Giudizio del popolo? No, grazie

Accusare qualcuno di essere un assassino se non ha ucciso è diffamazione, ecco perché bisognerebbe prendere atto che quello che è impossibile per noi è possibilissimo per altri. Il sesso di gruppo è una pratica normale, rispetto al sesso donne e uomini sono uguali, se molte donne non si facessero condizionare dalle convenzioni sociali lo ammetterebbero senza problemi e senza temere il giudizio morale. Un’orgia non è violenza e non tutto quello che non si condivide e non si farebbe può diventare un reato per far content* chi ha bisogno di vedere il mostro sempre fuori da sé. Se non ci piace l’idea che una poco più che ragazzina faccia spontaneamente sesso di gruppo, scelga di avere uno stile di vita distante dal nostro modo di vedere la vita siamo liberi di pensare questo. Ma fra questo e mandare in galera una o più persone che non hanno commesso nessun reato c’è un abisso.  Una sentenza non può diventare carta straccia solo perché non è andata nella direzione che la maggior parte dell’opinione pubblica desiderava: spiacente ma non mi aggiungo e non partecipo al delirio collettivo. 

Nel caso di processi che vedono imputate persone dalla reputazione dubbia e che hanno già avuto a che fare con la giustizia è umano prim’ancora che legittimo avere dei dubbi se la sentenza ci sembra inadeguata. berlusconi è un esempio perfetto per quello che voglio dire.
Ma berlusconi oltre ad essere un delinquente abituale è anche un uomo ricco e potente, la sua vita non cambia se un tribunale lo condanna, lo assolve, lo prescrive: sempre berlusconi rimane, non ha avuto nessun problema a farsi accettare, socialmente e politicamente, nelle sue molteplici vesti di corruttore, puttaniere, frodatore, condannato in via definitiva perché berlusconi quello che non ha lo può comprare e di gente disposta a vendersi in questo paese ce n’è una discreta quantità.
Ma voi, noi, io?
In molti sono, siamo qui a indignarci per i giudizi sommari, guardiamo con orrore le reazioni violente della Rete rispetto ad altre situazioni, quando i social si trasformano in una tribuna del popolo che giudica, infierisce, condanna alla pena massima esprimendo una violenza maggiore del fatto in sé.
Dunque indignarsi va bene quando l’accusato è l’immigrato, il rom e non va più bene quando sul banco degli imputati ci vanno a finire italiani incensurati che dovevano essere condannati perché la gggente voleva questo?
Per non “creare il precedente”?
Perché una donna è sempre vittima, innocente “in quanto donna?”
Anche se mente sotto processo con l’intenzione di far condannare chi non ha commesso nessun reato?
Mi dispiace per le tante anime candide che si sono espresse sulla sentenza di assoluzione nel processo di Firenze, che non vogliono ammettere l’errore di valutazione nemmeno di fronte all’evidenza dei fatti, di una sentenza, di referti medici che chiariscono perfettamente come si sono svolti i fatti, che mette in fila le evidenti contraddizioni, bugie dell’accusatrice e, specularmente, la perfetta e lineare versione dei sei accusati ma la vita non scorre secondo canoni soggettivi.
C’è sempre qualcosa che sfugge perché non si conosce o si rifiuta, quindi prima di essere qualcun altro “per hashtag”, di farsi coinvolgere in iniziative collettive, di partecipare perché si fa una miglior figura a sostenere certe cause anziché sforzarsi di cercare un po’ di verità sarebbe il caso di riflettere meglio.

L’anomalia mediatica

Dopo avere affossato Telese nell’esordio di Matrix, la santanchè sgonfia anche l’esordio de La gabbia. Neanche il 4 percento. 
Non solo la pitonessa non fa (più?) ascolti: ormai porta proprio sfiga. [Andrea Scanzi da facebook]

Meno male. Sono contenta, gli sta bene.
Così vediamo se smettono di chiamarla.

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Sottotitolo: per capire perché l’Italia è al 57° posto nelle graduatorie internazionali sulla libertà di stampa e informazione basterebbe vedere quanto spazio hanno dato i media allo scambio epistolare fra Eugenio Scalfari e papa Francesco. Un evento rilevante per molti ma non per tutti e che in un paese laico per Costituzione non dovrebbe soffocare e togliere spazio a fatti e notizie di interesse generale.

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Scontro in tv tra Santanchè e Travaglio
‘Delinquente’. ‘Datele la camicia di forza’

“Imparate da berlusconi come si trattano le donne”, ha detto la moderata statista a Marco Travaglio.

Ecco, qui se fossi stata nei panni di Travaglio, che è stato un gentiluomo, avrei risposto che berlusconi le donne le tratta da puttane, perché o le paga per farsi fare i servizietti durante le cene eleganti, quello che del resto sosteneva anche lei quando disse che “non l’avrebbe mai data a uno che le donne le vede solo in orizzontale”, o per andare in giro a difendere un indifendibile delinquente PER SENTENZA DEFINITIVA.

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Dopo aver visto l’ennesima performance disgustosa della maitresse à penser più amata dai mezzi di informazione di questo paese sciagurato anche [proprio] perché eleva a personaggi gentaglia come la santanchè spero che tutti abbiano capito il significato della parola “delinquente”, che imparino ad usarla quando si parla di delinquenti veri come silvio berlusconi condannato da un tribunale proprio perché tale.

Delinquente è infatti colei o colui che viola la legge scientemente, che assume comportamenti e agisce con la consapevolezza di danneggiare altri a proprio beneficio e vantaggio come ha fatto silvio berlusconi e come ha fatto anche alessandro sallusti, compagno di vita della nota statista, il quale per compiacere il padrone a cui fa riferimento il suo giornale, silvio berlusconi, non ha esitato a concedere al radiato dall’albo farina di reiterare diffamazioni vere, per questo condannate da un giudice [ma da Napolitano no], nei confronti di un onest’uomo come il pm Cocilovo. 

Non è dunque un delinquente chi commette un reato colposo, quindi non intenzionale, come è stato derubricato quello che si continua a rinfacciare a Beppe Grillo in assenza di altri argomenti, e non lo è nemmeno chi nell’esercizio del suo lavoro di giornalista può incappare in qualche errore del quale comunque – a meno che non si chiami alessandro sallusti – ne risponde in prima persona assumendosene la responsabilità in sede civile come è successo centinaia di volte a Marco Travaglio che però, a parte qualche sporadico caso è stato sempre assolto, parola sconosciuta ai servi di berlusconi.

Quindi non come sallusti che ha subito una condanna  penale che sarebbe costata la galera vera al diffamatore vero se non fosse intervenuto beffando la Costituzione con una grazia quantificata in poche migliaia di euro il bravo presidente, il garante di tutti.

Ma la  colpa non è della santanché, è di questa anomalia che qualcuno si ostina ancora a chiamare informazione che ha già costruito renata polverini grazie a Ballarò che la invitava una settimana sì e l’altra pure, trasformando un’anonima leader di un sindacato inutile niente meno che in presidente della regione Lazio e adesso sta ripetendo l’operazione con daniela santanchè, che essendo molto più presente rispetto alla sua collega di partito, quello dei moderati per intenderci, rischiamo di ritrovarci direttamente al quirinale.

Nonostante il livello bassissimo dell’informazione televisiva da talk show che somigliano sempre di più a pollai ingovernabili penso che giornalisti come Travaglio, Gomez, Barbacetto, Marco Lillo, Andrea Scanzi facciano  bene ad approfittare anche del minimo spazio che viene loro concesso per poter almeno dire un po’ di verità in questo paese dove l’irresponsabilità, la menzogna, la calunnia rischiano di diventare l’unico riferimento dal quale trarre le opinioni. E finché in tutte le trasmissioni si  continuerà ad invitare bugiardi, servi a libro paga, ci vorrà per forza qualcuno a fare da contraltare. Però credo anche che dovrebbe essere un diritto di tutti non dover assistere allo spettacolo indegno di una cialtrona maleducata che viene inseguita e chiamata da tutti come se fosse una politica di chissà quale spessore, una che per offendere allude ad una presunta omosessualità, come se l’omosessualità fosse un insulto,  si permette di chiamare delinquente un uomo perbene, una che nulla aggiunge alla discussione pubblica e  che viene cercata, invitata, intervistata da tutti unicamente per armare le risse.

Siamo messi male se il giornalismo ufficiale ha bisogno della santanchè per alzare lo share. Niente di meglio per il dibattito? provare ad alzare il livello della discussione politica, no? e poi ci chiediamo ancora come ha fatto berlusconi a resistere vent’anni in parlamento? dovremmo baciare la terra dove camminano i giudici che sono riusciti a condannarlo nonostante e malgrado la protezione e il sostegno di tutta la politica, le leggi ad personam e un presidente della repubblica che lo ha ricevuto al Quirinale, ritenendolo evidentemente un interlocutore credibile, solo qualche ora dopo una condanna in primo grado a sette anni per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, altroché cianciare poi della gggente che poi lo vota.

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Salvate il soldato Manning

Sottotitolo:  spero che saranno sempre meno gli uomini e le donne che a tutte le latitudini sceglieranno di indossare una divisa per onorare i propri paesi che poi non onorano loro, né da vivi né da morti. 

 Charles Graner, uno dei soldati condannati per le torture di Abu Ghraib, è stato condannato a  dieci anni, ed è quello tra i 17 accusati ad aver ricevuto la pena più alta.

Danno i Nobel per la pace a chi vende le armi e a chi ordina di usarle  [UE e Obama]  mentre a chi s’impegna davvero per la pace la galera praticamente  a vita.

In un mondo normale Manning, Assange e Snowden sarebbero loro i destinatari di un premio per onorare la pace, invece in questo li considerano dei fuori legge da chiudere in una galera.

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Wikileaks, Manning condannato a 35 anni dalla Corte marziale degli Usa

Mauro Biani

Bradley Manning condannato a 35 anni per aver rivelato tramite Wikileaks gli orrori delle guerre in Iraq e Afghanistan. È la pena più alta mai erogata contro un informatore della stampa negli Stati Uniti. Obama guarda altrove, mentre i colpevoli delle rendition sono liberi e la Nsa intercetta illegalmente tutta Internet. [Il Manifesto]

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L’America è un paese pieno di contraddizioni, alcune insopportabili per la loro inciviltà, tipo la pena di morte, la sottomissione alla lobbies che armano le mani di chiunque affinché possa compiersi la strage quotidiana sulla quale il primo a versare le sue lacrime ipocrite è proprio chi potrebbe e dovrebbe dire basta alla rozzezza violenta di quel secondo emendamento pensato in tempi diversi in cui forse era più urgente l’esigenza di doversi difendere in proprio: dove c’è uno stato che funziona nessuno dovrebbe pensare ad una giustizia domestica, fai da te.
L’America è quella che ieri ha condannato un ragazzo di 25 anni a trascorrere in un carcere più anni della sua vita già vissuta perché colpevole di aver detto la verità sulla menzogna delle missioni cosiddette di pace che invece non sono altro che le solite atrocità che si commettono in tutte le guerre.

Ma l’America è anche quella che ha condannato a 150 anni di galera, catene ai piedi, manette e tuta arancione Bernard Madoff, che lo ha costretto all’umiliazione della confessione davanti alle vittime del crac finanziario da lui causato, all’ammissione della sua colpa; in precedenza c’era stato il caso Enron, anche quello concluso con condanne esemplari per i responsabili del disastro finanziario. 

Questo perché il loro diritto riconosce come gravissimi i danni che vanno a colpire più che il singolo la collettività.

Contro la criminalità comune, quella da strada ci si può sì organizzare, ma è tutto relativo alla capacità umana di delinquere, il mondo è abitato da miliardi di persone e pensare di poter mettere la parola fine alla malavita dei furti, degli omicidi, degli stupri e delle violenze in generale fa parte di quella utopistica follia che in quanto tale non è realizzabile.

E’ però possibile mettere un tetto alla criminalità che va a colpire tutti, ed è per questo che in America ma generalmente in tutti i paesi civili nessun governo ha mai pensato di annullare leggi importanti in materia di regolamentazione e controllo della finanza e dell’economia, ad esempio quella sul falso in bilancio, rendendo di fatto il dolo una virtù, e nemmeno la politica di quei paesi ha mai pensato di dover restituire un’agibilità politica, una dignità persa volontariamente a chi non si è fatto nessuno scrupolo a danneggiare il suo paese e lo ha potuto fare proprio in virtù del suo ruolo politico che gli ha consentito di aggiustarsi le leggi in relazione e in proporzione ai reati che man mano commetteva.

In America chi froda lo stato e a cascata i suoi concittadini viene emarginato, evitato, considerato per quello che è: un ladro, un truffatore, un evasore e nessuna figura politica, men che meno il presidente di tutti penserebbe di dover intercedere per favorire chi ha rubato a tutti per arricchire se stesso.

Queste sono cose che fortunatamente per le casistiche e le statistiche mondiali riguardano solo l’Italia dove nessuno nella politica  si vergogna né lo ha fatto in precedenza quando ha agevolato tutte le leggi per renderlo presentabile a tutti i costi,  di sostenere la causa di un pregiudicato, delinquente e condannato che pretende che si cancellino con un colpo di spugna i suoi reati e la sentenza che lo ha condannato perché qualcuno  gli ha fatto credere di essere una persona insostituibile e che doveva assolutamente partecipare alle questioni riguardanti la politica – nonostante e malgrado il suo curriculum penale e giudiziario – quella che decide anche e soprattutto [e purtroppo visti i risultati] per i cittadini onesti, quelli che non commettono reati, quando succede si assumono la responsabilità del loro agire e nessuno offre loro la possibilità di chiedere qualcosa che non esiste da nessuna parte, ovvero l’agibilità per poter continuare a delinquere e sfuggire alla legge e alla giustizia.

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Prigionieri volontari
Marco Travaglio, 22 agosto

La scena, che sta facendo il giro del mondo, ricorda quei film americani dove il criminale evaso prende in ostaggio un asilo, una scuola, un centro commerciale e, minacciando persone inermi, detta condizioni alla polizia che circonda l’edificio: un elicottero, un documento pulito e un permesso per l’espatrio. 

Siccome però siamo in Italia, la sceneggiatura presenta alcune varianti. 

1) Il criminale non ha avuto bisogno di evadere, perché i condannati per frode fiscale in galera non ci vanno neppure se spingono. 

2) La polizia non può far nulla per assicurare il pregiudicato alla giustizia, anzi è costretta a scortarlo a spese dei contribuenti, onde evitare che si imbatta inavvertitamente in qualche persona onesta. 

3) Siccome è molto ricco e fa sempre le cose in grande, l’energumeno non si contenta di asserragliarsi in un locale pubblico, ma tiene direttamente in ostaggio governo, Parlamento e Quirinale. 

4) Non gli occorrono armi da fuoco o da taglio: gli basta minacciare di rovesciare il governo di cui fa parte, anche perché gran parte degli ostaggi sono affetti da congenita sindrome di Stoccolma, felicissimi di essere nelle sue mani. 

5) Non chiede di poter fuggire all’estero, ma di restare in Parlamento, in barba a una condanna definitiva e a una legge che lo dichiara decaduto e incandidabile votata otto mesi fa anche da lui, mentre i presunti avversari che governano con lui, per nulla imbarazzati dal concubinaggio con un pregiudicato, lo implorano di restare con loro per salvare il Paese dalla frode fiscale, dalla corruzione, dalla mafia e da altre sue specialità.

Intanto i suoi giornali, e dunque il Pg della Cassazione e il Csm, processano il giudice che l’ha condannato, reo di aver spiegato a un cronista di averlo condannato perché colpevole e per giunta di aver manifestato in alcune cene private una certa antipatia nei suoi confronti. Antipatia davvero inspiegabile, visto che costui ospitava in casa un boss mafioso, era iscritto alla P2, era amico dei peggiori ladri di Stato, pagava mazzette a politici e mandava i suoi a corrompere finanzieri e giudici, falsificava bilanci, frodava il fisco, organizzava giri di prostituzione anche minorile, comprava senatori e ripete da 20 anni che i magistrati sono un cancro da estirpare, come i killer della Uno bianca, un covo di golpisti e di matti, psicolabili, antropologicamente estranei alla razza umana. Insomma, un amore che dovrebbe attirare l’istintiva simpatia dei magistrati. Lo stesso trasporto che gli manifestano orde di intellettuali, impegnati in questi giorni in un’affannosa riforma del diritto e del vocabolario per non dover usare con lui parole spiacevoli. 

Pregiudicato diventa “perseguitato”, condanna “guerra civile”, impunità “agibilità politica”, inciucio “pacificazione”, decadenza e incandidabilità “eliminazione dell’avversario politico per via giudiziaria”. 

Giuristi ed editorialisti che otto mesi fa plaudivano al decreto Severino “Parlamento pulito”, regolarmente passato al vaglio parlamentare di costituzionalità e firmato dal capo dello Stato, ora scoprono che è incostituzionale perché riguarda i delitti commessi prima. 

Potevano pensarci quando B. escluse dalle liste i condannati Dell’Utri, Sciascia e Brancher, privandoli dell’“agibilità politica” e guadagnando voti per le sue presunte “liste pulite”. Invece si svegliano ora che tocca a B. Sul Corriere Sergio Romano, l’ambasciatore che girava il mondo senza vedere nulla, spiega che far decadere B. da senatore come previsto dalla legge significherebbe “cacciare”, “delegittimare un leader di partito”, “decapitarlo con gli occhi bendati per mano di quelli con cui deve governare”. 

Dunque il Senato lasci tutto com’è, rinviando alla Consulta “l’esame di certi dubbi sull’applicabilità della Severino” e ripristinando l’“equilibrio tra i poteri dello Stato”, a suo dire violato dal Parlamento con una legge che vieta l’ingresso ai condannati. Per questo, a ben vedere, B. tiene l’Italia in ostaggio da vent’anni: perché molti ostaggi sono volontari felici.

Più grazia per tutti

 

La grazia a Berlusconi? Oscena, ma pure (un po’) inutile

Nel paese più corrotto d’Europa e di buona parte del mondo civile  dove l’evasione fiscale ha raggiunto cifre inimmaginabili non dovrebbe venire in mente a nessuno di onorare con un provvedimento di clemenza una sentenza di frode fiscale già condonata per buona parte della sua entità con la prescrizione. Sepperò qualcuno ai piani alti delle istituzioni ci ha pensato, ha pensato che la pacificazione del paese, la stabilità politica e sociale  debbano passare per il perdono istituzionale di un delinquente, un ladro, uno che rubava a casa sua,  un già condannato in primo grado per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile e con vari e altri procedimenti penali ancora in corso d’opera perché mai non devono poter godere anche altri dello stesso trattamento? quelli che magari una parte di pena l’hanno perfino scontata? Dolci e Gabbani di tutta Italia: unite le vostre forze, io sono con voi.

Napolitano non esclude la grazia per B.

La grazia per B.? Un golpe bianco

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Eccerto che il delinquente chiederà la grazia.

Se non lo facesse Napolitano si offenderebbe; che l’avrebbe fatto a fare il monitone di ieri allora? Sarebbe come se il proprietario dell’appartamento avvertisse il ladro della sua assenza e poi quello non ne approfittasse.

Che te la do a fare la dritta se poi tu non mi segui?

Voglio dire, se nessuno ha chiesto espressamente una grazia perché mancano proprio tutti i fondamentali costituzionali per ottenerla perché il presidente della repubblica ha dovuto dire che verrà presa in considerazione una richiesta di clemenza? 

Sappiano, i lor signori, che non è divertente essere presi per il culo oltremodo.

Se Napolitano dovesse concedere la grazia al primo delinquente d’Italia mi unirei volentieri ad una class action per chiedere un provvedimento analogo per tutti gli italiani e i cittadini residenti sul nostro territorio, colpevoli e condannati.

Se berlusconi verrà graziato voglio che lo stesso provvedimento venga esteso a chi ha commesso gli stessi suoi reati ed è stato condannato per questo.

Onoriamola una volta e per tutte questa uguaglianza.

Lo farei: facciamolo.

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Nota a margine: in questa vigilia di festa, volevo rivolgere il mio più sentito vaffanculo, speciale, specialissimo di mezza estate,  a tutti i titolari di ipermercati e centri commerciali che restano aperti anche il giorno di ferragosto da suddividere equamente con tutti i mentecatti, nessuno escluso, che vanno a riempire ipermercati e centri commerciali a ferragosto come il 1 maggio e il 25 aprile, giornate in cui tutti i negozi potrebbero e dovrebbero restare chiusi, ché per fare gli americani h24 non basta alzare una serranda.

 Ci sono attività necessarie per tutti e che richiederebbero un impegno anche oltre le 24 ore giornaliere: medici, infermieri, autisti dei mezzi pubblici, conduttori di treni e piloti d’aereo per esempio. Fare la spesa, acquistare capi d’abbigliamento sono cose che si possono fare normalmente nei giorni feriali.

Ogni offerta corrisponde ad una richiesta, e chi continua a riempire i centri commerciali il 25 aprile, il 1 maggio e a ferragosto è complice dello sfruttamento del personale dipendente che non vede  migliorare di una virgola la sua condizione lavorativa. Da sempre considero i padroni dei centri commerciali e dei supermercati gli schiavisti del terzo millennio.

Se questo è un paese normale [niente di nuovo sul fronte Quirinale]

Sottotitolo: dal caos, come diceva Nietzsche, può nascere perfino una stella danzante.
Dall’ordine invece, quello imposto in ragione di un’emergenza che viene usata come arma di ricatto e verso cui non è stato preso ancora nessun provvedimento utile, nascono i governi delle larghe intese.

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Avrei rivalutato la figura di Napolitano se al posto dell’inutilissimo conato di monito di ieri  avesse dato le dimissioni,  lasciato le questioni relative al PREGIUDICATO CONDANNATO silvio berlusconi in mano a chi le ha create: un centrosinistra di falliti che per vent’anni ha fatto solo finta di fare opposizione a berlusconi dopo avergli dato le chiavi del palazzo e la banda dei disonesti come lui che in tutti questi anni ha scelto di svendere la sua dignità ad un eversore, uno che con lo stato, con uno stato di diritto non c’entra niente.

Qualsiasi condannato dopo il terzo grado di giudizio subisce l’esecuzione della sentenza:  va in galera, silvio berlusconi no, può vantare ancora titoli come “cavaliere”, “senatore” ed essere trattato con ossequio dalla politica e dalle istituzioni.  Se “il leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza” avesse commesso un omicidio, stuprato un bambino sarebbe stata la stessa cosa?  perché un reato è un reato. Almeno così dice la nostra cara e bella Costituzione nei capitoli dove precisa che i cittadini sono tutti uguali e che la legge è uguale per tutti.

Sperare che sia la politica a liberarsi del PREGIUDICATO CONDANNATO berlusconi  è una chimera: qualcosa che nessuno in tutti questi anni ha mai avuto l’intenzione di fare.

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“B? Sentenza definitiva, prenderne atto
Grazia? Non c’è stata nessuna richiesta”

Napolitano lascia la porta aperta al pregiudicato: “Esaminerò un’eventuale domanda di clemenza”.
Sul suo futuro politico: “Spetta a Berlusconi decidere”. Poi: “Una crisi del governo sarebbe fatale”.

Napolitano non chiude la porta alla richiesta di grazia per Silvio Berlusconi, ma lo invita a prendere atto della decisione della Cassazione perché “di qualsiasi sentenza definitiva, e del conseguente obbligo di applicarla, non può che prendersi atto”. Sul punto più controverso, la domanda di grazia, nessuna preclusione anche se, non solo non si conoscono ancora le motivazioni della sentenza che arriveranno a settembre, ma l’ex premier non ha mai dimostrato accenni di pentimento rispetto al reato per cui è stato condannato, ossia frode fiscale.

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La vergogna non abita più qui, se n’è dovuta andare per fare spazio all’indecenza. 

L’unica cosa sensata che avrebbe dovuto fare Napolitano sarebbe stata rifiutare il secondo mandato visto che già nel primo aveva dato ampi segnali di squilibrio istituzionale rispetto alle numerose vicende giudiziarie che riguardano il PREGIUDICATO CONDANNATO [oggi più che mai bisogna ripeterla questa cosa] silvio berlusconi.

Accettandolo invece ha solo confermato che quella che si ripete da tanto tempo circa la  sua eccessiva comprensione e magnanimità verso berlusconi non è la solita teoria complottistica né una chiacchiera da cortile ma sia davvero originata e motivata da qualcosa che potrebbe dare fastidio a Giorgio Napolitano, che berlusconi sa ma gli italiani no e devono continuare a non sapere, come i contenuti delle famose bobine delle telefonate con Mancino distrutte subito dopo la rielezione di Napolitano, e probabilmente è anche per questo che Napolitano ha dovuto accettare il secondo mandato.

Perché se c’è qualcosa che un presidente della repubblica dovrebbe, deve, è obbligato a garantire è che vengano rispettate le leggi, la Costituzione, i suoi comandamenti.
Mentre quel che ha fatto Napolitano sempre ma in misura maggiore da che esiste il suo bel governo di larghe intese napoletane è proprio e solo tutt’altro: ha dimostrato e confermato di non essere affatto quel presidente garante di tutti ma esclusivamente della casta cui lui appartiene dalla bellezza di sessant’anni.

Di fronte ad una Magistratura svilita, insultata, diffamata e offesa tutti i giorni lui non ha garantito per la Magistratura nemmeno da capo del CSM qual è ma ancora una volta per chi svilisce, insulta, diffama e offende i giudici, ovvero il PREGIUDICATO CONDANNATO silvio berlusconi e la teppa che gli regge i giochi, a destra come a sinistra.

E di fronte ai cittadini di un paese che non possono godere di nessuna tutela speciale, che se violano la legge sono obbligati a subirne tutte le conseguenze fra le quali anche la galera se la violazione la richiede lui non ha garantito per loro, per noi, ma ancora una volta per lui: quello più uguale degli altri ma solo perché qualcuno, fra cui anche Napolitano, ha fatto in modo che lo potesse diventare.

 Questo è quello che avevo scritto cinque minuti dopo la rielezione di Napolitano: confermo e ribadisco tutto: “Il più possibile condiviso, sì. Non sia mai che corruttori, mafiosi, tangentari e delinquenti debbano essere privati della loro quota di rappresentanza dello e nello stato, visto che gli si dà la possibilità di contribuire alla scelta del capo dello stato. Garanzia ci vuole, altroché”.

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Quirinal parto
Marco Travaglio, 14 agosto

In attesa che i luminari a ciò preposti, con lenti di ingrandimento e occhiali a raggi infrarossi, ci diano l’interpretazione autentica del Supermonito serale del presidente della Repubblica e dell’incunabolo che lo contiene, una cosa è chiara fin da subito: il fatto stesso che sia stato emesso già dimostra che Silvio Berlusconi non è un cittadino uguale agli altri. 

Mai, infatti, in tutta la storia repubblicana e pure monarchica, un capo dello Stato – re o presidente della Repubblica – era mai intervenuto su una condanna definitiva di Cassazione per pregare il neopregiudicato di restare fedele al governo, facendogli balenare in cambio la grazia e garantendogli che non finirà comunque in galera. Intanto perché spetta al giudice di sorveglianza, e non a Napolitano, applicare al caso concreto la legge svuota-carceri del 2010: fino alla condanna di Sallusti, infatti, chi doveva scontare fino a 1 anno di pena (totale o residua) finiva dentro e di lì chiedeva gli arresti domiciliari; dopo invece, per salvare Sallusti, il procuratore capo di Milano decise che la pena viene comunque sospesa e si tramuta automaticamente in domicilio coatto. 

Ma l’ultima parola appunto spetta al giudice, non al Quirinale. 

Il fatto poi che la grazia, per ottenerla, uno debba almeno fare lo sforzo di chiederla dopo aver riconosciuto la sentenza di condanna (“prenderne atto” è perfino poco), è noto e arcinoto alla luce della sentenza della Consulta 200/2006: quella che diede ragione a Ciampi nel conflitto col ministro Castelli per la grazia a Bompressi. 

Solo che quella sentenza dice ben più di quel che Napolitano le fa dire: afferma che la grazia può essere motivata solo con “eccezionali esigenze di natura umanitaria”, mai “politiche”. Se fosse un atto politico, richiederebbe il consenso e la controfirma del governo, visto che per gli atti politici il Presidente è irresponsabile. Ma siccome la grazia deve rispondere a una “ratio umanitaria ed equitativa” per “attenuare l’applicazione della legge penale” quando “confligge con il più alto sentimento della giustizia sostanziale” e per “mitigare o elidere il trattamento sanzionatorio… garantendo soprattutto il ‘senso di umanità’ cui devono ispirarsi tutte le pene non senza trascurare il profilo di ‘rieducazione’ proprio della pena”, essa “esula da ogni valutazione di natura politica” ed è “naturale” attribuirla in esclusiva al Colle. 

E qui Napolitano si dà la zappa sui piedi, quando dice che il condannato in carcere non ci andrà, dunque non c’è alcuna detenzione disumana da “mitigare”. Infatti rivendica il potere di graziare B. per motivi tutti politici (la sopravvivenza del governo, la condanna di un ex presidente del Consiglio): proprio quelli esclusi dalla Consulta, che verrebbe platealmente calpestata da una grazia a B.. Se poi, come scrive, la grazia non gliel’ha chiesta nessuno, non si capisce a chi Napolitano risponda, e perché. Non una parola, poi, sulla gravità del reato di B: la frode fiscale. 

Né sui vergognosi attacchi ai giudici. Né sui 5 procedimenti in cui è ancora imputato: che si fa, lo si grazia una volta all’anno per tenerlo artificialmente a piede libero? La grazia seriale multiuso non s’è mai vista neppure nello Zimbabwe, ma dobbiamo prepararci a tutto. Nell’attesa, resta lo spettacolo grottesco e avvilente del Quirinale trasformato per due settimane in un reparto di ostetricia geriatrica, con un viavai di giuristi di corte e politici da riporto travestiti da levatrici con forcipi, bende, catini d’acqua calda, codici e pandette, curvi sull’anziano puerpero per agevolare il parto di salvacondotti, agibilità e altri papocchi impunitari ad personam per rendere provvisoria una sentenza definitiva e cancellare una legge dello Stato (la Severino su incandidabilità e decadenza dei condannati). 

Ieri sera, al termine di una lunga attesa che manco per il principino George, il partoriente ha scodellato un mostriciattolo che copre ancora una volta l’Italia di vergogna e ridicolo. 
Ma è solo l’inizio: coraggio, il peggio deve ancora venire.

C’è la faremo [copyright sallusti]

https://fbcdn-sphotos-e-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn1/68614_4194548694706_1812812014_n.jpg[…] prima di tutto, un messaggio ai giornalisti inglesi di sinistra e agli intellettuali in genere: ricordate che disonestà e viltà si pagano sempre. Non pensate di potervi comportare per anni da propagandisti leccapiedi del regime sovietico, o di qualsiasi altro regime, e di ritornare improvvisamente alla dignità intellettuale.

Chi si prostituisce una volta, si prostituisce per sempre.

[George Orwell – La fattoria degli animali]

Sottotitolo: «La polizia in redazione sa di regime odioso ma l’arresto di Sallusti, la sua evasione e di nuovo il suo arresto, sia pure ai domiciliari, sono una commedia atroce perché la vittima, che senza tentennamenti noi non vogliamo in prigione, è stato il gendarme del peggiore giornalismo illiberale italiano, uno dei cani da guardia di quel Silvio Berlusconi che per venti anni ha seminato la peste della diffamazione, ben oltre l’articolo scritto ma non firmato da Renato Farina che ha infangato il giudice Cocilovo e che ancora oggi Sallusti rivendica come un’opinione forte e non come un’infamia. E Sallusti, nel difendersi, non usa il linguaggio del detenuto che noi vorremmo liberare ma del carceriere della libertà: non ha mai chiesto scusa a Cocilovo e, nella conferenza stampa, ha mitragliato le parole “cazzo” e “palle” al posto dei ragionamenti» [Francesco Merlo – La Repubblica].

Sallusti, arrestato, invia un tweet: “C’è la faremo”. Ecco perché gli articoli glieli scriveva Dreyfus. [forum spinoza.it]

Emilio Fede ha detto che silvio si è dimenticato di lui, Vittorio Feltri lacrima che il centro destra ha abbandonato sallusti.

Questa è la fine che fanno i SERVI quando non sono più utili al padrone.

Miserabili convinti che il disonesto impostore al quale hanno svenduto molto più della dignità gli potesse o gli dovesse dimostrare poi una riconoscenza dopo averli pagati a peso d’oro per raccontare balle, disinformare, calunniare e diffamare tutti quelli che non erano funzionali al progetto di un abusivo fuori legge che voleva trasformare l’Italia in una delle sue aziende.
Ragione di più per far vergognare tutti quelli che hanno difeso, sostenuto sallusti anche con una finta solidarietà che si potevano e dovevano risparmiare, quelli, giornalismo, politica, parlamento e Napolitano –  il quale  ha ritenuto opportuno doversi occupare anche del martire sallusti e chissà perché –  che hanno costretto un paese intero a seguire le vicissitudini di un ignobile personaggio, un delinquente comune come ce ne sono a migliaia, come se il problema della giustizia italiana fosse il carcere sì o no a sallusti e non ad esempio le migliaia di detenuti, gente che in galera non ci doveva proprio entrare ma  che invece  ci sta e ci resta  grazie alle leggi fasciste liberticide sulle quali un disinvolto presidente della repubblica ha messo la sua firma ma della quale chissà perché, a nessuno frega niente.
 Leggi come  la Bossi-Fini sull’immigrazione [approvata nel 2002], la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva [approvate tra il 2005 e il 2006] che trasformano in delinquenti quelli che delinquenti non sono.
Per quelle non c’è stata la levata di scudi di nessuno nonostante siano proprio queste che fanno riempire le carceri oltremodo.

Altro che gl’indulti e le amnistie per salvare i ladri di polli ma che poi servono ai massacratori di stato, ai ladri di stato,  ai corruttori e ai diffamatori che hanno vilipeso e sfinito questo paese per il solo fatto di esistere.

farina sallustiUno su mille c’è la fa
Marco Travaglio, 2 dicembre

Torna a grande richiesta la commedia all’italiana, nel solco della tradizione dei film a episodi con Sordi, Tognazzi, Gassmann, Manfredi, Vianello, Tina Pica e Walter Chiari. La pellicola, ancora in lavorazione, uscirà nelle sale a Natale. Siamo entrati in possesso della sceneggiatura dei primi quattro episodi.
Sballottaggio. Il leader di un partito chiamato Democratico organizza le primarie in linea con la ragione sociale, vince il primo round, esalta “la grande giornata di democrazia” e la strepitosa affluenza, ma poi scatena la guerra atomica per far sì che al ballottaggio voti il minor numero di persone possibile. Chi vuol partecipare deve inventarsi una scusa per l’assenza al primo turno. Quelle usate dai ragazzi a scuola (raffreddore, zia malata, cagnetta in calore, autobus in anticipo, allergia ai quaderni) non sono valide. Meglio optare per quelle dei Blues Brothers: “Avevo una gomma a terra, avevo finito la benzina, non avevo soldi per il taxi, la tintoria non ha portato il vestito, c’era il funerale di mia madre, l’inondazione, e poi le cavallette”.

L’onorevole Angelino. Un tizio di nome Angelino, convinto – non si sa bene da chi e perché – di essere il leader del centrodestra, organizza anche lui le primarie. Fissa date, detta regole, recluta candidati, intreccia alleanze, poi il suo padrone lo richiama all’ordine. Lui si dibatte un po’, dice addirittura che non vuole inquisiti, poi riceve una lettera di Dell’Utri in siciliano stretto: “Le tue primarie non servono a una minchia”. Vistosi perduto, va a Canossa, cioè ad Arcore, camminando in ginocchio sui ceci. Lo fanno entrare dall’ingresso della servitù, lo lasciano sei ore in anticamera, appoggiato a un panchetto, poi finalmente viene ricevuto. “Scusi Sire, non volevo, sono stato frainteso, non lo faccio più”. Il Nano Supremo, magnanimo, gli rimette la livrea a righine, gli restituisce il piumino e gli consente di spolverare.

Il conte di Montecribbio. Il direttore di un coso chiamato Il Giornale, dunque convinto di essere un giornalista, diffama questo e quello, finché si busca una condanna in appello per diffamazione. Vivo stupore dell’interessato. Il diffamato, impietosito, propone di ritirargli la querela in cambio delle scuse e del risarcimento. Ma il diffamatore, per misteriosi motivi, tiene tantissimo ad andare in galera e rincara la dose. La Cassazione conferma la condanna. I giudici, pietosamente, lo mandano ai domiciliari. Lui non sente ragioni e s’incazza: o galera o niente. Convoca la stampa per denunciare lo scandalo della magistratura politicizzata che rifiuta di arrestarlo. Si barrica in ufficio, pernotta nel cassetto della fotocopiatrice, poi la polizia lo preleva e lo traduce a casa sua. Lui twitta “C’è la faremo”, diffamando anche la lingua italiana. Poi, impavido, evade sul pianerottolo. Lo beccano subito: tribunale, processo per direttissima. Lui gongola: finalmente vado in galera. Ma niente da fare: ci vuol altro che un’evasione, in Italia, per finire dentro. Il giudice, inesorabile, lo rispedisce a casa. Lui giura: non evado più. Tanto è inutile.

I ragazzi irresistibili. Un’allegra brigata di vecchietti, convinti di essere dei tecnici, occupano Palazzo Chigi e improvvisano dei consigli dei ministri.

Uno si alza e s’inventa un decreto per consentire a un’acciaieria inquinante di continuare ad ammazzare la gente.

Un altro propone una legge draconiana per vietare di candidarsi ai condannati sopra i 4 anni. A nulla vale l’obiezione che 20 dei 21 onorevoli pregiudicati hanno condanne inferiori ai 4 anni [per superare detta soglia occorre mettersi a sparare].

Vivo disappunto del gobbo del Quarticciolo, della saponificatrice di Correggio, del Canaro della Magliana e dei mostri di Martinelle e di Dusseldorf, che resterebbero esclusi per un soffio dalle prossime elezioni.

Ottime chances invece per Sallusti, se smette.

Tutti per uno

Sottotitolo: uno schifo simile era difficile anche immaginarlo. Massì, depenalizziamo i reati SOLO per i politici, SOLO per i giornalisti, SOLO per i magistrati, SOLO per i notai, SOLO per gli avvocati, SOLO per i consiglieri regionali, SOLO per i sindaci, SOLO per i vip, SOLO per berlusconi, SOLO per sallusti.
Poi qualcuno magari ci racconterà ancora la favoletta che le caste non esistono: sono SOLO un’illusione della mente.

Giornalisti, politici e sindacalisti. Intervengono tutti sulla sentenza definitiva con cui la Cassazione ha condannato per diffamazione il direttore de Il Giornale. Berlusconi: “Depenalizzare il reato”. Maroni: “Resistere, resistere, resistere”, Santanchè: “Il Paese fa schifo, gli italiani scendano in piazza”. Dal Quirinale: “Esamineremo sentenza”.

Sallusti, Cassazione conferma condanna
Ma la procura di Milano: “Pena sospesa”

Il direttore dovrebbe scontare 14 mesi. I giudici: “Non è reato di opinione ma pubblicazione 
consapevole di notizie palesemente false”. Bruti Liberati: “Manca recidiva, detenzione sospesa” 
Da Ezio Mauro a Enrico Mentana, rivolta contro la sentenza. Severino: “Norma va cambiata”

 

Due giorni fa mi sono associata all’appello di Travaglio per “salvare il soldato sallusti” perché sono ancora convinta che in una democrazia civile, compiuta, evoluta e moderna un giornalista non deve rischiare la galera: esistono forme alternative di punizione che  possono essere sostituite a quella che dovrebbe essere solo l’extrema ratio. Privare qualcuno della libertà è un fatto serio che va riservato a cose ancora più serie.

E comunque sallusti in galera NON ci sarebbe mai andato, nemmeno se non si fosse mobilitato a suo favore un esercito di salvatori con in testa, che lo dico a fare, il presidente Napolitano che ultimamente sembra aver preso molto  a cuore i casi personali di cittadini che non dovrebbero essere al di sopra di nessun altro, una volta è l’ex ministro bugiardo, un’altra un diffamatore per mestiere e insomma, il presidente da quando non ha niente da firmare ha molto tempo a disposizione, evidentemente. Proprio  mentre sto scrivendo questo post e mentre in molti discutiamo se sia giusto o meno che sallusti vada in galera, sebbene virtualmente,  apprendiamo dalla viva voce di feltri [altro pezzo da novanta in fatto di calunnie e diffamazioni]  dalla terza  camera del parlamento cioè porta a porta, che il Dreyfus in questione altri non è che l’ex giornalista ed ex un po’ di tutto Farina [l’agente Betulla], radiato dall’ordine dei giornalisti. Tutto normale, tutto lecito. Oltre il diritto alla diffamazione il diritto a fottersene delle regole in generale.

E il bello è che la galera per la diffamazione l’ha votata la casa della libertà [vigilata].  Quelli che invocano la galera per chi pubblica le intercettazioni.

berlusconi, il più interessato di tutti ad eliminare tutto quel che costituisce un reato pensa che debba essere depenalizzata anche la diffamazione, che non è un omicidio né una rapina a mano armata o uno stupro ma è comunque un atto di estrema gravità.  Specialmente se la diffamazione viene veicolata attraverso i mezzi di comunicazione.

Diffamare qualcuno significa raccontare menzogne, screditare, significa rovinare la vita a qualcuno, in molti casi ha significato la fine di una vita: tanta gente dopo essere stata diffamata si è suicidata perché non ce l’ha fatta a reggere il peso di una vergogna e di un’ingiustizia subita. La diffamazione non è un’opinione, un’idea, un punto di vista seppur becero, quando la diffamazione si fa per mezzo di media e giornali significa diffondere falsità sul conto di qualcuno: è un atto spregevole, miserabile.

E la misura di quanto sia grave la diffamazione per la quale è stato condannato il direttore di quel fogliaccio nel quale la diffamazione e le calunnie non sono una rara eccezione ma proprio il leit motiv la spiega benissimo Alessandro Robecchi, giornalista del Manifesto, in questo articolo: Due o tre cosucce sul caso del martire Sallusti. E perché non è il caso di piangere.

E allora mi chiedo se i noi, gl’invisibili, quelli a cui si può togliere tutto e perfino – oltre a molti altri  –  il diritto  di pensare e credere (ancora) soprattutto, di vivere in un paese dove la legge sia davvero uguale per tutti avremmo in situazioni analoghe le stesse attenzioni riservate a sallusti, se le istituzioni alte,  tutto l’arco costituzionale, quasi tutto il giornalismo unito e compatto come un sol uomo,  si preoccuperebbero di difenderci, di intervenire e di interferire.
Mi chiedo se Napolitano troverebbe il tempo per spendere una buona parola per tutti i bisognosi, per tutti gli accusati DAVVERO ingiustamente.
Per tutti quelli che la galera vale con effetto retroattivo come per i devastatori di Genova.

Perché mai e dico mai a nessuno è venuto in mente di aprire un dibattito così ampio  su casi e fatti che riguardano gente meno famosa, per niente famosa e per motivi assai meno gravi di un augurio di essere impiccati sulla pubblica piazza.

Non una parola per chi  di carcere e in carcere ci muore magari  per tre grammi di fumo.
E se a un ministro venisse in mente di cambiare una legge per uno qualsiasi di quegl’invisibili.

E chi adesso, come il presidente della federazione nazionale della stampa Franco Siddi  “si sente come sallusti” non è solidale, è complice.

Marco Travaglio è un giornalista, Alessandro Sallusti, no

Ultim’ora [o quasi]: Caso Sallusti, si muove anche il Colle
“Napolitano segue la vicenda”

Il portavoce del presidente della Repubblica scrive su Twitter che il Quirinale “segue il caso e si riserva di acquisire tutti gli elementi utili di valutazione”. Mercoledì prossimo il verdetto dei giudici della Cassazione sulla vicenda che ha coinvolto il direttore de Il Giornale. [Il Fatto Quotidiano]

Ultimamente il quirinale sembra l’ufficio reclami, vanno tutti a frignare da Napolitano.

Sottotitolo: Nessuno,  nelle istituzioni si è occupato di questo povero caso umano, eppure, guardaunpo’, ai convegni tutti quando parlano fra loro lo fanno per difendere il malcapitato di turno, per lui, pover’uomo  non si è scomodato nessuno, manco il ministro per una revisione del codice piccola piccola, una leggina ad Sallusti, ecco. Si tratta proprio di una persecuzione, prima un magistrato e poi addirittura un altro hanno stabilito che fra libertà di espressione e diiffamazione qualche differenza c’è.

Che chi ha la responsabilità di scrivere su un giornale non può usarlo per scriverci tutte le stronzate che passano in certi cervelli bacati o, peggio ancora, pagati per esserlo.  E farlo poi sotto pseudonimo non mettendoci un nome né una faccia.

Colpirne uno per educarne cento? eppure questa teoria dovrebbe essere gradita a tutta la pattuglia dei diffamatori che lavorano in nome e per conto di berlusconi visto che è la più applicata da chi si  si spaccia per giornalista ma in realtà fa tutt’altro quando c’è da mettere in moto la macchina del fango. 
Uno era Boffo, una la Boccassini, uno Vendola, uno Fini, uno il giudice Mesiano e i suoi ormai leggendari calzini azzurri, e via via per tutti quelli che sono stati  manganellati in tutti questi anni per conto terzi e cioè di berlusconi. 
La libertà di espressione non ha niente a che fare col lavoro che si fa nelle redazioni di Libero e Il Giornale, ma siccome in questo blog la libertà si difende sempre perché le questioni di principio e la libertà  non hanno colori politici né editori né tanto meno padroni da servire,  perché tanta gente è morta per difendere i principi di libertà,  ma soprattutto perché l’Italia è l’unico paese europeo dove un giornalista rischia il carcere – i primati in negativo ce li abbiamo tutti –  punire  col carcere un pensiero è roba da regime cileno, noi dovremmo essere se non sbaglio una democrazia,  anche le punizioni devono essere all’altezza di una democrazia,  e in un paese civile  e democratico nessuno deve rischiare il carcere per aver espresso anche la più becera delle opinioni,  dunque anch’io mi associo all’appello di Marco Travaglio: salviamo il soldato Sallusti.

Liberainformazione: Sallusti rischia il carcere

Travaglio è un giornalista, Sallusti no, e non per colpa di Travaglio ma la sua che ha rinunciato alla sua dignità di uomo, prim’ancora che a quella professionale per servire il suo padrone.

E quando si sceglie di servire un padrone, quale che sia, e lo si fa da giornalisti  rinunciando a difendere quei principi indispensabili da rispettare quando si svolge il mestiere di informare non si può poi attaccare ogni giorno chi fa scelte diverse, scelte di libertà.

I principi come dice Marco Travaglio si difendono SEMPRE.

A parti inverse Sallusti NON avrebbe difeso Travaglio, anzi, come è già accaduto avrebbe approfittato dell’occasione per infierire, per scrivere e dire quello che dicono tutte le persone in malafede a proposito di Marco Travaglio.

Salvate il soldato Sallusti
Marco Travaglio, 22 settembre


Che cosa pensiamo di Alessandro Sallusti (non dell’ex bravo cronista del Corriere, ma del direttore di Libero e poi del Giornale), i nostri lettori lo sanno benissimo perché l’abbiamo scritto mille volte e mille volte lo scriveremo. Ma non oggi. Perché Alessandro Sallusti rischia di finire in galera o agli arresti domiciliari o ai servizi sociali, per scontare una condanna a 1 anno e 2 mesi senza condizionale: gliel’ha inflitta la Corte d’appello di Milano, aggravando il verdetto del Tribunale che gli aveva appioppato 5 mila euro di multa e 30 mila di risarcimento. Sentenza che la settimana prossima la Cassazione dovrà confermare o annullare. 

Ma l’annullamento, si sa, può avvenire solo per questioni giuridiche e non di merito (che si risolvono nei primi due gradi di giudizio). Si dirà: i giornalisti sono cittadini come gli altri (eccetto i politici, si capisce) e non c’è nulla di strano se, in caso di condanna, la scontano. Vero: ma questo dovrebbe valere per delitti dolosi. Cioè per reati gravi e intenzionali. Sallusti è stato condannato per aver diffamato su Libero un giudice tutelare di Torino, Giuseppe Cocilovo, in un articolo del 2007 scritto da un altro sotto pseudonimo, ma di cui gli è stato attribuito l'”omesso controllo” in veste di direttore responsabile. Non so cosa fosse scritto in quell’articolo, ma non dubito che fosse diffamatorio, vista la normale linea Sallusti. Però ora non m’interessa, perché ciò che conta è il principio. E i principi vanno difesi quando riguardano gli altri,possibilmente i più lontani da noi, per sfuggire ai conflitti d’interessi (parolaccia che Sallusti non pronuncerebbe mai, ma noi sì). Personalmente, sono incappato quattro anni fa in un incidente simile: nel 2001 avevo sintetizzato, in un articolo troppo breve sull’Espresso, un lunghissimo verbale che citava anche Previti. Questi mi querelò. Il Tribunale di Roma condannò me a 8 mesi di carcere con la condizionale e la direttrice Daniela Hamaui a 4, più 20mila euro di risarcimento (sentenza spazzata via dalla Corte d’appello, che la ridusse a due multe di 1.000 e di 800 euro, poi prescritte). Naturalmente i giornali di B., su cui scriveva Sallusti, presentarono la notizia come la prova che ero un delinquente matricolato e non fecero alcuna campagna contro il carcere ai giornalisti. Ora che tocca a Sallusti, la fanno eccome. Ma, ripeto, contano i princìpi. Che non si possono cambiare ogni mattina come le camicie, gli slip e i calzini. Il principio, peraltro ovvio in tutti i paesi civili, è che nessun giornalista può rischiare in prima battuta il carcere (anche se finto, come da noi) per quello che scrive. Nemmeno se è sbagliato o impreciso, e neanche se è dolosamente diffamatorio (come purtroppo sono le campagne degli house organ berlusconiani contro chiunque si metta sulla strada di B., anzi contro chiunque indossi una toga). Da vent’anni, da quando in Parlamento si dicono tutti “liberali” e “garantisti”, non si contano le promesse di riformare il codice penale sulla diffamazione. La soluzione è una regoletta che imponga a chi sbaglia di ristabilire la verità e riparare all’offesa in forme e spazi proporzionati al danno arrecato, e solo in caso di rifiuto preveda la possibilità di adire le vie legali (anche, nei casi più gravi e dolosi, col carcere). Così, fra l’altro, si distingue chi sbaglia in buona fede (e rettifica) da chi lo fa in malafede (e insiste). Sappiamo come sono finite quelle promesse: come i tagli ai “costi della politica”. E sappiamo anche perché: a questa classe politica fa comodo ricattare la stampa con denunce penali e civili milionarie. In attesa di trovare, magari nel quarto millennio, una maggioranza davvero liberale, c’è un solo modo per evitare che Sallusti diventi un detenuto: il buonsenso. 
Sallusti chieda scusa e rifonda il danno al giudice diffamato. E questi ritiri la querela: dimostrerebbe fra l’altro che, con tutte le magagne, i magistrati sono ancora molto meglio dei politici.

Politica VS Legge e Costituzione

Sottotitolo: anch’io vorrei provare ad  ammazzare una persona  e poi SCEGLIERMI la pena. Ma mi sa che non me lo farebbero fare.

Omicidio Aldrovandi, i poliziotti colpevoli assegnati ai servizi socialmente utili

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In ginocchio da Cosa Nostra. Nero su bianco

“Spiace ai cultori del negazionismo professionista, ma l’unico aggettivo che si può togliere, nella narrazione della trattativa tra Stato e mafia, è “presunta”. A cancellarlo è la sentenza della Cassazione del processo sulle stragi del ’93 a Firenze, Roma e Milano, che ha certificato l’esistenza della ‘trattativa’ ponendo il proprio autorevole timbro alla ricostruzione, confermata nei tre gradi di giudizio, e sintetizzata dalle parole contenute nel verdetto di primo grado: “L’iniziativa del Ros (che contattò Vito Ciancimino, ndr) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una trattativa: l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione. E nonostante le più buone intenzioni con cui fu avviata, (quest’iniziativa, ndr) ebbe sicuramente un effetto deleterio per le istituzioni”.

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 IL CSM PREPARA LA LEGGE NAPOLITANO
Il vicepresidente Vietti incontra il Capo dello Stato, poi dice al Fatto: top secret le parole dei “soggetti terzi intercettati, ma non indagati”. Con tanti saluti alle responsabilità politiche.

[Il Fatto Quotidiano]

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Ci vuole una grandissima faccia come il culo a scrivere, come ha fatto l’Unità, che l’ascesa politica di berlusconi fu la naturale conseguenza dal “conflitto” fra politica e Magistrati. Certi giornali – cosiddetti di sinistra – ultimamente più che riportare notizie e citare fatti realmente accaduti belano, cinguettano, talvolta abbaiano – ma solo quando c’è da prendere le parti di qualche indifendibile eccellente – unicamente menzogne, mistificazioni, capovolgimenti di verità ormai storiche potendo confidare nel fatto che qualcuno crederà perfino che siano cose serie.
E se anche l’Unità scrive  – senza che nessun dirigente del partito smentisca e si dissoci da questa sesquipedale bufala –  di una colossale falsità inventata ad arte come il conflitto fra politica e Magistratura, gli elettori del pd sanno che devono crederci perché questo vuole il partito, diventato ormai l’unico editore di riferimento del povero quotidiano che fu di Antonio Gramsci, il quale, sono sicura, avrebbe avuto un altro concetto di ‘conflitto’, non avrebbe mai pensato infatti, che un Magistrato che porta a processo criminali, corruttori, mafiosi – anche se fanno i politici – sia lui il pericolo, il nemico da abbattere o tutt’al più, per non dare troppo nell’occhio ché ricostruire autostrade e quartieri è anche un po’ costoso e c’è la crisi, esiliandoli altrove dove non possono “far danni”, tipo indagare sui rappresentanti di uno stato che anziché lavorare per sconfiggere la mafia ci si siedono a tavola mettendosi anche comodi: un pranzo che dura praticamente da vent’anni.
Ricordiamo agli smemorati che l’ascesa di berlusconi, impostore, abusivo della politica e con guai giudiziari antecedenti alla famosa “discesa in campo” fu resa possibile con quello che davvero si può ritenere un atto eversivo/sovversivo e cioè ignorare la legge che glielo avrebbe impedito, dunque un colpetto di stato in piena regola.
La bicamerale [necessaria eh?] del cazzatore [di rande] ma più che altro cazzaro, quello che qualcuno considera addirittura uno statista ha completato l’opera consegnandogli praticamente le chiavi del paese.
L’unico vero conflitto, esistente dalla notte dei tempi in Italia, è solo quello della politica fra la legge e il suo rispetto, che deve valere per tutti meno per chi – indegnamente – la rappresenta.   Il pd non andrà a governare perché NON CONVINCE, perché tratta e in malomodo sui diritti  e la legalità che sono la priorità per un paese civile, molto più dell’economia. Un paese è molto più povero quando viene privato della sua dignità.

Una politica seria e onesta non parla di conflitto con la Magistratura:  la sostiene e ci lavora affianco.

 Chi tocca la casta e tutto ciò che ad essa ruota attorno – quindi soprattutto il malaffare – muore, anche restando vivo.

Magistrati, giornalisti, militanti, non ce n’è per nessuno.   Pensate che bella la nuova legge elettorale che ci aspetta.

***

In nano veritas
Marco Travaglio, 1 agosto

La Seconda Repubblica è nata dal “peccato originario” (sic) del “conflitto tra politica e magistratura” che l’ha attraversata come un “filo rosso permanente”. “A trarre il massimo vantaggio da quest o conflitto fu Berlusconi” grazie alla “destrutturazione della politica operata in buona parte dalla magistratura”, poi però “si aprì uno scontro insanabile fra Berlusconi e la magistratura”. Un “conflitto ventennale che ha visto contrapposti Berlusconi e la magistratura, costituitasi e progressivamente rinsaldatasi in un ruolo di custode generale dell’eticità dello Stato”. I reati di B. e dei suoi compari, ma anche di vari esponenti del centrosinistra finiti sotto processo, non c’entrano: è stata una guerra civile, “condotta da entrambe le parti” — truppe berlusconiane e togate — “con furore giacobino, senza esclusione di colpi” e s’è conclusa “senza vincitori né vinti”. Ora però “la Seconda Repubblica è finita” e i due eserciti devono ritirarsi in buon ordine in nome dell'”equilibrio dei poteri”, per fare spazio alla “politica”. Resistono, purtroppo, alcune schegge di magistratura “recalcitranti e invadenti”, ma vanno prontamente “cancellate” come “fantasmi di un passato che dev’essere chiuso”. Ed “è su questo sfondo storico che va considerata e apprezzata la decisione del presidente Napolitano di sollevare il conflitto di attribuzione presso la Consulta sulle intercettazioni operate da una procura” (era un gip, ma fa lo stesso): “Essa è importante” perché “segnala la necessità di chiudere disfunzioni formali e distorsioni materiali della Seconda Repubblica” e “si propone di ridefinire compiti e funzioni di ciascuno” per “aprire una nuova fase della democrazia, liberandola finalmente dalle contrapposizioni del passato e dalle macerie personali e collettive che esse hanno lasciato sul terreno”. Chi pensasse che questi pregevoli scampoli di prosa siano usciti sul Giornale, sul Foglio, su Libero, su Panorama, sul Corriere a firma del quartetto Galli della Loggia-Panebianco-Ostellino-Battista, resterà sorpreso: l’autore è Michele Ciliberto, editorialista della fu Unità. Qualcuno dirà: Ciliberto chi? Giusto, se non fosse che l’Unità è tornata a essere l’organo ufficiale del Pd.
Quindi, a meno che qualcuno non ci spieghi che Ciliberto non rispecchia la posizione del Pd, siamo autorizzati a pensare che anche il Pd ha finalmente fatto outing sposando il berluscones-pensiero: i processi a B.&C. per mafia, corruzione di giudici, finanzieri e testimoni, frode fiscale, falso in bilancio, concussione, prostituzione, così come le indagini sulle trattative Stato-mafia non sono la conseguenza di gravissimi delitti, ma di uno “scontro fra politica e magistratura” combattuto “da entrambe le parti con furore giacobino”; e che il conflitto del Colle contro la Procura di Palermo che indaga sulle immonde trattative non serve tanto a stabilire se le intercettazioni indirette del Presidente andassero o meno distrutte dai pm senza passare dal gip e dal contraddittorio fra le parti; quanto piuttosto a mettere in riga quei pm facinorosi, “recalcitranti e riottosi”, che si ostinano a credere che la legge sia uguale per tutti e a non comprendere che la guerra è finita e la politica deve comandare sul potere giudiziario come ai bei tempi del Duce e del Re Sole. Nel qual caso, B. può ritenersi soddisfatto, ritirarsi in una delle sue ville con le sue squinzie, rinunciare alla faticosa e incerta ridiscesa in campo e lasciar fare ai “comunisti”. Ormai ha vinto lui. Le sue parole d’ordine campeggiano sulla prima dell’Unità, succulento antipasto di quel che ci riserva la prossima legislatura. Intanto la guerra alle intercettazioni e alla Procura di Palermo, che finora l’aveva visto soccombente, la combatte per lui il capo dello Stato fra gli osanna di destra, di centro e di sinistra (fa eccezione Di Pietro, ma una simpatica vignetta sull’Unità lo definisce “molto malato”, pronto per la rieducazione “in clinica”). Quod non fecerunt berluscones, fecerunt corazzieri.