Aspettando la sentenza della Consulta [come se ci volesse la Consulta a stabilire chi è silvio berlusconi]

Sottotitolo: E se per caso – Massimo Rocca – Il Contropelo di Radio Capital

Questa volta nessuno potrà negare che si tratti di conflitto di interessi. Elevato a conflitto tra poteri dello stato. Era legittimo l’impedimento invocato da Berlusconi, la convocazione improvvisa di un consiglio dei ministri il primo marzo del 2010, data in cui si doveva svolgere a Milano una delle udienze del processo Mediaset che in seguito lo avrebbe visto prendere 4 anni di carcere sia in primo grado che in appello?  Oppure fecero bene i giudici a ritenerla un scusa, un espediente processuale, e a proseguire?  Ma ciò su cui deve decidere da oggi la Corte Costituzionale è, in realtà, la natura stessa dell’avventura politica di Berlusconi. L’episodio per il tutto. Immaginate le conseguenze di una sentenza che dica che il capo del governo subordinò la massima attività dell’esecutivo alle sue tattiche di difesa dal processo. Con che faccia i rappresentanti del centrosinistra potrebbero continuare a governare con un uomo così, a discutere con lui la riforma della costituzione. Saprebbero dargli addosso come hanno fatto sull’euro, nascondendosi dietro Draghi e la Merkel?  Saprebbero dirgli:  con te no, come hanno fatto con Grillo?

Preambolo: nella magnifica quanto incredibile eventualità che la sentenza della Consulta abbia un esito sfavorevole a b e quindi favorevole per l’Italia dovrebbero dimettersi tutti, anche quelli che per vent’anni hanno fatto finta di opporsi al più grande farabutto della storia di questa repubblica, che ancora oggi permettono che questo paese sia ostaggio dei suoi ricatti e delle sue minacce ammantando il tutto, non senza la consueta viva e vibrante soddisfazione, con la pomposa quanto menzognera definizione di “governo di necessità”.

Danilo Maramotti per l”Unità

Mediaset, la Consulta decide
Il pessimismo di Berlusconi

Il verdetto della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento.

[Fiorenza Sarzanini – Corriere della Sera]

Già: chissà se Napolitano ci ha pensato a questa conseguenza, lui sempre e da sempre in mezzo fra berlusconi e la Magistratura.

E se ci ha pensato quando ha voluto a tutti i costi questo bel governo dei larghi sottintesi.
Guai se un simile statista debba vedersi negata la possibilità di sedersi al tavolo delle decisioni.
E’ proprio la persona adatta con cui riformare nientemenoche la Costituzione.

L’impunità a b è stata sempre offerta sul classico piatto d’argento.
Nel corso della sua storia politica che inevitabilmente è andata di pari passo con le sue vicende giudiziarie perché è stata costruita appositamente per evitare che silvio berlusconi rispondesse davanti alla legge delle sue azioni, dei suoi reati, molti dei quali commessi prima della sua ormai tristemente famosa discesa in campo, della sua immoralità delinquenziale tutti, destra, centro, centrosinistra, si sono prodigati per mettere i bastoni fra le ruote ai Magistrati.

Mi chiedevo in quale paese sarebbe possibile organizzare addirittura un esercito per “proteggere” berlusconi dai giudici.

In quale paese si potrebbe dire impunemente che Ilda Boccassini dovrebbe essere indagata per diffamazione aggravata solo perché è un giudice che fa onestamente il suo lavoro.

E mi chiedevo in quale paese il presidente della repubblica, nonché capo supremo dei giudici anziché tutelare quei giudici da attacchi continui, di pretendere rispetto per un potere dello stato, avrebbe potuto fare invece sempre l’opposto permettendo che quei giudici fossero insultati, denigrati, avrebbe guardato in silenzio chi ha manifestato contro quei giudici da ministro e vicepresidente del consiglio: cose di una gravità inaudita e che non sarebbero permesse in nessun paese democratico davvero.

E mi chiedevo come si fa a sacrificare la civiltà democratica – ché nominare la parola dignità a proposito della politica è diventato ormai un esercizio inutile – di un paese per salvare dai suoi guai un delinquente abituale per sentenza.

Con un casellario giudiziario come quello di b, i suoi precedenti, le sue frequentazioni, il suo partito fondato da un condannato per mafia, il boss mafioso ospitato in casa, le mignotte, i papponi, la corruzione, in un paese normale sarebbe impossibile fare anche il più umile dei mestieri.
Figurarsi chi, oltre a Giorgio Napolitano, avrebbe dato la possibilità ad uno così di riformare leggi e Costituzione, di “poter partecipare alla delicata fase politica”.

berlusconi non ha più bisogno dell’assoluzione di un tribunale perché ha già ottenuto quella morale dalla politica, quella legittimazione per cui lo si considera ancora l’interlocutore col quale discutere, quello con tutti i titoli per decidere le sorti di questo paese.

  Una democrazia, la Costituzione, vanno protette anche da quello che sembra uno scherzetto innocente come l’esercito di silvio.

Non si lascia fare senza dire una parola. Quella è eversione in piena regola.

Ma se il primo sostenitore di berlusconi è il ministro dell’interno, quello chiamato a difendere il paese e non chi ne ha fatto strame, che speranza ha questo paese di potersi salvare? secondo me nessuna.

Che bel paese l’Italia. Da morire

Sottotitolo: la certezza della pena è indispensabile, ma lo deve essere per tutti i tipi di reati e per tutti i tipi di criminali ma, come abbiamo visto, come c’insegna il favoloso stato [di diritto, eh?] italiano, una vetrina vale più della vita di un ragazzino, una carriera più della giusta punizione per chi si macchia di un crimine come la tortura, una vita spezzata di una giovane donna uccisa dall’uomo che diceva di amarla vale pochi anni di galera, con lo stupro, l’apologia di fascismi e razzismi, con le aggressioni xenofobe o verso gli omosessuali si accede di diritto agli arresti domiciliari. Ma per il furto di un ovetto kinder si istruiscono processi che durano tre anni e si concludono con un’ovvia assoluzione che si sarebbe potuta concedere dopo tre minuti. Quindi non c’è speranza: questo paese è refrattario all’idea di giustizia giusta e applicata, e lo è ad iniziare da chi dovrebbe lavorare per metterla in pratica.
La politica, di tutti i colori, è la prima responsabile di tutti i crimini che restano impuniti.

In questa lieta giornata che segue quella in cui l’ennesima ingiustizia da parte dello stato verso i suoi cittadini è stata fatta, rivolgo un saluto cordiale a Gianni De Gennaro nominato di recente  sottosegretario ALLA SICUREZZA da QUESTO GOVERNO.


Video – il regista Vicari: “Alla Diaz fu tortura” (di I. Buscemi)

“400 poliziotti hanno compiuto un reato che in Italia non esiste, la tortura“.

La morale, in uno stato ridicolo qual è il nostro, è che su 400 criminali comandati da delinquenti fascisti  – che ancora occupano le istituzioni – che hanno potuto umiliare, mortificare, massacrare di botte gente incolpevole, che dormiva per terra, uomini, donne, ragazzi e ragazze che volevano solo manifestare pacificamente un dissenso, solo 25 sono andati a processo e la loro vita, dopo averne devastate molte, cambierà, forse, di pochissimo.

E le vittime di questo scempio, di questa sospensione dei diritti democratici e umani,  dopo undici anni non sono state nemmeno risarcite.
Smettiamola di chiamare l’Italia ‘democrazia’ o, addirittura, ‘stato di diritto’.
Perché in una democrazia e in uno stato di diritto queste cose non succedono.

La regia politica dell’operazione rimarrà a disposizione della storia ma non verrà giudicata dalla giustizia. 

Oggi Fini è diventato un amichetto dei  riformatori liberali, della gente dè sinistra, della società civile, è stato lavato e candeggiato a dovere in questi undici anni, quindi nessuno gli chiederà conto di quel che accadde nella cosiddetta cabina di regia quando lui era nientemeno che ministro della difesa di questa repubblica.

Il governo Prodi ha avuto uno dei peggiori ministri della giustizia, Clemente Mastella, che è stato attivissimo sugli indulti  che servivano a berlusconi  e ai suoi compagni di merende ma non ha trovato il tempo di approvare norme decenti sulla tortura: il parlamento non le ha volute, pretese, anzi.

Ricordiamo anche che Di Pietro non volle la commissione di inchiesta sul G8 mentre oggi si spertica nel chiedere quella sulla trattativa stato mafia. Un poliziotto è come un fascista: per sempre.

Con questo combinato di attività, collusioni, menzogne, depistaggi, inciuci, pressioni,  inerzia, mentre nel frattempo i responsabili dei massacri venivano premiati, promossi,  strapagati, nonostante (o forse grazie a) quel che accadde a Bolzaneto e alla Diaz  si è sancita l’impunità, passata e futura, di un gruppo di funzionari in sostanziale continuità con una tradizione fascista non solo tollerata ma proprio incoraggiata.

Da Portella della Ginestra, passando per Piazza Fontana, Bologna, Ustica, continua la tradizione italica di insabbiamento e copertura istituzionale compiute dalle istituzioni stesse che cambiano nome ma non ruolo. Che bel paese, l’Italia. Un paese bello, da morire.

Noi sappiamo, Massimo Rocca per il Contropelo di Radio Capital

Adesso sappiamo quello che sapevamo undici anni fa. Questa maledizione pasoliniana. Sappiamo quello che era sotto gli occhi di tutti. La provocazione di stato. Il tentativo di fare di Genova l’occasione per un sovvertimento della democrazia. Sotto gli occhi delle alte cariche dello stato, con le alte cariche dello stato sul posto. Sappiamo che, tanto pasticcioni e incapaci, quanto crudeli e malintenzionati, come sono sempre stati gli organizzatori delle trame, la fecero così sporca e così stupida da diventare un boomerang. Ma i boomerang italiani sono velocissimi nel colpire, lentissimi nel tornare indietro. Indulti, prescrizioni, tutte le tattiche di difesa che certo non si offrono quando scattano i manganelli e così in galera non finirà nessuno per la Diaz, come per il global forum di Napoli o per Aldrovandi. Salteranno a scoppio ritardato alcune carriere che non avrebbero mai dovuto esser fatte. E allora ricordiamo almeno i nomi dei distratti ministri sotto cui quelle carriere si sono dipanate: Claudio Scajola, Giuseppe Pisanu, Giuliano Amato, Roberto Maroni, Anna Maria Cancellieri.

L’ingiustizia è uguale anche per loro

Preambolo per non dimenticare: a capo del governo c’era berlusconi, al ministero dell’interno scajola (forse già a sua insaputa), c’erano la russa, fini e gasparri che  invocavano punizioni esemplari, i mandanti sono sempre gli stessi, cambiano nome ma non ruolo;  dalle stragi di neofasciste passando per le brigate rosse, al tentativo di golpe dei generali, servizi deviati al soldo del neofascismo e della mafia, la solita gente  impunita fino ai giorni nostri.
La notte della Repubblica bis, targata berlusconi.

Sottotitolo: essere un funzionario di polizia in Italia è un privilegio, perché si può tranquillamente tradire lo stato (di diritto) che si rappresenta massacrando, ammazzando gente a calci e manganellate ed essere giudicati poi secondo la legge di uno stato di diritto. Non finiremo mai di ringraziare Clemente Mastella e l’indulto da lui voluto per fare un favore a berlusconi mentre era ministro col governo Prodi e anche chi in tutti questi anni si è opposto affinché non si istituisse il reato di tortura, visto che la prescrizione è scattata proprio sul reato di lesioni, ovvero di quei massacri giudicati da Amnesty International LA PIU’ GRAVE VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN UNA DEMOCRAZIA DAL DOPOGUERRA IN POI. Non avere una legge che punisca la tortura nel paese delle mele marce e delle schegge impazzite equivale ad autorizzare e incentivare azioni criminali di questo tipo.

Questa sentenza per essere completa avrebbe dovuto punire anche i mandanti; la responsabilità politica dei massacri c’è e ci sono anche i nomi e i cognomi dei registi; uno su tutti Gianfranco Fini, lo stesso Fini che due giorni fa si è scandalizzato perché un onorevole dell’IDV ha pronunciato la parola “coglioni” in parlamento. Manco avesse detto che la legge è uguale per tutti.

“Confermate quindi solo in via teorica le condanne a 4 anni inflitte a Giovanni Luperi e a Francesco Gratteri, quella a 5 anni per Vincenzo Canterini, nonché le pene, pari a 3 anni e 8 mesi, inflitte a Gilberto Caldarozzi, Filippo Ferri, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Spartaco Mortola, Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi e Massimiliano Di Bernardini. La Cassazione ha anche dichiarato prescritti i reati di lesioni gravi commessi dagli agenti della celere che quel giorno facevano parte del settimo nucleo speciale della Mobile. 
Nel frattempo i dirigenti di allora sono stati promossi, hanno fatto strada all’interno della Polizia, dei Servizi Segreti, di altri apparati dello Stato.”

[http://www.contropiano.org/it/news-politica/item/10069-diaz-condanne-confermate-ma-non-paga-nessuno]

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Diaz, confermate le condanne ai 25 poliziotti. Interdizione agli alti dirigenti

La sentenza della Quinta sezione mette la parola fine al processo per il blitz del G8 di Genova nel 2001. Gli imputati non andranno in carcere, ma l’interdizione dai pubblici uffici colpisce alti dirigenti come Gratteri, Caldarozzi e Luperi. Cancellieri: “Attueremo le disposizioni della Cassazione”.

 In questo paese, e la sentenza del G8 dopo quella per Federico Aldrovandi lo conferma, i reati contro la persona sono puniti in maniera infinitamente minore di quelli contro  la proprietà.

Specialmente se a commetterli sono uomini e donne  in divisa.

Se proprio si vuole riformare la giustizia si potrebbe iniziare da qui: anche lo stupro era considerato e giudicato un reato contro la morale, c’è voluta la strage del Circeo per commutarlo in reato contro la persona, quante altre stragi degl’innocenti ci vorranno affinché una vetrina spaccata e una macchina bruciata valgano meno di una vita umana?

Devastazione e saccheggio

In appello, nell’ottobre 2009, 15 dei manifestanti vengono assolti, sia per l’intervento della prescrizione, sia perché la carica dei carabinieri in via Tolemaide è stata nuovamente valutata come illegittima e quindi la reazione dei manifestanti a questa è stata considerata una forma di legittima difesa.

Invece ai 10 condannati (accusati di devastazione e saccheggio) vengono sensibilmente aumentate le pene rispetto a quelle erogate in primo grado, per un totale di 98 anni e 9 mesi di carcere (i PM avevano chiesto complessivamente pene per 225 anni per i 25 manifestanti).
L’aumento delle pene mantiene gli anni di carcere complessivi quasi inalterati nonostante la forte riduzione dei condannati: alcune delle pene inflitte (fino a 15 anni) risultano più elevate di quelle che, usualmente, in Italia vengono date per reati ben più gravi, come ad esempio l’omicidio.

Il prossimo 13 luglio ci sarà la Cassazione.

 

Diaz: Art.21, la Rai trasmetta il film di Vicari

“Con una sentenza non possono essere risarciti coloro che hanno subito danni fisici e psicologici così pesanti. Ma il responso della Cassazione sulla Diaz contribuisce a quella richiesta di verità e giustizia che tanti hanno urlato a gran voce in questi undici anni: associazioni, movimenti, giornalisti e registi come Daniele Vicari che con il suo “Diaz” ha realizzato un’importante opera di impegno civile con una puntuale ricostruzione basata sugli atti processuali e sulle testimonianze di persone che hanno avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per questo chiediamo che la Rai trovi modi e tempi per trasmettere il film “Diaz” e consentire a tutti i cittadini di conoscere i fatti”.

[Stefano Corradino – Articolo 21]

Lo schiaffo del soldato

Sottotitolo da “Repubblica”; “I quattro poliziotti sono ancora in servizio, ma nei loro confronti è aperto un procedimento disciplinare, le frasi ingiuriose sono entrate nel dossier”.

Siamo troppo giustizialisti: aspettarsi che almeno in caso di condanna definitiva per omicidio, si venga automaticamente radiati dalle Forze dell’Ordine, sarebbe davvero eccessivo.

[Michele Cosentini]

Un provvedimento disciplinare, come se avessero rubato le matite dalla scrivania del posto di lavoro. Come se avessero timbrato il cartellino al collega assenteista. A me ‘sta storia manda letteralmente fuori di testa. Ma che cazzo di paese è questo?  bisognerebbe scappare senza fare nemmeno le valigie. Poi si torna a fare i turisti, casomai.

Lo sfogo della madre di Aldrovandi: “Vogliono uccidere mio figlio mille volte”

Per Patrizia Moretti dopo la rabbia è il tempo della denuncia: “I poliziotti negano l’evidenza di una sentenza della Cassazione. Ho paura. Spero che il ministro degli Interni prenda seri provvedimenti”.

Insulti su Facebook alla famiglia Aldrovandi. La Vezzali si dissocia?

Lasciando stare i precedenti mediatici non proprio edificanti della Vezzali (vedi alla voce “sketch con Berlusconi e dintorni”); e sempre premettendo la buona fede o l’eventualità di un fake; ciò detto e ribadito, è troppo auspicare che Valentina Vezzali prenda posizione e, qualora fosse effettivamente iscritta a Prima Difesa, si dissoci risolutamente da un simile consesso?
E’ vero che in Italia siamo abituati a sportivi chiacchierati, ma una portabandiera iscritta a un gruppo simile sarebbe francamente inaccettabile.

P.S. Al momento, al gruppo “Prima Difesa Due” risulta iscritto, da 11 mesi, anche il profilo facebook di Renata Polverini.

Il ministro Cancellieri pensa che una sentenza si può ignorare per tutto il tempo che si vuole, basta non leggerla.
Meno male che è stata messa in  un ministero che non ha niente a che fare con la giustizia.

Insultare morti non è un esercizio di libera espressione. Non lo è nemmeno insultare i vivi, ma almeno i non morti hanno la possibilità di difendersi dalle diffamazioni.

Tutti i morti di stato vengono ammazzati ancora e ancora, dopo la loro morte fisica. E’ già successo, con Falcone e Borsellino, con Carlo Giuliani, non basta l’annientamento totale, bisogna eliminare anche la benché minima traccia,  soprattutto morale,  di quel che un tempo era stata una persona.

Credo che  nella storia di questo paese non ci sia stato nessuno più insultato di Carlo Giuliani, da morto. E adesso tocca a Federico, qualcuno doveva raccogliere il testimone, evidentemente.

Chiunque – da parte debole –  abbia avuto a che fare con le forze dell’ordine sa che abbastanza di frequente  capita che  persone che forse hanno qualche problemino con la giustizia, il ladruncolo, il piccolo spacciatore, oppure chi si tiene due grammi di hashish in tasca per farci i fatti suoi  vengano trattate in modo non corretto né troppo civile

Per queste vale tutto, a cominciare dallo sputtanamento pubblico sui giornali, specialmente poi se il ‘malfattore’ è di un’altra nazionalità, e le botte, il pestaggio “pedagogico, educativo” molto spesso sono il messaggio di benvenuto dello stato nelle caserme da Bolzano a Palermo.

E allo schiaffo del soldato in quel caso non ci si può proprio sottrarre.

Diversa è la situazione quando davanti ad un carabiniere o  ad un poliziotto si ritrova (raramente, peraltro) il pre-potente, il politico ladro, colluso con la mafia, corrotto o corruttore, per questi nessun abuso, anzi spesso si esagera con le buone maniere, a cominciare dalla discrezione, ché i panni più sono sporchi e più si devono lavare in famiglia.
Tutto questo anche grazie a quella mentalità ottusa di gente che naturalmente pur di evitare anche il minimo ragionamento si schiera a prescindere dalla parte della legge o, meglio ancora della giustizia ( me viè da ride)  perché  “a chi non fa niente non succede niente” oppure difende le sue ridicole certezze pronunciando  la fatidica frase: “se fosse rimasto a casa sua ora sarebbe ancora vivo”.

Fuori dalla polizia questi quattro criminali, e se si arrivasse ai mandanti sarebbe ancora meglio. Perché i mandanti ci sono, e sono fra quelli che non fanno leggi per porre dei limiti alle violenze di stato, per impedire alle forze dell’ordine di trasformarsi nel braccio armato del potere. E che poi non ne fanno altre per punire seriamente gli assassini di stato.

Perché sto con la mamma di Aldrovandi – 

di Ilaria Cucchi (sorella di Stefano, altro morto ammazzato da “ignoti” mentre si trovava sotto la tutela di funzionari dello stato)

Noi eravamo presenti al momento della pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione. Lucia Uva, Domenica Ferrulli ed io. Perché noi in questi anni siamo diventati una famiglia.
Noi sappiamo cosa significa lottare momento dopo momento per una giustizia che si da per scontata ma che molto spesso non lo è.

Noi sappiamo quanto è importante per noi, e per quelli come noi, che finalmente e definitivamente coloro che hanno tolto la vita a un ragazzino che non aveva fatto niente di male siano stati giudicati colpevoli. Questa è la giustizia in cui vogliamo credere. Questo ciò che da a noi la speranza di andare avanti.

Questo ciò che è riuscita a fare, da sola, Patrizia Moretti. Per la sua famiglia, per Federico che ora le sorride da lassù ma che mai nessuna sentenza potrà restituirle. Ma anche per l’intera collettività. E per noi, che senza il suo coraggio non avremmo mai trovato la forza necessaria per intraprendere battaglie di simili dimensioni.

Patrizia lo ha fatto sapendo bene che quanto aveva di più prezioso non le sarebbe stato restituito da una sentenza di condanna. Nella quale ella stessa, pur sapendo benissimo come erano andate le cose, avendo imparato a sue spese a conoscere questa giustizia in tanti momenti non ha sperato.

E lo ha fatto anche nell’illusione di poter cambiare una cultura. Quella terribile per la quale chi indossa una divisa ha ragione a prescindere. Ma contro il pregiudizio e l’ottusità a volte non basta nemmeno questo. Se oggi, di fronte all’evidenza delle atrocità che hanno fatto coloro che hanno ucciso Federico Aldrovandi, c’è ancora chi ha il coraggio di difenderli. E non solo. Purtroppo.

Patrizia ha visto calpestata la vita di suo figlio, appena diciottenne e con tutta la vita davanti, ed oggi dopo tanto dolore aggiunto al dolore, quello di una lotta impari affrontata con lo strazio della consapevolezza che ormai la sua vita era finita nello stesso istante in cui era finita quella di Federico, vede calpestata anche la sua memoria.

Ma che senso ha tutto questo?
E la nostra realtà politica non ci aiuta.
Troppo presi evidentemente a fare leggi su misura per loro. Ignorando quali sono i problemi veri della gente comune.
Gente che per merito della nostra giustizia riesce a fatica a far emergere realtà scomode, grazie solo ed esclusivamente alle pubbliche denunce. Quelle rivolte alla gente normale.

Quelle che fanno indignare il vicino di casa e l’impiegato dell’ufficio postale, che solo in quel momento assumono consapevolezza dei soprusi che avvengono ogni giorno nell’indifferenza generale.
Perché fa comodo a tutti non parlarne.
Così. Come se niente fosse successo.
Perché parlarne vuol dire mettere in discussione l’intero sistema.
Molto meglio chiedere a noi di farcene una ragione.
Sfatiamo questo mito. La giustizia non è uguale per tutti.
Cambiano le persone che comandano questo Paese, ma non cambia la mentalità. Se il ministro degli interni, piuttosto che tacere, ritiene opportuno esprimersi in maniera vaga anziché compiacersi per la vittoria della giustizia, quella vera, una volta tanto.

Cosa dovremmo pensare noi?
Che siamo soli. E ancora una volta qualcuno ce lo ha dimostrato.
Ma niente e nessuno riuscirà a farci desistere dal nostro bisogno di giustizia. I nostri cari non sono morti per un puro caso, ma per colpa di chi avrebbe dovuto tutelarne i diritti.

E nessuno può chiederci di far finta di niente.
Lo sappiamo bene quanto è e sarà dura.
E sappiamo anche bene che possiamo confidare solo su noi stessi, sul nostro avvocato e angelo.

E sul coraggio di Patrizia.
Che ha cresciuto un ragazzo fantastico, che sarebbe stato accanto a lei per tutti i giorni della sua vita, se quattro assassini non avessero deciso di portarlo lontano da lei.

fonte globalist 26 giugno 2012


Il danno, la beffa e l’oltraggio

I poliziotti condannati insultano la madre di Aldrovandi su Facebook

“Se avesse saputo fare la madre non avrebbe allevato un cucciolo di maiale”, e ancora “faccia da culo (…) speriamo non si goda i risarcimenti dello stato”. Paolo Forlani, fresco di condanna in Cassazione (tre anni e mezzo), si scatena sul social network nella pagina di Prima Difesa, contro Patrizia Moretti. E lei lo querela.

Sottotitolo:  sarebbe troppo semplice rispondere a questo rifiuto subumano che se sua madre avesse fatto la madre probabilmente non avrebbe allevato un criminale,  ma voglio essere più comprensiva ed evitare di scendere al livello di un assassino tutt’altro che pentito. Può darsi, anzi è sicuro che ci siano genitori inadeguati al ruolo. Ma è altrettanto sicuro che se questo fosse un paese normale un assassino sarebbe in galera, senza nessuna possibilità di scarabocchiare stronzate offensive su facebook.
Tre anni e sei mesi condonati dall’indulto. Questo vale la vita di un ragazzino in Italia se ad ammazzarlo è un poliziotto, anzi quattro.
Sarebbe opportuno non dimenticare.
Mai.

La politica dovrebbe esigere, anziché farsi mandante delle violenze compiute dalle forze dell’ordine [se questo è ancora un paese con qualche possibilità di diventare normale, sano, un posto sicuro dove far crescere i propri figli], dei test più approfonditi, ripetuti ciclicamente per chi decide di voler far parte di quella categoria di lavoratori che troppo semplicemente viene poi definita dei “tutori dell’ordine”.

Perché è altrettanto troppo facile parlare poi di “schegge impazzite” o di “qualche mela marcia”.

Chi compie azioni come quelle dei quattro criminali di Ferrara soffre di turbe psichiche, serie, gravi, ed è quindi un pericolo per sé ma soprattutto per gli altri, impossibile che persone così non abbiano mai dato prima segni di aggressività in eccesso; io non ci credo che si possa trattare di raptus come non credo che non ci si possa rifiutare di rispondere ad un ordine, come accadde al G8 di Genova, in Valsusa e come accade puntualmente ogniqualvolta si esprima dissenso per mezzo di manifestazioni pubbliche, se quell’ordine prevede l’esercizio della violenza.
Altrimenti davvero bisogna scappare da questo paese, e pure di corsa.