostri, o corruzioni di testimoni). Invece usò il gossip “B. è fidanzato, ha messo la testa a posto e non fa più quelle cose” come instrumentum regni per attirare voti o evitare di perderne. Per questo, pur con tutto il disgusto del caso, i giornalisti devono verificare se l’edificante presepe è vero o falso. E dare voce a testimoni fin troppo informati sui fatti, come la Bonev, che lo smontano. Ma davvero qualcuno può pensare che Santoro e la sua redazione muoiano dalla voglia di sapere se alla Pascale piacciono più gli uomini o le donne? Nessuno sa se quel che afferma la Bonev è vero o no (se davvero la Pascale la denuncerà, le duellanti porteranno le rispettive “prove” e un giudice deciderà). Però, trattandosi di un’assidua frequentatrice del cerchio magico (fino a pochissimo tempo fa), va purtroppo ascoltata. Anche perché sulla parte più interessante e scandalosa del suo racconto – il finto premio al Festival di Venezia allestito dal ministero della cosiddetta Cultura e il milione buttato dalla Rai per acquistare un suo film quando lei era tutt’uno con B. e B. era tutt’uno con la Rai – non c’è bisogno di prove: raccontò tutto il Fatto tre anni fa. E chi lo scopre oggi per sputtanarla dovrebbe spiegarci perché non lo scrisse allora, quando le doti artistiche della signora venivano decantate dalla stampa e dalle tv berlusconiane. Ma è sempre la stessa solfa, come già per la D’Addario e De Gregorio: i (e le) compari di B. sono tutti santi finché non entrano nello studio di Santoro, poi diventano diavoli. E tutti a scandalizzarsi: ma perché Santoro invita gente così? La risposta è scontata: perché B. frequenta gente così. E B. non è un passante né un trapassato, ma il primo grande rielettore di Napolitano, il partner decisivo del Pd nelle larghe intese e il padrone del governo Letta (vedi Imu). O anche questo è gossip?

Rinnovo l’invito: qualcuno ci invada

Sottotitolo: un ringraziamento speciale a Marco Travaglio e Andrea Scanzi che continuano praticamente ogni giorno a spiegarci la chiave di lettura delle dinamiche dei talk show nonostante e malgrado sia una fatica ed un dispendio di energie abbastanza inutile nel paese dove tutti sapevano e sanno tutto e non c’è bisogno di nessuno che lo spieghi. Forse è per questo che l’Italia è ridotta ai minimi termini: perché tutti sapevano e hanno agito di conseguenza, politica e istituzioni comprese.

Questo è il paese dove  si fanno le pulci a chi almeno ha il coraggio di dire le cose come sono. Troppo facile così. E troppo facile anche accusare di filogrillismo chi condivide l’ovvio e il pertinente. Persona più libera di me politicamente non c’è, dicevo e scrivevo in tempi molto meno sospetti di questo che non bisogna innamorarsi della politica, bisogna vigilarla a vista, non prendere le difese di gente che ha la possibilità di mandare la digos a casa di chiunque, anche dei cittadini onesti, quando vuole.

Quando ho iniziato ad interessarmi della politica l’ho fatto per difendermi, non per diventare come quelli che la fanno e quelli che sostengono chi l’ha ridotta così male.

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LA PUTTANATA  – Marco Travaglio, 11 settembre 

IMPERVERSA IL FUNARISMO 2.0 E I TALK POLITICI DIVENTANO POLLAI  – Andrea Scanzi, 11 settembre

AGLI ORDINI DEL COLLE  Antonio Padellaro, 11 settembre

NAPOLITANO CHIEDE UNITÀ, IL PD SI ADEGUA E SALVA B. Fabrizio d’Esposito, 11 settembre

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Per tutti quelli che “se i 5 stelle avessero fatto altre scelte”, tipo l’accordo con chi non ha trovato disdicevole l’alleanza col partito del delinquente dopo averlo sostenuto in modo più o meno occulto per una ventina d’anni.
I 5 stelle sono stati gli unici a mantenere una certa coerenza, tutti gli altri l’hanno svenduta per il bene della pacificazione nazionale dunque di berlusconi, e non bisogna aver votato il MoVimento per ammetterlo. Ora che ve/ce lo hanno detto in tutte lingue del mondo, potreste per favore smetterla di ravanare sempre in un torbido che non c’è?

Producono il caos, poi lo usano. Alessandro Gilioli, 11 settembre

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Tutto sommato gli eventi “politici” di queste ore aiutano ad inquadrare meglio la situazione nel suo complesso.

Aiutano a difendersi da quelli che vogliono fare la morale a chi incrocia il suo pensiero, e le sue opinioni, talvolta o più spesso condividendo entrambi con quello che esprimono i deputati 5 stelle di fronte alla presidente della camera che trova ingiurioso chiamare i ladri, ladri, ripetendo l’invito a “non offendere”per ben tre volte, forse per convincersene lei per prima. 

A questi, quelli che “con Di Pietro mai”, e “con Grillo mai” andrebbe risposto, come dice il mio amico Andrea, che sono alleati stretti stretti con la destra più fascista e negazionista che abbia mai occupato il parlamento dopo il ventennio di mussolini il quale, secondo il noto pregiudicato, non ammazzava nessuno, mandava la gente in vacanza e qualcosa di buono l’ha fatto anche lui.
E dovrebbe forse bastare per zittirli e farli vergognare, magari in segreto.

Aiutano a non sentirsi troppo colpevoli per tutte le volte in cui per sfinimento un po’ tutti abbiamo detto o pensato che, alla fine, “sono tutti uguali” perché nei fatti lo sono, perché se non lo fossero stati non saremmo mai arrivati fino a qui, a dover assistere allibiti, attoniti, nauseati ad uno spettacolo indegno: quello di una politica e di un presidente della repubblica che stanno facendo l’impossibile e l’inenarrabile per annullare la sentenza che ha condannato berlusconi, non saremmo qui a discutere di un parlamento che, esclusi i nuovi inquilini, quei maleducati che chiamano ladri i ladri non può, non sa, non vuole liberarsi dell’intruso delinquente. Perché se non lo sono nelle azioni lo sono eccome nei principi, se non fosse così berlusconi stamattina sarebbe fuori dal parlamento, se invece questo fosse stato un paese normale non ci sarebbe mai nemmeno entrato. 

E quello che non si può sopportare è il tentativo di  mettere il sigillo dello stato, della democrazia su questa operazione disgustosa, eversiva che è quella di sottrarre un delinquente dalle sue responsabilità penali, cosa che non si potrebbe fare perché non è giusto né legittimo fare nei confronti di nessun altro cittadino, qualcosa che in nessun paese definito normale, civile e democratico davvero sarebbe mai potuta accadere.

Puttanate

 Dire che un pregiudicato delinquente – perché lo ha detto una sentenza di un tribunale dopo un processo durato undici anni condannandolo in via definitiva per i suoi reati –  è un pregiudicato delinquente secondo la nota principessa del foro Casellati è maleducazione. E come lo chiamano quelli del partito dell’ammmòre uno che ha  rubato allo stato: berlusconi?

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Pdl, Casellati vs Travaglio: “Maleducato. O va via lui o me ne vado io”

“Berlusconi è stato condannato per quei 7,3 milioni di euro di evasione fiscale, che sono l’ultima parte superstite di una montagna di evasione che ammonta a oltre 300 milioni di euro”. La discussione deflagra quando viene affrontato il tema delle società off-shore e il giornalista viene nuovamente interrotto dalla furia verbale della parlamentare. “Io chiudo qui” – si sfoga Travaglio, rivolgendosi alla Gruber – “è assolutamente impossibile in un collegamento riuscire a finire una sola frase e interloquire con le puttanate che dice questa signora“. “Vado via io” – sbotta la Casellati – “lei è una persona maleducata. Una persona che si permette di dire questo è bene che se ne vada. O va via lui o me ne vado io. E’ una mancanza di rispetto”. La conduttrice riesce a sedare il match, che riprende nuovamente alle battute finali del programma. La Casellati rende il suo ennesimo tributo al Cavaliere: “Camminando per strada, incontro le persone e tutti sperano che Berlusconi resti a continuare la sua attività politica per il rilancio economico del Paese“. E attacca Travaglio, che definisce il leader del Pdl “pregiudicato delinquente”: “Lei è un vero signore, un vero gentleman”

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La contesa Sermonti-Scalfari su: “In piazza contro l’orrore morale” o no?di Vittorio Sermonti e Eugenio Scalfari

Eugenio Scalfari: “Nella lettera di Sermonti a Napolitano una mancanza di realismo estremamente pericolosa”. Vittorio Sermonti: “E’ la testimonianza di un orrore morale (e culturale) che mi auguro e immagino tu stesso condivida”. 
SONDAGGIO Sei d’accordo con Sermonti o Scalfari?

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Secondo il “laico opinionista” Scalfari mantenere in sella questo governo val bene concedere a berlusconi di violentare la Costituzione e rendere inutile, nulla al pari della peggiore delle menzogne proprio nei fatti oltre che in quelle che sono molto più di ipotesi da barzelletta, quella frase che campeggia in tutti i tribunali della repubblica italiana che dice che “la legge è uguale per tutti”. 
A Scalfari dunque va benissimo che in questo paese chi ha soldi e potere possa beffare la legge come quando e quanto vuole in virtù di una non meglio precisata sicurezza nazionale che verrebbe pregiudicata senza i noti pezzi da novanta che compongono il governo delle larghe intese.

Scalfari si augura che questo governo vada avanti niente meno fino al 2015 probabilmente perché non è un suo problema, così come non lo è  per Napolitano che data l’età il 2015 potrebbero non vederlo nemmeno ma pensano e agiscono in maniera tale che lo scempio di democrazia che entrambi sostengono con tutte le loro forze debba proseguire per farne godere a chi ci sarà dopo di loro. 

La gente come Napolitano e Scalfari non si accontenta di mettere a rischio il presente: sostenere la teoria – e agire di conseguenza – che un delinquente possa continuare a vivere da persona libera perché è lui, berlusconi, e non un altro significa non ridicolizzare ma proprio vomitare su quella Carta in cui c’è scritto altro, vuole rendere pericoloso anche quel futuro che non vedrà mai, creare il precedente secondo il quale non importa se uno che con la politica non c’entrava niente per legge abbia avuto invece possibilità di stravolgere la vita politica e sociale italiana, non importa se nel suo percorso di vita abbia commesso dei reati proprio a danno di quello stato che Napolitano e Scalfari dicono di voler difendere, secondo l’esimio fondatore di largo Fochetti tutto questo si può, anzi, si deve perdonare, condonare con un colpo di spugna perché “il governo deve andare avanti per il bene del paese”.

Dove, e quale sarebbe il bene, a queste condizioni, non è dato sapere.

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Sacrifici umani
Marco Travaglio, 10 settembre

Non c’era miglior modo per solennizzare l’anniversario dell’8 settembre ’43, simbolo dell’Italia voltagabbana e opportunista: se 70 anni fa Real Casa e Badoglio si giocarono la faccia e il futuro con l’armistizio, il cambio di alleanza e l’immortale annuncio “la guerra continua”, ovviamente dalla parte opposta, anche oggi è tempo di sacrifici umani per garantire l’agognata “pacificazione”. Non più fra italiani e angloamericani, ma fra guardie e ladri. L’altro giorno Sallusti ha sferrato sul Giornale un attacco suicida a Napolitano che lo salvò dagli arresti forzando le regole e le prassi, mentre con B. ancora non l’ha fatto. Ieri un altro kamikaze, Fedele Confalonieri, ha tentato di farsi esplodere sul Senato con un’intervista al sito di Magna Carta ripreso dal Pornale: “La prova che la condanna di B. è aberrante è che io, che sono quello che firma i bilanci Mediaset, sono stato assolto”. Ecco di cosa avranno parlato lui e Napolitano, nell’amorevole colloquio dell’altro giorno. Naturalmente il disperato tentativo di immolarsi per l’amico Silvio è a costo zero (essendo già stato assolto, non può più essere riprocessato per lo stesso reato: ne bis in idem).

E addirittura controproducente: l’assoluzione di Confalonieri al processo Mediaset rafforza la condanna di B. e dimostra che i giudici non condannano alcuno perché “non poteva non sapere” (“È fortemente plausibile” – scrive la Corte d’appello – che Confalonieri, per le sue cariche aziendali e la vicinanza a B. “fosse a conoscenza della frode e, violando i suoi precisi doveri, nulla abbia fatto” per fermarla; ma ciò non basta a condannarlo). Non per questo il gesto del fedele Fidel è meno encomiabile e commovente. Il novello Salvo d’Acquisto carica sulle sue spalle le colpe di Silvio (“prendete me”), subentrando nel ruolo di scudo umano a Paolo B., ormai inservibile dopo varie assoluzioni dai reati che invano confessava per conto del fratello finendo in galera al posto suo. Alla nobile gara di solidarietà partecipa anche il pm veneziano Carlo Nordio, giocandosi quel che resta della sua credibilità aderendo come la carta moschicida alla tesi farlocca della non retroattività della Severino.

“Anche nella religione – sdottoreggia il giureconsulto lagunare – è così. È un po’ di tempo che la Chiesa dice: non pagare le tasse è un peccato mortale. Benissimo. Ora so che se non le pago vado all’inferno, ma da ora in poi. Non per quelle che non pagavo tanti anni fa”. Già, un po’ di tempo. Quanti anni saranno che Mosè portò giù le tavole col VII comandamento “Non rubare”? Qualche mese, non di più. Intanto Scalfari sfida le ire dei suoi lettori con l’affettuoso invito all’ex nemico B. perché “chieda un provvedimento di clemenza”, nel qual caso “forse l’otterrebbe” dal suo amico Napolitano (suo di B. e di Scalfari). A patto – si capisce – che “assicuri il percorso del governo per il tempo necessario” (a chi? Soprattutto a B. per farla franca e a Napolitano per non doversi dimettere). E ci aiuti a liberarci della vera piaga che ammorba il Paese: “la sinistra movimentista e para-grillina” che vorrebbe “buttare giù il governo e andare alle elezioni”, col rischio che nemmeno stavolta diano l’esito sperato e costringano chi di dovere a un nuovo golpetto tipo Egitto.

Molto meglio un bell’armistizio, a suggello della trattativa Stato-Mediaset. 

Seguirà monito para-badoglino: “Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’ìmpari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Berlusconi, comandante in capo delle forze alleate di Mediaset-Fininvest- All Iberian. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze Mediaset-Fininvest-All Iberian deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. Firmato: Badoglitano.

Con questa mia addirvi…

Sottotitolo: invece di chiederci e chiedersi cosa farà la giunta e se cadrà o no questo bel governo delle larghe intese napoletane bisognerebbe domandare e domandarsi in quale altro paese sarebbe stato possibile tutto questo. 
In quei paesi dove ministri e presidenti si dimettono per sciocchezze, anche senza una responsabilità penale e non vanno a disturbare autorità terze che solitamente si occupano di cose ben più importanti di un pregiudicato condannato che “non ce vole sta’”.
Nel paese del garantismo tout court, dove ad un abusivo impostore e delinquente già da prima della sua “discesa in campo”, uno che si teneva il boss mafioso dentro casa non avrebbe dovuto ispirare la fiducia di nessuno, nemmeno di d’alema, è stato permesso il tutto e l’oltre ci si chiede, ancora, se è il caso o meno che si tolga di torno dopo aver derubato lo stato e dunque tutti noi.

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Condanna Mediaset Silvio Berlusconi resta Cavaliere. Per ora

Il Cavaliere resta Cavaliere. Nel senso che nonostante la condanna definitiva per frode fiscale, il dottor Silvio Berlusconi conserva il titolo onorifico che gli fu attribuito nel lontano 1977, che lui esibisce con orgoglio e che è stato assunto dai giornali come una specie di alias, un secondo nome con annessa qualifica di probità e operosità meneghina. Chi avrebbe il potere di avviare le pratiche perché l’onorificenza gli venga tolta se ne guarda bene dal farlo. Non ci pensano i ministri competenti, comprensibilmente bloccati, dal loro punto di vista, dall’idea che qualsiasi soffio possa stendere il governo. Ma non ci pensa neanche il prefetto di Milano a cui pure la legge concede una facoltà di iniziativa.

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Il prefetto di Milano è quello che ha dato l’autorizzazione per la manifestazione nazista di qualche mese fa; che disse che la parata degl’imbecilli con la nostalgia del führer non era un problema di ordine pubblico. Tutto torna, sì. Premesso che è un’onorificenza che non vale niente ma a Tanzi fu tolta PRIMA del terzo grado di giudizio.
Lui come al solito ha la deroga concessa da quelli che lo votano?

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Re Silvio contro la Repubblica italiana

Diceva di lui Enzo Biagi: “se avesse le tette farebbe anche l’annunciatrice”, mentre Montanelli usava dire che è uno che “ai funerali vuole essere il morto e ai matrimoni la sposa”. Ma sono sicura che nessuno dei due giganti del Giornalismo avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe voluto anche fare il giudice: di se stesso, decidere da se medesimo quale destino gli spetta in qualità di cittadino che ha commesso reati pesantissimi e dei quali deve rispondere alla legge e al popolo italiano.

Un accentratore, un narcisista, uno dall’ego spropositato insomma, che non troverebbe residenza in nessuna comitiva, comunità di persone equilibrate e che non pensano che debba esistere una categoria di persone con più diritti di altri, fra cui quello di andare a disturbare un’autorità terza nel merito di una sentenza passata in giudicato e che qualsiasi  altro cittadino avrebbe dovuto, non importa se anche voluto, incassare.

 

Se non ho capito male [e se sbaglio qualcuno mi corigerà, come diceva la buonanima affacciata alla sacra finestra], berlusconi è andato a dire a Strasburgo che è vero che ha commesso quei reati ma che non poteva sospettare che gli avrebbero causato problemi a livello politico. Ovvero che, al contrario di quanto affermato dal giudice Esposito lui “poteva non sapere” che fare il presdelcons e derubare lo stato mentre si intrattengono rapporti amichevoli con la mafia, ci si fa ricattare da donnine allegre, che lo chiamano amorevolmente “culo flaccido” e molto altro di ciò che attiene al suo ruolo di tRombeurs de femme a pagamento,  sono attività che non s’incrociano.

Ovvero che quella legge Severino voluta anche dal pdl, scandalosa e che in nessun paese normale sarebbe mai stata pensata da nessuno in quanto nei paesi normali la distinzione fra delinquenti e statisti è netta e chiara anche senza una legge che lo stabilisca, gli ha creato problemi perché gl’impedisce di poter continuare a far parte del parlamento e di poter delinquere come prima e come sempre.
E a noi, che altro non possiamo fare, che siamo disarmati di fronte al ricatto e alle minacce di un pregiudicato condannato perché delinquente  resta solo da immaginare le risate di chi dovrà occuparsi di questa faccenducola, di questa bega da cortile…che paese l’Italia, pietà, misericordia, qualcuno c’invada, prima che sia tardi.

 

Un paese a retroattività illimitata

Un Nobel per la Pace che scatena una guerra. È come se un pregiudicato volesse fare la riforma della giustizia. [spinoza.it]

In un paese civile lo scontro sulla retroattività della legge Severino non ci sarebbe perché non ci sarebbe bisogno della legge Severino.
In un paese normale un senatore condannato si dimetterebbe subito, espierebbe la pena e una volta libero si ritirerebbe a vita privata.
[Sandro Ruotolo da Facebook]

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Berlusconi, un resistibile videomessaggio Beppe Giulietti, Il Fatto Quotidiano, 21 agosto

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Sottititolo:  Il corto parlamento – Massimo Rocca, il Contropelo di Radio Capital

Buttatelo fuori, fate cadere il governo, andiamo alle elezioni, facciamo la guerra civile, come suggerito da Bondi, ma per favore finiamola. Finiamola tutti questa soffocante, farsesca legislatura. Un non governo, con una non maggioranza, una non opposizione, un non capo dello stato, un nonsenso. Diciamocelo, può succedere. Abbiamo buttato dieci mesi. Abbiamo provato a far finta che il passato non fosse esistito, che i protagonisti non fossero quelli che sono, abbiamo provato a resuscitare i morti con il risultato ovvio di avere in giro dei Frankenstein. Non è andata, non poteva andare. Anche se ve lo avevamo detto, non portiamo rancore. Purchè non pensiate di farci vivere ancora in questa farsa ridicola, in nome della governabilità e di qualche inutile decimale di PIl che forse metteremo insieme nel 2014. Non ci obbligate a ripetere con Cromwell ” il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie, siete voi ora l’ingiustizia! Ora basta! Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave. In nome di Dio, andatevene”.

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Ostellino, Corriere della Sera,  è sempre quello che scrisse a proposito delle cene eleganti del satrapo condannato, che le donne sono sedute sulla propria fortuna e perché mai non dovrebbero approfittarne.

Ma, a quanto pare anche molti uomini hanno approfittato, fino all’usura, del posto che solitamente si appoggia su una sedia.

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«L’AMACA» del 5 settembre 2013

E che bravo anche  Michele Serra che sull’Amaca di oggi dopo aver commentato sdegnato l’accusa di schifani a quelli del pd di essere loro i responsabili di un’eventuale caduta del governo gli chiede di “riaddrizzare la schiena” e rivendicare “con orgoglio” le sue idee.

Come se non fosse chiaro a tutti, e dunque anche a Serra quali sono sempre state le idee e quali gli obiettivi di chi si è immolato al sostegno e alla difesa del pregiudicato berlusconi.

Un indagato per mafia si permette di intimare, di lanciare ultimatum, di chiedere per conto terzi e cioè del noto delinquente che vengano sostituiti i membri di una giunta che deve stabilire una cosa ridicola per quanto è ovvia, ammantandola di pomposità democratica, e cioè che un delinquente condannato deve uscire dai palazzi del potere e Serra, invece di ricordare che schifani non ha proprio i requisiti per pretendere nulla né per accusare nessuno gli fa la ramanzina bonaria, come se non bastassero i toni concilianti che usa la quasi totalità del cosiddetto giornalismo italiano: un esercito di servi senza dignità responsabili quanto, come, se non addirittura più della politica di aver trasformato un delinquente per natura in uno statista.

I giornalisti hanno una grande responsabilità: quella di diffondere notizie basate su fatti veri. Se questo paese costruisce un dittatore ogni manciata d’anni, se oggi l’Italia è costretta a subire una situazione anormale, indecente e che in nessun altro paese si sarebbe potuta verificare, ovvero un delinquente condannato che può, ancora, ricattare, minacciare il parlamento e le istituzioni, registrare videomessaggi che tutte le tv faranno a gara per mandare in onda è anche una responsabilità di quel ‘giornalismo’ che non informa ma si inginocchia davanti al potente prepotente e in questo caso anche delinquente  molto spesso anche senza che nessuno glielo chieda.

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UN ESERCITO DI SCUDI UMANI (Antonella Mascali) Il Fatto Quotidiano

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Un mandante è per sempre
Marco Travaglio, 5 settembre

Che il Banano sia furibondo con i suoi onorevoli avvocati Ghedini e Longo, che l’anno scorso non gl’impedirono, anzi gli suggerirono di votare la legge Severino, aiutandolo a infilare la testa nel cappio e a stringersi il nodo scorsoio intorno al collo, è cosa nota. Che sia molto deluso anche dai superpoteri del principe del foro Franco Coppi, spacciato dai soliti ben informati per un supereroe specializzato nel far assolvere i colpevoli in Cassazione, è risaputo. Ciò che ancora non si sapeva è che avesse già trovato il sostituto, il 64° difensore della sua lunga carriera di imputato: Piero Ostellino. Il quale ieri, sul Corriere, ha voluto gentilmente anticipare la nuova linea difensiva di B. da spendere – si suppone – dinanzi alla Corte di Strasburgo. Analizzando con la consueta perizia giuridica le motivazioni della Cassazione, l’autorevole Ostellino ha scoperto che B. è stato condannato per “una nuova fattispecie giuridica di delinquente della quale finora la giurisprudenza non aveva notizia: l’“ideatore di reato’”. Va detto in premessa che l’Ostellino ha l’occhio bionico per le sentenze: due anni fa, per dire, riuscì a definire “moralmente mostruose” le motivazioni della condanna dei capi della ThyssenKrupp per la strage di Torino ben due mesi prima che venissero scritte e depositate. Ma lui, evidentemente, le conosceva già per scienza infusa. Stavolta invece si occupa di quelle del processo Mediaset, depositate dalla Cassazione il 29 agosto, e riesce a leggervi ciò che nessuno, nemmeno Coppi e Ghedini e Longo messi insieme, nemmeno il Giornale, il Foglio, Libero, Panorama, il Tg4 e Studio Aperto avevano notato. Per esempio ha scoperto che B. è stato condannato da solo, appunto come “ideatore di reato”, mentre “i suoi sodali, pur avendo commesso il reato da titolari di cariche societarie, non sono stati incriminati”.

Quindi “d’ora in poi chiunque scriva un libro giallo nel quale descriva in dettaglio il modo migliore di rapinare la Banca d’Italia sappia che è passibile di condanna anche se, e quando, altri lo facciano davvero”. Gli sfugge che l’ideatore si chiama anche mandante o concorrente nel delitto ed esiste dall’età della pietra. Ma soprattutto che, insieme a B., sono stati incriminati e processati e condannati i suoi sodali Agrama, Galetto e Lorenzano, senza contare Del Bue e Giraudi salvati dalla prescrizione, Cuomo e Bernasconi defunti e Confalonieri assolto. Ma questi, per un giureconsulto che vola alto come Ostellino, sono solo dettagli. Ciò che conta è la sua sapienza giuridica, che lui distilla sul Corriere spiegando che al massimo B., come ideatore di reato, ha “manifestato una brutta intenzione” o “una cattiva coscienza” e dunque “andava assolto”: solo “l’arbitrarietà di una certa magistratura” poteva processarlo e condannarlo inventandosi “un nuovo reato” per “accusare qualcuno senza prove” e condannarlo “per ragioni politiche”, cioè per “liberarsi del capo di un movimento che si oppone all’egemonia della sinistra”. Il che “dà la misura dell’abisso giuridico e morale in cui è caduto il Paese”, obnubilato da “una sempre ben orchestrata campagna mediatica” a cui – si suppone – contribuiscono anche i cronisti del Corriere , i quali hanno dato ampio conto delle vere motivazioni della sentenza. Che purtroppo non sono quelle descritte da Ostellino, di cui non resta che sperare che non le abbia lette, altrimenti bisognerebbe concludere che non ha capito una mazza. La Cassazione infatti non si limita a dire che B. “ideò” il reato, ma aggiunge e dimostra che “creò”, “organizzò”, “sviluppò” e “beneficiò” dagli anni 80 del “meccanismo del ‘giro dei diritti’ che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende” e per lui tramite 64 società offshore create per lui da Mills, in parte sconosciute ai bilanci e usate per “mantenere e alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere, conti correnti intestati ad altre società a loro volta intestate a fiduciarie di B.”.

Tutte condotte difficilmente compatibili con quelle del romanziere che narra la rapina alla Banca d’Italia. Affranto per “la salute dello Stato diritto”, per i pericoli incombenti sulla “sicurezza di ogni cittadino” (almeno di quelli con 64 società offshore) e sulla “sopravvivenza della democrazia” peraltro “morta da un pezzo”, Ostellino invita B. a smetterla di “comportarsi come un accusato permanente” (come se fosse una sua posa bizzarra) e a “denunciare l’accusa di ‘ideatore di reato’”, “sollevare in Parlamento il problema della certezza del diritto nei confronti di tutti, soprattutto di chi non dispone delle sue risorse finanziarie per difendersi” (semprechè abbia 64 società offshore) e “accusare un modo di amministrare la giustizia non solo ingiusto, ma pregiudizievole per la sopravvivenza della democrazia”.

A questo punto, il discorso preparato da B. con l’ausilio di Coppi, Ghedini e Longo va cestinato e riscritto da capo: “Colleghi senatori, sono l’ideatore-mandante di un delitto gravissimo, ma l’amico Ostellino in un articolo pro veritate ha spiegato che, da che mondo è mondo, gli ideatori-mandanti non sono colpevoli, al massimo sono romanzieri. Non lo dico per me, ma per tutti i romanzieri che non dispongono delle mie risorse finanziarie per difendersi. Siamo tutti innocenti, da Riina e Provenzano in giù. Dunque, modestamente, anch’io”. Sarà un trionfo.