Ma davvero serviva il libro di Friedman?

 Ieri sera Friedman  ha spiegato meglio che significa “conflitto di interessi”, quelle tre brutte parole che la politica ormai non pronuncia neanche più. Un conflitto di interessi che non riguarda solo silvio berlusconi. Ha spiegato meglio il perché non si può essere giornalisti indipendenti quando l’editore non è a sua volta indipendente. E che o si fa politica o il manager d’azienda, in special modo quando quell’azienda si occupa di gestione dei media. Questo non diventerà mai un paese normale finché esisteranno i conflitti di interesse che sono il primo problema, ecco perché la politica di tutti i colori non ci mette le mani.

Come tutti i giornalisti indipendenti Friedman pensa che il suo dovere sia quello di informare. Perché col metro del nostro giornalismo non ci sarebbe stato nessuno scandalo Watergate che ha costretto un presidente americano alle dimissioni, ad esempio. Perché qui l’unico giornale che dà le notizie è considerato un covo di manettari giustizialisti faziosi. Gli italiani non sono abituati ad essere informati, ecco perché non pretendono una corretta informazione.

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Friedman racconta le manovre per portare il Professore a Palazzo Chigi già nel giugno 2011 (leggi)

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Friedman gela Vittorio Zucconi: ”siamo amici ma devo darti una lezione di giornalismo in diretta. Forse ti dà fastidio che lo scoop uscito dalla bocca del tuo padrone De Benedetti sia finito sul Corriere della Sera. Tu pensi che un giornalista debba schierarsi politicamente. Ma al contrario un giornalista deve scoprire, indagare, documentare e dopo pubblicare. E quello che accade dopo non è un mio problema”.

“E quello che accade dopo non è un mio problema”.
 Questo è proprio l’ABC del giornalismo.

Per la nostra magnifica informazione da regimi e regimetti invece quello è il primo problema: tutti si preoccupano degli eventuali turbamenti e giocano d’anticipo per evitare dispiaceri all'”eccellenza” di turno. Altrimenti l’Italia non sarebbe al 57° posto NEL MONDO per libertà di stampa e informazione.

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Alan Friedman ricostruisce in “Ammazziamo il Gattopardo” i mesi frenetici che portarono il capo dello Stato a nominare il 9 novembre Mario Monti senatore a vita e ad affidargli il compito di formare l’esecutivo dopo le dimissioni di B. Una manovra iniziata in giugno, prima della grande crisi dello spread. Il presidente della Repubblica risponde all’anticipazione del Corriere della Sera e respinge l’ipotesi di atti irregolari (leggi)

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L’ANALISI – 2011, LA MOSSA DEL COLLE CHE RESUSCITO’ BERLUSCONI (di S. Nicoli)

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“Articolo 59 della Costituzione Italiana

È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.

“Chi è stato”, non chi sarà. Ci sarebbe dunque da chiedersi perché Ciampi invece nominò Napolitano senatore a vita ante Quirinale e perché Napolitano a sua volta nominò Monti [uno a caso] che casualmente dopo qualche giorno avrebbe ricevuto l’incarico di formare il governo “tecnico”. 
Quali sono stati questi altissimi meriti di Napolitano prima e di Monti dopo che hanno permesso che entrambi fossero nominati senatori a vita addirittura in violazione della Costituzione che mette apposta i paletti affinché queste nomine siano destinate a chi se le merita davvero. 

Qui le uniche vittime di un complotto siamo noi, un complotto che dura da vent’anni, iniziato con un mezzo colpo di stato che ha permesso ad un abusivo impostore estraneo alla politica con svariati precedenti soprattutto penali di entrare in parlamento, anche lui in violazione della legge che lo impediva, reiterato e continuato in tutti questi anni. 

Un complotto contro gli italiani ordito da politica e istituzioni che man mano che berlusconi si presentava in tutto il suo splendore confermando che la sua discesa in campo era avvenuta unicamente per risolversi i suoi guai non hanno fatto niente per fermarlo, nascondendosi dietro la balla gigantesca della sua legittimità perché “la gente lo votava”. 

Per far dimettere berlusconi due anni fa, dopo avergli garantito il salvataggio della “robba” ci sono voluti lo spread e la crisi, non gli avvisi di garanzia, i processi, le accuse, le prescrizioni, il bunga bunga, la conferma per sentenza delle sue vicinanze mafiose. E tutto quello che è accaduto dopo, dal 2011 ad oggi, prima col governo tecnico e dopo con quello delle larghe intese voluti e imposti entrambi da un uomo solo e non dal popolo come si fa nelle democrazie è qualcosa di perfino più grave di un complotto. 
Quando si impedisce ai cittadini di poter scegliere i propri rappresentanti in parlamento attraverso libere elezioni, quando per svariate legislature si fanno votare quei cittadini con una legge incostituzionale, quando un uomo solo decide lui da chi deve essere formato il parlamento, quando quell’uomo minaccia e  terrorizza un paese che “o così o la fine del mondo” non è moral suasion, non è pensare al bene del paese, non è garantire la stabilità del paese come dicono e scrivono quelli bravi o quelli molto creduloni: è solo il proseguimento del colpetto di stato avvenuto vent’anni fa. E che farà ora Napolitano, andrà a disturbare anche l’ambasciata americana come già fatto con quella francese per lamentarsi del libro di Alan Friedman, cittadino scrittore e giornalista statunitense? 

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Riccardo Mannelli

IL RE BADANTE – Marco Travaglio, 11 febbraio

Soltanto chi si ostina, a dispetto dell’evidenza dei fatti, a ritenere Giorgio Napolitano un presidente super partes devoto alla Costituzione può meravigliarsi per le rivelazioni del nuovo libro di Alan Friedman Ammazziamo il Gattopardo. E cioè del fatto, suffragato da numerose testimonianze, che Sua Maestà contattò Mario Monti per rimpiazzare Berlusconi a Palazzo Chigi fin dal giugno 2011, ben prima dell’impennata estiva dello spread e della conseguente fuga di parlamentari della maggioranza, che l’8 novembre si ritrovò minoranza alla Camera; l’indomani il Professore bocconiano fu nominato senatore a vita e il giorno 13, subito dopo le dimissioni del Cavaliere, fu incaricato di formare il nuovo governo. I lettori del Fatto sanno bene di che cosa è stato capace Napolitano in questi quasi otto anni di presidenza, dunque sono immuni almeno dallo stupore. Autoinvestitosi della missione di salvatore della Patria e autoassolvendosi di volta in volta in nome di “emergenze” reali o inventate, il capo dello stato di necessità non ha mai esitato a travolgere le regole costituzionali per il nostro bene, o almeno per quello che lui pensava esserlo e invece non lo era. Convinto che l’elettorato sia un bambino immaturo e un po’ scemo da rieducare e accompagnare per mano dove vuole lui, s’è autonominato Badante della Nazione e ha perseguito scientificamente il suo disegno politico a prescindere dal voto degli italiani, e sovente addirittura contro di esso. Ma gli alti lai che ora levano i berluscones suonano stonati e infondati: il bilancio delle interferenze e forzature presidenziali è largamente a loro vantaggio, non certo a loro discapito. Per diversi motivi.

1) La prima vittima dei traffici di Napolitano è il secondo governo Prodi, nato nel 2006 con una maggioranza risicatissima al Senato dalle prime elezioni del Porcellum. Il 21 febbraio 2007, dopo meno di un anno di vita, l’Unione di centrosinistra è già in crisi: bocciata in Senato una risoluzione sulla politica estera con appena 158 Sì (su un quorum di 160), 136 No e 24 astenuti. Prodi sale al Colle per dimettersi. Napolitano – come annota il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa nel suo diario, che il sottoscritto ha potuto consultare per il libro Viva il Re! – chiede al premier “numeri certi” al Senato, lasciando intendere che non può far conto sui voti dei senatori a vita. Poi respinge le dimissioni di Prodi e lo rinvia alle Camere per la fiducia, non prima di avergli confidato che sta lavorando con “esplorazioni” sue personali – non si sa a che titolo – a una “maggioranza diversa” da quella uscita dalle urne. Una maggioranza di “larghe intese” con la destra sconfitta. Padoa Schioppa parla di manovre “inquietanti”. Invece B. – che non sopporta di restare fuori dalla stanza dei bottoni, continua a gridare ai brogli e tenta di comprare altri senatori (dopo il già acquistato Sergio De Gregorio) per dare la “spallata” al governo – è entusiasta. “Napolitano detesta il bipolarismo e persegue il suo disegno politico”, annota il ministro dell’Economia, descrivendo il Presidente come un sabotatore del governo Prodi, “pompiere incendiario” che “soffia sul fuoco anziché spegnerlo” e vorrebbe tornare a un sistema malato da Unione sovietica o da partitocrazia modello Prima Repubblica, dove “il governo lo sceglie il partito (o i partiti) e non il popolo”. Un anno dopo, gennaio 2008, Prodi cade per l’uscita di Mastella. Ma, anziché sciogliere le Camere, Napolitano tenta un governo Marini, ovviamente di larghe intese. E solo quando fallisce anche quello si rassegna a sciogliere le Camere.

2) Dopo aver firmato tutte le leggi vergogna del terzo governo B., dallo scudo fiscale al lodo Alfano al legittimo impedimento, nel novembre 2010 Napolitano salva il Cavaliere da sicura débâcle. I finiani di FeL presentano una mozione di sfiducia in aggiunta a quelle delle altre opposizioni. La maggioranza non c’è più. Ma il capo dello Stato convince i presidenti delle Camere Fini e Schifani a rinviare il voto a dopo la Finanziaria: così regala al Caimano un mese di tempo per comprarsi una dozzina deputati: quanti bastano per strappare la fiducia il 15 dicembre.

3) Nell’estate 2011, quando Napolitano inizia a sondare Monti, il governo B. è già alla frutta ancor prima del boom dello spread, che ne è una delle conseguenze: B. e Brunetta vogliono tagliare le tasse, Tremonti – conti alla mano – si oppone, e fra Palazzo Chigi e l’Economia si scatena una guerra che prosegue per tutta l’estate, con gli appelli dell’Europa per una drastica manovra correttiva. Il 5 agosto B. annuncia che gliel’ha imposta la Bce con una lettera firmata da Trichet e Draghi: in realtà – si scoprirà più avanti – la missiva l’ha sollecitata lui stesso per salvare la cadrega. Ma sia lui sia Bossi si oppongono al taglio delle pensioni chiesto dalla Bce e la manovra, riscritta quattro volte, è una burletta. Il 23 ottobre Merkel e Sarkozy lo seppelliscono con la celebre risata di Bruxelles. Il 3-4 novembre, al G20 di Cannes, B. e Tremonti si presentano in ordine sparso, senza neppure parlarsi. Ma il Caimano suonato dice che va tutto bene, “siamo un Paese benestante, i ristoranti sono pieni e si fatica a prenotare un posto in aereo”. Inizia il fuggifuggi dal Pdl e l’8 novembre, al voto alla Camera sul rendiconto dello Stato, la maggioranza si ferma a 308 voti su un quorum di 316. Dunque il governo cade e arriva il Prof, coronando il vecchio pallino di Napolitano: le larghe intese.

È vero che il Presidente tiene nella manica l’asso di Monti già da cinque mesi, ma B. fa tutto da solo: sarebbe caduto lo stesso, anche senza aiuti dall’alto. Il che non significa che Napolitano avesse il diritto di preparare un governo e una maggioranza alternativi 150 giorni prima (e chi ci dice che, nelle telefonate intercettate a novembre-dicembre con Mancino, non parlasse anche di quelle manovre e non le abbia fatte distruggere proprio per questo?). Però B. dovrebbe ringraziarlo: il governo Monti al posto delle elezioni fu per lui manna dal cielo: se si fosse votato allora, visti i sondaggi che lo davano intorno al 10%, ne sarebbe uscito asfaltato per sempre. Invece la politica dei tecnici – tasse, lacrime e sangue per i soliti noti – gli consentirà di risorgere nel giro di un anno. E di risultare decisivo alle elezioni di un anno fa, quando gli italiani votano in massa contro le larghe intese e poi, con i soliti traffici di Napolitano (rielezione compresa), se le ritrovano tali e quali con Letta Nipote: lo schema fisso del Presidente. È semplicemente comico che ora, a lamentarsene, non siano Prodi, Rodotà, gli elettori affezionati al bipolarismo, ma proprio l’utilizzatore finale di tutti quei traffici.

Ecco, a ben guardare il peccato più imperdonabile di Napolitano è proprio questo: essere riuscito – prima con i minuetti sulla grazia e ora con l’emergere delle manovre del 2011 – nell’ardua impresa di far passare dalla parte della ragione un figuro che, da quando è nato, è sempre stato da quella del torto.

Ps. Nella lettera di precisazioni al Corriere che nulla precisa, Napolitano si fa scudo della sentenza n. 1/2013 della Consulta per invocare “riservatezza assoluta” sulle sue “attività formali” e “informali”. Ma non sa quel che dice: quella sentenza, peraltro incredibile e tragicomica, si riferisce alle sue telefonate con Mancino e proibisce di intercettare, anche indirettamente, The Voice. Non gli permette di fare quel che gli pare al riparo dalla libera stampa. Né vieta le inchieste e le domande giornalistiche sull’attività del Presidente nella formazione dei governi. Né lo esime dal risponderne all’opinione pubblica. A meno che, si capisce, non si creda un dittatore o un monarca assoluto. Nel qual caso l’impeachment sarebbe uno strumento persino un po’ riduttivo per mandarlo a casa in tempo utile: prima che trascini davanti alla Consulta pure gli autori di libri non autorizzati da lui, per far bruciare anche quelli.