Di facce nuove non ce ne sono molte.
Di facce che ne nascondono altre c’è l’imbarazzo della scelta.
La faccia come il culo invece è inconfondibile: impossibile non notarla.
“Il primo rottamato sarà silvio”: e l’ha resuscitato, proprio tirato fuori dal loculo del tempietto di Arcore.
“Mai al governo senza il voto”: e si è praticamente autoincoronato presidente del consiglio.
” Letta ha bisogno della fiducia di tutti quindi sosterremo il governo Letta”: il calcio in culo di Renzi Letta non se lo dimenticherà mai più nella vita.
“Mai più ricatti dai piccoli partiti”: per una settimana giorno e notte Renzi ha trattato con tutti, anche coi parenti, dei piccoli partiti.
“Basta Alfano nella squadra”: e olè, l’Arf_ano resta incollato dov’era prima.
Lupi e la Lorenzin perché sono stati bravi si sono meritati la riconferma.
“Dureremo fino al 2018”: essì, te piacerebbe.
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La cosa più squallida è l’essersi vantato di aver messo “il maggior numero di ministri donne”: in questo paese non usciremo mai da questo trip, da questo delirio collettivo.
Anche per la Boldrini il problema sono le percentuali, a voler fare la battutaccia ché tanto so’ femmina e me la posso permettere, le misure.
Come se Gino Strada e Beatrice Lorenzin fossero speculari per conoscenza, competenza e professionalità, diversi solo per genere quindi meritevoli di ricoprire lo stesso ruolo.
Far notare il particolare è ancora peggio del discriminare.
Nei paesi normali la percentuale uomo e donna nei ruoli chiave, politici e di impresa è alla pari per delle regole civili che si sono imposti per legge, leggi volute anche da governi di destra. E senza nemmeno una quota rosa.
Qui ancora una donna che va a fare un lavoro solitamente e storicamente, soprattutto, svolto da uomini deve essere un fenomeno da baraccone su cui fare la precisazione. Che poi, se si cominciasse a guardare alle competenze e alla preparazione e chissenefrega se uomo o donna non sarebbe male.
Giusto per non ritrovarsi due semplici diplomati come ministri della giustizia e della salute.
La questione è che ci siamo fatti abbindolare dalla teoria che “giovane è bello e meglio”, come se il merito oggi fosse quello di essere nati dopo o se il riferimento si potesse trovare solo nella gerontocrazia al potere. Mentre ci sono tante persone capaci e competenti pur avendo un’età matura senza essere vecchie. Penso alla scienziata che Napolitano ha nominato senatrice a vita, Elena Cattaneo, che avrebbe potuto essere una eccellente ministra della salute al posto della saputella che imputa allo stile di vita il cancro dovuto allo stile mafioso.
Non c’è più nemmeno la signora Kyenge e il suo ministero, così la lega si toglie il pensiero, l’ossessione e la smette col tampinamento ad personam e di rompere i coglioni col suo razzismo, tanto qui non serve un ministero per l’integrazione. Gli immigrati hanno già un ottimo trattamento strettamente riservato anche senza. Poi magari qualcuno un giorno ci spiegherà perché Nicola Gratteri al quale erano state già date garanzie per affidargli il ministero della giustizia è stato sostituito al fotofinish dal diplomato Orlando esperto e competente di non si sa bene cosa e come mai ci sono ministeri che vanno, vengono e qualche volta, spesso, non si trattengono come le pari opportunità mai più sostituito nel precedente governo dopo le dimissioni di Josefa Idem e quello per l’integrazione scomparso col governo del rottam’attore. E chi sostituirà la Madia quando fra qualche giorno dovrà abbandonare il lavoro per impegni presi precedentemente. Le donne italiane ancora costrette a scegliere se fare i figli o lavorare, pena il licenziamento o la non assunzione e un ministro può essere nominato malgrado lo stato avanzato di gravidanza: a parità di quote rosa non ce n’era un’altra più libera dagl’impegni precedentemente presi. Ma non chiamiamola casta, ché poi s’offendono.
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Il renzicchio – Marco Travaglio, 22 febbraio
Bando alle ciance sul premier più giovane e sul governo più rosa della storia italiana. Chissenefrega della propaganda: il governo Letta vantava il record dell’età media più bassa, infatti è durato meno di una gravidanza. Fino a oggi avevamo concesso a Matteo Renzi – come sempre facciamo, senza preconcetti – il sacrosanto diritto di fare le sue scelte prima di essere giudicato. Ora che le ha fatte possiamo tranquillamente dire che il suo governicchio è un Letta-bis, cioè un Napolitano-ter che potrebbe addirittura riuscire nell’ardua impresa di far rimpiangere quelli che l’hanno preceduto. Già la lista con cui è entrato al Quirinale presentava poche novità vere, anzi una sola: quella del magistrato antimafia Nicola Gratteri alla Giustizia. Quella che ne è uscita dopo due ore e mezza di cancellature a opera di Napolitano è un brodino di pollo lesso che delude anche le più tiepide aspettative di svolta. E il fatto che la scure di Sua Maestà si sia abbattuta proprio su Gratteri la dice lunga sul livello di non detto dei patti inconfessabili che Renzi ha voluto o dovuto stringere col partito trasversale del Gattopardo. Se il premier fosse quello che dice di essere, avrebbe dovuto tener duro su Gratteri o mandare tutto a monte. Invece s’è democristianamente genuflesso a baciare la pantofola e ha nominato il ragionier Orlando, ultimamente parcheggiato all’Ambiente (“Orlando chi?”, avrebbe detto Renzi qualche giorno fa), rinunciando a dare una sterzata alla Giustizia. Complimenti vivissimi a lui e a Giorgio Napolitano, che si conferma il peggior presidente della storia repubblicana: se Scalfaro nel ’94 usò il potere di nominare i ministri per sbarrare la strada a Previti, lui l’ha usato per fermare un pm competente, efficiente, onesto ed estraneo alle correnti. E non per un’allergia congenita ai Guardasigilli togati: nel 2011 firmò l’incredibile nomina del magistrato forzista Nitto Palma, amico di B. e di Cosentino. Il veto è proprio ad personam contro Gratteri, che la Giustizia minacciava di farla funzionare sul serio, senza più indulti, amnistie, svuotacarceri e leggi vergogna. Davvero troppo per lo Stato che tratta con la mafia e per il suo capo. Accettando senza batter ciglio i veti del Colle, della Bce e di Bankitalia, Renzicchio si candida al ruolo di rottamatore autorottamato. Poteva tentare una svolta, costi quel che costi: s’è prontamente fatto fagocitare dalla “palude” che rinfacciava a Letta. Voleva essere il primo premier della Terza Repubblica: sarà il terzo premier a sovranità limitata, circondato da un accrocco di partitocrati di nuova generazione che non danno alcuna garanzia di esser meglio degli ante- nati. Con due sole eccezioni: il ministro dell’Economia Padoan, finto tecnico che rassicura le autorità europee e mastica politica da una vita, infatti era consigliere di D’Alema (Renzi voleva Delrio, poi anche lì ha alzato bandiera bianca); e l’addetta allo Sviluppo Federica Guidi, che ha soprattutto il merito di essere una turbo berlusconiana e la figlia di papà Guidalberto. Alfano, che Renzi voleva cacciare dal Viminale per l’affare Shalabayeva, resta a pie’ fermo al Viminale. Lupi, che persino il renziano De Luca accusava di farsi gli affari suoi alle Infrastrutture, rimane imbullonato dov’è. Un altro formidabile conflitto d’interessi porta con sé Giuliano Poletti, ras delle coop rosse, al Lavoro. Notevole anche la Pinotti, genovese come Finmeccanica, alla Difesa. La catastrofe Lorenzin farà altri danni alla Salute. Il multiuso Franceschini passa dai Rapporti col Parlamento alla Cultura. La Giannini, segretaria di quel che resta di Scelta civica, va all’Istruzione. Il cerchietto magico renziano si aggiudica gli Esteri con la Mogherini, le Riforme con la Boschi, la Pubblica amministrazione con la Madia (avete capito bene: Madia). Un po’ di fumo negli occhi con la sindaca antimafia Lanzetta alle Regioni, poi due figuranti come Martina all’Agricoltura e il casiniano Galletti che, essendo commercialista, va all’Ambiente. “Ora mi gioco la faccia”, ha detto Renzi. Già fatto.
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Governo Renzi auto-rottamato, fatto fuori Gratteri restano solo lobby e gattopardi – Antonio Padellaro, Il Fatto Quotidiano
È il segno più evidente di come il rottamatore Matteo Renzi prosegua imperterrito nella distruttiva opera di auto-rottamazione e di demolizione del sogno di cambiamento che aveva rappresentato per molti italiani. Una stolta manovra iniziata con il tradimento e il successivo brutale accoltellamento politico del mediocre Enrico Letta, a cui il nuovo premier aveva più volte pubblicamente e bugiardamente assicurato lealtà.
Certo, sull’esclusione all’ultimo minuto di Gratteri in molti vedono le impronte digitali di Napolitano. Il presidente del secondo paese più corrotto d’Europa, noto per aver lesinato solo i moniti in materia di legalità della politica, ovviamente esclude ogni responsabilità. Resta però da spiegare come mai, stando a quello che risulta per certo a Il Fatto Quotidiano, al magistrato fosse stato assicurato il dicastero solo pochi minuti prima della salita di Renzi al Colle. E perché Napolitano, pubblicamente, abbia poi tenuto a precisare – con una sorta di excusatio non petita – che tra lui e il neo-premier non era avvenuto nessun “braccio di ferro” sulla lista dei ministri.
Nelle prossime ore le notizie su quello che è esattamente accaduto durante il lunghissimo faccia a faccia tra il neopremier e l’ottuagenario capo dello Stato, non mancheranno. Non c’è invece bisogno di retroscena per capire tutto il resto. Bastano i curricula dei ministri più importanti.
Nella lista spiccano i nomi dell’esponente di Confindustria e della Commissione trilaterale, Federica Guidi (Sviluppo economico), quello del presidente della Lega cooperative, Giuliano Poletti, dell’ex delfino di Berlusconi, Angelino Alfano (Interno), e del ciellino Maurizio Lupi (Infrastutture). Mentre all’Economia ci finisce Pier Carlo Padoan, capo economista dell’Ocse e ex presidente della Fondazione italiani europei di Massimo D’Alema, e alle Politiche Agricole, Maurizio Martina, già pupillo di Filippo Penati, l’ex presidente della provincia di Milano sotto processo per le tangenti di Sesto San Giovanni.
Il fatto che Renzi sia riuscito a mettere insieme una squadra formata al 50 per cento da donne, che l’età media dell’esecutivo sia piuttosto bassa, non servirà al premier per cancellare negli elettori la sensazione di trovarsi di fronte a un consiglio dei ministri espressione di quelle lobby da più parti ritenute responsabili del degrado del Paese. È infatti più che ragionevole dubitare che il suo obamiano programma di governo (“una riforma al mese”) possa essere messo in atto da una compagine del genere. Perché questo non è un dream team, ma solo una galleria di errori e orrori.
Così già oggi sappiamo che ha vinto il Gattopardo. #lavoltabuona può attendere.