Salvate il soldato Manning

Sottotitolo:  spero che saranno sempre meno gli uomini e le donne che a tutte le latitudini sceglieranno di indossare una divisa per onorare i propri paesi che poi non onorano loro, né da vivi né da morti. 

 Charles Graner, uno dei soldati condannati per le torture di Abu Ghraib, è stato condannato a  dieci anni, ed è quello tra i 17 accusati ad aver ricevuto la pena più alta.

Danno i Nobel per la pace a chi vende le armi e a chi ordina di usarle  [UE e Obama]  mentre a chi s’impegna davvero per la pace la galera praticamente  a vita.

In un mondo normale Manning, Assange e Snowden sarebbero loro i destinatari di un premio per onorare la pace, invece in questo li considerano dei fuori legge da chiudere in una galera.

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Wikileaks, Manning condannato a 35 anni dalla Corte marziale degli Usa

Mauro Biani

Bradley Manning condannato a 35 anni per aver rivelato tramite Wikileaks gli orrori delle guerre in Iraq e Afghanistan. È la pena più alta mai erogata contro un informatore della stampa negli Stati Uniti. Obama guarda altrove, mentre i colpevoli delle rendition sono liberi e la Nsa intercetta illegalmente tutta Internet. [Il Manifesto]

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L’America è un paese pieno di contraddizioni, alcune insopportabili per la loro inciviltà, tipo la pena di morte, la sottomissione alla lobbies che armano le mani di chiunque affinché possa compiersi la strage quotidiana sulla quale il primo a versare le sue lacrime ipocrite è proprio chi potrebbe e dovrebbe dire basta alla rozzezza violenta di quel secondo emendamento pensato in tempi diversi in cui forse era più urgente l’esigenza di doversi difendere in proprio: dove c’è uno stato che funziona nessuno dovrebbe pensare ad una giustizia domestica, fai da te.
L’America è quella che ieri ha condannato un ragazzo di 25 anni a trascorrere in un carcere più anni della sua vita già vissuta perché colpevole di aver detto la verità sulla menzogna delle missioni cosiddette di pace che invece non sono altro che le solite atrocità che si commettono in tutte le guerre.

Ma l’America è anche quella che ha condannato a 150 anni di galera, catene ai piedi, manette e tuta arancione Bernard Madoff, che lo ha costretto all’umiliazione della confessione davanti alle vittime del crac finanziario da lui causato, all’ammissione della sua colpa; in precedenza c’era stato il caso Enron, anche quello concluso con condanne esemplari per i responsabili del disastro finanziario. 

Questo perché il loro diritto riconosce come gravissimi i danni che vanno a colpire più che il singolo la collettività.

Contro la criminalità comune, quella da strada ci si può sì organizzare, ma è tutto relativo alla capacità umana di delinquere, il mondo è abitato da miliardi di persone e pensare di poter mettere la parola fine alla malavita dei furti, degli omicidi, degli stupri e delle violenze in generale fa parte di quella utopistica follia che in quanto tale non è realizzabile.

E’ però possibile mettere un tetto alla criminalità che va a colpire tutti, ed è per questo che in America ma generalmente in tutti i paesi civili nessun governo ha mai pensato di annullare leggi importanti in materia di regolamentazione e controllo della finanza e dell’economia, ad esempio quella sul falso in bilancio, rendendo di fatto il dolo una virtù, e nemmeno la politica di quei paesi ha mai pensato di dover restituire un’agibilità politica, una dignità persa volontariamente a chi non si è fatto nessuno scrupolo a danneggiare il suo paese e lo ha potuto fare proprio in virtù del suo ruolo politico che gli ha consentito di aggiustarsi le leggi in relazione e in proporzione ai reati che man mano commetteva.

In America chi froda lo stato e a cascata i suoi concittadini viene emarginato, evitato, considerato per quello che è: un ladro, un truffatore, un evasore e nessuna figura politica, men che meno il presidente di tutti penserebbe di dover intercedere per favorire chi ha rubato a tutti per arricchire se stesso.

Queste sono cose che fortunatamente per le casistiche e le statistiche mondiali riguardano solo l’Italia dove nessuno nella politica  si vergogna né lo ha fatto in precedenza quando ha agevolato tutte le leggi per renderlo presentabile a tutti i costi,  di sostenere la causa di un pregiudicato, delinquente e condannato che pretende che si cancellino con un colpo di spugna i suoi reati e la sentenza che lo ha condannato perché qualcuno  gli ha fatto credere di essere una persona insostituibile e che doveva assolutamente partecipare alle questioni riguardanti la politica – nonostante e malgrado il suo curriculum penale e giudiziario – quella che decide anche e soprattutto [e purtroppo visti i risultati] per i cittadini onesti, quelli che non commettono reati, quando succede si assumono la responsabilità del loro agire e nessuno offre loro la possibilità di chiedere qualcosa che non esiste da nessuna parte, ovvero l’agibilità per poter continuare a delinquere e sfuggire alla legge e alla giustizia.

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Prigionieri volontari
Marco Travaglio, 22 agosto

La scena, che sta facendo il giro del mondo, ricorda quei film americani dove il criminale evaso prende in ostaggio un asilo, una scuola, un centro commerciale e, minacciando persone inermi, detta condizioni alla polizia che circonda l’edificio: un elicottero, un documento pulito e un permesso per l’espatrio. 

Siccome però siamo in Italia, la sceneggiatura presenta alcune varianti. 

1) Il criminale non ha avuto bisogno di evadere, perché i condannati per frode fiscale in galera non ci vanno neppure se spingono. 

2) La polizia non può far nulla per assicurare il pregiudicato alla giustizia, anzi è costretta a scortarlo a spese dei contribuenti, onde evitare che si imbatta inavvertitamente in qualche persona onesta. 

3) Siccome è molto ricco e fa sempre le cose in grande, l’energumeno non si contenta di asserragliarsi in un locale pubblico, ma tiene direttamente in ostaggio governo, Parlamento e Quirinale. 

4) Non gli occorrono armi da fuoco o da taglio: gli basta minacciare di rovesciare il governo di cui fa parte, anche perché gran parte degli ostaggi sono affetti da congenita sindrome di Stoccolma, felicissimi di essere nelle sue mani. 

5) Non chiede di poter fuggire all’estero, ma di restare in Parlamento, in barba a una condanna definitiva e a una legge che lo dichiara decaduto e incandidabile votata otto mesi fa anche da lui, mentre i presunti avversari che governano con lui, per nulla imbarazzati dal concubinaggio con un pregiudicato, lo implorano di restare con loro per salvare il Paese dalla frode fiscale, dalla corruzione, dalla mafia e da altre sue specialità.

Intanto i suoi giornali, e dunque il Pg della Cassazione e il Csm, processano il giudice che l’ha condannato, reo di aver spiegato a un cronista di averlo condannato perché colpevole e per giunta di aver manifestato in alcune cene private una certa antipatia nei suoi confronti. Antipatia davvero inspiegabile, visto che costui ospitava in casa un boss mafioso, era iscritto alla P2, era amico dei peggiori ladri di Stato, pagava mazzette a politici e mandava i suoi a corrompere finanzieri e giudici, falsificava bilanci, frodava il fisco, organizzava giri di prostituzione anche minorile, comprava senatori e ripete da 20 anni che i magistrati sono un cancro da estirpare, come i killer della Uno bianca, un covo di golpisti e di matti, psicolabili, antropologicamente estranei alla razza umana. Insomma, un amore che dovrebbe attirare l’istintiva simpatia dei magistrati. Lo stesso trasporto che gli manifestano orde di intellettuali, impegnati in questi giorni in un’affannosa riforma del diritto e del vocabolario per non dover usare con lui parole spiacevoli. 

Pregiudicato diventa “perseguitato”, condanna “guerra civile”, impunità “agibilità politica”, inciucio “pacificazione”, decadenza e incandidabilità “eliminazione dell’avversario politico per via giudiziaria”. 

Giuristi ed editorialisti che otto mesi fa plaudivano al decreto Severino “Parlamento pulito”, regolarmente passato al vaglio parlamentare di costituzionalità e firmato dal capo dello Stato, ora scoprono che è incostituzionale perché riguarda i delitti commessi prima. 

Potevano pensarci quando B. escluse dalle liste i condannati Dell’Utri, Sciascia e Brancher, privandoli dell’“agibilità politica” e guadagnando voti per le sue presunte “liste pulite”. Invece si svegliano ora che tocca a B. Sul Corriere Sergio Romano, l’ambasciatore che girava il mondo senza vedere nulla, spiega che far decadere B. da senatore come previsto dalla legge significherebbe “cacciare”, “delegittimare un leader di partito”, “decapitarlo con gli occhi bendati per mano di quelli con cui deve governare”. 

Dunque il Senato lasci tutto com’è, rinviando alla Consulta “l’esame di certi dubbi sull’applicabilità della Severino” e ripristinando l’“equilibrio tra i poteri dello Stato”, a suo dire violato dal Parlamento con una legge che vieta l’ingresso ai condannati. Per questo, a ben vedere, B. tiene l’Italia in ostaggio da vent’anni: perché molti ostaggi sono volontari felici.

Più agibilità per tutti

Schifani: “Rinvio su decadenza o crisi”;

Cicchitto: “Intervenga il Colle”

In un paese normale un indagato per mafia e un ex piduista, entrambi al servizio del delinquente onnipotente, non avrebbero nessuna possibilità di rivolgersi alla più alta carica dello stato usando l’intimidazione e lo strumento ormai consueto del ricatto, ma siccome siamo in Italia la più alta carica dello stato non solo non si sente intimidito e ricattato ma  non trova disdicevole, riprovevole né tanto meno eversivo che da venti giorni, ovvero dal giorno della sentenza che ha condannato definitivamente berlusconi per frode fiscale la politica, tutta, sia entrata nel panico, concentrata unicamente alla ricerca del sistema per evitare che quella sentenza venga applicata anche al pregiudicato silvio berlusconi. 

Bisognerebbe prendere atto, definitivamente, che l’unico principio sul quale si può reggere una parvenza di unità e uguaglianza in Italia è quello della disonestà tout court. E non perché lo dico io ma perché ce lo hanno spiegato, e a lettere chiarissime, sia la politica che le istituzioni.

Però a pensarci bene questa faccenda della retroattività che annulla le sentenze è intrigante, potrebbe tornare utile a un sacco di gente, offrire un’agibilità a tutti i condannati a seconda delle loro esigenze: in fin dei conti non esiste da nessuna parte il diritto all’agibilità politica ma grazie a berlusconi che di mode ne ha inventate tante e altrettante se non di più ne hanno inventate per lui, per non turbarlo, scontentarlo,  per consentirgli di fare il cazzo che vuole a dispetto della legge, della Costituzione,  anche in questo caso, come per la grazia, altra gente potrebbe approfittare dell’occasione “diritto in demolizione” della Viva & Vibrante Soddisfazione Production.

Non si capisce perché si debba negare un’agibilità ad altri ladri, evasori, corruttori con altissime probabilità di accumulare altre condanne definitive circa reati quali la concussione e lo sfruttamento della prostituzione minorile come berlusconi; ognuno avrà la sua personalissima lista di motivi per pretenderne una, per ottenere una deroga ad libitum. 

Se la politica ha deciso che questo paese va sfasciato dalle sue fondamenta facciamolo bene, non solo a beneficio e vantaggio di berlusconi ma anche di altri; rendiamo operativo una volta e per tutte il diritto a delinquere senza quelle conseguenze che poi impedirebbero a chi scientemente viola le leggi di poter usufruire di un’agibilità ad personam.

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Capotosti e Capomosci 

Marco Travaglio, 20 agosto 

Al ventesimo giorno dalla sentenza della Cassazione sullo scandalo dei diritti Mediaset, il dibattito politico-giornalistico sul destino di B. è già riuscito nel gioco di prestigio di far scomparire dalla scena il fatto da cui tutto nasce.

E cioè che B. è un delinquente matricolato, avendo costruito negli anni 80 un colossale sistema finalizzato all’esportazione di capitali all’estero, extrabilancio ed extrafisco, per corrompere giudici, politici, finanzieri, derubare gli azionisti di una società quotata e compiere altre operazioni fuorilegge in Italia e all’estero almeno fino al 2003, quand’era in Parlamento da 9 anni e aveva ricoperto due volte la carica di presidente del Consiglio. 

Dunque, in base al Codice penale, è un detenuto in attesa di esecuzione della pena, che potrà scontare in carcere o ai domiciliari o, se ne farà richiesta, in affidamento ai servizi sociali. Inoltre, in base a una legge liberamente votata otto mesi fa da tutto il Parlamento italiano e anche da lui – la Severino del 31-12-2012 –, è ufficialmente decaduto dalla carica di parlamentare e non può ricandidarsi per i prossimi 6 anni, come tutti i condannati a più di 2 anni. 

Punto. 

Ma il dibattito scaturito dalla sentenza ha preso a svolazzare nell’iperuranio, attorno al presunto diritto del condannato all’“agibilità politica” (appena 8 mesi dopo che egli stesso ha votato una legge per negare l’agibilità politica ai condannati), la “guerra civile” fra politici e magistrati o fra berlusconiani e antiberlusconiani, la grazia, la commutazione della pena e altre cazzate. L’ultima è la supposta incostituzionalità della legge Severino, di cui nessuno si era peraltro accorto 8 mesi fa quando tutti allegramente la votarono per fregare gli elettori con la bufala delle “liste pulite”.

L’avvocatessa ed ex ministra Paola Severino è ufficialmente dispersa e non dice una parola in difesa della legge che porta il suo nome: pare anzi che abbia avviato le pratiche all’anagrafe per cambiare cognome. Ma il meglio lo danno certi costituzionalisti, che difendono un giorno il diritto e l’indomani il rovescio. Specie quelli più vicini al Quirinale, costretti a contorsionismi imbarazzanti per seguire le bizze di Napolitano, che cambia idea a seconda di come si sveglia la mattina. 

Ieri, sul Corriere , è partita in avanscoperta per tastare il terreno la premiata ditta ‍Ainis&Capotosti. 

Michele Ainis per sostenere che se B. è stato condannato per frode fiscale non è perché frodava il fisco, ma per via dell’eterno “conflitto tra politica e giustizia”, insomma una “baruffa tra poteri dello Stato”. 

Ma ora bisogna “separare i due pugili sul ring” (il frodatore fiscale e i giudici che l’hanno condannato). Come? Magari suggerendo ai politici di non delinquere e ai partiti di non candidare delinquenti? No, ripristinando l’autorizzazione a procedere abolita nel ’93 per “far decidere al Parlamento” se un senatore sia o meno un frodatore fiscale.

È vero, ammette bontà sua Ainis, che l’autorizzazione a procedere si prestava ad “abusi”, coprendo anche parlamentari inquisiti senz’ombra di “fumus persecutionis”: ma subito dopo caldeggia nuovi abusi, sostenendo che la frode Mediaset, dove non c’è fumus ma molto arrosto, andava sottoposta “al visto obbligatorio delle Camere”. Non è meraviglioso? 

Poi c’è Piero Alberto ‍Capotosti, presidente emerito della Consulta e commentatore multiuso. Il 5 agosto, intervistato dal Corriere, non sentiva ragioni: “Ho molti dubbi sulla tesi di Guzzetta che pone un problema di retroattività, perché la legge non parla del reato, ma della sentenza. L’art. 3 dell’Anticorruzione si riferisce a chi è stato condannato con sentenza definitiva a una pena superiore a 2 anni. L’elemento determinante è la sentenza definitiva. 

Che poi si riferisca a fatti accertati anche 20 anni fa importa poco. È la sentenza che determina l’incandidabilità. Quella del Parlamento dovrebbe essere una presa d’atto”. Cioè: B. deve andarsene dal Senato e non farvi più ritorno per i prossimi 6 anni. L’11 agosto il tetragono ‍Capotosti veniva intervistato da Repubblica.

Domanda: che succede se si vota in autunno?

Risposta secca: “Scatterebbe l’incandidabilità prevista dall’art. 1 della Severino. L’importante è che si tratti di una sentenza definitiva”. Pane al pane e vino al vino. 

Poi però Napolitano ha monitato, B. ha minacciato e la rocciosa intransigenza di ‍Capotosti ha assunto la consistenza di un budino. 

Rieccolo ieri intervistato dal Corriere : “Che la legge Severino non possa essere retroattiva o debba scattare l’indulto, non è un’eresia. La norma è nuova, priva di giurisprudenza consolidata, vale la pena ragionarci. Ci sono problemi interpretativi, perché non ci sono precedenti”. In verità uno c’è, in Molise, ma “un caso non fa giurisprudenza”. Dunque “sembrerebbe logico che il Senato prenda atto della sentenza, ma il Parlamento è sovrano” e può anche votare contro una legge fatta 8 mesi prima perché “a giudicare i parlamentari in carica può essere solo il Parlamento” e “l’incandidabilità incide sul diritto costituzionalmente tutelato ad accedere alle cariche elettive e quindi la sua applicazione dovrebbe essere disposta da un giudice” e ora “per legge non lo è”.

Quindi sta’ a vedere che la Severino è incostituzionale e i partiti che l’hanno appena approvata possono impugnarla dinanzi alla Consulta per chiederle di bocciarla, intanto passano un paio d’anni e il delinquente resta senatore, magari dagli arresti domiciliari. Sarebbe l’ennesimo miracolo del Re Taumaturgo: basta un monito, e la legge diventa così tenera che si taglia con un grissino.