Di mostri, sciacalli e iene: reali e virtuali

Ottimo Mentana che per criticare lo sciacallaggio mediatico sul caso di Brembate ha ritenuto di doverne aggiungere un altro po’ anche lui: un rinforzino. Ieri sera  Bersaglio mobile sembrava la dependance di Porta a Porta: mancavano solo il plastico e il criminologo. La potenza dei media e della Rete è  far diventare il peggio anche peggio di quello che già è.  Se i media evitassero di dare tanta enfasi ai fatti di cronaca più cruenti forse si eviterebbe di dare la stura a tutto quel che avviene dopo: compresi i commenti idioti degli imbecilli necrofili  da web. In un mondo normale, fatto di gente normale e non di voyeurs malati,  con l’occhio sempre nei buchi delle serrature a guardare le vite altrui per non pensare alla loro di merda,  si limiterebbero a dare la notizia di un fatto e della sua conclusione. Non ci sarebbe il “mentre” che contiene tutto l’orribile che non si può evitare nemmeno a volerlo.

Pensiamo alla nostra giornata di ieri, alle cose che abbiamo fatto e immaginiamo, a chiusura di quella giornata i carabinieri a casa nostra per arrestarci con l’accusa di omicidio. Immaginiamo la nostra vita stravolta nel giro di poche ore, i nostri figli che leggono di un padre violento, un assassino solo sulla base di una prova, quella del dna, che in America è costata la vita a decine di innocenti finiti con un’iniezione letale o sulla sedia elettrica perché quella prova è stata poi ritenuta inaffidabile. Immaginiamo una donna, una madre che deve giustificare non al padre dei suoi figli, quello che li ha cresciuti ma al mondo, un “peccato” di gioventù, un particolare privato della sua vita non perché lo abbia deciso lei ma perché la sua vita privata è andata in pasto ai lupi famelici di un’informazione criminale.

 

I mostri, servono.

Perché mentre noi ci distraiamo, ci trasformiamo in psicologi, giudici, analisti del crimine l’anziano proprietario del paese continua ad agitare lo scettro e l’informazione ben felice che il popolo abbia di che occuparsi evita di mettere sull’avviso.
Mentre il nuovo pentito della camorra racconta che con 250.000 euro in questo paese è possibile modificare, anzi cancellare sentenze [omicidio] e, considerato il paese niente può far dubitare che non sia vero che ci siano giudici facilmente corruttibili, ai piani alti si continuano a fare accordi politici con un corruttore frodatore, più che probabile prossimo condannato anche per concussione per costrizione e sfruttamento della prostituzione minorile, or ora incriminato anche per oltraggio, l’ennesimo, alla magistratura, permettendogli addirittura di poter fare conferenze stampa alla camera dei deputati e di riscrivere la Costituzione.
Come se fosse tutto normale.
Nel paese dilaniato dalla corruzione ovunque si mettono in mano le riforme politiche ad uno che con la corruzione ci ha tirato su un impero coi risultati che sappiamo, e che subiamo.
Perché al gioco della politica  di Renzi partecipa chi c’è, non chi se lo merita.

 

facebook è diventato un rischio per chiunque abbia la sventura di andare a finire sui giornali per motivi seri o gravi.
Si dovrebbe intervenire, e anche in modo tempestivo, negli account delle persone coinvolte nei fatti di cronaca, impedire alla moltitudine di imbecilli, i soliti, quelli che se non vomitano la razione quotidiana di insulti su qualcuno non sanno dare un senso al loro tempo passato nei social di poterlo fare, solo per il gusto di potersene poi vantare con altri imbecilli come e peggio di loro.
Le maestranze  della piattaforma di solito  così solerti nel bloccare profili di gente colpevole di niente, così attente a far rispettare la policy della community salvo poi lasciare pagine che fanno chiare apologie di tutti i tipi perché quelle non violano, si vede,   possibile che non abbiano pensato a mettere in sicurezza le pagine di chi è impossibilitato a gestirle? 

Gestire la vita “virtuale” è diventato un problema, un pensiero in più. A leggere quello che sono stati capaci di scrivere questi idioti che non avendo un cazzo di meglio da fare in Rete si divertono così verrebbe da augurarsi che capitasse qualcosa di serio anche a loro, in modo tale che i loro familiari possano godere dello stesso trattamento riservato da loro a chi non c’entra, visto che i diretti interessati non possono leggere né rispondere. Un dolore finché non diventa proprio non si capisce, non si riesce a sentirselo addosso. Se i figli del presunto assassino della ragazzina di Brembate hanno letto le cose che sono state scritte sul padre avranno sicuramente subito un trauma dal quale non guariranno più.

Incredibile quanta malvagità abbiamo intorno e ce ne accorgiamo solo quando la vediamo.

Per non parlare poi di quelli del “se capitasse a te”. Cervelli a brandelli che non riescono a capire che tutti saremmo capaci di qualsiasi vendetta nei confronti di chi facesse male ai nostri figli, alle persone che amiamo; mettersi nel dolore degli altri non significa interpretarlo in modo vendicativo ma educativo, affinché si riesca a trasmettere l’idea che la violenza è sempre sbagliata. Se si fosse fatto sempre questo, se gli stessi stati che dovrebbero applicare la legge, una legge giusta, severa ma giusta e rispettosa degli stessi principi che che le leggi obbligano, uno su tutti: “non uccidere” e non avessero invece esercitato la violenza della pena di morte forse questo sarebbe un mondo migliore. A nessuno oggi verrebbe in mente di intasare il web con le sue idiozie criminali.

E sarebbe bene che tutti prendessero atto, anche gli stupiti dell’ultimo momento, quelli che ogni volta cascano dal pero come se “prima” non fosse mai successo niente, non una ragazzina che ammazza madre e fratello, non una madre che spacca la testa di suo figlio a martellate – di esempi come questi se ne potrebbero fare centomila –  che la violenza cesserà di esistere solo quando non ci saranno più donne né uomini sulla faccia della terra.

Cronaca nera: oggi le indagini (e i processi) si fanno sui social network

Maurizio Di Fazio

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Delitti e commenti sul web: il peggio degli italiani –  

Delitti. L’Italia peggiore , l’Italia del dalli all’untore. Quella che spia dalle finestre. Dai buchi della serratura. Che magari se sente un grido d’aiuto arrivare dalla strada alza il volume della televisione per non ascoltare o si volta dall’altra parte per non guardare. Quella dei vicini di casa che sanno ma non dicono. Del pettegolezzo, della noia, della pavidità, della paura. Quella che sprofonda ogni sera davanti alla tv. Che si perde dietro storie d’amore inventate da autori sapienti. O annega persa dietro a casi di cronaca nera in cui a perdere la vita sono reali creature innocenti e non attori da telefilm che interpretano questo o quel personaggio.

Quella che, puntuale come un orologio svizzero, arriva a far finta di indignarsi e che adesso usa la rete per dar spazio alle sue repressioni più perverse.  Basta dare uno sguardo ai profili Facebook di Carlo Lissi, l’assassino che ha sterminato la moglie e i due figlioletti o a quello di Massimo Bossetti, accusato di aver ammazzato Yara Gambirasio.  Sono tantissimi i mitomani che vogliono lasciare una firma. Apparire. Per regalarsi un secondo di notorietà alla faccia dei morti e dei vivi (i tre figli di Bossetti, ad esempio, quali colpe hanno da espiare?).

“Cosa ti farei, non in isolamento, in mano agli altri carcerati”, scrive Elena dopo aver condiviso sul proprio profilo la foto di Lissi, dopo aver quindi condotto nella propria dimora virtuale il volto di un assassino. E ancora, prosegue David: “Pregherei per averti sotto alle unghie, e tu pregheresti per crepare in fretta”. Insiste Remigio: “Sai quanti amanti ti troverai ora in galera, camminerai tante volte zoppo”.

Sarò strano io, ma ho terrore di questi forcaioli improvvisati. Giustizieri della notte davanti a una tastiera oppure aspiranti leoni, ma solo mentre i carabinieri e la polizia scortano via questo o quel criminale ormai inerme.  Mai prima. Mai.

Non me ne vogliano, ma sono una rappresentanza di un Paese marcio, di una comunicazione malata, come più volte teorizzato da Chomsky così come i giornalisti sciacalli dell’orrore, quelli che improvvisano servizi lacrimevoli per fare un po’ di ascolti, gli stessi che si vantano degli ascolti boom per le edizioni straordinarie targate terremoto o vanno in giro a chiedere agli sfollati come mai dormano in macchina (sapendo bene che una casa non ce l’hanno più).

Sciacalli. Sciacalli di emozioni. Incapaci ormai di viverne sulla propria pelle. Di sorprendersi, innamorarsi. Arrabbiarsi. Provano un brivido solo col telecomando o la tastiera tra le mani. Concentrati su un caso, finché ne parlano i giornali.

Fino al prossimo reality dell’orrore. Fino a quando la morbosa attenzione del guardone andrà a scomparire. E tutto finirà, come nel Truman Show, con un “Cambia canale, guarda cos’altro danno”.

Non esiste il male di vivere: esiste quello di accettare la vita per come è

A proposito del triplice omicidio di Motta Visconti.

Preambolo: sono felicissima di non avere la responsabilità di curare malattie, costruire palazzi, giudicare chi è colpevole e chi non lo è. 
Cose che può fare e deve fare solo chi è all’altezza di ogni situazione, perché implicano il dover garantire la sicurezza di chi verrà curato che poi dovrà guarire, chi abiterà in palazzi che non dovranno crollare e chi non dovrà essere privato ingiustamente della sua libertà. Evito come la peste i fatti di cronaca cruenta, perché so che poi danno la stura a commenti di tutti i tipi. Da quando faccio blog e Rete rarissimamente ho scritto di fatti violenti, e quando l’ho fatto, come oggi, è sempre per fare da contraltare a quello che scrive la maggioranza degli utenti web in giro per siti e social network. Alla fine si riduce sempre tutto al processo e mai alla riflessione. Non partecipo alla gara del “che gli farei”.
La legge del taglione è da barbari incivili. 
Chi la invoca non è una persona migliore di chi commette un’azione violenta.

 

Non mi piacciono gli argomenti “facili”: quelli da tanti likes e dai commenti beceri come ad esempio il concetto che solo gli uomini sono capaci di commettere mostruosità. 
Perché la storia dell’umanità è piena di vicende tragiche in cui il mostro è lei  che ha tenuto nel suo ventre nove mesi un figlio, che l’ha partorito e poi si è accorta che quel figlio le era estraneo, non era una parte di sé ma altro da sé da rifiutare e da punire con la morte.
Bisognerebbe andare a leggersi le storie tragiche delle detenute nell’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere, specializzato nell’assistenza e la cura di madri “figlicide” prima di sciorinare i soliti luoghi comuni sulle donne sempre vittime e gli uomini sempre mostri da condannare socialmente solo per il fatto di essere tali.
Sono un po’ stufa di leggere sciocchezze qualunquiste, spesso più violente della violenza che si vuole condannare, su argomenti gravi, delicati, cose di cui si dovrebbe parlare – se proprio si deve fare – senza trasformarsi in giudici e avvocati difensori quando non addirittura nel boia del “ci vorrebbe questo e quello”.
Noi non sappiamo nulla di quello che succede tra le mura di casa di gente che non avremmo mai conosciuto se non fosse stata protagonista di storie da cronaca giudiziaria e non tocca a noi capire come possono succedere certe tragedie, ci sono apposta persone specializzate a farlo.

Le notizie di cronaca nera dovrebbero essere incommentabili per legge.

Ci vorrebbe proprio una deroga speciale all’articolo 21.
Tanto la maggior parte della gente, non capendo e non sapendo una beata mazza non commenta: vomita, e allora no. 
A vomitare si va nei bagni, non in giro per il web dove tutti si sentono profondi conoscitori dell’animo umano, delle dinamiche mentali. A me pare che ci sia, invece, una gran voglia di pontificare di quello che non si sa e basta. Un gran desiderio di esternare a vanvera su argomentazioni serie, delicate e che meritano rispetto, non il giudizio e la relativa sentenza del barista, l’impiegato, l’operaio, la parrucchiera. Alla gente, molta, non tutta, piace guardare dal buco della serratura, che sia sesso o storie violente non importa. Purché possa farsi beatamente i cazzi degli altri e non i suoi.

Nel sito del  Fatto Quotidiano  mi hanno accusato di essere una fiancheggiatrice di assassini solo perché non mi unisco mai all’esercito dei giustizieri da web.

C’è un sacco di gente mentalmente instabile, con tanti problemi suoi, e per non guardare ai suoi va a cercare quelli degli altri, i più gravi, per far sembrare i suoi più piccoli. Si leggono cose che altroché i quattro amici al bar al terzo giro di vodka. Io sono sempre favorevole al patentino per connettersi al web. Sempre. Per certuni, e in Rete sono la maggioranza,  è troppo difficile e complicato capire che non condannare non significa giustificare e che esiste la via di mezzo della discrezione di chi non sa nulla e dovrebbe tacere senza ipotizzare, né tanto meno dire cosa farebbe se fosse al posto di un giudice. In questo paese c’è troppa gente incapace di ragionare laicamente, deve sempre infilarsi dentro una vicenda non per comprenderla ma per giudicarla, magari anche sulla base del suo vissuto: niente di più sbagliato. Sacco e Vanzetti finirono sulla sedia elettrica solo perché erano italiani, non certo per aver commesso quei reati dei quali un tribunale razzista li accusò nel paese dove ancora oggi si fa strame del diritto umano utilizzando quale deterrente alla violenza la pena di morte.  E chi se ne frega poi se sulla sedia elettrica o a morire per l’iniezione letale ogni tanto è anche qualche innocente. Ad ucciderli è stato un principio, ovvero che, perché italiani dovevano essere colpevoli: lo stesso principio che ispira il razzismo di genere che vuole gli uomini sempre carnefici e le donne sempre vittime. E quando il sentire comune diventa opinione diffusa bisogna stare sempre molto attenti. Chi scrive pubblicamente, che sia in un blog personale o una pagina di un social network ma soprattutto chi fa informazione, quella che poi leggeranno tutti deve assumersi la responsabilità di quello che poi altra gente leggerà. Sempre. Idiozie della serie: “so io che gli farei”,  oppure il tanto abusato “vorrei vedere se capitasse a te” sono stronzate populiste che denotano solo l’incapacità di argomentare,  che contribuiscono  a fomentare reazioni  altrettanto populiste e ad aggiungere violenza alle violenze.  Servono? naturalmente no.

Ad esempio, quanti sono a conoscenza della sindrome da “information overload(ing)”?
Sempre meno di quelli che poi scrivono idiozie a proposito di quel che si dovrebbe fare a padri e madri che dimenticano un figlio nel seggiolino di un’automobile. Ora, questo con la tragedia di Motta Visconti non ha molto a che fare, ha a che fare però col facile giudizio di chi pensa che un adulto possa dimenticarsi scientemente un bambino chiuso in un’automobile sotto il sole di luglio. O che lo lasci lì apposta per farlo morire.
Non si parla di gente che poi entra in un bar per giocare al videopoker ma di tragedie capitate nella vita di stimati professionisti; persone che avevano un lavoro di responsabilità e dunque mentalmente sane e affidabili. Ma nemmeno questo fa tenere poi lingua e tastiera a freno, quando capitano incidenti di questo tipo.
Io non  chiedo tanto, giusto un po’ di quella curiosità che poi porta ad approfondire cose che non si conoscono, che farebbe imparare quel tanto che basta poi ad esprimere un parere, non il giudizio tranchant di quelli che sanno sempre cosa fare quando  come e a chi. E soprattutto accettare anche la brutalità della vita, semplicemente, imparare l’empatia, mettersi davvero nei panni degli altri.  Soprattutto perché quegli altri potremmo essere tutti.

C’è chi crede che non si possa odiare qualcuno senza pensare che quel qualcuno si meriti anche il male e perfino la morte.
Mentre non è affatto così. E’ necessario, se si vuole aggredire l’aggressività violenta, che l’odio diventi un sentimento socialmente accettato senza che venga associato necessariamente al gesto violento. 
Detestare qualcuno che ha causato il male si può senza augurargli di morire.  Né, ci mancherebbe altro, causarne la morte violenta.
I sentimenti non hanno tutti una matrice positiva, romantica; esiste il sentimento negativo che è la risposta umana ad un trattamento ricevuto, dunque anche l’odio ha un suo diritto ad esistere, a nascere e morire come tutto ciò che si prova nei riguardi dell’altr*.
Anche gli amori nascono e finiscono, ma non è detto che la fine di un amore debba essere decretata da qualche coltellata.
Non si augura né si provoca la morte a chi ha fatto del male, anzi si dovrebbe augurare tanta vita, quella che basta per ripensare al male fatto e poi pentirsene.
E soprattutto basta parlare della famiglia come di una struttura perfetta, scevra da rischi, quando tutto nella storia ci ha raccontato il contrario.
La famiglia di oggi è composta in maggioranza da genitori stanchi, schiavi di lavori che svolgono controvoglia con l’unico obiettivo di portare i soldi – pochi – a casa, figlie e figli abbandonati a loro stessi, in balia di amici che molto spesso i genitori nemmeno conoscono e di internet.
Bisognerebbe smetterla di diffondere la propaganda tanto cara alla chiesa che mette al centro dell’universo umano la famiglia come se fosse una garanzia di vita bella e serena.
Restituire dignità alla verità, che comprende amore ma anche odio, smetterla di diffondere l’illusione della fedeltà, del per sempre associato a due persone che sono e restano fondamentalmente due estranei, due persone che possono smettere di amarsi in qualsiasi momento e per ragioni che non sono sindacabili né giudicabili da nessuno significherebbe restituirla anche alla vita: quella vera, non quella raccontata e manipolata dai negazionisti della realtà.