Semel in anno licet insanire [una volta l’anno è lecito impazzire]

Le belle parole senza le azioni a seguirle, significano solo ipocrisia.

Non c’è pace senza giustizia,  e in un paese dove lo stato tratta, patteggia, riduce le pene ai criminali, li fa sedere perfino al tavolo della politica, non li condanna ma se li tiene da conto, non potrà mai esserci né pace né giustizia. E nemmeno libertà.

***

Capaci di memoria | 23 maggio 1992 – 23 maggio 2014

“Giovanni Falcone è “attuale” al cospetto di un capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che mise nel tritacarne mediatico e istituzionale, senza tradire il benché minimo rossore, un pugno di magistrati palermitani che avevano deciso – prima coordinati da Antonio Ingroia, poi da Nino Di Matteo – di raccogliere il meglio dell’eredità falconiana indagando sulla “trattativa” Stato-Mafia. Giovanni Falcone resta “attuale” in un Paese in cui, un capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha preteso e ottenuto che le sue telefonate con l’indagato Mancino Nicola fossero mandate al macero”.

***

Chi piagnucola davanti ai ragazzi della nave della legalità è lo stesso presidente che si dimenticò di dare un sostegno anche e solo di parole a Nino Di Matteo, giudice antimafia minacciato di morte dalla mafia? 
Lo stesso che nel ventennale della strage di Capaci disse che “lo stato vent’anni fa non si lasciò intimidire” mentre nel governo c’era l’amico dei mandanti delle stragi di mafia? Lo stesso che si rifiuta di collaborare al processo sulla trattativa tutt’altro che presunta fra la mafia e lo stato? E alfano, incredibilmente e ancora ministro dell’interno che parla di legalità è lo stesso che ha sostenuto, e lo fa ancora, non fatevi ingannare dalle apparenze, l’amico dei mafiosi, di dell’utri, dell’eroe mangano? E Renzi, attuale presidente del consiglio, quello che dice ad altri “giù le mani da Berlinguer”, come se lui invece ce le potesse mettere, è lo stesso che ha fatto accordi in profonda sintonia con l’amico della mafia? È questo lo stato forte che non si lascia intimidire e combatte la mafia, l’illegalità? 

***

“Giovanni, amore mio sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me, come io spero di rimanere viva nel tuo cuore. Francesca” [Biglietto di Francesca Morvillo a Giovanni Falcone, ritrovato nella cancelleria del Tribunale di Palermo]

Povero Giovanni, tradito e insultato da vivo e da morto. Da morto per lo stato, per questo stato.

Il self made man con la naturale propensione a delinquere

A proposito di clima d’odio: mandano dei proiettili ad un pm che guardacaso si sta occupando di un processo che vede imputato silvio berlusconi forse, e anche, perché dei politici fra cui il ministro dell’interno e vicepresidente del consiglio vanno, nel giro di due mesi due volte, a manifestare contro la Magistratura?  non dico il pd che ormai non dà più segni di vita propria ma almeno Napolitano, da bravo capo del CSM avrà da dire qualcosa o starà zitto in nome della pacificazione nazionale e dell’abbassamento dei toni?
Sono preoccupata. E non certo per quel clima d’odio di cui vaneggiano i politici e i giornalisti servi al seguito.
Sono preoccupata perché i veri produttori di odio hanno le mani libere.
Ecco perché ho scelto di non condividere la critica tout court nel merito della frase sulla furbizia orientale pronunciata da Ilda Boccassini.

Ci sono persone che vanno tutelate e protette anche da un loro errore.
Ricamare intorno alla Boccassini una polemica durata giorni su una cretinata come quella, a cui hanno partecipato anche autorevoli intellighenzie di sinistra è uno sbaglio da non fare mai.
Perché significa prestare il fianco a chi poi la “critica” per mezzo della minaccia mafiosa.

BERLUSCONI VERTICE DELL’ILLECITO

Nelle motivazioni della sentenza di Appello del processo Mediaset che ha confermato la condanna a
4 anni si legge di “un sistema portato avanti per molti anni” e “proseguito nonostante i ruoli pubblici”
LA CASSAZIONE SU RICHIESTA SPOSTAMENTO PROCESSI: “PURA DILAZIONE DEI TEMPI”

La Cassazione sul processo Ruby: “da Berlusconi accuse infamanti alle toghe di Milano”.

In Italia non c’è più un solo fatto legato alla criminalità pesante e alle mafie che non sia passato per la strada di silvio berlusconi.
Di diritto, di rovescio, di traverso e di nascosto lui c’è sempre.
Per liberarsi di lui c’è rimasta solo l’Alta Corte per i diritti dell’uomo; le vie legali, normali, democratiche sono finite, anzi, non sono mai nemmeno cominciate.

Il superprotetto dalle istituzioni e dalla politica; quello che, ad estrometterlo dalla politica per legge, come avrebbe dovuto essere da subito e da sempre, ci si fa una brutta figura, anzi, una figura ridicola, come c’insegna il bravo professor Monti.

E vediamo se anche dopo aver letto le motivazioni circa il processo mediaset qualche altro illustre luminare, qualche altra eccellenza bigia e grigia avrà il coraggio di dire che l’ineleggibilità di berlusconi è inopportuna perché la gente lo vota, no?
Servi: solo servi a disposizione di un delinquente.
Parassiti strapagati, gente che ha prodotto solo danni irreparabili e che ha la pretesa di ammantarsi con aggettivi pomposi: onorevoli, senatori, presidenti.

“Loro non cambiano”; aveva ragione Rosaria Schifani al funerale di Giovanni Falcone e della sua scorta fra cui il marito maciullati dal tritolo mafioso a Capaci.

Nessuno si è inginocchiato e nemmeno è cambiato, anzi sono tutti perfino peggiorati, se possibile.Questo è uno stato che abbandona gli onesti a vantaggio della protezione dei delinquenti; soprattutto uno.

Mandate via i figli, ve lo chiedo io in ginocchio.


“Vent’anni fa non ci lasciammo intimidire”: oggi sì

Preambolo: 400 mila euro l’anno più 250 mila  di indennità di carica per il nuovo direttore generale della Rai: un’azienda praticamente al fallimento, e meno male che Monti ha scelto quelle persone, Gubitosi e la Tarantola con l’obiettivo di risanare l’azienda sotto l’aspetto economico. Non oso pensare a che sarebbe successo se la Rai fosse stata un’azienda in attivo.

Anche queste cose indeboliscono lo stato, in un momento in cui c’è gente che non ha neanche il necessario per vivere.

E allora ci tolgono tutto: dignità, stato sociale, legalità, diritti, giustizia, verità, con la pretesa poi di essere anche riconosciuti come stato.

Chi rappresenta, ma più che altro si arroga il diritto di rappresentare lo stato in realtà lo usa a discapito di tutti gli altri, noi.

Ed ecco perché io non mi riconosco in questo stato, non in questa gente  priva del benché minimo senso della misura, del rispetto, e, appunto, dello stato.

***

Sottotitolo: ”bisogna trarre le dovute conseguenze dalle vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituiscono reato, ma li rendevano inaffidabili nella gestione della cosa pubblica. Questo giudizio non è mai stato tratto perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza.”

 Il solito giustizialista grillino? No, Paolo Borsellino.

Il 19 luglio, i politici rimangano a casa a meditare.

[Marco Travaglio]

***

Chi indebolisce le istituzioni?

Con che coscienza si potrà dire nei discorsi ufficiali che lo Stato vuole continuare nell’impegno contro la mafia con l’intransigenza che fu di Falcone e Borsellino? Con che coscienza si potrà  riaffermare che lo Stato vuole davvero tutta la verità su quella trattativa ormai accertata, ed evidentemente indecente, se altissimi funzionari coinvolti continuano a negarla, e in ogni accenno di telegiornale viene pudicamente derubricata a “presunta”?

***

Ingroia: “Io pazzo? Sì, perché credo possibile una verità sulle stragi ed i misteri d’Italia”

***

Il 19 luglio di 20 anni fa morivano nell’attentato mafioso di via D’Amelio Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Borsellino stava indagando sulle trattative tra Stato e mafia. L’agenda rossa che portava con sé, sulla quale annotava tutto, non è stata mai trovata. Il giudice Ayala testimonia di avere raccolto la borsa del magistrato ucciso sul luogo dell’attentato pochi minuti dopo l’esplosione e di averla consegnata ad un ufficiale dei carabinieri.

***

Gli ultimi attentati di mafia risalgono a venti anni fa: segno evidente che la mafia ha trovato altri sistemi di suggestione, più moderni, meno evidenti e meno rumorosi di un’autostrada e un palazzo che saltano in aria.

***

Quelli che si stracciarono le vesti quando Grillo disse che equitalia è peggio della mafia sono gli stessi che oggi attaccano chi si ostina a chiedere verità sulle stragi di mafia che è proprio la mafia.
Quelli che – nella politica – non hanno né potranno mai trovare il coraggio e una faccia meno indecente della loro [specie quando parlano appunto di indecenze, cose “agghiaccianti” e di volgarità così, giusto per darsi un tono] per rispondere a Rita Borsellino e a tutto il popolo italiano ma in compenso trovano entrambi quando c’è da difendere gli indifendibili; quelli che hanno messo in croce berlusconi ogni volta che tentava [e spesso c’è riuscito grazie a collaborazioni vive & vibranti] di sovvertire leggi e Costituzione pro domo sua ma oggi che la stessa cosa la fa il capo dello stato che pare ignorare quell’articolo 3 che ci fa tutti uguali indipendentemente dal ruolo e dal mestiere, non fanno un plissé.
E non lo fanno neanche dinanzi al fatto che il capo dello stato dava udienza ad un indagato per falsa testimonianza come se fosse consuetudine, normalità per un capo dello stato offrire ascolto a chi ha mentito in un processo, e guai se si sapesse in giro quello che si sono detti.
Sono anche giornalisti, quelli dei quotidiani delle domande, dei post-it, delle Grandi Battaglie per la Libertà che poi però non trovano tempo e spazio per occuparsi di un vicesegretario di partito che auspica il ritorno di berlusconi perché lui sì, a differenza di Grillo, mantiene gli equilibri, molto spesso mantiene e basta ed è un motivo più che sufficiente per chiedergli di tornare.
Quelli che continuano imperterriti a scrivere e a parlare di conflitti fra Magistratura e stato quando la Magistratura cerca di fare chiarezza su chi ha gestito e gestisce lo stato non sempre [anzi, quasi mai se dobbiamo dirla bene e tutta] in modo corretto ma poi non parlano di conflitti fra stato e giustizia quando si condannano a niente poliziotti assassini e a molto, troppo, persone che hanno sì sbagliato ma non hanno ammazzato nessuno.
In quel caso non c’è nessun conflitto ma solo normale amministrazione della legge.
E la legge, chi la fa?
Appunto.

***

Il suicidio Borsellino
 Marco Travaglio, 19 luglio

Ringraziamo vivamente, senz’alcuna ironia, il senatore Marcello Dell’Utri per aver commemorato come meglio non si poteva il ventennale di via D’Amelio: senza ipocrisie.

Lui in fondo in questi vent’anni è stato uno dei pochissimi politici a dire sempre la verità. “La mafia non esiste”. “È uno stato d’animo”. “Le risponderò con una frase di Luciano Liggio: se esiste l’antimafia, esisterà pure la mafia “. “Mi processano perché sono mafioso”. “Silvio non capisce che se parlo io…”. “Vittorio Mangano era un eroe”.

Ieri, bontà sua, ha aggiunto: “Vent’anni dopo ancora non si sa chi è stato (il mandante del delitto Borsellino, ndr)… Io sono stato, io e Berlusconi. Ma in che paese viviamo?”. Dell’Utri, almeno, eviterà di inviare corone di fiori e messaggi ipocriti ai familiari di Borsellino e degli uomini di scorta: “Bisogna andare fino in fondo”, “senza guardare in faccia nessuno”, “cercare tutta la verità”, “mai abbassare la guardia”.
Sono vent’anni che sentiamo ripetere, a ogni 23 maggio e 19 luglio, queste penose giaculatorie da parte di chi, fra il lusco e il brusco, lavora per insabbiare, occultare, deviare, depistare, inquinare, seppellire la verità. E fino a qualche tempo fa l’operazione era perfettamente riuscita.

Ex ministri, soprattutto dell’Interno e della Giustizia, alti carabinieri, alti poliziotti, alti spioni, alti e bassi politici hanno fatto carriera tramandandosi la scatola nera dei segreti inconfessabili su stragi e trattative.
Poi purtroppo i mafiosi come Brusca e Spatuzza e figli di
mafiosi come Ciancimino jr. hanno violato il patto
dell’omertà, che gli uomini del cosiddetto Stato avevano religiosamente rispettato. Politici muti come tombe hanno ritrovato improvvisamente la memoria e la favella, costretti ad ammettere almeno quei pezzi di verità che i mafiosi e i figli di mafiosi li obbligavano a sputare fuori, tra mille contorsioni e contraddizioni. I pm di Palermo e Caltanissetta, eredi e in molti casi allievi di Falcone e Borsellino, e tanti cittadini perbene hanno visto in quegl’improvvisi e inattesi squarci altrettanti varchi per lumeggiare il buio. E han lavorato sodo per due anni, pubblicamente incoraggiati dalle massime autorità dello Stato che invece, sottobanco, trescavano ancora una volta per insabbiare, depistare, deviare. E quando si erano illuse di averla fatta franca
un’altra volta, un caso, il meraviglioso caso di un telefono intercettato ha illuminato l’osceno fuori-scena e messo a nudo le loro vergogne: il presidente della Repubblica, il suo consigliere giuridico (un magistrato che sa molte cose sulla trattativa, ma ne parla solo conMancino, mentre davanti ai pm fa scena muta), procuratori generali della Cassazione e chissà quantialtri statisti si adoperano per avocare o almeno devitalizzare l’indagine di Palermo. E poi, una volta beccati col sorcio in bocca, invocano inesistenti”prerogative ” e “doveri istituzionali”, amorevolmente assistiti da giuristi e commentatori di chiara fama,
ma soprattutto fame.

Alla fine il capo di quello Stato che
trattò, e forse ancora tratta, con la mafia spedisce i pm
che indagano sulla trattativa davanti alla Consulta con
l’accusa, sanguinosa quanto infondata, di aver violato
norme costituzionali e processuali inesistenti.

Nella speranza di bloccare, o almeno screditare, l’indagine che li ha messo tutti a nudo.

E ancora una volta il coro
unanime dei laudatores , salvo un paio di eccezioni, scioglie inni all’abuso di potere.

Potrebbero ammettere, papale papale: sì, abbiamo trattato con la mafia, eravamo tutti d’accordo, tranne quell’ingenuo di Borsellino che non aveva capito come va il mondo, pace all’anima sua. Invece continuano la farsa dell’ipocrisia. Perciò la famiglia Borsellino invita i rappresentanti del cosiddetto Stato ad astenersi dall’invio di messaggi e corone di fiori in via D’Amelio. Perciò Dell’Utri va ringraziato per la franchezza.
Non è affatto vero che Stato e mafia siano la stessa cosa: la mafia è molto più seria.

Capaci di tutto

Sottotitolo: I politici su cui gravano accuse di vicinanze strette, collusioni e connivenze con mafia e criminalità devono dimettersi, tornare ad essere cittadini comuni e aspettare che la giustizia faccia il suo corso.
Il parlamento non è la succursale delle patrie galere, la suite dove trascorrere serviti e riveriti, con la pretesa di essere pure rispettati in virtù del ruolo il decorso di un processo.
Pensare di potersi continuare a nascondere dietro l’immunità, proteggersi con leggi e leggine fatte in fretta e furia per fare in modo di difendersi non NEI processi ma DAI processi e aspettare, da parlamentari regolarmente stipendiati dai contribuenti i tre gradi di giudizio che potrebbero significare quindici, vent’anni durante i quali scatta quasi sempre l’opportuna prescrizione è disonestà fraudolenta.
Un’ammissione di colpevolezza.
Solo così è possibile evitare quella che molti definiscono ‘guerra’ fra poteri, conflitto fra Magistratura e politica ma che in realtà non è niente di tutto questo.

La vera riforma della Giustizia non consiste nel processo breve o morto [nel senso che non si farà mai] che interessa berlusconi, nell’allungamento e nell’accorciamento dei tempi di prescrizione a seconda delle sue esigenze, che anzi dovrebbe essere proprio abolita affinché un processo che inizia possa anche finire con una regolare sentenza, ma significa fare in modo di  non dover aspettare anche  venti, venticinque anni per la conclusione dei processi.

 “La politica antimafia siciliana è stata soprattutto una politica di contenimento della mafia. Anzi, è stata una politica di salvaguardia della classe dirigente, che ha paura di finire come Lima. Così, spaventata, la classe dirigente delega, e manda avanti Falcone e Borsellino. Che però diventano più pericolosi dei mafiosi, per loro. Ecco perché non sono arrivati fino in fondo”.

“Il rapporto tra mafia e Stato non è mai stato una guerra tra guardia e ladri: è una mafia che ha avuto dei rapporti permanenti con la classe dirigente e in questa ricontrattazione ogni tanto la mafia batte i pugni sul tavolo e quando succede lo fa a colpi di bombe”.

[Antonio Ingroia]

‎”Bisogna trarre le dovute conseguenze dalle vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituiscono reato, ma li rendevano inaffidabili nella gestione della cosa pubblica. Questo giudizio non è mai stato tratto perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Il solito giustizialista grillino? No, Paolo Borsellino.

Il 19 luglio, i politici rimangano a casa a meditare”.

[Marco Travaglio]

“Vent ‘anni fa non ci lasciammo intimidire”.

[Giorgio Napolitano]

Spiacente, caro presidente, perché a noi quaggiù risulta altro. Ci risulta che lo stato si fece intimidire eccome, invece, e che è stato fatto parecchio per rendere la vita facile a chi con la mafia, le mafie ha avuto molto a che fare.
Non si può stare “umanamente” vicini ai mafiosi (come casini per esempio) e “fisicamente” dentro il parlamento (come casini, per esempio).
E come ho scritto ricordando Falcone se il ricordo non viene accompagnato con le azioni non serve a niente, è stato perfettamente inutile riempirsi la bocca ogni anno da vent’anni ricordando gli Eroi mentre nel frattempo nulla si faceva per non rendere vane quelle morti, semmai ci possa essere una qualche utilità nella morte orribile di uomini e donne perbene.
E proprio lei, presidente Napolitano, ha nominato ministri Saverio Romano accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e Aldo Brancher che era stato appena condannato a due anni per ricettazione e appropriazione indebita. E non ha mai rimesso la penna nel taschino, neanche di fronte a leggi che definire oscene e antidemocratiche è dire poco e che poi la Corte ha dovuto respingere perché manifestamente incostituzionali.
Nicola Cosentino è stato salvato dalla galera grazie al voto compatto di chi davanti agli altari dice di voler combattere le mafie ma poi per mandare in galera un delinquente ci vuole un parlamento “libero di coscienza” che decida se un mafioso, un camorrista, ci deve andare o no.
Questo è potuto accadere perché lo stato, quello che non si lascia intimidire, non è mai stato in grado di opporsi con fermezza alle richieste dell’impostore della politica. E, nel frattempo che il delinquente abusivo, l’amico dei mafiosi  faceva scempio di leggi e regole democratiche pro domo sua e dei suoi amici di merende e bunga bunga qualcuno voleva convincerci, e lo fa ancora, che l’unico modo per sconfiggere il malaffare nella politica è il voto democratico, ma ci hanno impedito pure quello grazie a una legge che ha ridotto la politica ad un affare privato fra segreterie di partito e amici, parenti e conoscenti.
Le cosiddette regole democratiche che permettono a dei condannati anche con sentenza passata in giudicato di restare in parlamento le hanno confezionate su misura i molto onorevoli parlamentari.
Forse perché si conoscono molto bene fra loro?
In nessuna democrazia infatti sarebbe stato consentito a una persona con svariati capi di imputazione pesantissimi di diventare presidente del consiglio perché l’altra opzione per lui sarebbe stata San Vittore.
E, a cascata, non sarebbero mai dovute accadere anche un mucchio di altre porcherie fra cui “ruby è la nipote di mubarak”: il primo caso di alto tradimento da parte dello stato e archiviato come una burletta su cui farci anche delle battute di spirito; i 314 traditori dello stato sono ancora tutti in parlamento.
Ed è troppo facile oggi, per calmare le acque e tentare di arginare il malcontento che, unito alla crisi può trasformarsi davvero in un mix micidiale, ventilare ipotesi di nuovi terrorismi, instillare nuove paure ma poi all’atto pratico non fare nulla per mettere al riparo e al sicuro  lo stato da nuove “tentazioni eversive”.
Perché a nessuno piace farsi intimidire: neanche a noi.

Chi portò Cuffaro in Parlamento? Casini, che disse, dopo la condanna, “rispettiamo la sentenza, ma non rinneghiamo l’amicizia”.

Marco Travaglio prova a delineare il perimetro d’azione dei mafiosi nelle loro relazioni parlamentari. Passando dal leader Udc a Berlusconi, fino ad arrivare all’immancabile Giulio Andreotti.

E intanto Alfano parla del Partito dell’onestà.

Schifani a Rosy Mauro: “te ne devi andare, ne va del decoro del senato”.
Ecco: questo decoro del senato spiegato da Schifani, Rosy Mauro   non lo capisce.
(Marco Travaglio)

Capaci di tutto
 Marco Travaglio, 25 maggio

Tre anni fa, alla notizia delle indagini di Palermo, Caltanissetta e Milano sulla trattativa Stato-mafia e sui mandanti occulti delle stragi del 1992-’93, l’allora premier S.B. strillò terrorizzato: “So che ci sono fermenti nelle Procure di Palermo e Milano che ricominciano a guardare a fatti del ’92, ’93 e ’94. È follia pura e quel che mi fa male è che facciano queste cose coi soldi di tutti, cospirando contro di noi che lavoriamo per il bene del Paese”. La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo. Ora, per fortuna, nel ventennale di Capaci e via d’Amelio, c’è un altro premier, Monti, che dice esattamente l’opposto: “Non esiste nessuna ragion di Stato che possa giustificare ritardi nella ricerca della verità: i pezzi mancanti vanno cercati fino in fondo”. Dunque, se le parole hanno un senso, il governo non aggredirà i pm quando depositeranno gli esiti delle loro indagini sulle responsabilità istituzionali nelle trattative che, anziché fermare le stragi, le moltiplicarono e incoraggiarono. Vedremo se i partiti che sostengono il governo faranno altrettanto, o replicheranno gli ennesimi attacchi e insulti ai magistrati antimafia (quelli vivi che, a differenza di quelli morti, non vanno mai bene a nessuno). L’altro giorno a Palermo c’era anche il presidente Napolitano che, insieme a parole di circostanza e di buonsenso sul rischio di un nuovo stragismo a partire da Brindisi, ha dichiarato: “Non ci facemmo intimidire vent’anni fa, tantomeno cederemo ora”. Eh no, presidente: se il livello di intransigenza che ha in mente lo Stato è lo stesso del 1992-’93, stiamo freschi. Non è affatto vero che “non ci facemmo intimidire vent’anni fa”: i politici e le istituzioni si fecero intimidire eccome. Com’è ormai noto a chiunque non abbia gli occhi foderati di prosciutto, dopo la sentenza della Cassazione (30 gennaio 1992) che confermò le condanne ai boss nel maxiprocesso, Riina decise di vendicarsi coi politici che non avevano mantenuto l’impegno di farli assolvere o comunque avevano tradito le aspettative. E stilò una lista nera, che comprendeva Lima, Andreotti, Mannino, Martelli, Vizzini, Andò e Purpura. Lima fu ammazzato il 12 marzo. Il 16 il capo della Polizia Parisi avvertì riservatamente della minaccia i politici in lista. Quel che accadde subito dopo non è dato sapere, ma immaginare sì. Sta di fatto che Riina risparmiò i politici, cestinò la lista e virò su Falcone (alla vigilia della prevista elezione al Quirinale di Andreotti, che si fece da parte). Facile ipotizzare che la trattativa sia partita prima di Capaci per risparmiare i politici dalla mattanza. Sicuro che entrò nel vivo subito dopo, con le prime avances dei vertici del Ros con Vito Ciancimino, trait d’union con Riina e Provenzano. Martelli lo seppe e fece avvertire Borsellino, che si oppose a ogni cedimento e fu tolto di mezzo. Sempre per salvare i politici. Molti fra questi si lasciarono intimidire e ancor oggi balbettano, si contraddicono, mentono e tremano. Pochi altri, Martelli e Scotti, tennero duro. Ma Scotti, al cambio di governo in giugno, fu impallinato dalla Dc e rimpiazzato con Mancino. Intanto Riina consegnava il papello con le richieste allo Stato per metter fine alle stragi. Nel dicembre ’92 Ciancimino fu arrestato e uscì di scena.
Nel gennaio ’93 fu arrestato anche Riina, forse consegnato da Provenzano, che inaugurò la linea del dialogo, mentre Bagarella e i Graviano preparavano nuove stragi per lubrificarlo. E lo Stato si calò le brache. A febbraio saltò anche Martelli, indagato a Milano. E il neo-guardasigilli Conso, mentre nuove stragi insanguinavano Roma, Firenze e Milano, tolse il 41-bis a ben 480 mafiosi in pochi mesi, come da papello. Le stragi s’interruppero, mentre i nuovi referenti politici della mafia marciavano su Roma, pronti a esaudire il resto del papello.

I colpevoli della vergognosa resa dello Stato a Cosa Nostra saranno presto, si spera, alla sbarra.

Rosy_coni

Non so se qualcuno l’ha visto ieri sera su Raitre nello speciale di Lucarelli sulla strage di Capaci ma,  Grasso che parlava di Borsellino e Falcone alla luce delle dichiarazioni fatte a proposito del premio da dare a berlusconi circa la sua lotta antimafia mi ha provocato un grandissimo fastidio. Ecco dove cade poi la fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Il procuratore nazionale antimafia non può dire una cosa del genere pensando che non abbia poi delle conseguenze. Però l’ha detta lo stesso.
Quello che hanno fatto a Falcone e Borsellino quando erano  vivi è orribile quanto la loro morte, e io non mi do pace perché sono convinta che con loro molte cose che hanno segnato questo paese in modo irreversibile non sarebbero mai successe. E oggi – a vent’anni da quelle stragi – sentiamo il procuratore antimafia dire che pensa di premiare chi aveva un pluriergastolano assassino  mafioso alle sue dipendenze,  un eroe,  che faceva da baby sitter ai suoi figli e che ogni tanto gli metteva qualche bombetta sul cancello di casa, per simpatia, s’intende.
(Per tutti coloro che dicono che senza finanziamenti pubblici non si può fare politica).

Sottotitolo: Non c’è nessuna ribellione «contro i partiti». C’è una sacrosanta ribellione contro i gruppi dirigenti che da vent’anni occupano i partiti. Che hanno trasformato la politica in una professione redditizia. E che sono inchiodati sulle loro poltrone. Perché il ricambio, in democrazia, non è un optional. [Michele Ainis, costituzionalista]

La ribellione si estende anche a molto altro, Ainis è un gentiluomo e non lo può dire.

Non ha parlato, infatti, di corruzione, di mignottifici e mignottocrazie,  di collusioni con le mafie, di cose e case a loro insaputa, di lauree “ad trotam” e di diamanti,  di tutta una serie di porcherie inenarrabili ma accadute sul serio  che, se questo fosse stato un paese appena appena un po’ normale, non sarebbero mai dovute accadere.

E questi vogliono pure l’applauso invece dei fischi: sacrosanto strumento di dissenso dalla notte dei tempi.

Ergo: giù il sipario.

Qualcuno spiegasse a Bindi &Co. che non esistono gli elettori di centro destra o di centro sinistra, è finita, per fortuna,  l’appartenenza su cui hanno sguazzato per decenni, esistono gli elettori e basta.
E votano come cazzo gli pare.

E nessuno si deve permettere di dire che noi gente comune quando andiamo a votare  facciamo il gioco di qualcuno visto che non riusciamo a fare neppure il nostro.
Con buona pace di chi oggi si sente vincitore, il PD, che vince solo quando si scontra col peggio del peggio. Dove invece si è scontrato con un’alternativa più credibile ha perso.
Evidentemente non è la politica ad essere sgradita ma “certa” politica, se i siciliani di Palermo dopo trent’anni hanno scelto di nuovo Orlando.
E – guardacaso – aveva il PD contro, come era già successo a Napoli con De Magistris.
Occorre quindi ribadire un concetto che sta diventando nauseante: questa classe dirigente ha fallito.
Se ne deve andare a casa.  
Ha fatto (purtroppo) il suo tempo e distrutto tutto quel che si poteva distruggere.
Monti crolla nei sondaggi proprio perché anziché smarcarsi dalla vecchia politica e dai partiti ha fatto l’esatto contrario, e la notizia è che abbia ancora il 35/40% invece di sottozero. Ma piano piano tutti capiranno che anche nel sadomaso bisogna divertirsi (almeno) in due, altrimenti è violenza carnale.
Operare col sostegno di quei partiti che sono stati la causa della crisi (e di molto altro fra cui il rifiuto di questa politica) significa non poter prendere iniziative contrarie al volere di quei partiti.

Monti, anzi, si è proprio accomodato sui partiti, ne ha perpetuato l’azione (vedi costi della politica, privilegi eccetera:  cose che non sono state minimamente toccate mentre si faceva scempio di pensionati e lavoratori a stipendi e salari), ed ecco perché non è credibile.
I cittadini si aspettavano qualcuno che lavorasse per loro, non che continuasse ancora e ancora a tenere in piedi i distruttori della democrazia di questo paese.
Ed evidentemente l’idea di passare dalla politica del bunga bunga a quella del “rigor montis” non è stata gradita.
E meno male.

Boom boom boom

 Marco Travaglio, 22 maggio

Che spettacolo, ragazzi. A novembre, alla caduta dei Cainano, i partiti si erano riuniti su un noto Colle di Roma per decidere a tavolino il nostro futuro: se si vota subito, gli elettori ci asfaltano; allora noi li addormentiamo per un anno e mezzo col governo Monti, travestiamo da tecnici un pugno di banchieri e consulenti delle banche, gli facciamo fare il lavoro sporco per non pagare pegno, poi nel 2013 ci presentiamo con una legge elettorale ancor più indecente del Porcellum che non ci costringa ad allearci prima e, chiuse le urne, scopriamo che nessuno ha la maggioranza e dobbiamo ammucchiarci in un bel governissimo per il bene dell’Italia; intanto Alfano illude i suoi che B. non c’è più, Bersani fa finta di essere piovuto da Marte, Piercasinando si nasconde dietro Passera e/o Montezemolo o un altro Gattopardo per far dimenticare Cuffaro, la gente ci casca e la sfanghiamo un’altra volta, lasciando fuori dalla porta i disturbatori alla Grillo, Di Pietro e Vendola in nome del “dialogo “. Purtroppo per lorsignori, il dialogo fa le pentole ma non i coperchi. Gli elettori, tenuti a debita distanza dalle urne nazionali, si son fatti vivi alle amministrative, e guardacaso nei tre maggiori comuni hanno premiato proprio i candidati dei disturbatori: Pizzarotti (M5S) a Parma, Orlando (Idv) a Palermo, Doria (Sel) a Genova. Tre città che più diverse non potrebbero essere, ma con un comune denominatore: vince il candidato più lontano dalla maggioranza ABC che tiene in piedi il governo. Nemmeno il ritorno del terrorismo e dello stragismo a orologeria li hanno spaventati, come sperava qualcuno, inducendoli a stringersi attorno alla partitocrazia per solidarietà nazionale. Parma è un caso di scuola: il centrosinistra, dopo gli scandali e i fallimenti del centrodestra che a furia di ruberie ha indebitato il Comune di 5-600 milioni, era come l’attaccante che tira il rigore a porta vuota. Eppure è riuscito nella difficile impresa di fare autogol. Come? Candidando il presidente della provincia Bernazzoli, che s’è guardato bene dal dimettersi: ha fatto la campagna elettorale per le comunali con la poltrona provinciale attaccata al culo, così se perdeva conservava il posto. Non contento, il genio ha annunciato che avrebbe promosso assessore al Bilancio il vicepresidente di Cariparma. Sempre per la serie: la sinistra dei banchieri, detta anche “abbiamo una banca”.
Se Grillo avesse potuto costruirsi l’avversario con le sue mani, non gli sarebbe venuto così bene. Risultato: 60 a 40 per il grillino Pizzarotti, che ha speso per la campagna elettorale 6 mila euro e ha annunciato una squadra totalmente nuova e alternativa: da Maurizio Pallante a Loretta Napoleoni. Eppure il Pd era sinceramente convinto che Bernazzoli fosse il candidato ideale. E Bersani pensava davvero di sconfiggere il grillino accusandolo di trescare col Pdl, come se oggi, Anno Domini 2012, qualche elettore andasse ancora a votare perché gliel’ha detto B. o Alfano. Si sta verificando quello che avevamo sempre scritto: e cioè che la fine di B. coincide con la fine del Pdl, la fine di Bossi coincide con la fine della Lega, ma chi li ha accompagnati e tenuti in vita con finte opposizioni può sognarsi di prenderne il posto. Pdl, Pd e Udc sono partiti complementari che si tenevano in piedi a vicenda: quando cade uno, cadono anche gli altri due. I quali, non potendo più agitare lo spauracchio di B.&Bossi, dovrebbero offrire agli elettori un motivo positivo per votarli. E non ce l’hanno. Bastava sentirli cinguettare in tv di percentuali, alleanze, alternative di sinistra, rinnovamenti della destra, voti moderati, foto di Vasto, allargamenti all’Udc, per rendersi conto che non capiranno nemmeno questa lezione. Non sono cattivi: non ce la fanno proprio. Cadaveri che sfilano al funerale senz’accorgersi che i morti sono loro. Chissà se stavolta Napolitano ha sentito il boom: in caso contrario, è vivamente consigliata una visitina all’Amplifon .