Una volta in paradiso ci andava la classe operaia: oggi ci vanno i boss della malavita

Penultim’ora: sindaco, prefetto, questore e ministro dell’interno non si sono dimessi, però è stata sospesa la licenza all’elicotterista spargifiori in quanto il volo non era autorizzato.
L’unica cosa fuorilegge ieri a Roma erano i petali di rosa.

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Ricordiamoci della vergogna di ieri quando la prossima volta il questore, il prefetto o il ministro dell’interno vieteranno “per questioni di ordine pubblico” una manifestazione pubblica, democratica, alla quale partecipano persone perbene:  studenti, operai, insegnanti malmenati e offesi dalle forze dell’ordine e non un branco di criminali ai quali ieri nessuno ha torto un capello.

Il prefetto di Roma “non era stato informato”, la Curia scarica tutto sul parroco di quella stessa chiesa che negò il funerale religioso a Piergiorgio Welby  che, poverino, “non sapeva” che stava per dare l’estremo saluto ad un criminale con tanto di banda sul sagrato che intonava una sobria melodia come “Il padrino” e la gigantografia appesa sul portone.

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Cavalli e Rolls Royce: l’addio al boss Casamonica
Welby smentisce la Curia: ‘Poster lì dalla mattina’

Chissà che faceva il don mentre organizzavano la scenografia.
Ieri  Roma è stata subaffittata al clan criminale che da decenni se la comanda con l’estorsione, il traffico di droga, il racket della prostituzione e del gioco d’azzardo, l’usura, gli omicidi, i furti: un migliaio e forse più di persone coinvolte in tutto ciò che è criminalità pesante fino alla banda della Magliana a Roma e dintorni, che hanno costruito un patrimonio gigantesco col quale perpetuano l’ottima tradizione di famiglia e nessuno se ne assume la responsabilità. Muore il capostipite del clan criminale e il prefetto aspetta che gli arrivi l’informazione, la telefonata.
È lo stato che controlla i criminali o il contrario?

Monsignor Galantino non ha niente da dire sui “furbi cooptati” e ancorché criminali ai quali la chiesa non nega e non si nega?
Chi ha dato il permesso per la pagliacciata grottesca dei funerali del boss Casamonica con tanto di elicottero dispensatore di petali di fiori a volteggiare in uno spazio pubblico sulla Capitale d’Italia?  Dice il parroco che ha officiato il funerale al boss che “la pietà non si nega a nessuno”, meno però a Piergiorgio Welby, colpevole di non aver voluto continuare a non vivere. Siccome non era bastato lo scandalo di Enrico De Pedis detto Renatino, il boss della malavita che trovò posto da morto nella chiesa di sant’Apollinare sempre a Roma, che fu tolto da lì dopo ventidue anni durante i quali non fu possibile sapere perché un criminale assassino aveva potuto trovare posto fra papi e santi nella casa di Dio perché nessuna inchiesta trovò le risposte, impedite da numerosi fatti “contingenti”, ieri la chiesa ha ribadito qual è la sua idea di famiglia tradizionale e di misericordia.

Ringrazierei i Casamonica per aver tolto anche l’ultimo velo al gigantesco e millenario bluff della chiesa cattolica ipocrita, dalla doppia e tripla morale applicata soprattutto alle possibilità economiche dei suoi frequentatori e poco importa di chi sono i soldi se da oggi stesso le chiese d’Italia e del mondo si svuotassero. Così come avrei ringraziato quelli che hanno pensato che berlusconi poteva essere la risposta giusta alla politica inconcludente, incapace e disonesta se dopo di lui, l’altro mostruoso bluff venduto per politico, imprenditore capace e brillante mentre non era e non è altro che l’ennesimo inconcludente, incapace ma soprattutto disonesto personaggio del grande horror che è la politica di questo paese gli italiani avessero dimostrato maturità nelle scelte, desiderio di un cambiamento vero per rifare questo paese disastrato e disgraziato.
Ma non è così: le chiese non si svuoteranno e la maggioranza degli italiani continuerà a mandare al potere il pifferaio di turno che dice le cose che la gente vuole ascoltare, esattamente ciò che fanno i cosiddetti referenti di Dio dai loro pulpiti anche se poi alle parole non seguono mai fatti concreti, anzi l’azione successiva alle parole non va mai nella stessa direzione ma in quella opposta.
La cerimonia del boss criminale che dopo Roma si merita niente meno che il paradiso ci racconta la storia non solo di Roma ma di un paese che viene segnato da chi ne calpesta strade, piazze, da chi ci vive, lo forma, lo trasforma e lo deforma.
Evidentemente è questa l’Italia che piace agli italiani.
Io stanotte ho dormito pochissimo, questa faccenda mi ha disturbata nel profondo, uno spettacolo osceno che ribadisce, semmai ce ne fosse bisogno, che l’Italia è un paese abbandonato prim’ancora che dai suoi cittadini dalle istituzioni arroganti e oltremodo ciarliere di fronte alle piccolezze ma che chinano il capo silenti davanti al boss e, se esistesse davvero un Dio lo farebbe volentieri pure lui. 

Lo stato col crimine si trova perfettamente a suo agio, fatelo sapere anche a Mattarella che parla di lotta alla corruzione, alla mafia e perfino al terrorismo islamico.
Nel paese dove lo stato contrasta davvero il crimine cose come queste non si fanno perché lo stato per primo non lo permetterebbe.

So che è noioso e banale ripeterlo ma [nel paese normale] prefetto, questore, sindaco e ministro dell’interno si sarebbero già dimessi per manifesta incapacità.

Se i parlamentari non vogliono fare i passacarte delle procure, rinuncino all’immunità

Sottotitolo: a Roma, nel quartiere Pigneto, quaranta persone tentano di aggredire tre carabinieri per impedire l’arresto di due spacciatori.
L’altro ieri in senato in 189 hanno aggredito sessanta milioni di italiani per impedire l’arresto di Azzollini‬.

L’articolo 68 della Costituzione non serve a tutelare i politici da condanne per reati di criminalità comune. Si era detto, mi pare, che serviva solo per il reato di opinione, lo stesso che al cittadino comune non viene perdonato né condonato.

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Renzi difende il Pd che ha salvato Azzollini
“Il Parlamento non è passacarte della procura”

Renzi sul caso del senatore Antonio Azzollini, per il quale l’Aula del Senato ha respinto la richiesta di arresto avanzata dalla Procura di Trani con il contributo decisivo di una parte del Pd: “E’ una questione complessa. Si vota guardando le carte, chi lo ha fatto ha ritenuto di votare contro. Io credo alla buona fede e all’intelligenza dei senatori e dei deputati”

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Se il parlamento non può diventare il passacarte delle procure ma i parlamentari possono inficiare, rendere nullo il lavoro delle procure e di tribunali con leggi apposite che poi giudici sempre costretti a subire la pressione della politica e delle istituzioni devono applicare, coi magistrati ridotti a doversi inventare sentenze di condanna che non condannano come per berlusconi, lo stato smetta di fare finta di contrastare le mafie e la criminalità e le procure di tutta Italia di indagare su politici delinquenti o più che presunti tali.
Se io commettessi un reato potrei decidere di non essere arrestata?
O potrei far decidere i miei amici e parenti sull’opportunità che io vada o no in galera? Tutte le raffinate argomentazioni di cui si discetta e si disquisisce in presenza del beneficiato dalla politica beccato a delinquere non valgono mai per tutti i cittadini del cui destino non interessa a nessuno.
C’è gente che in galera c’è andata e ci resta, senza un processo e senza una sentenza, non la mandano ai domiciliari all’attico o in villa, e se per caso qualcuno si è sbagliato non paga quel qualcuno ma noi tutti come al solito.
Lo stato spende cifre folli per l’ingiusta detenzione, soldi che potrebbero essere destinati ad altre cause più giuste e più urgenti se solo questo paese diventasse davvero civile e la politica provvedesse a realizzare e rendere operative delle misure alternative alla custodia cautelare in carcere, il cui costo ricade su tutti i cittadini.
Se la carcerazione preventiva è ingiusta per i parlamentari garantiti e protetti da leggi fatte apposta per loro perché fatte da loro deve esserlo per tutti i cittadini, come comanda la Costituzione.
Anche basta poi con questa storia della coscienza relativa alla politica, ma coscienza di che? La coscienza non è un meccanismo che si può attivare quando fa comodo.
I coscienziosi d’accatto che si sono fatti belli ieri vantandosi di aver detto no all’arresto di Azzollini, dopo aver ascoltato la coscienza e “letto le carte”,  cosa pensano di tutti gli altri che non hanno la fortuna, il privilegio di far passare al vaglio dei loro pari la decisione sulla loro sorte?
Se, come dice Manconi quello che vale per il politico deve valere anche per il poveraccio, quand’è che la politica metterà in pratica questa magnifica teoria nel rispetto della Costituzione che vuole i cittadini tutti uguali e la legge uguale per tutti? Se la carcerazione preventiva è un provvedimento ingiusto, un obbrobrio giuridico e lo è,  deve esserlo per tutti.
E se un politico sfugge all’arresto per grazia ricevuta dai colleghi sarebbe cosa buona e giusta che si facesse da parte con rispetto e gratitudine per il privilegio di cui lui ha potuto beneficiare ma tanti altri no.
Altroché vanterie, festeggiamenti, scafette su guance flaccide e pacche sulle spalle.
Sarebbe oltremodo utile poi sapere come si fa ad evincere da una semplice lettura delle carte che nelle intenzioni dell’accusato non ci sia la fuga, la possibilità di inquinare le prove né la reiterazione del reato.

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Una società che non preveda l’allontanamento dei socialmente pericolosi è anch’essa pericolosa.

Nessuno vivrebbe tranquillo sapendo che lo stato non fa più la distinzione fra chi ha commesso dei reati e chi no. Coloro che come Manconi  si sono vantati di aver  votato no all’arresto di Azzollini, che non vorrebbero vedere nessuno in carcere non fanno un servizio utile alla civiltà, alla cultura del rispetto né alla restituzione della fiducia fra le istituzioni e i cittadini. E’ giusto e sacrosanto però pretendere che la Costituzione venga rispettata, se la pena prevista per i reati deve essere finalizzata alla riabilitazione sociale deve esserlo fino in fondo. Anch’io penso a delle forme alternative di detenzione più leggere per i reati che le permettono, non trovo per nulla giusto che il ladruncolo, il piccolo spacciatore, il poveraccio che ruba per fame debba essere costretto a dividere gli stessi luoghi del serial killer, del pedofilo e dello stupratore.

Il carcere, la privazione della libertà nel paese civile davvero devono essere l’ultima soluzione, non la prima. Ma per tutti, non solo per quelli “più uguali degli altri”.

Potenzialmente pericolosi

Servire lo stato non è accompagnare ancora su e giù per l’Italia un delinquente da galera. Tanto scandalo per gli spingitori di carrelli della Finocchiaro ma tutto tace sulla vergogna di uno stato che fa pagare ai cittadini la scorta di un pregiudicato, delle sue residenze, e non per proteggere noi da lui.

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Alfano, che sembra Alfano e qualche volta spesso è proprio Alfano ha capito che non gli conviene mettersi contro il braccio armato dello stato e del potere, ecco perché nel merito della “minaccia” di sciopero della polizia parla di richieste giuste e legittime ma fatte con toni “inaccettabili”.
Non gli passa neanche per l’anticamera del cervello dire che è un ricatto l’ipotesi di uno sciopero delle forze dell’ordine – che sarebbe il primo della storia di questo paese perché gli appartenenti alle forze di polizia militari e civili non possono scioperare, altrimenti fra le altre e tante cose di cui si occupa la polizia di stato non potrebbe garantire la scorta a un delinquente pregiudicato condannato.
Ma come parla il presidente del consiglio?
Lo sciopero, un diritto conquistato in anni di lotta, lacrime e sangue che diventa un ricatto, così come l’articolo 18 è stato trasformato in totem e feticcio per fargli perdere anche il significato morale. Così intanto la gente si abitua.

E comunque se parliamo di adeguare il salario, lo stipendio ai rischi dei cosiddetti servitori dello stato   quanto dovrebbe guadagnare l’operaio che tutti i giorni sale su un ponteggio? I comparti definiti sensibili perché svolgono mansioni indispensabili per la tenuta civile di un paese e verso i quali lo stato dovrebbe avere un occhio – ma anche tutti e due –  di riguardo sono tanti: medici, infermieri, vigili del fuoco, gente che solitamente salva e accudisce le vite, non le toglie “accidentalmente”. Persone qualificate e con responsabilità altissime malpagate, costrette a turni e orari massacranti. Gli insegnanti che devono formare la società prossima ventura e che lavorano in condizioni inenarrabili. Fare il poliziotto, il carabiniere è una scelta personale, se c’è chi pensa di non ricevere il giusto trattamento dallo stato perché non si licenzia e va a vedere come si sta ai “poggi più giù?” Magari in qualche cooperativa dove la gente viene pagata un mese sì e tre no e ad ogni rata del mutuo e qualsiasi extra può capitare in una famiglia bisogna organizzare la colletta fra i parenti per recuperare i soldi necessari.

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La vera emergenza da risolvere è smettere di considerare Napoli la città dove tutto può succedere per poi giustificare le contromisure dello stato, che non c’è quando ci deve stare ma quando non ci dovrebbe stare è ben presente e a mano armata.
Altroché la tbc.
Napoli è la zingara d’Italia, insultata, sbeffeggiata, presa a calci da tutti, abbandonata e di cui ci si ricorda solo in circostanze tragiche, non per fare in modo che certe cose non succedano più o ne succedano meno ma per insultarla un altro po’.
Chissà perché le forze dell’ordine non vanno a far rispettare la legge e le regole a mezzogiorno a Montecitorio, invece di essere così solerti a Napoli alle tre  di notte. Mai sentito che un poliziotto o carabiniere insegua sparando l’imprenditore che va a depositare il tesoretto oltre confine.

Immagino il pericolo che potevano causare tre stronzi senza casco su un motorino alle tre di notte.
E’ che la notte si sta bene a casa, e allora chi deve lavorare poi diventa nervoso.

Se i nostri “tutori dell’ordine” hanno 22 anni immagino il livello di preparazione che hanno raggiunto, visto che per laurearsi ce ne vogliono almeno 23. Se lo stato mette un’arma in mano a dei ragazzini che poi dovranno tutelare l’ordine  bisogna mandare via i figli da qui.
Da un paese pericoloso dove lo stato arma le mani a persone immature e impreparate, quindi potenzialmente pericolose.

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Si chiamano ragazzate proprio perché le fanno i ragazzi.
Le persone adulte fanno le grandi cazzate.
Quelle spesso irreversibili.
Strano poi che 17 anni siano pochi per essere considerati adulti mentre diventano improvvisamente un’età in cui si deve sapere quel che si fa quando quello che si fa è sbagliato.
Provo pietà per la sicumera di chi giudica un fatto grave arrogandosi l’autorità di dire quello che è giusto e sbagliato dimenticandosi probabilmente di quando era giovane; mai fumato una canna, mai preso una sbronza, mai alzato il volume dello stereo, mai guidato una macchina senza patente, mai fatto a pugni con l’amico.
Bravi, non sapete quello che vi siete persi.
Provo pena per chi giustifica un omicidio che si poteva e si doveva evitare poi magari va nei social a mettere i suoi manifesti contro la guerra, i terrorismi e condanna tutte le violenze purché stiano a debita distanza dal suo culo.
Perché è più facile condannare la violenza quando è lontana, quando c’è la sicurezza di non doverla subire di persona.
Quando il pericolo è più vicino spaventa, e quindi va bene prevenirlo anche con l’extrema ratio: uccidendo un ragazzino.
E sono sinceramente preoccupata per gli eventuali figli di gente così: cresceranno nel terrore di non deludere le aspettative dei loro genitori che li vogliono perfetti, lindi e pinti col dieci e lode sui quaderni per poi ritrovarsi adulti e andarsi a cercare l’emozione trasgressiva chissà come e dove.
Perché ci sono cose che o si fanno prima, quando è il momento, o si cercano dopo, e per conto mio preferirei più avere per casa il diciassettenne “disadattato” che l’adulto che pensa che si può ammazzare per “legittima difesa” da un pericolo che non c’era.

Ladri più di ieri e meno di domani

RENZI CHIAMA IL PM ANTI CAMORRA A SORVEGLIARE GLI APPALTI EXPO

Il magistrato antimafia, chiamato dal premier Matteo Renzi a seguire i lavori della rassegna internazionale del 2015, in un’intervista al Mattino spiega: “I partiti sono ancora in preda del malcostume. E l’opinione pubblica è spesso distratta.

Cantone neo-commissario a Expo 2015
“Tangentopoli non ha insegnato nulla”

Il magistrato anti-mafia collega i casi Berlusconi, Scajola Dell’Utri e mazzette a Milano: “Politica
non ha fatto passi avanti. I partiti hanno responsabilità, non si sono dotati di regole trasparenti”.

Ecco.
Bisogna avvertire Scalfari, Ezio Mauro e tutto l’esercito dei meravigliati del mainstream de noantri, quelli che “ma com’è possibile che i criminali di oggi sono gli stessi di vent’anni fa”. E domandare che hanno fatto di bello e di utile in questi vent’anni per evitarlo.

 

Certo che può parlare di esilio anche Matacena e Dell’Utri può dire di essere un perseguitato da vent’anni se ancora oggi si parla del Craxi esule costretto a chiedere asilo politico come chi fugge dai regimi. Gli esempi contano, e forse conterebbero meno se il presidente della repubblica evitasse di partecipare alle varie commemorazioni in onore di un corrotto, un pregiudicato latitante, un vigliacco che si è sottratto a una giusta condanna. 
E se si evitasse di citare Craxi infilandolo nel pantheon di sinistra come ha fatto Fassino senza ripercorrere la fase che lo ha trasformato da statista a cittadino indegno. 
Tutti martiri dell’onestà in questo paese.

Se berlusconi, dell’utri, matacena, forse pure scajola a sua insaputa sono prigionieri politici, perseguitati dalla giustizia noi che siamo? 

Perché qua mi pare che i veri prigionieri politici, gli unici ad avere il diritto alla definizione siamo proprio e solo noi, veri ostaggi di una politica, di un governo, di istituzioni che nessuno ha scelto e che ci tocca subire. Questa gentaccia andrebbe incriminata, oltre che per i suoi reati anche per terrorismo semantico. Per abuso indiscriminato di parole che hanno un significato preciso, che vengono buttate nel frullatore mediatico senza che ci sia nessuno poi che spiega perché berlusconi, Dell’Utri e Matacena sono tutt’altro che vittime. 
Le vittime siamo noi, questo non va dimenticato.

L’assenza dello Stato e il sentimento di vendetta – Furio Colombo, Il Fatto Quotidiano

La stampa e l’informazione che oggi cadono dal pero, si meravigliano, si scandalizzano come Scalfari nell’editoriale di ieri ed Ezio Mauro in quello di oggi che i criminali di oggi sono gli stessi di vent’anni fa dovrebbero dare il giusto risalto a queste cose, così come lo fanno rispetto a qualsiasi scemenza, falsità, menzogna, diffamazione che esce dalle bocche di questi criminali. Quello che avrebbero dovuto fare in questi vent’anni, quelli di berlusconi impostore, abusivo della politica, delle leggi ad personam, della cancellazione dei reati per agevolare la collusione fra la politica e la criminalità. Se ad un condannato per una frode fiscale da 300 milioni di euro invece di una condanna gli si dà un premio, si annulla di fatto la sentenza che lo ha reso un cittadino non avente più diritto ai diritti di tutti, di chi non ruba allo stato e non si mette fuori dallo stato e dalla legge  è inutile poi lagnarsi, indignarsi che i protagonisti dei ladrocini siano sempre gli stessi, la stessa cricca ispirata anche dalle teorie del più ladro di tutti, ovvero l’abuso dello stato per l’interesse e l’arricchimento personali. Come fa notare anche Gherardo Colombo la politica anziché attivarsi per contrastare la delinquenza dentro la politica ha contribuito all’esaltazione del crimine, non ha modificato di una virgola quello che berlusconi e un parlamento complice hanno stravolto. Non ha lavorato né si è impegnata per ridare a questo paese una parvenza di decenza salvo poi gridare al lupo al lupo tutti insieme, informazione e politica, quando è arrivato il buffone a rovesciare il tavolo dell’immoralità.
Col risultato che noi cittadini oggi  non abbiamo più nessuna tutela né un punto di riferimento sano in un momento drammatico in cui ce n’è un estremo bisogno.

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“Come ai tempi di Mani Pulite colpa delle leggi ad personam”  Liana Milella – La Repubblica

Tutto «come vent’anni fa». I magistrati hanno raccolto «una serie quasi infinita di prove», ma le leggi ad personam e la prescrizione hanno falcidiato i processi. L’ex pm di Milano Gherardo Colombo è convinto che la svolta «non arriverà in tempi brevi». Un primo passo è sicuramente quello di «allontanare dal suo ufficio chi sbaglia la prima volta». Quanto alla politica, anche della sinistra, il giudizio è netto: «Non vedo da tempo interventi utili a prevenire la corruzione ».
Tangentopoli Due, Dell’Utri condannato, Scajola arrestato. Che succede in Italia?
«Tenuta ferma la presunzione di innocenza fino al giudizio definitivo, non c’è bisogno di queste notizie per avere la forte impressione che non sia cambiato molto dai tempi di Mani pulite. Forse sono diverse le modalità e, al momento, pare che non si riscontri quel coinvolgimento dei partiti politici che si era verificato allora. Ma l’impressione è che esista comunque una corruzione particolarmente diffusa nel nostro Paese».
Il sottosegretario Del Rio dice che bisogna cambiare l’etica pubblica. Come se fosse facile, visto che in Italia pare che il Dna dell’onestà sia carente.
Siamo condannati a veder riprodotti all’infinito questi comportamenti?
«È una questione che non riguarda solo l’etica pubblica, ma anche quella privata, perché quando si verifica un fatto di corruzione, oltre a una parte pubblica, è sempre coinvolto un soggetto privato, impresa o persona fisica che sia. A livello di vertice, la corruzione può essere un fenomeno costante solo se esiste una pratica diffusa in qualsiasi altro livello della società. Se non si promuovono cambiamenti che riguardano il rispetto delle regole per tutti, è difficile, se non impossibile, marginalizzare la corruzione anche ai livelli più alti».
Nella famosa intervista che dette a D’Avanzo 20 anni fa lei indicava nella politica e nel patto della Bicamerale una responsabilità determinante. Oggi la colpa su chi ricade?
«Non credo sia importante stabilire di chi sia la colpa, quanto cercare le cause. E allora mi chiedo: quali modelli di comportamento sono stati promossi in questi anni? Quali punti di riferimento sono stati indicati? Considero un equivoco pensare che un problema così generalizzato si possa risolvere a livello giudiziario, attraverso le inchieste, i processi e le sentenze. Proprio l’esito delle indagini degli anni Novanta costituisce un riscontro inconfutabile. La raccolta di una serie quasi infinita di prove, attraverso le quali venivano individuate le responsabilità di un gran numero di persone, non ha quasi avuto seguito a livello giudiziario ».
Non è troppo pessimista?
«I processi spesso si sono conclusi per prescrizione o per assoluzioni dipendenti da incisive modifiche della legislazione processuale e sostanziale, che hanno ridotto l’efficacia probatoria di alcune emergenze, hanno accorciato i termini di prescrizione e hanno ridimensionato reati come il falso in bilancio. Tutto ciò non ha impedito che la corruzione continuasse a mantenere livelli molto elevati. Da tempo sono convinto che incidere sulla corruzione sia necessario intervenire soprattutto a livello educativo e preventivo».
Non le viene il dubbio che così, tra 50 anni, ci troveremo con gli stessi fatti criminali?
«Se consideriamo che il fenomeno è così esteso, di certo la soluzione non potrà intervenire in tempi particolarmente brevi. Essa potrà essere tanto più rapida, quanto più l’educazione e la prevenzione saranno agite in modo tempestivo, organico e profondo».
Com’è possibile che nel mercato degli appalti trattino e facciano mediazioni personaggi come Frigerio e Greganti?
«In tanti casi persone ritenute responsabili di corruzione o che avevano patteggiato per questi reati sono state lasciate a svolgere le stesse funzioni. La questione coinvolge la responsabilità di chi ha il compito di applicare la legge e di fare scelte di gestione, e cioè scelte politiche».
Governo Prodi nel 2006, governo Renzi nel 2014. Le leggi di Berlusconi sono sempre in vigore. Non c’è una responsabilità della sinistra nell’ostacolare la riconquista della legalità?
«Da tempo, non ho visto interventi legislativi che cercassero di incrementare effettivamente, al di là delle parole, una maggiore capacità di intervento sia a livello educativo che a livello preventivo».
Cantone, un ex pm, è il nuovo commissario anti-corruzione e Renzi l’ha appena coinvolto da Renzi per Expo. I suoi consigli?
«Non credo di potergliene dare su come gestire il suo ufficio, ma è necessario che gli vengano dati gli strumenti e i mezzi per poter svolgere un’efficace attività di controllo in posizione assolutamente indipendente».

Il self made man con la naturale propensione a delinquere

A proposito di clima d’odio: mandano dei proiettili ad un pm che guardacaso si sta occupando di un processo che vede imputato silvio berlusconi forse, e anche, perché dei politici fra cui il ministro dell’interno e vicepresidente del consiglio vanno, nel giro di due mesi due volte, a manifestare contro la Magistratura?  non dico il pd che ormai non dà più segni di vita propria ma almeno Napolitano, da bravo capo del CSM avrà da dire qualcosa o starà zitto in nome della pacificazione nazionale e dell’abbassamento dei toni?
Sono preoccupata. E non certo per quel clima d’odio di cui vaneggiano i politici e i giornalisti servi al seguito.
Sono preoccupata perché i veri produttori di odio hanno le mani libere.
Ecco perché ho scelto di non condividere la critica tout court nel merito della frase sulla furbizia orientale pronunciata da Ilda Boccassini.

Ci sono persone che vanno tutelate e protette anche da un loro errore.
Ricamare intorno alla Boccassini una polemica durata giorni su una cretinata come quella, a cui hanno partecipato anche autorevoli intellighenzie di sinistra è uno sbaglio da non fare mai.
Perché significa prestare il fianco a chi poi la “critica” per mezzo della minaccia mafiosa.

BERLUSCONI VERTICE DELL’ILLECITO

Nelle motivazioni della sentenza di Appello del processo Mediaset che ha confermato la condanna a
4 anni si legge di “un sistema portato avanti per molti anni” e “proseguito nonostante i ruoli pubblici”
LA CASSAZIONE SU RICHIESTA SPOSTAMENTO PROCESSI: “PURA DILAZIONE DEI TEMPI”

La Cassazione sul processo Ruby: “da Berlusconi accuse infamanti alle toghe di Milano”.

In Italia non c’è più un solo fatto legato alla criminalità pesante e alle mafie che non sia passato per la strada di silvio berlusconi.
Di diritto, di rovescio, di traverso e di nascosto lui c’è sempre.
Per liberarsi di lui c’è rimasta solo l’Alta Corte per i diritti dell’uomo; le vie legali, normali, democratiche sono finite, anzi, non sono mai nemmeno cominciate.

Il superprotetto dalle istituzioni e dalla politica; quello che, ad estrometterlo dalla politica per legge, come avrebbe dovuto essere da subito e da sempre, ci si fa una brutta figura, anzi, una figura ridicola, come c’insegna il bravo professor Monti.

E vediamo se anche dopo aver letto le motivazioni circa il processo mediaset qualche altro illustre luminare, qualche altra eccellenza bigia e grigia avrà il coraggio di dire che l’ineleggibilità di berlusconi è inopportuna perché la gente lo vota, no?
Servi: solo servi a disposizione di un delinquente.
Parassiti strapagati, gente che ha prodotto solo danni irreparabili e che ha la pretesa di ammantarsi con aggettivi pomposi: onorevoli, senatori, presidenti.

“Loro non cambiano”; aveva ragione Rosaria Schifani al funerale di Giovanni Falcone e della sua scorta fra cui il marito maciullati dal tritolo mafioso a Capaci.

Nessuno si è inginocchiato e nemmeno è cambiato, anzi sono tutti perfino peggiorati, se possibile.Questo è uno stato che abbandona gli onesti a vantaggio della protezione dei delinquenti; soprattutto uno.

Mandate via i figli, ve lo chiedo io in ginocchio.


La contrapposizione

Sottotitolo: ”Povero Paese dove un presidente della Repubblica invece di andare in prima serata in televisione a condannare un atto eversivo di portata enorme come la triste sfilata di parlamentari negli uffici giudiziari, riceve Alfano (ex ministro della Giustizia…) al Quirinale il giorno dopo”.

Chi l’ha detto?

A) Benedetto l’Emerito dal suo ritiro spirituale sinceramente preoccupato per la situazione politica italiana.
B) Pier Luigi Bersani, in qualità di prossimo venturo eventuale presdelcons sinceramente preoccupato per l’emergenza democratica che dura in questo paese da diciotto anni.
C) Beppe Grillo, noto agitatore di masse, populista, qualunquista, demagogo, nazista, fascista, protetto dai poteri forti della Casaleggio [da non confondersi con cosa nostra].

Sono diciotto anni che si porta avanti questa teoria ignobile  della contrapposizione fra Magistratura e politica col favoreggiamento vivo & vibrante di parte delle istituzioni, di certa stampa e giornalismo e parte  di quell’opinionismo ‘eccellente’ sempre presente in tivvù.

Mentre invece si tratta semplicemente della contrapposizione legittima e legale della giustizia contro ladri e malfattori di stato.
Chissà come mai quando condannano e arrestano ladri, assassini e stupratori non si parla mai di contrapposizione fra giustizia e criminalità violenta ma semplicemente e come è giusto che sia  di applicazione della legge?
E chissà come mai la gggente sempre così severa verso i ladri semplici, gli assassini, gli stupratori e i criminali in genere non impara ad esserlo anche per quel che riguarda gli altri e ‘alti’ criminali che ben più danni producono all’intera collettività?

La Magistratura agisce laddove c’è un reato e un imputato colpevole di quel reato. E la politica di quel che fa la Magistratura si deve DISINTERESSARE IN TOTO, questa è l’unica separazione dei poteri da mettere in pratica nei fatti.

Se  la politica non vuole essere disturbata dai giudici basterebbe che i suoi referenti e rappresentanti non commettessero reati penali, che non fosse connivente con mafie e criminalità come invece è capitato e capita troppo spesso qui da noi.

E che evitasse poi  di parlare di persecuzione giudiziaria, soprattutto, visto il degrado in cui versa la moralità e l’onestà di buona parte di una classe politica indecente che da diciotto anni occupa inopinatamente il parlamento grazie ad una legge definita porcata dal suo stesso creatore, calderoli, lega nord.

In nessun paese normale sarebbe mai potuto succedere che le istituzioni, nella persona del presidente della repubblica e la politica proteggessero in modo così sfacciato un delinquente  che la legge l’ha violata ripetutamente,  individuando il nemico in chi la delinquenza la combatte tutti i giorni, ovvero la Magistratura che altro non fa che rispettare le leggi che fa la politica stessa, perché se ad esempio  la legge dice che lo stupratore dopo quindici giorni può andare ai domiciliari che c’entra il giudice che comunque lo ha condannato? il gap nella giustizia è altrove ed è in quell’altrove che andrebbero operate delle serie riforme, non nel Magistrato che processa il politico che viola la legge e tradisce lo stato che rappresenta.

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Destabilizzante – Rita Pani

Va da sé, signor Presidente, che non la rimpiangerà nessuno. Oh che fortuna la vostra! Avere noi come cittadini da governare. Capaci di affidare il destino delle proprie esistenze a un marchio registrato, il potere decisionale ad una azienda a conduzione familiare, che quando andrà a congresso sarà come una rimpatriata tra amici di Facebook.

La nostra stanchezza è la vostra fortuna. L’ignoranza dei giovani la vostra salvezza. La devastazione della scuola, il vostro futuro.

Siamo tutti qua oggi a dire che Napolitano non è il nostro presidente, come se lo fosse stato davvero anche un solo giorno, o come se il fatto di non essere il “nostro” le impedisca di esserlo. Ma noi ci accontentiamo, per fortuna vostra. Troviamo sempre qualcosa o qualcuno su cui riporre la nostra speranza, una società di marketing un marchio registrato, uno zio, un nipote, un commercialista, un giudice, un pupazzo rosso della televisione, un imbecille che va in giro vestito da coglione fingendo di essere un super eroe … Ci accontentiamo, o facciamo finta di accontentarci nella speranza che prima o poi salti fuori “la botta di culo” che ci possa mettere al riparo.

L’ho già scritto qualche tempo fa, ma mi piace ribadirlo: ormai siete così avanti rispetto alla massa, che non avete nemmeno più bisogno di prenderci in giro. Devo ammettere che ci ha provato, almeno, con quel funambolico suo discorso, con quella “vibrante preoccupazione per le tensioni destabilizzanti”. Perché per sua fortuna, ormai son rimasti in pochi a saper far di sconto, capaci di scindere l’acqua dall’olio. In pochi, ormai, cogliamo quanto destabilizzante possa essere il suo discorsetto pragmatico e occorrente.

Siete riusciti nell’impossibile, quando siete riusciti ad impedire che almeno due generazioni sapessero di poter esigere i propri diritti. Ci son giovani che non sanno cos’è un TFR, per esempio, che non sanno di avere diritto allo sciopero, che non sanno di avere diritto di accedere all’istruzione, di poter esigere la casa, il lavoro retribuito. Ci son giovani che attendono fiduciosi di essere impiegati come schiavi, ed anche meno giovani che si accontentano. Poi ci sono quelli come noi, che hanno fatto in tempo a lottare perché i diritti e i doveri continuassero ad esistere congiuntamente, per non sentirsi “destabilizzati”, e che oggi si pongono ancora domande. E son brutte le risposte, fa persino paura darsele.

Che brutto momento quello in cui un cittadino deve ricordare al presidente della Repubblica che abbiamo una Costituzione, e il suo articolo 111. Un articolo che poteva essere “garanzia anti destabilizzazione”, se lo squilibrato a cui si è dato agio, non lo avesse aggirato con le sue regole sulla prescrizione, con i suoi cavillosi articoli su legittimi impedimenti. Se non si fosse permesso all’interesse privato di andare a governare l’interesse pubblico.

Ma son solo chiacchiere … io intanto da tre mesi attendo un documento fondamentale per la mia esistenza. Che fa signor Presidente, scrive lei al tribunale civile di Cagliari, annunciando la sua vibrante preoccupazione? Perché sa, inizio a pensare che se trovassi i danari per affrontare il viaggio (con una botta di culo) potrei andare io a esigerlo. Con un forcone in mano.

Rita Pani (APOLIDE)

 

Un paese a sua insaputa

Sottotitolo: Vorrei solo ricordare a tutti quelli che “la repubblica va celebrata anche – anzi soprattutto – nei momenti di difficoltà”, secondo l’autorevole opinione del Monitore della Repubblica,  che la polemica sull’inutilità offensiva di festeggiare il 2 giugno con una parata MILITARE non è nata ieri né ieri l’altro ma si ripete puntualmente da svariati anni.
E allora se io dico che il pistacchio non mi piace ma poi qualcuno insiste nel propormi il pistacchio nel gelato le cose sono due: o quando parlo non mi sta a sentire oppure non gliene frega nulla di continuare a reiterare un torto nei miei confronti.
A me il pistacchio non piace, e non me lo farei piacere nemmeno se venisse Johnny Depp in persona a dirmi che posso, devo  mangiarlo perché piace a lui che, a differenza di Napolitano piace molto a me.

Ho sempre avuto disgusto per i nazionalisti. Nazionalismo non vuole dire ideale, vuol dire difesa delle peggiori espressioni della nazione: il clientelismo di stato, la difesa dei burocrati e dell’apparato. Dunque del cosiddetto status quo. Quello che ci ha allegramente condotti nel baratro.
 Non sopporto, trovo di un’estrema disonestà che si chieda ad un popolo di “fare” stato, paese, solo in presenza di tragedie e difficoltà ma poi quando quel popolo chiede allo stato quello che gli spetta viene ignorato.
E’ troppo comodo dire agli italiani: “la parata si farà anche se voi non la volevate [e indipendentemente dall’uso che si potrebbe fare di quei soldi: in questo paese c’è davvero l’imbarazzo della scelta]  ma per ovviare all’emergenza del terremoto vi aumentiamo [per il momento, ché mica finisce qui] di nuovo la benzina”.
Ennò, perché qui non c’è proprio niente di statale né tantomeno niente di democratico, c’è piuttosto qualcosa che riporta vagamente a quei bei regimi dove c’è uno che comanda e tutti che subiscono decisioni da cui non possono sottrarsi.
E così non funziona, non può funzionare, ma questo lo sapete pure voi, carissimi [non foss’altro che per quanto ci costate], politici e tecnici.

E lo sa anche Napolitano, estremo difensore di una pagliacciata di cui nessuno sentirebbe la mancanza.


Finanza, via il colonnello Rapetto

Sua la supermulta ai videopoker

Polemico addio su Twitter del colonnello che ha inflitto 98 miliardi di multa alle concessionarie del gioco d’azzardo di Stato. Sue anche le principali inchieste delle Fiamme gialle sul cyber crime. “Cancellati 37 anni di sacrifici, momento difficile e indesiderato”

Per quel che può valere, tutta la mia solidarietà al Colonnello Rapetto, il cui caso ricorda molto quello di Gioacchino Genchi, esperto di intercettazioni  cacciato dalla polizia di stato quando, collaborando con  De Magistris toccò – inevitabilmente –  perché dove ci sono porcherie c’è sempre l'”eccellenza” di mezzo, quei  personaggi cosiddetti  illustri, dunque intoccabili, che poi non erano (sono) altro che la solita feccia che siede in parlamento.

 Il Colonnello si è evidentemente dimesso a sua insaputa.
Ma chi ha fatto in modo che lo facesse sapeva benissimo perché non doveva o poteva più rimanere al suo posto.
Essì,  è proprio una repubblica da festeggiare questa: con tanto di parata.
E chissà di chi sarà stata la mente brillante che dai piani alti delle istituzioni ha pensato che un funzionario che faceva davvero il suo dovere dovesse essere messo in condizioni di doversene andare.
I migliori si cacciano, o se ne vanno di loro “spontanea volontà”, per tutti gli altri c’è sempre un posto da sottosegretario alla sicurezza della repubblica italiana.
Ma probabilmente è giusto così, è giusto che a rappresentare l’Italia sia l’ambiguità  fatta persona (e più persone).
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla lotta all’evasione di questo governo farebbe bene a toglierseli. E’ evidente che ci sono ambiti che non si devono disturbare. 98 miliardi,  l’equivalente di quattro o cinque finanziarie,  a questo stato hanno fatto schifo, molto meglio lasciare che la GdF vada a controllare chi non fa gli scontrini del caffè, e, una tantum, qualche blitz sulle vie dello shopping o nelle località di vacanza; attività meno rischiose, per le quali il posto non lo rischia nessuno e sicuramente più redditizie dal punto di vista mediatico.
Chi pensava che, via berlusconi tolto il dolore, sarà rimasto molto deluso.
Speriamo.

Naturalmente Giorgino tace,  nessun conato di monito per questo: sarà occupato a scegliere il vestito per la festa.

 Un paese a sua insaputa, Marco Travaglio, 31 maggio

Perché un terremoto del quinto-sesto grado Richter, così come un paio di giorni di pioggia, fa strage solo in Italia (oltre, si capisce, al resto del Terzo mondo)? La risposta l’ha data a sua insaputa il neopresidente di Confindustria Giorgio Squinzi, quando ha detto che i capannoni industriali sbriciolati dalle scosse del 20 e del 29 maggio erano “costruiti a regola d’arte”. La questione, il vero spread che separa l’Italia dal mondo normale, è tutto qui: nel concetto italiota di “regola d’arte”.
La nostra regola d’arte è quella che indusse la ThyssenKrupp a non ammodernare l’impianto antincendio nella fabbrica di Torino perché, di lì a un anno, l’attività sarebbe stata trasferita a Terni. Risultato: sette operai bruciati vivi.
Mai la ThyssenKrupp si sarebbe permessa di risparmiare sulla sicurezza nei suoi stabilimenti in Germania, dove le tutele dei lavoratori sono all’avanguardia nel mondo. In Italia invece si può. Perché? Perché nessuno controlla o perché il controllore è corrotto dai controllati. Oltre all’avidità dei singoli, purtroppo ineliminabile dalla natura umana, il comune denominatore di tutti gli scandali e quasi tutte le tragedie d’Italia è questo, tutt’altro che ineluttabile: niente controlli. Salvo quelli della magistratura, che però arriva necessariamente dopo: a funerali avvenuti. Dal naufragio della Costa Concordia al crollo della casa dello studente a L’Aquila, dalle varie Calciopoli ai saccheggi miliardari della sanità pugliese, siciliana e lombarda, dal crac San Raffaele ai furti con scasso dei Lusi e dei Belsito, dalle cricche delle grandi opere e della Protezione civile alle scalate bancarie, dalla spoliazione di Finmeccanica alle ruberie del caso Penati, giù giù fino alle casse svuotate di Bpm e Mps, alle piaghe ataviche dell’evasione, degli sprechi, delle mafie e della corruzione, quel che emerge è un paese allergico ai controlli. Che, se ci fossero, salverebbero tante vite e tanto denaro, pubblico e privato. Ma la nostra regola d’arte è quella di allargare ogni volta le braccia dinanzi alla “tragica fatalità” o alle “mele marce”, per dare un senso di inevitabilità a quel che evitabilissimamente accade. Mancano i controlli a monte perché tutti si affidano alle sentenze a valle. E poi, quando arrivano le sentenze a valle, non valgono neppure quelle. Formigoni, mantenuto dagli amici faccendieri Daccò e Simone che hanno scippato 70 milioni alla fondazione Maugeri, ente privato ma farcito di fondi pubblici dalla Regione di Formigoni, non si dimette perché “non sono indagato”. E perché, anche se lo fosse cambierebbe qualcosa? Qui non tolgono il disturbo né gli indagati, né i rinviati a giudizio, né i condannati. La giustizia sportiva ha definitivamente condannato e radiato Moggi dal mondo del calcio per i suoi illeciti sportivi, revocando alla sua Juventus due scudetti vinti con la frode, poi lo stesso Moggi è stato pure condannato dalla giustizia penale (a Roma in appello e a Napoli in tribunale). Eppure il presidente Andrea Agnelli seguita a elogiarlo come “grande manager” e rivendicare i due scudetti vinti col trucco. E ora difende Conte, “solo indagato”. Perché, se fosse condannato come Moggi cambierebbe qualcosa? Battista sul Corriere minimizza il calcioscommesse: “Un pugno di partite sporcate… se qualcuno imbroglia, non sono tutti imbroglioni”, “non è vero che così fan tutti”, ergo bisogna “essere severi con chi ha violato un codice penale e un codice morale, ma non dissolvere le differenze”.
Bene bravo bis. Peccato che il 7 maggio, quando la Juve ha vinto il 28° scudetto, Battista abbia scritto che è il 30° (“tre stelle, meritate e vinte sul campo, cucite sulla maglia”) e chissenefrega delle sentenze (“nessuno ha mai pensato che una storia gloriosa fosse una storia criminale”), frutto di “processi sommari” perché c’entrava anche l’Inter. Dunque così fan tutti. Ricapitolando: niente controlli prima, niente sentenze dopo.
È il Paese dell’Insaputa.
Arrivederci al prossimo funerale.