Meglio tardi che mai: sicuro?

Diaz, Cassazione: «discredito sull’Italia agli occhi del mondo intero»

Mauro Biani

Riepilogo, per non dimenticare:  a capo del governo c’era berlusconi, al ministero dell’interno scajola [forse già a sua insaputa], c’erano la russa, fini, il regista, e gasparri che invocavano punizioni esemplari. I mandanti sono sempre gli stessi, cambiano nome ma non ruolo; da Portella della Ginestra alle stragi  neofasciste passando per le brigate rosse, al tentativo di golpe, servizi deviati al soldo del neofascismo e della mafia, la solita gente impunita fino ai giorni nostri.

La notte della Repubblica bis, targata berlusconi, durante la quale lo stato ha usato violenza a gente incolpevole, che dormiva, non ha difeso lo stato da pericolosi terroristi.

Essere un funzionario di polizia in Italia è un privilegio, perché si può tranquillamente tradire lo stato [di diritto?] che si rappresenta massacrando, ammazzando gente a calci e manganellate ed essere giudicati poi secondo la legge di uno stato di diritto.
Non finiremo mai di ringraziare mastella e l’indulto da lui voluto per fare un favore a berlusconi mentre era ministro col governo Prodi, che non si oppose,  decretando di fatto la morte del suo governo, e anche chi in tutti questi anni si è opposto affinché non si istituisse il reato di tortura, visto che la prescrizione ai macellai di stato è scattata proprio sul reato di lesioni e in assenza di quell’indulto molte sentenze avrebbero avuto tutt’altri esiti.

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Nel paese dove la giustizia uguale per tutt* è diventata ormai un’utopia quanto l’uguaglianza che mette quei tutt* allo stesso livello anche per quanto attiene alla giustizia, entrambe ordinate dalla Costituzione e dunque non opzionali ma obbligatorie, il ministro della giustizia  pensa a dei provvedimenti di facciata per salvare la sua faccia e la sua credibilità che lei stessa ha messo in discussione quando, da ministro, si attivò per accelerare i tempi della concessione degli arresti domiciliari all’amica di famiglia Ligresti.  Compito dello stato è – sempre per Costituzione – garantire  i diritti, fra i quali esiste anche quello della restituzione della giustizia a chi ne è stato privato, in special modo con la violenza. In Italia questo non succede  mai quando a commettere violenza e delitti sono i funzionari dello stato, ai quali viene riservato un trattamento diverso concedendo loro una corsia preferenziale anziché agire nei loro riguardi con maggior severità proprio perché rappresentano lo stato. 

G8 Genova, 3 poliziotti ai domiciliari 13 anni dopo. Agnoletto: “Ora le scuse”

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E furono tutti prescritti e contenti

15 giugno 2013

“Dice Amnesty International, che definì le violenze al G8 “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale”: “la Cassazione ha ribadito in modo definitivo che a Bolzaneto furono commesse gravi violazioni dei diritti umani, che la sentenza di ieri conferma le responsabilità della maggior parte degli imputati, ma la prescrizione comporta la sostanziale impunità per molti di loro”. E dice anche che da parte dello stato non c’è stata nessuna assunzione di responsabilità nel merito delle violenze.

La mancanza di una legge contro la tortura è una questione politica che la politica non ha nessuna intenzione di risolvere.

Molte sentenze a carico di funzionari dello stato hanno ammesso che quei funzionari in varie occasioni non hanno affatto tutelato l’ordine pubblico ma, al contrario, hanno contribuito in modo violento al disordine però non si possono punire perché [casualmente? eppure è l’Europa che ce lo chiede] manca il reato.

Le sentenze non si discutono? ma per favore”.

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Siamo ridotti talmente male che per festeggiare il compimento della giustizia basta che un processo si concluda con una sentenza. 
Quale che sia. 
Andò così per Federico Aldrovandi nonostante la non condanna dei quattro poliziotti che lo pestarono fino a spaccargli il cuore e a cui lo stato ha avuto la premura di mantenergli il posto di lavoro. 
E’ andata così per silvio berlusconi anche se non risulta nessuna applicazione della sentenza che lo ha condannato e nemmeno se ne parla per adesso, tanto abbiamo tempo: tutta la vita davanti, che problema c’è? 
E anche ora, dopo la non condanna di tre dei responsabili dei massacri di Genova al G8 c’è chi pensa che “giustizia” sia stata fatta. 
Dopo 13 anni, le promozioni in carriera dei vertici della polizia di stato fra cui i “condannati” di ieri, gli insulti a Carlo Giuliani, i non risarcimenti alle vittime della “più grave sospensione della democrazia dopo la seconda guerra mondiale” ordinata e voluta dalla politica ed eseguita dal braccio violento e infame del potere.

 

“Non voltiamo pagina. Per voltarla serve chiarezza su cosa è successo intorno a piazza Alimonda. E poi, ricordiamocelo tutti e con buona pace del giudice Caselli, se i nemici dell’economia imperante al G8 erano tutti quei ragazzi che gridavano ‘un altro mondo è possibile’, oggi i nemici dell’economia imperante sono i ragazzi della Val di Susa. Li caricano come allora e loro, come allora, chiedono giustizia. Attenzione a non girarci dall’altra parte, ancora una volta”. [Don Andrea Gallo, prete del Marciapiede]

Cronache di un paese alla deriva

Sottotitolo:

Carlo Giuliani, 14 marzo 1978 – 20 luglio 2001

“Non voltiamo pagina. Per voltarla serve chiarezza su cosa è successo intorno a piazza Alimonda. E poi, ricordiamocelo tutti e con buona pace del giudice Caselli, se i nemici dell’economia imperante al G8 erano tutti quei ragazzi che gridavano ‘un altro mondo è possibile’, oggi i nemici dell’economia imperante sono i ragazzi della Val di Susa. Li caricano come allora e loro, come allora, chiedono giustizia.
Attenzione a non girarci dall’altra parte, ancora una volta”.
[Don Andrea Gallo, prete del Marciapiede]

I giorni di Giuda. L’ultimo intervento
di Paolo Borsellino (VIDEO)


Franco Cordero: la “prerogativa” invocata dal Colle non esiste

In una durissima intervista al “Corriere della Sera” il più autorevole studioso di procedura penale ridicolizza come ignoranti e prevenuti quanti si sono schierati con Napolitano contro la procura di Palermo: “le norme dicono l’opposto a lettori informati ed equanimi”.


 

 

Preambolo: Il vicesegretario del piddì Letta [il nipote dello zio], “apre” anche a Gianfranco Fini, dopo la memorabile dichiarazione d’amore [torna, ‘sta casa aspetta a te] rivolta a berlusconi sabato scorso ieri la mente fervida del vice di Bersani ha partorito questa nuova e brillantissima idea.
Lo dicevo proprio ieri, io non mi stupisco più di nulla che abbia a che fare coi figli e i nipoti dello statista-skipper del Tavoliere, quello coi baffi, anzi sono molto gratificata dal fatto che Barbara Spinelli nel maestoso articolo di ieri l’altro [ Il ritorno del Padrino ] abbia scritto anche molte delle cose che io penso, dico e scrivo da almeno dieci anni. Solo che se a dirle siamo noi gente comune,  ci chiamano qualunquisti, dietrologi e populisti, se lo fa una giornalista autorevole forse qualcuno ci crede.

E si ricrede.

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Preambolo 2: la Bindi insiste ancora sull’incostituzionalità del matrimonio gay. Anche permettere a berlusconi di entrare in politica era ed è vietato dalla Costituzione (e, a differenza del matrimonio gay quello è vietato davvero), però pare che in quel caso la Costituzione si sia potuta come dire? interpretare, anzi proprio ignorare. La Costituzione non è il paravento dove nascondere le proprie mancanze, insufficienze, o lo strumento col quale far diventare legge un’opinione personale, o la si rispetta sempre o mai. Qualcuno lo dica alla pasionaria de’ noantri.

Una discriminazione è, o non è.
Per eliminare la discriminazione non ci possono essere compromessi.

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Se anche il TG3 si adegua all’andazzo dei difensori tout court della menzogna e dei suoi portatori insani,  delle omissioni non siamo rovinati ma molto peggio. Raitre ultimamente è caduta ad un livello di bassezza che era difficile anche da immaginare; lo scrissi quando per mandare in onda il concerto per il papa alla Scala durante la sua visita a Milano stravolsero i palinsesti dell’intera prima serata. Quella è roba da Mazza e Minzolini, non dell’unica rete parzialmente ‘libera’ della Rai.
Non basta sopportare un parlamento che non rappresenta in alcun modo i cittadini, bisogna anche subire l’onta di non poter venire a conoscenza di quel che succede ai piani alti del potere, sottostare alla perversione mentale, alla schizofrenia di chi pensa che un luogo istituzionale sia una sorta di camera oscura, una zona franca dove poter far entrare e uscire quello che si vuole all’insaputa di chi quella istituzione rappresenta, dove si possono aiutare ministri bugiardi, consolarli al telefono, rassicurarli, forse, sul fatto che anche stavolta, come decine di altre volte nessuno potrà mai mettere le mani sulla verità. Dove si possono coprire con inspiegabili e odiosi segreti di stato fatti gravi che hanno danneggiato lo stato stesso grazie a personaggi che hanno trasformato l’Italia in un paese a dignità, democrazia e civiltà limitate, spesso del tutto assenti, in un paese dove le guardie vengono trasformate in ladri e viceversa a seconda della convenienza del momento.
La ricerca della verità in Italia diventa eversione, un atto terroristico; per negarla invece ci si nasconde dietro improbabili e inesistenti conflitti mentre l’unico vero conflitto permanente, l’unica guerra che non finisce mai in questo paese è quella fra lo stato e i cittadini, una guerra impari perché lo stato è armato e al momento opportuno può agire senza il consenso di nessuno, noi cittadini no, ci è stato negato ogni strumento per dire che tutto questo – e molto altro – non ci piace, non va bene e non vogliamo sopportarlo più.
Un segreto può essere utile a salvaguardare qualcosa di importante, la verità non è sempre uno strumento finalizzato ad un obiettivo positivo; si può usare al contrario proprio come arma di offesa, quando venire a conoscenza di qualcosa non solo non sposta di una virgola la risoluzione di un problema ma aggiunge umiliazioni, mortificazioni che si potevano e si dovevano evitare.
Io non mi sono mai fidata degli stakanovisti della verità a tutti i costi,  quelli che “è meglio una brutta verità di una bella bugia”, perché qualche volta quella bugia può servire, aiutare qualcuno a vivere meglio mentre una verità produrrebbe solo l’effetto contrario. In questo caso però no, la verità è necessaria a restituire prima di tutto giustizia ma anche  respiro, speranze, aiuterebbe a  credere che qualcosa si può ancora aggiustare, migliorare, e chi la nega non dicendo peraltro neanche bugie “belle” ma solo balle, evidentemente non vuole restituire niente a nessuno; vuole tenere tutto per sé.

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 Scusaci, Emilio
Marco Travaglio, 20 luglio

 Montanelli l’aveva detto 18 anni fa: “Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a Emilio Fede”. Il momento è arrivato. Il Tg3 parla di “protagonismo di alcuni magistrati” e “mancato coordinamento fra Procure”, nella migliore tradizione del Tg4 di Fede e del Tg1 di Minzolingua. La Stampa arriva a scrivere: “Essendoci un ricorso alla Consulta, non vi sarà l’udienza in cui si sarebbe dovuto decidere se distruggere le intercettazioni occasionali di Napolitano. E dunque non si correrà il rischio che, essendo presenti anche gli avvocati difensori, le intercettazioni di Napolitano possano diventare di pubblico dominio”. In qualunque paese del mondo, ove mai un presidente si attivasse per favorire un amico in un’indagine, la stampa si scatenerebbe per procurarsi le intercettazioni e informarne i cittadini: qui persino i giornalisti considerano il diritto-dovere di cronaca un “rischio” ed esultano perché le telefonate dello scandalo non si conosceranno mai. Intanto il Corriere avverte che Napolitano non può querelare per diffamazione Di Pietro e il Fatto, però “altri potrebbero avviare un’azione penale a tutela sua e dell’istituzione che incarna”. Non più per diffamazione, perseguibile solo a querela di parte, bensì per un reato procedibile d’ufficio: tipo il vilipendio. Ma sono maturi i tempi per il ripristino del delitto di lesa maestà. Intanto viene abolita la logica. Michele Ainis, sul Corriere, ripete che il conflitto di attribuzioni contro la Procura (caso unico nella storia d’Italia) è solo un’iniziativa tecnica per “colmare i buchi neri del diritto, gli equivoci sulle competenze”, i “vuoti normativi”. Cioè: Napolitano accusa i pm di Palermo di attentato al Capo dello Stato — eversione pura — e questa sarebbe solo una controversia giuridica? Ma scherziamo? Ma si abbia almeno il coraggio di essere conseguenti: se è vero che la Procura ha violato le prerogative del Presidente della Repubblica, non basta certo un conflitto di attribuzioni. Bisogna processare i pm per eversione contro lo Stato. Se, per dire, l’Unità è convinta che abbia ragione Napolitano ad accusare Ingroia & C. di eversione, con che faccia pubblica in prima pagina gli articoli di Ingroia l’eversore? Siccome Ainis si diverte a elencare i “paradossi” dell’interpretazione dei pm di Palermo, eccone un paio della sua, di interpretazione. 1) Se Napolitano vuole che la Consulta colmi i buchi e i vuoti normativi sulle intercettazioni indirette del Presidente, se ne deduce che oggi nessuna legge impone ai pm di distruggerle. Ma, se la norma non esiste, anzi è un buco e un vuoto, non c’è stata alcuna violazione. Anzi, ci sarebbe stata se i pm avessero fatto ciò che chiedono Napolitano, Ainis & C. Ergo, il conflitto di attribuzioni si basa su un buco e su un vuoto. 2) Come ha rivelato Repubblica, nell’aprile 2009 la Procura di Firenze intercettò Napolitano sul telefono di Bertolaso dopo il sisma de L’Aquila. Diversamente dai pm di Palermo, quelli di Firenze e poi di Perugia (dove il processo passò per competenza) han depositato le intercettazioni indirette del Presidente agli atti del dibattimento, a disposizione di tutti gli avvocati, svincolandole dal segreto. Perché Napolitano, informato da tre anni, non ha sollevato conflitto di attribuzioni contro i magistrati di Firenze e Perugia? E perché non lo fa ora che la notizia è di dominio pubblico? Se, come dice, difende il principio — le prerogative della Presidenza e non gli interessi del presidente — dovrebbe fare con Firenze e Perugia quel che ha fatto con Palermo. Se non lo fa, autorizza a pensare che non difende affatto il principio e le prerogative, ma se stesso dalla pubblicazione del contenuto delle sue telefonate con Mancino. Forse perché sono compromettenti, mentre quelle con Bertolaso non lo erano? In questo caso, nel decreto dell’altro giorno, avrebbe detto una bugia. E le bugie non si dicono, specie dagli alti colli. Anche perché hanno le gambe corte.

 

Lo schiaffo del soldato

Sottotitolo da “Repubblica”; “I quattro poliziotti sono ancora in servizio, ma nei loro confronti è aperto un procedimento disciplinare, le frasi ingiuriose sono entrate nel dossier”.

Siamo troppo giustizialisti: aspettarsi che almeno in caso di condanna definitiva per omicidio, si venga automaticamente radiati dalle Forze dell’Ordine, sarebbe davvero eccessivo.

[Michele Cosentini]

Un provvedimento disciplinare, come se avessero rubato le matite dalla scrivania del posto di lavoro. Come se avessero timbrato il cartellino al collega assenteista. A me ‘sta storia manda letteralmente fuori di testa. Ma che cazzo di paese è questo?  bisognerebbe scappare senza fare nemmeno le valigie. Poi si torna a fare i turisti, casomai.

Lo sfogo della madre di Aldrovandi: “Vogliono uccidere mio figlio mille volte”

Per Patrizia Moretti dopo la rabbia è il tempo della denuncia: “I poliziotti negano l’evidenza di una sentenza della Cassazione. Ho paura. Spero che il ministro degli Interni prenda seri provvedimenti”.

Insulti su Facebook alla famiglia Aldrovandi. La Vezzali si dissocia?

Lasciando stare i precedenti mediatici non proprio edificanti della Vezzali (vedi alla voce “sketch con Berlusconi e dintorni”); e sempre premettendo la buona fede o l’eventualità di un fake; ciò detto e ribadito, è troppo auspicare che Valentina Vezzali prenda posizione e, qualora fosse effettivamente iscritta a Prima Difesa, si dissoci risolutamente da un simile consesso?
E’ vero che in Italia siamo abituati a sportivi chiacchierati, ma una portabandiera iscritta a un gruppo simile sarebbe francamente inaccettabile.

P.S. Al momento, al gruppo “Prima Difesa Due” risulta iscritto, da 11 mesi, anche il profilo facebook di Renata Polverini.

Il ministro Cancellieri pensa che una sentenza si può ignorare per tutto il tempo che si vuole, basta non leggerla.
Meno male che è stata messa in  un ministero che non ha niente a che fare con la giustizia.

Insultare morti non è un esercizio di libera espressione. Non lo è nemmeno insultare i vivi, ma almeno i non morti hanno la possibilità di difendersi dalle diffamazioni.

Tutti i morti di stato vengono ammazzati ancora e ancora, dopo la loro morte fisica. E’ già successo, con Falcone e Borsellino, con Carlo Giuliani, non basta l’annientamento totale, bisogna eliminare anche la benché minima traccia,  soprattutto morale,  di quel che un tempo era stata una persona.

Credo che  nella storia di questo paese non ci sia stato nessuno più insultato di Carlo Giuliani, da morto. E adesso tocca a Federico, qualcuno doveva raccogliere il testimone, evidentemente.

Chiunque – da parte debole –  abbia avuto a che fare con le forze dell’ordine sa che abbastanza di frequente  capita che  persone che forse hanno qualche problemino con la giustizia, il ladruncolo, il piccolo spacciatore, oppure chi si tiene due grammi di hashish in tasca per farci i fatti suoi  vengano trattate in modo non corretto né troppo civile

Per queste vale tutto, a cominciare dallo sputtanamento pubblico sui giornali, specialmente poi se il ‘malfattore’ è di un’altra nazionalità, e le botte, il pestaggio “pedagogico, educativo” molto spesso sono il messaggio di benvenuto dello stato nelle caserme da Bolzano a Palermo.

E allo schiaffo del soldato in quel caso non ci si può proprio sottrarre.

Diversa è la situazione quando davanti ad un carabiniere o  ad un poliziotto si ritrova (raramente, peraltro) il pre-potente, il politico ladro, colluso con la mafia, corrotto o corruttore, per questi nessun abuso, anzi spesso si esagera con le buone maniere, a cominciare dalla discrezione, ché i panni più sono sporchi e più si devono lavare in famiglia.
Tutto questo anche grazie a quella mentalità ottusa di gente che naturalmente pur di evitare anche il minimo ragionamento si schiera a prescindere dalla parte della legge o, meglio ancora della giustizia ( me viè da ride)  perché  “a chi non fa niente non succede niente” oppure difende le sue ridicole certezze pronunciando  la fatidica frase: “se fosse rimasto a casa sua ora sarebbe ancora vivo”.

Fuori dalla polizia questi quattro criminali, e se si arrivasse ai mandanti sarebbe ancora meglio. Perché i mandanti ci sono, e sono fra quelli che non fanno leggi per porre dei limiti alle violenze di stato, per impedire alle forze dell’ordine di trasformarsi nel braccio armato del potere. E che poi non ne fanno altre per punire seriamente gli assassini di stato.

Perché sto con la mamma di Aldrovandi – 

di Ilaria Cucchi (sorella di Stefano, altro morto ammazzato da “ignoti” mentre si trovava sotto la tutela di funzionari dello stato)

Noi eravamo presenti al momento della pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione. Lucia Uva, Domenica Ferrulli ed io. Perché noi in questi anni siamo diventati una famiglia.
Noi sappiamo cosa significa lottare momento dopo momento per una giustizia che si da per scontata ma che molto spesso non lo è.

Noi sappiamo quanto è importante per noi, e per quelli come noi, che finalmente e definitivamente coloro che hanno tolto la vita a un ragazzino che non aveva fatto niente di male siano stati giudicati colpevoli. Questa è la giustizia in cui vogliamo credere. Questo ciò che da a noi la speranza di andare avanti.

Questo ciò che è riuscita a fare, da sola, Patrizia Moretti. Per la sua famiglia, per Federico che ora le sorride da lassù ma che mai nessuna sentenza potrà restituirle. Ma anche per l’intera collettività. E per noi, che senza il suo coraggio non avremmo mai trovato la forza necessaria per intraprendere battaglie di simili dimensioni.

Patrizia lo ha fatto sapendo bene che quanto aveva di più prezioso non le sarebbe stato restituito da una sentenza di condanna. Nella quale ella stessa, pur sapendo benissimo come erano andate le cose, avendo imparato a sue spese a conoscere questa giustizia in tanti momenti non ha sperato.

E lo ha fatto anche nell’illusione di poter cambiare una cultura. Quella terribile per la quale chi indossa una divisa ha ragione a prescindere. Ma contro il pregiudizio e l’ottusità a volte non basta nemmeno questo. Se oggi, di fronte all’evidenza delle atrocità che hanno fatto coloro che hanno ucciso Federico Aldrovandi, c’è ancora chi ha il coraggio di difenderli. E non solo. Purtroppo.

Patrizia ha visto calpestata la vita di suo figlio, appena diciottenne e con tutta la vita davanti, ed oggi dopo tanto dolore aggiunto al dolore, quello di una lotta impari affrontata con lo strazio della consapevolezza che ormai la sua vita era finita nello stesso istante in cui era finita quella di Federico, vede calpestata anche la sua memoria.

Ma che senso ha tutto questo?
E la nostra realtà politica non ci aiuta.
Troppo presi evidentemente a fare leggi su misura per loro. Ignorando quali sono i problemi veri della gente comune.
Gente che per merito della nostra giustizia riesce a fatica a far emergere realtà scomode, grazie solo ed esclusivamente alle pubbliche denunce. Quelle rivolte alla gente normale.

Quelle che fanno indignare il vicino di casa e l’impiegato dell’ufficio postale, che solo in quel momento assumono consapevolezza dei soprusi che avvengono ogni giorno nell’indifferenza generale.
Perché fa comodo a tutti non parlarne.
Così. Come se niente fosse successo.
Perché parlarne vuol dire mettere in discussione l’intero sistema.
Molto meglio chiedere a noi di farcene una ragione.
Sfatiamo questo mito. La giustizia non è uguale per tutti.
Cambiano le persone che comandano questo Paese, ma non cambia la mentalità. Se il ministro degli interni, piuttosto che tacere, ritiene opportuno esprimersi in maniera vaga anziché compiacersi per la vittoria della giustizia, quella vera, una volta tanto.

Cosa dovremmo pensare noi?
Che siamo soli. E ancora una volta qualcuno ce lo ha dimostrato.
Ma niente e nessuno riuscirà a farci desistere dal nostro bisogno di giustizia. I nostri cari non sono morti per un puro caso, ma per colpa di chi avrebbe dovuto tutelarne i diritti.

E nessuno può chiederci di far finta di niente.
Lo sappiamo bene quanto è e sarà dura.
E sappiamo anche bene che possiamo confidare solo su noi stessi, sul nostro avvocato e angelo.

E sul coraggio di Patrizia.
Che ha cresciuto un ragazzo fantastico, che sarebbe stato accanto a lei per tutti i giorni della sua vita, se quattro assassini non avessero deciso di portarlo lontano da lei.

fonte globalist 26 giugno 2012