Servizietto pubblico

Cambiamo la tv, alziamoci e andiamocene tutti

[Ferruccio Sansa, Il Fatto Quotidiano]

“Vattene, levati fuori dai coglioni”

E ancora: ““E’ un gran cafone, l’unica cosa che sa fare è scappare. Tipico di quelli de “Il Fatto”: manganellano e poi scappano, è il loro sistema“ [Fabrizio Rondolino, l’uomo per tutte le stagioni, quello che tra d’alema e la santanché non riesce ad intravvedere nessuna differenza malgrado uno abbia i baffi e l’altra no ].


Giusto per dire, la classe, no? e questi sarebbero i press agent dei politici, quelli che li consigliano su cosa dire e come comportarsi. Rondolino, Velardi, gente sempre pronta a volare di palo in frasca, da d’alema alla santanché sempre per dire e che con la coerenza non si pulisce nemmeno il culo tanto le interessa essere credibile.

+ [VIDEO] Rondolino insulta Sansa e il Fatto: “Vattene, levati fuori dai coglioni”

Fa benissimo Grillo a incazzarsi per i talk show se gli attivisti del movimento poi devono incontrare nei vari studi televisivi gente abituata a rapportarsi con l’insulto sistematico dell’interlocutore.

Ad esempio in un programma come Agorà, condotto dall’ottimo Vianello, dove puntualmente e sistematicamente, alle otto di mattina poi, ed è un delirio che un programma che tratta di politica debba mandare di traverso alla gente già il primo caffè, c’è un conduttore  che non è capace di condurre, di arginare e sedare le risse, nello stesso studio poche settimane  fa Marco Lillo, un altro cronista del Fatto  è stato insultato con l’appellativo di stronzo dalla portatrice insana di plastica e silicone che insieme a Renzi è in televisione, in tutte le trasmissioni praticamente h24.

I contribuenti  non pagano il canone per sentire Rondolino che dice a Sansa di andare fuori dai suoi coglioni né la santanché che dà dello stronzo a Marco Lillo.

Nemmeno però per guardare interviste preconfezionate com’è accaduto ieri sera a Ballarò dove da un po’ di tempo si è inaugurato il filone del registrato in precedenza.

Un talk show dove partecipano, oltre i politici anche dei giornalisti deve poter permettere a chi vuole fra i presenti in studio di poter fare una domanda all’intervistato, specialmente se il conduttore non le fa, non le sa fare, non le vuole fare, non le può fare, non costringere gli ospiti e noi pubblico pagante a guardare un condensato di servilismo qual è stata l’intervista di Floris al capo della polizia ieri sera.

Dunque, il dottor Manganelli, già capo della polizia [con quel cognome, può fare ciò che vuole] ci ha detto – anzi lo ha detto solo a Floris che ha inaugurato il nuovo trend dell’intervista [registrata con un certo anticipo] téte à téte, a tu per tu, della serie, il conduttore sono io e le domande [essì, ve piacerebbe…domande…] le faccio io e guai a chi s’azzarda a contraddire l’intervistato – che all’identificativo per le forze dell’ordine ci si può pensare ma solo a patto che anche i manifestanti si rendano riconoscibili e la smettano di andare in giro coi caschi da motociclista [ché a picchiare sui caschi non c’è gusto, non esce il sangue].

Il dottor Manganelli, 700.000 euro l’anno,  forse ignora che polizia e forze dell’ordine hanno già autorità sufficiente per identificare chiunque, forse ignora che il rapporto cittadino – poliziotto parte già da un assunto che non li mette sullo stesso piano. 
Che nessun travestimento può giustificare la teoria del “prima te meno e poi ti chiedo chi sei” e che fino a prova e a regime contrari se una persona sta camminando per i fatti suoi su una strada e su una piazza dovrebbe poterlo fare in libertà, che pretendere di poter identificare chi partecipa alle manifestazioni è come avanzare la stessa pretesa  con chi sta andando al supermercato, al cinema e al teatro.
Che in un paese normale, libero e ripulito dalla gestione FASCISTA che lo opprime un poliziotto che massacra un cittadino dovrebbe pagare il quadruplo, rispetto al cittadino che commette un reato qualsiasi, non cavarsela grazie alla divisa e a un capo della polizia che pensa che siano meno pericolosi i malumori di destra che quelli di sinistra e che quindi individua il pericolo fra gli studenti e non, ad esempio, nelle anime candide di casa pound che infatti possono manifestare in santa pace quando vogliono e dove vogliono col beneplacito e il sostegno affettuoso del sindaco di Roma e dei vertici della polizia.
In un paese libero, normale e sano, un capo della polizia non guadagna più del presidente americano.
E in un paese libero, normale e sano un giornalista che ha di fronte un capo della polizia che guadagna 700.000 euro l’anno, il doppio del presidente americano e del capo dell’FBI,  una domandina a proposito del suo stipendio rapportato alla gestione pessima del corpo di polizia che si onora di comandare, gliel’avrebbe fatta.

Nel Paese dei Balocchi

Queste notizie che arrivano a valanga sui guadagni delle nostre emerite eccellenze italiane che operano nei diversi ambiti della società cosiddetta civile a me hanno messo una tristezza infinita: sapere che un capo della polizia guadagna quanto un banchiere, che la sorella di Alemanno porta a casa lo stesso stipendio di Barak Obama, circa 400.000 euro l’anno (e sarebbe carino che qualcuno ci spiegasse perché, cosa fa di bello, di utile per la società la sorella di Alemanno) e che la ministra Severino che due giorni fa si vantava di avere quello che ha perché è stata brava, PIU’ brava degli altri e delle altre abita in una villa sfarzosa intestata ad una società fittizia comportandosi quindi né più né meno nello stesso modo che dovrebbe invece contrastare a me ha fatto venire conati di vomito e per nulla sobrii.

Io sono assolutamente convinta che non ci sia lavoro che possa giustificare certe cifre, un capo della polizia che guadagna quasi un miliardo e mezzo delle vecchie lire all’anno dovrebbe stare al comando della polizia di stato più efficiente, funzionale  e prestigiosa  al mondo, non di poveri funzionari dello stato costretti a lavorare in condizioni impossibili che non hanno nemmeno i soldi per mettere la benzina in  auto di servizio ridotte ai minimi termini e ai quali manca, nei fatti,  la possibilità di svolgere un servizio davvero utile.

Vorrei capire in base a quali tabelle stipendiali il commissario Manganelli può guadagnare queste cifre: è un funzionario che ha fatto carriera, bene, benissimo.

Una volta era un tenente, o un agente: cosa è successo nel frattempo  perché si passasse dalla carriera nello stato al feudalesimo?
E noi una patrimoniale, cioè una legge che stabilisca che chi ha di più perché è stato magari più bravo, più fortunato o semplicemente più disonesto di altri dovrebbe contribuire di più al risanamento del bilancio di uno stato specie quando quello stato  rischia  il fallimento la volevamo da questa gente qui,  incapace di rinunciare ad uno solo dei privilegi ottenuti per il solo fatto di essere italiana?

Ieri mattina a “Tuttalacittàneparla”, su Radio3, si parlava delle cospicue entrate dei nostri ottimi  e sobrii ministri.
Grande attenzione per le dichiarazioni  di Sgarbi mescolate come al solito da abbondanti dosi di ptialina, che sosteneva che la ricchezza è segno di merito e fatica, e poi, siccome ci si pagano le tasse arricchisce il mondo. Bella questa teoria secondo la quale il merito viene utilizzato come strumento per giustificare le  ricchezze mentre non si fa altrettanto quando c’è da distribuire lavoro ai numerosi talenti sconosciuti. Quelli costretti a scappare da questo paese o a restare precari a vita e dei quali  non avremo mai la possibilità di apprezzarne le capacità se nei posti che contano restano – a vita –  le solite cariatidi ingorde.

 Sgarbi, bisogna capirlo poverino,  dice la stessa cosa che sostenevano Ronald (Reagan) e Maggie (Tatcher, la Iron Lady),  dalla cui geniale teoria economica viene la crisi in cui tutta Europa man mano  è caduta.
Interessantissima l’osservazione, fatta da uno degli ospiti, che trent’anni fa il parlamentare più ricco era Carli, con l’equivalente di 700.000 euro.

Ora starebbe dopo il quarantesimo posto.

Si è naturalmente parlato anche di qual era lo stipendio di  Vittorio Valletta che fu manager della Fiat degli anni d’oro,  paragonato a quello dei suoi operai, e dello stesso rapporto per Marchionne che non voglio citare per decenza.

Poche parole però sul fatto che i guadagni maggiori  di queste nostre costosissime eccellenze – che spesso possono svolgere più di una  professione contemporaneamente senza essere accusati di frodare lo stato come accade ad un semplice cittadino che voglia semplicemente arrotondare il suo stipendio ma non ha la possibilità di regolarizzare anche un eventuale secondo lavoro – non sono il frutto di attività produttive, ma provengono unicamente da consulenze, perizie, avvocature, e tutto ciò che fanno è  legato perlopiù al fantastico mondo della finanza alta.
Gente dunque che non lavora per il bene della collettività ma solo ed esclusivamente per se stessa medesima e per i suoi eguali.

Ci sono o non ci sono forti incongruenze e diseguaglianze, quelle che poi iniettano veleno nelle vene di chi si deve inventare una vita tutti i giorni e che vengono considerate, classificate,  semplice qualunquismo populista da chi deve difendere a tutti i costi anche la merda e per questo dice e pretende di convincere poi anche gli altri che profuma di Chanel numero 5?

Nei paesi civili, nelle vere democrazie si può fare una cosa e basta, a pagamento, chi ne vuole fare di più deve accontentarsi di UNO stipendio e del prestigio ottenuto dalle altre attività: gente per esempio  come Montezemolo, Abete, altrove non potrebbe fare quello che fa.

La finanza distrugge l’economia, per l’arricchimento spropositato di pochi e l’impoverimento generale, e genera crisi a ripetizione da almeno un decennio: adesso l’unico modo di uscirne, secondo autorevoli esperti, è lasciare che i ricchi si arricchiscano sempre di più superando la protezione sociale che è stata conquistata in secoli di battaglie. Così, senza colpo ferire. Ma ad ogni azione corrisponde una reazione di eguale forza: al precariato e alla corruzione è corrisposta la perdita di autorevolezza dei partiti, che secondo sondaggi che giravano qualche giorno fa si aggira sul 4%. E’ il fallimento della rappresentanza, quella basata sulla fiducia, e significa che chiunque oggi prevede di dover tutelare i propri diritti da solo, senza mediazione. Molto, molto pericoloso. Chi creda fermamente nella politica, nella trattativa, nel compromesso e nel tessere reti di interessi condivisi probabilmente dovrebbe allarmarsi almeno un pochino. Io sono MOLTO preoccupata.



Diceva Sebastian Matta: “i ricchi costano. Un paese che voglia averne, deve essere disposto a fare molti sacrifici”.