Impicciament

Mps, Napolitano torna a “sopire”
“No al cortocircuito media-pm”

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che proprio non ce la fa, non vuole essere il presidente di tutti ma solo di qualcuno, che spesso e volentieri entra in ambiti che non gli competono o, se gli competono lo fa sbagliando gli obiettivi dei suoi ormai leggendari moniti. 

Il corto circuito è un presidente della repubblica che pur avendone avuta facoltà non ha sciolto le camere nemmeno in presenza di un primo ministro al centro di scandali gravi, protagonista – da imputato – di processi per reati che in altri paesi non prevedono solo le dimissioni di un politico che si macchiasse di colpe infinitamente meno gravi ma l’esclusione perpetua dalla politica la giusta condanna di un tribunale.

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che, da conoscitore della Costituzione qual è non ha esitato a mettere il suo sigillo, e dunque quello di tutti noi, su leggi odiose, vergognose, funzionali alla copertura e alla protezione di un impostore disonesto, leggi che nessun’altra politica nel mondo civile si sognerebbe nemmeno di pensare poi puntualmente cassate dalla Consulta. 

Il vero corto circuito è che in un paese apparentemente normale il presidente della repubblica non abbia ancora tolto l’appellativo di cavaliere della repubblica italiana ad un disonesto intrallazzatore, uno sotto processo per sfruttamento della prostituzione minorile, uno con un curriculum giudiziario che fa spavento e che in un paese al minimo sindacale di civiltà la gente si schiferebbe ad averlo per vicino di casa.

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che non si attiva affinché processi che riguardano politici candidati alle elezioni non vengano rimandati a dopo le elezioni, perché i cittadini hanno il diritto di sapere PRIMA se quando vanno a votare lo fanno per una persona onesta o per un delinquente da galera.

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che non ha speso una parola nel merito di sentenze scandalose né sul fatto che il responsabile dei massacri al G8 di Genova, quello che ordinò i pestaggi per dispetto, per difendere l’onore della polizia di stato davanti agli occhi sbalorditi di tutto il mondo,  sia stato nominato nientemeno che sottosegretario alla sicurezza del governo.

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che entra nello spogliatoio della Nazionale di calcio complimentandosi coi giocatori e dicendo loro che “sono lo specchio del paese”: dunque paragonando  gente onesta, che vive fra mille difficoltà ad un manipolo di viziatelli arroganti che spesso si trasformano in delinquenti.

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che, il 25 aprile anziché rinnovare i valori dell’Antifascismo – cosa di cui questo paese ha un bisogno disperato e che si dovrebbe fare quotidianamente – si mette a battibeccare a distanza con un comico sui pericoli del populismo e lo fa per difendere gl’interessi di bottega della politica tradizionale, quella che ci ha allegramente e gioiosamente condotto alla bancarotta etica, morale prim’ancora che a quella economica.

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che concede la grazia su cauzione ad un delinquente recidivo ma non si occupa dei tanti casi di ingiustizie ordinarie e quotidiane che riguardano persone che non hanno voce, che non possono collegarsi a twitter dagli arresti domiciliari né essere invitate tutti i giorni nei talk show, ad esempio quello di Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi accusata di diffamazione per aver difeso la memoria di suo figlio, morto ammazzato da quattro poliziotti; Patrizia il 1 marzo dovrà andare a processo, malgrado e nonostante l’immane tragedia che ha subito, ma per lei nemmeno un hashtag  #siamotuttipatriziamoretti, per sallusti, diffamatore per mestiere e per conto terzi, sì: solidarietà e sostegno si sono sprecati e sono arrivati proprio da quelle persone che dovrebbero spendersi e lavorare per uno stato civile, promuovere l’onestà. Per non parlare di tutta quella gente che si è suicidata per una cartella equitalia, per non aver saputo sopportare la vergogna di una umiliazione e l’impossibilità di far fronte ad un debito in denaro.

Gente onesta cui nessuno ha teso una mano nemmeno per pietà.

 Napolitano invece  intercede personalmente con la collaborazione dell’appena ex ministro della giustizia, ed entrambi si arrogano il diritto di  sollevare uno che commette reati a ripetizione  dalle sue responsabilitá morali, civili e legali. 

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che alla commemorazione di una strage di mafia parla di uno stato che vent’anni fa non si è lasciato intimidire ma poi pretende il silenzio su una questione attinente alla mafia perché in quella questione è voluto entrare anche lui anche se questo non rientra affatto nelle prerogative di un capo dello stato.

Il vero corto circuito è un presidente della repubblica che pretenderebbe il silenzio dalla stampa e dall’informazione su fatti ben precisi e non su altri ben sapendo che questo paese muore fra silenzi, omissioni e conflitti di interesse.

Il corto circuito è un presidente della repubblica che di fronte ad una Magistratura insultata, svilita, offesa tutti i giorni e da anni dalla politica, bacchetta i Magistrati accusandoli di troppo protagonismo anziché una politica che, se fosse meno disonesta,  anzi per niente, coi Magistrati non dovrebbe avere niente a che fare ma al contrario lavorerebbe a braccetto con loro per restituire a questo paese un minimo di dignità e di senso dello stato, non l’avrebbe trasformato, invece, in uno stato che fa senso.

Il dito e la banca
Marco Travaglio, 2 febbraio

Il primo monito di Napolitano è certamente saggio se, invocando l’altroieri l'”interesse nazionale”, punta a tutelare la figura di Mario Draghi dalle pressioni tedesche, che mirano a gettargliaddosso lo scandalo Montepaschi per frenare la sua politica salva-euro. La Banca d’Italia fu certamente l’unico soggetto istituzionale a vigilare, con le due ispezioni a Siena, e a scoprire i contratti segreti sui derivati tossici, anche se poi ci si contentò del cambio della guardia Mussari-Profumo e la lentezza delle procedure e l’inefficienza endemica della Consob impedirono che i disinvolti (a dir poco) amministratori fossero rapidamente e adeguatamente sanzionati. Purtroppo non si può dire altrettanto del secondo monito, quello di ieri dinanzi all’Ordine dei giornalisti, francamente irricevibile almeno per ciò che resta della libera stampa in Italia. Che vuol dire “abbiamo spesso degli effetti non positivi, quasi dei cortocircuiti tra informazione e giustizia”? E a che titolo il capo dello Stato afferma che il “ruolo della stampa di propulsione alla ricerca della verità” nel caso Mps “confligge con la riservatezza necessaria delle indagini giudiziarie e il rispetto del segreto d’indagine”? La stampa ha il diritto-dovere di svelare i segreti, anche quelli giudiziari se ci riesce, per dare ai cittadini il maggior numero possibile di notizie. Forse Napolitano ignora che, se da dieci giorni lo scandalo del Montepaschi è sulle prime pagine dei giornali di tutta Italia (e non solo), è grazie a un giornale — il nostro — che ha scoperto ciò che i banchieri nominati dal suo partito occultavano ad azionisti, dipendenti, risparmiatori e investitori. Se avessimo aspettato le famose autorità, magistratura compresa, non sapremmo ancora nulla. Nelle parole di Napoletano echeggia, dietro il paravento dell'”interesse nazionale”, una concezione malata, autoritaria del rapporto fra il potere e i suoi controllori: qualunque scandalo del potere diventa attentato alla Nazione perché lo scredita agli occhi dei cittadini e dei mercati. Quindi meglio una notizia scomoda in meno che una in più. Il dito indica la luna e tutti a guardare il dito. 
Il termometro segna la febbre e tutti a dare la colpa al termometro. Se Napolitano non vuole che il sistema bancario venga screditato, lanci un bel monito ai banchieri perché caccino i mercanti dal tempio, anziché mettere la volpe a guardia del pollaio, come fecero tre anni e un anno fa con Mussari. E lanci un bel monito ai politici perché escano dalle banche (e dalle fondazioni) con le mani alzate e tornino a fare il loro mestiere: che, sulle banche, è quello dell’arbitro, non del giocatore. Già che c’è, potrebbe pure consigliare ai compagni del Pd di darsi una calmata: anziché minacciare di “sbranare” chi scrive dei loro rapporti con la finanza, la smettano di amoreggiare coi banchieri e di scalare le banche. Così magari nel prossimo scandalo finanziario non saranno coinvolti, e sarà la prima volta. La pravdina del Pd, la fu Unità, dedica una pagina all’appassionante interrogativo “Perché sfiorì il Garofano. Crollo del Psi e crisi della Prima Repubblica”. Già, perché? Lo storico Pons, recensendo un sapido saggio di due vecchi craxiani, Acquaviva e Covatta, risponde: va evitato “un impiego estremo della memoria storica come arma di lotta politica” in favore di “uno sguardo più meditato e più utile”, scevro da “giudizi sbrigativi e liquidatori sulla figura di Craxi”. Dunque il Psi e la Prima Repubblica crollarono perché “i partiti avevano perso la capacità di generare appartenenza”, per le “tendenze disgregative”, per “i limiti del riformismo socialista”, insomma “per un vuoto della politica che fu riempito dal potere giudiziario e da un’ondata di antipolitica”, ovviamente “di destra”. Di qui “la tragedia di Craxi e del socialismo italiano”. Ma è così difficile, o magari antipatriottico, dire che Craxi rubava?