In un paese normale berlusconi sarebbe in galera

Mauro Biani

In parlamento tutto è permesso, perfino far sedere al tavolo della discussione un delinquente condannato interdetto e decaduto, ma guai a dire le parolacce. Signora mia.

Ringraziamo Matteo Renzi per averci costretto ad assistere all’ultima oscenità, quella definitiva di un delinquente che può ancora parlare di responsabilità politica, partecipare alla gestione politica e dello stato come se non fosse stata principalmente la sua irresponsabilità criminale e quella dei suoi complici, divisa equamente fra politici ed elettori, la prima causa del disastro attuale. 

 Un sentito grazie va anche alle “alte discariche” [cit. Marco Travaglio] dello stato che tutto condannano meno però, i condannati veri.

VIDEO – IL PREGIUDICATO B. AL QUIRINALE: ‘NOI OPPOSIZIONE, AVANTI CON RIFORME’

A furia di piagnucolare di nuovo fascismo nessuno si è accorto che invece c’era ancora quello vecchio che vive e lotta insieme a loro. La santanché che esulta dicendo che il tempo è galantuomo perché berlusconi passa davanti ai carabinieri che invece di arrestarlo lo salutano è un’altra tessera di questo mosaico degli orrori.

Quindi oltre a Matteo Renzi e alle alte discariche bisogna ringraziare tutti i giornalisti di regime, dei vari regimi ormai, che cominciano con berlusconi per arrivare a Renzi passando per Monti e Letta che invece di concentrarsi sul vero fascismo ne hanno fabbricato uno nuovo per dare modo a quello vecchio di potersi riorganizzare.

“L’opposizione responsabile com’è sempre stata” è relativa a quanto la politica sarà disposta a concedere ancora a berlusconi per continuare a disturbarlo il meno possibile; a quanto sarà disposta ancora a fare per garantirgli il mantenimento della “robba”. Sono passati vent’anni e c’è ancora chi crede alle balle criminali di silvio berlusconi. Che è lo stesso che diceva che le sue sentenze non dovevano avere niente a che fare con la stabilità del governo.
Coglioni.
Coglioni.
Coglioni.

Ringraziamo dunque moltissimo e con viva e vibrante commozione, tutti quelli che in questi mesi invece di ricordare tutti i giorni agli italiani che silvio berlusconi in un paese semplicemente normale, non eccellente ma dove la politica fa il suo, l’informazione fa il suo e gli elettori fanno il loro sarebbe a scontare quello che gli spetta per aver tradito, truffato e rapinato lo stato, certamente non a decidere di leggi e di governi d’intesa [la loro ma non la nostra] hanno preferito parlare d’altro. Molto spesso del nulla. Fino ad ora gli unici a fare il loro dovere sono stati i giudici che hanno condannato berlusconi, con buona pace di quelli che “berlusconi va battuto politicamente.”

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Ricordate gli eversori? Marco Travaglio, 16 febbraio

Due settimane fa la presidente della Camera, Laura Boldrini, faceva il giro delle sette tv per difendere l’onore violato del Parlamento, paragonare i 5Stelle ai fascisti e definirli “eversori”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si diceva “molto preoccupato per il Parlamento”. Le altre cariche dello Stato e i partiti unanimi facevano quadrato attorno ai sacri palazzi minacciati dalle squadracce pentastellate. Poi nello scorso weekend il neosegretario Pd Matteo Renzi, raccogliendo l’appello di tutto il partito, cuperliani inclusi, decideva di prendere il posto di Enrico Letta, giudicando il suo governo una jattura per il Pd e per l’Italia. Mossa comprensibile e legittima (anche senza passare dal voto: nemmeno Letta era stato scelto dagli italiani), anche se incoerente con le sue dichiarazioni degli ultimi mesi. E il primo a esserne informato era Napolitano, nel corso di una cena tête-à-tête lunedì 10 febbraio. Ma il contenuto del colloquio di due ore non veniva comunicato né al Parlamento né agli italiani. Martedì 11 mattina il premier Letta veniva ricevuto al Quirinale per pochi minuti, e ancora una volta il Parlamento e gli italiani venivano tenuti all’oscuro delle cose dette, anche se lo striminzito comunicato del Colle sul “rapido incontro” era una campana a morto per il premier. Tantopiù che qualche ora dopo il capo dello Stato, da Lisbona, faceva sapere che la sorte del governo era affare del Pd. Eppure, nelle democrazie parlamentari, l’unica fonte di legittimazione del governo è il Parlamento che lo sostiene a nome di tutto il popolo. Mercoledì 12 mattina Letta e Renzi s’incontravano nella sede del Pd, senza informare né il Parlamento né i cittadini del contenuto del colloquio. Da indiscrezioni si apprendeva però che Renzi aveva comunicato le sue intenzioni a Letta, il quale gli aveva dato la sua disponibilità a farsi da parte. Poi però convocava la stampa nel pomeriggio per sciorinare un programma di legislatura, abborracciato in quattro e quattr’otto “fino a cinque minuti fa”, ragion per cui non aveva potuto mostrarlo a Renzi in mattinata. E sfidava il segretario a uscire allo scoperto: “Chi vuole il mio posto lo dica”. Tranne gli esegeti del sanscrito politichese, né i cittadini né il Parlamento erano in grado di tradurre quei segnali di fumo. Giovedì 13 si riuniva la direzione del Pd, cioè un’associazione privata, e sfiduciava il governo Letta 136 a 16. Il tutto, ancora una volta, all’insaputa delle Camere. Venerdì 14 Letta riuniva l’ultimo Consiglio dei ministri, poi saliva al Colle per dimettersi nelle mani di Napolitano. Il quale escludeva esplicitamente un passaggio del governo Letta in Parlamento. Napolitano fissava per l’indomani il calendario delle consultazioni fra i partiti, due dei quali – M5S e Lega – decidevano di non partecipare visto che tutti i giochi erano già fatti. Vivo rammarico del Quirinale, ma solo per l’assenza della lega. È la terza volta, da quando Napolitano è presidente, che un governo cade senza il voto del Parlamento, cioè dell’unico organo democratico deputato a sfiduciarlo. E sarebbe la quarta se Romano Prodi, nel 2008, non avesse respinto le pressioni di Napolitano (raccontate nei diari di Tommaso Padoa Schioppa) a ignorare le Camere e non vi si fosse invece presentato per chiedere la fiducia (poi negata). Nel novembre 2001 fu la volta di Berlusconi, che andò a dimettersi al Quirinale senza farsi sfiduciare dal Parlamento. Poi toccò a Monti, che nel dicembre 2012 si dimise nelle mani di Napolitano all’insaputa del Parlamento, solo perché Alfano (a nome del Pdl) aveva dichiarato conclusa la sua esperienza di governo. In una Repubblica parlamentare, anche l’altroieri il capo dello Stato avrebbe rinviato Letta alle Camere per verificare se il suo governo avesse ancora (o meno) una maggioranza. Invece, per l’ennesima volta, non l’ha fatto. E i presidenti delle Camere, Boldrini e Grasso, non hanno avuto neppure la dignità di chiederlo. Domandina facile facile: chi sono gli eversori che profanano il sacro suolo del Parlamento?

Il prestigio internazionale [perché quello nazionale è andato, da mo’]

 

Sottotitolo: non deve essere un mio problema, qualcosa di cui devo vergognarmi io se otto, nove milioni di imbecilli si fanno rappresentare dal partito di proprietà di un delinquente. Sepperò quel delinquente trova ancora accesso nei palazzi delle istituzioni, allora diventa anche un problema mio, del quale posso continuare serenamente a non vergognarmi visto che non ce lo mando io, non lo accolgo io, non gli chiedo io di poter partecipare a quella mensa però mi preoccupo. Mi preoccupo di quella gente che in questo non ci trova nulla di particolarmente strano, grave. Per fare un paragone semplice è come se i dirigenti di Enron dopo il crac e le relative condanne a svariate decine d’anni di galera fossero stati invitati al Congresso o alla Casa Bianca a conferire col presidente americano di allora. E berlusconi troverà una legittimazione popolare finché le istituzioni lo considereranno un interlocutore politico. Non è la gggente che gliela dà, è uno stato i cui rappresentanti non possono rifiutare di dare ancora la parola a silvio berlusconi.

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Insomma Napolitano si dispiace e si stupisce che la lega non va al Quirinale [dei 5s non gliene frega la solita emerita cippa visto che manco li nomina], mentre aspetta a portoni aperti il figlio discolo, quello a cui ha perdonato tutto. Spero che il mondo ci massacri per quest’altra vergogna, quel tanto che basta a zittire i soloni che poi fanno i loro discorsi pomposi sul perché gli investitori stranieri non vengono a spendere i loro soldi in un paese dove ancora si dà carta bianca in politica a un pregiudicato da galera. Dopodiché mi chiedo, e mi stupisco io, come mai l’Italia non sia stata ancora inserita negli stati canaglia, intorno ai quali i paesi civili, quelli dove lo stato non tratta coi delinquenti di ogni ordine e grado, cuciono un opportuno cordone sanitario e non vogliono averci niente a che fare.

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«AL COLLE VADO ANCH’IO. NON HO NULLA DI CUI VERGOGNARMI» (Carmelo Lopapa)

Capito? lui non ha nulla di cui vergognarsi.
Uno che ruba allo stato nell’esercizio delle sue funzioni di presidente del consiglio, condannato per questo e con svariati procedimenti penali in corso se la può ridere bellamente e trovare accoglienza al Quirinale. Mi piacerebbe sapere dove sono i difensori della caaaasa della democrazia, quelli che s’indignano se in parlamento volano parolacce ma poi tacciono su una cosa mai vista nella storia della civiltà umana.

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E, come al solito, l’informazione [che non c’è salvo rarissime eccezioni, quelle faziose ed eversive] ha una grande responsabilità per aver trattato la questione relativa alle vicende che riguardano i procedimenti penali di berlusconi in modo tale che non arrivasse la reale percezione della gravità nell’opinione pubblica e per non essere stata lo sprone, quel cane da guardia del potere, in grado di mettere in imbarazzo il potere e fargli rivedere almeno qualche atteggiamento.  Quando Napolitano bacchettava i magistrati, quando li invitata a permettere al più delinquente di tutti di poter partecipare alla “delicata fase politica”, subito dopo la condanna in primo grado per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, quando subito dopo la condanna definitiva di berlusconi per frode fiscale Napolitano anziché complimentarsi coi giudici ha chiesto di mettere mano alla riforma di quella giustizia che per una volta, a tozzi e bocconi aveva funzionato dov’erano i giornaloni, ad esempio quelli  che insorgono sulla violenza dei cinque stelle?

Tutto doveva essere, e tutto “è stato”; è solo di qualche giorno fa la discussione sull’opportunità che a berlusconi bisognava dare, e cioè il diritto di partecipare alla stesura della legge elettorale. E l’informazione ufficiale, quella che si siede col potere e non lo contrasta, anziché battere sul tasto che nei paesi normali non si dà mandato ai pregiudicati di fare le leggi ha insistito sul fatto che Renzi ha fatto bene perché forza Italia E’ berlusconi. Mentre non è affatto così, e se esiste una forma per quanto riguarda il linguaggio della politica a maggior ragione ne dovrebbe, ne deve esistere una per impedire ad un condannato alla galera di poter ancora decisivo nella discussione politica, di poter entrare e uscire dalle segreterie di partito, di poter agire da persona libera, onesta e incensurata. Possibilità che sarebbero negate a qualsiasi altro cittadino che avesse commesso reati infinitamente minori. Con una condanna penale non si può far parte di una Onlus, ovvero fare volontariato gratuito, non si possono svolgere professioni che hanno a che fare col pubblico, ad esempio il vigile urbano, il bidello in una scuola ma si può trovare residenza in parlamento come già accaduto in passato per persone che avevano intrapreso una lotta violenta contro lo stato, oppure quelle che in corsa avevano avuto avvisi di garanzia per collusioni mafiose, reati relativi alla corruzione sempre in quel pubblico che la politica e le istituzioni dovrebbero tutelare, non mettersi a braccetto coi ladri, i truffatori, i corruttori, i collusi con la mafia:  anche quelli che la mafia se la tenevano in casa e pagavano il pizzo per proteggersi.

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Sulla Smart del vincitore – Marco Travaglio, 15 febbraio

Uno sente parlare i dirigenti del Pd, soprattutto i lettiani e gli antirenziani. Poi legge i giornali che nove mesi fa salutavano in Enrico Letta l’alba di un nuovo giorno radioso, l’ultima speranza dell’Italia, il capolavoro di Napolitano. E gli viene spontaneo domandare: scusate, cari, ma quando l’avete scoperto che il Nipote era una pippa? No perché, ad ascoltarvi e a leggervi in questi nove mesi, non è che si notasse granché. Benvenuti nel club, per carità: meglio tardi che mai. Ma, prima di saltare sulla Smart del nuovo vincitore, forse era il caso di chiedere scusa: pardon, ci siamo sbagliati un’altra volta. Il fatto è che ci sono abituati, non avendone mai azzeccata una: avevano puntato tutto su D’Alema, poi su Veltroni, persino su Rutelli. Ci avevano spiegato che B. non era poi così male, guai a demonizzarlo, anzi occorreva pacificarvisi. Poi si erano bagnati le mutandine all’avvento di Monti: che tecnico, che cervello, che sobrietà, che loden. Poi tutti con Enrico, a giocare a Subbuteo per non perdersi “la rivoluzione dei quarantenni”. E ora eccoli lì, col solito turibolo e senza fare un plissè, ai piedi del Fonzie reincarnato. Pare ieri che Aldo Cazzullo, sul Corriere , s’illuminava d’immenso: “Napolitano non ha citato Kennedy – ‘la fiaccola è stata consegnata a una nuova generazione…’ – ma ha detto più o meno le stesse cose mentre affidava l’incarico di formare il ‘suo’ governo a un uomo di cui potrebbe essere il nonno […]. L’Italia, paese considerato gerontocratico, fa un salto in avanti inatteso e si colloca all’avanguardia in Europa” perché “a Palazzo Chigi arriva il ragazzo che amava il Drive In e gli U2”. Ora, oplà, si porta avanti col lavoro ed entra nel magico “mondo di Renzi” passando “dal parrucchiere Tony Salvi e dal suo salone di bellezza”: “il sindaco viene tre volte la settimana” e “questo è l’unico posto dove stacca il cellulare”. Per far che? Ordinare un’impepata di cozze? Ballare il tango? Nossignori. Udite udite: trovandosi dal barbiere, il Renzi “si fa spuntare i capelli (è stato Tony a fargli tagliare il ciuffo)”. E nel “bar di Marcello”? Trattandosi di un bar, “fa colazione”. Indovinate ora cosa riesce a combinare “nella pizzeria Far West di Pontassieve”? Ordina la pizza. Ma senza mai perdere la sua personalità, ché Lui “non è mai stato e soprattutto non si è mai sentito un ‘uomo di’. Tantomeno di Lapo Pistelli”. E “sarebbe sbagliato sopravvalutare l’influenza di amici cui pure è vicinissimo, come Farinetti e Baricco”. Perché “nessuno l’ha mai visto in soggezione”, neanche davanti a Obama e Mandela. Non porta loden, non gioca a Subbuteo, né si conosce la sua posizione in merito al Drive In e agli U2. Però “il maglione color senape è il regalo di compleanno di Giovanna Folonari”, mica cazzi. Il suo discorso dell’altroieri in Direzione, “come tutto il dibattito a seguire, è segnato da una vena lirica”. E con la stampa, come andiamo con la stampa? “Tra i giornalisti Renzi ha rapporti di stima con Severgnini e Gramellini, ma non ha amici, se non la coppia Daria Bignardi-Luca Sofri (con Fabio Fazio, dopo una distanza iniziale, si sentono ogni tanto)”. E Cazzullo? Su, Aldo, non fare il modesto: eddai, mettiamoci pure Cazzullo e non ne parliamo più.

Per non trascurare i dettagli fondamentali, Repubblica dedica un’intera pagina alla Smart (“A tutto gas sulla Smart: così il Renzi-style archivia auto blu e berline”). Essa “è leggera, veloce e un po’ prepotente: è giovane, poi, costosa e non italiana. Insomma, è molto Renzi”. Il quale – salmodia umido Claudio Cerasa sul Foglio – “sfanala con gli abbaglianti della Smart nello specchietto retrovisore della Panda di Letta, decide di premere la frizione, di cambiare marcia, di mettersi in scia, di azionare la freccia, di tentare finalmente il sorpasso”. Per fare che? “Diventare l’Angela Merkel del Pd”. E, assicura Giuliano Ferrara, “arrivare a Palazzo Chigi con piglio teutonico”. Il ragazzo, come dice Sallusti, “ha le palle” più ancora di Palle d’Acciaio. E, aggiunge Salvatore Tramontano sul Giornale, “ha rottamato la sinistra che voleva rottamare Forza Italia. Ha messo fine al ventennio. Antiberlusconiano. Ha dimostrato che si può non avere paura del futuro. Come Berlusconi”.

Del resto, osserva Repubblica , “smart sta per ‘intelligente’, con una sfumatura di brillantezza”. La sfumatura che gli fa Tony quando gli spunta il ciuffo. E il discorso in Direzione? Dire sobrio sarebbe troppo montiano: “asciutto, senza fuochi d’artificio, senza retorica”. Decisiva “la camicia bianca”, “cambiata un attimo prima in bagno” dal Fregoli fiorentino (prima era “celeste”): “È il suo tratto distintivo, è il richiamo al mito Tony Blair”. In effetti, a parte lui e Blair, chi ha mai portato una camicia bianca? La Stampa la butta sul mistico: mamma Laura “l’ha affidato alla Madonna… della quale, sopra la porta d’ingresso, c’è una bella icona”. Del resto a Pontassieve “la Madonna dev’essere di casa perché il posto dov’è cresciuto Renzi sembra un paradiso”. Senza dimenticare che lui “la sua station wagon” la guida personalmente “con la moglie Agnese a fianco e il rosario sullo specchietto”. Santo subito. E anche colto, molto colto. La lingua corrierista di Luca Mastrantonio scomoda Dante Alighieri (“per il suo libro Stil novo”), lambisce “Cosimo de’ Medici” e “Benedetto Cellini” (che si chiamava Benvenuto, ma fa niente) e s’inerpica su su fino a Steve Jobs (per “il celebre imperativo categorico rivolto ai giovani americani: Stay hungry, stay foolish”) e al “Grande Gatsby, l’affascinante outsider dell’età del jazz americana… Gatsby e Renzi sono entrambi personaggi fuori misura, dotati di carisma e ambizione, ma i moventi sono diversi”. Tra l’Unità ed Europa è il solito derby del cuore, anzi della saliva. Un filino più perplessa la prima, anche se Pietro Spataro conviene che “l’Italia ha bisogno come l’aria (sic, ndr) di una svolta radicale”, “restare nella palude sarebbe stato il male peggiore”, ”meglio essere trascinati da un’‘ambizione smisurata’ che prigionieri di una modesta navigazione”: peccato che né lui né l’Unità avessero mai avvertito i lettori che Letta era una palude e una modesta navigazione (che s’ha da fa’ per campa’). Eccitatissimo, su Europa, il sempre coerente Stefano Menichini. Solo in aprile cannoneggiava il “ceto intellettuale che del radicalismo tendente al giustizialismo fa la propria ragion d’essere”: “i Travaglio, i Padellaro, i Flores che annullano la persona di Enrico Letta perché ‘nipote’”. Putribondi figuri che osavano dubitare delle magnifiche sorti e progressive del governo Letta: “personaggi che fanno orrore. Il loro linguaggio suscita repulsione. Il loro livore di sconfitti mette i brividi. Ma in condizioni normali il loro posto dovrebbe essere ai margini… lasciando ai neofascisti la necrofilia e l’intimidazione”. Ora invece, con agile balzo, impartisce l’estrema unzione al fu Nipote (“Enrico Letta lascia dopo aver tenuto il punto ma essendosi fermato un attimo prima di coinvolgere il paese, il sistema politico e il Pd in uno psicodramma pericoloso”) e bussare alla “porta che si sta spalancando a una stagione davvero nuova e inedita dell’intera politica italiana”: quella di Renzi, che “si avvia verso l’obiettivo della vita, il governo, col suo solito passo accelerato, e la notizia fa già il giro del mondo suscitando verso l’Italia una curiosità finalmente positiva”. Perché “a ogni suo salto di status, si allarga il numero di chi viene coinvolto dalle sue scelte e dalle sue fortune. Fino a oggi era solo il popolo democratico. Da domani sarà l’intero popolo italiano”. Torna finalmente a rifulgere il sole sui colli fatali di Roma.

E’ ufficialmente primavera

“Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. 
Ci sono entrato per caso. 
E poi ci sono rimasto per un problema morale. 
La gente mi moriva attorno.” 

[Paolo Borsellino]

 

Sottotitolo: L’Italia è un paese che soffoca nella verità negata. E uno stato che nega la verità sui morti di mafia, di stragi fasciste, di situazioni mai chiarite, non dimentichiamoci che se non fosse stato per la pervicacia della madre di Federico Aldrovandi  la questione sarebbe stata risolta con un suicidio per atti di autolesionismo, stessa cosa per Stefano Cucchi il cui caso è salito all’attenzione dei media grazie al coraggio della famiglia che ha permesso che si pubblicassero le foto del ragazzo “morto di fame”, non è uno stato giusto.

E non tutti se la sentono di rispettare a senso unico.

Bisogna togliere alla politica il controllo di tutto ciò che fa la politica, perché la polizia opera secondo la legge che fa la politica, esattamente come la magistratura; il loro agire è determinato da quello della politica, delle leggi che fa il parlamento. E quando il poliziotto pesta a sangue qualcuno fino ad ammazzarlo e poi gli autori delle violenze non vengono puniti come qualsiasi altro cittadino che commettesse le stesse violenze vuol dire che la politica, dunque lo stato, mette in preventivo che questo si possa fare. Che legittima l’agire violento, gli abusi delle forze dell’ordine.
Dunque ci vogliono dei supervisori al di sopra di ogni sospetto  perché come diceva qualcuno “lo stato non può processare se stesso”.

Ad esempio al Copasir che non è il circolo della bocciofila né l’ente statale che si può affidare nelle mani del solito raccomandato carrierista ma il comitato che si occupa della sicurezza del paese,  e che invece viene affidato alla politica che a proposito di Costituzione non ha sempre le idee chiare.

Senza verità non c’è mai giustizia. Antonio Manganelli era il vice di De Gennaro al g8 di Genova, ed era assente perché in vacanza.

E resta difficile comprendere  perché  un vice capo della polizia decida di andare in vacanza proprio durante lo svolgimento di un evento così importante. E comunque l’unico modo di chiedere scusa per uomini e donne dello stato, politici e funzionari è dare le dimissioni.

Ed eventualmente chiedere scusa dopo.

 

Preambolo: morire di una brutta malattia è un destino infame ma che comunque fa parte della fatalità e dei casi della vita.
Morire di botte per mano di poliziotti, dunque funzionari dello stato che poi vengono perdonati dallo stato che non li punisce, non li condanna concedendogli TUTTE le attenuanti e per farlo s’inventa perfino reati inesistenti, gli conserva perfino il posto di lavoro no, non è proprio la stessa cosa.
Non ci somiglia nemmeno.
Purtroppo non tutti disponiamo della grandezza d’animo dimostrata da Patrizia Moretti,  mamma di Federico Aldrovandi, se fossimo però capaci di toglierci il velo dell’ipocrisia e del perbenismo a tutti i costi forse sarebbe meglio, più costruttivo dei facili commenti a proposito di chi oltre alla pietas umana non riesce a provare, quando muore un uomo dello stato, di questo stato.

Che deve fare qualcuno per farsi almeno criticare [ché la morte non lava via proprio nulla] più che rappresentare chi  ha ammazzato un ragazzino a calci e a botte riprendendosi in casa i suoi assassini come se niente fosse accaduto? per aver ordinato i pestaggi e i maltrattamenti ai NOTAV, donne incinte comprese, a manifestanti di piazza che non fanno niente di male ma  chiedono il riconoscimento dei diritti,  la loro messa in pratica e il rispetto che si deve ai cittadini, a studenti che protestano per difendersi la scuola e il loro diritto allo studio sancito dalla Costituzione? non so.

Antonio Manganelli verrà  ricordato dai più  come il funzionario più pagato del mondo, perfino più del presidente americano che è stato a capo di una polizia troppo spesso indegna di uno stato civile, soprattutto grazie ai suoi dirigenti a cui piace il metodo della violenza e dell’abuso.

Mi fanno piuttosto schifo  quelli che gioiscono davanti alla morte di qualcuno, mi limito solo a considerare l’ipocrisia che circola ogni volta che muore un uomo dello stato, di questo stato.

 Sappiamo tutti che se la polizia usa certi sistemi è perché qualcuno ordina di farlo.

Ma veramente bastano le scuse del capo della polizia di stato per annullare tutte le violenze perpetrate a gente innocente, inerme in nome dello stato? magari, bastassero le scuse.

‘sta guerra fra bande di bloggers che difendono se stessi e giornalisti che devono occuparsi di quel che fanno i bloggers, delle loro cazzate tipo che l’aids è una leggenda metropolitana e dispensare i loro consigli anche a quelli eletti da nonsisabenechi a “coordinatori di comunicazione di portavoce” ufficiali di partito e che poi decidono di fare i  coordinatori dei portavoce senza voce di un partito che fa le conferenze stampa senza rispondere alla stampa  ha sinceramente rotto le palle, anche a chi non ne possiede.
Fatevi una telefonata, mandatevi una mail, regolate i vostri contenziosi a botte ma disoccupate la zona informativa per favore.
Non c’interessano le vostre beghe personali, molto spesso frutto di antichi rancori mai sopiti.

I portasilenzio
Marco Travaglio, 21 marzo

Nel ’94, per metter fine alla cacofonia dei suoi ministri che parevano usciti da Prova d’orchestra di Fellini, il Cainano nominò portavoce del suo primo governo Giuliano Ferrara. Che, come ministro dei Rapporti col Parlamento, aveva già instaurato col Parlamento i peggiori rapporti della storia repubblicana. L’uomo giusto al posto giusto. Anche come portavoce comunque non fu niente male: appena aprì bocca, accusò Borrelli di parlare “come un capomandamento mafioso” innescando una guerra termonucleare col Quirinale (c’era Scalfaro, non Mister Monito) e con la magistratura. Assediato da tutti i fronti, B. tolse la voce al portavoce, sospirando: “Qui ci vorrebbe un portasilenzi”. Da allora Ferrara portò solo se stesso, che comunque era già un bell’impegno. Qualcosa di simile, mutatis mutandis, accade da due giorni al M5S, dopo la geniale trovata di Casaleggio di spedire a Roma due noti blogger, Messora e Martinelli, come portavoce dei gruppi parlamentari. Messora è noto per le sue posizioni complottiste, espresse con foga in alcuni programmi tv, soprattutto L’ultima parola di Paragone. Martinelli è noto in rete per aver seguito come inviato, per i blog di Grillo e Di Pietro, alcuni processi dimenticati dalla stampa di regime (tipo Dell’Utri). Ma il blogger è per sua natura un cane sciolto, un solista dall’individualità molto spiccata, perché deve districarsi nella web-jungla con una trovata originale al giorno. Altrimenti sparisce. Una figura totalmente incompatibile con quella del portavoce, che deve annullare la propria personalità fino a diventare lo specchio dell’immagine altrui, il megafono delle decisioni altrui. In questo caso, dei gruppi di M5S alla Camera e al Senato. Ma soprattutto il portavoce dei gruppi parlamentari deve confrontarsi ogni giorno con la stampa parlamentare, che lavora prevalentemente per giornali e tv. Con i molti difetti e i pochi pregi ben noti, ma che non spetta a un portavoce stigmatizzare. Il tragicomico equivoco ha subito prodotto effetti esilaranti. Martinelli ha esordito mettendo in guardia i 5Stelle dall'”ingenuità” che li porta a “cadere nelle trappole di chi vuole sputtanarli”. Senonché subito dopo è caduto nella trappola da lui stesso fabbricata, dichiarando a La Zanzara (ottima idea, andare a La Zanzara) che l’euro fu “la mossa massonica di un gruppo di banchieri”. Il che, per carità, può anche essere, ma non pare il primo punto all’ordine del giorno di M5S, che chiede al Parlamento di varare subito i tagli alla casta e qualche misura per il rilancio dell’economia. Messora intanto spiegava di essere lì per costruire un “team” che “armonizzi le posizioni” dopo “il casino”. Il guaio è che al casino ha subito contribuito lui: anziché spiegare ai capigruppo che non si convoca una conferenza stampa senza domande, ha insultato su Facebook i giornalisti “pseudo-omuncoli” e “spalamerda”. Che, per carità, esistono: l’assalto quotidiano ai grilli per strappar loro un sì alla solita domanda che raccoglie solo no, “Voterete la fiducia al governo Bersani?”, è un caso di stalking umiliante che tradisce il servaggio di molti cronisti al regime dei partiti. Ma non spetta a un portavoce denunciarlo: il suo compito è rispondere a tutti, anche a chi non gli garba, magari per comunicare le iniziative che sono la vera forza di M5S: spulciare, chieder conto di tutto, costringere i partiti a seguirlo su terreni mai praticati come la sobrietà, i risparmi, la guerra ai privilegi, ai conflitti d’interessi, l’ineleggibilità dei condannati, la difesa dei deboli, dell’ambiente e degli altri beni comuni. Invece i nostri eroi fanno gli offesi perché “parlavamo a titolo personale” e i giornalisti non li hanno capiti (ma un portavoce non parla mai a titolo personale o, se vuole farlo, si dimette da portavoce). Il risultato è da ammazzarsi dalle risate: i portavoce, da ieri, sono in silenzio stampa.