Dietro il pallone, tutto

Sottotitolo: una nota riservata e particolare la meritano tutti gli imbecilli che ieri hanno insultato Gino Strada, uno dei candidati 5stelle alla presidenza della repubblica insieme a Rodotà, bersaglio anche lui degli anatemi di chi – evidentemente per limiti propri – è incapace di accettare un parere diverso, un’opinione altra. Così, tanto per ribadire l’indifendibilità di idioti manovrati pronti a sputare veleno anche sulle loro madri solo se qualcuno osa ragionare in proprio e non per conto di qualcuno.

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A quanto pare in Italia è più conveniente essere condannati per frode fiscale che fare l’attore. Perché il condannato – da una sentenza vera trasformata in pura goliardia – può apparire in televisione ogni volta che vuole, mentre l’attore della fiction, incensurato e di sinistra no per non disattendere alla regola della par condicio.

E quando in un paese succede una cosa del genere è impossibile non vedere l’anomalia, la malattia, l’anormalità. 
Stasera berlusconi dovrebbe partecipare a Porta a Porta dove troverà Bruno Vespa condannato in via definitiva per diffamazione. 
Gli obblighi derivanti dalla sua finta condanna gli impediscono di incontrare altri condannati: tutti meno Bruno Vespa? E’ stata fatta una deroga speciale, la solita regola ad personas per consentirgli di incontrare il suo vecchio amico, nonché suo editore?

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Ivano tagliato – Alessandro Gilioli, Piovono Rane

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 La par condicio si applica soltanto alle trasmissioni che non trattano di politica, proprio per evitare l’eccesso di presenza dei politici  nei media nei periodi pre elettorali fuori da quegli ambiti in cui si tratta esclusivamente di politica.

Forse vale la pena ricordare che la par condicio esiste perché esiste berlusconi.
Nei paesi normali, dove il politico fa solo il politico, non possiede mezzi di comunicazione non serve una legge sulla par condicio.
E risolvendo il conflitto di interessi non ci sarebbe stato bisogno di una legge per vietare al politico che ha giornali, televisioni, case editrici di poter eccedere in presenze nelle televisioni, sue e quelle che controlla in virtù del ruolo politico,  durante i periodi pre – elettorali, a danno e svantaggio di quei politici che non hanno le loro tv, i loro giornali e le loro case editrici, semplicemente perché nei paesi normali l’editore, l’imprenditore non fa il politico e viceversa. 

In un paese dove da vent’anni è la televisione a orientare pensieri, parole e opinioni grazie a chi ne ha fatto la propria arma di distruzione/distrazione di massa, e, orientando i pensieri condiziona anche le scelte importanti qual è il voto tutto può destabilizzare un già inesistente equilibrio. Perché poi a votare ci vanno tutti, telerincoglioniti compresi con le conseguenze che purtroppo conosciamo bene. Smettiamo di raccontarcela. E’ chiaro che Gino Strada non si mette a fare la polemica sterile su Renzi e la partita del cuore, semplicemente perché non tocca a lui fare da spartiacque, sarebbe toccato al buon senso di chi sta imponendo oltremodo la sua presenza nei media. L’Agcom ci fa sapere di aver avvertito Mentana per eccesso di Renzi nei Tg de la7 a danno e discapito di chi Renzi non è. 

In un paese dove la politica restasse fuori da ambiti che non le competono non servirebbe la par condicio, sarebbero i politici stessi se fossero persone serie a tirarsi fuori, rifiutandosi di andare a fare i buffoni cucinando risotti a Porta a Porta, ad esempio.

Il problema comunque non è Renzi né la partita.
E’ un paese piccino fatto di gente facilmente seducibile.
Perché alle persone che usano la testa, non si fanno incantare dalle chiacchiere, dai sorrisi e dalla performance mediatica dell’incantatore di turno non succede nulla nemmeno se lo vedono fuori dal seggio elettorale un minuto prima di votare. 
Se ci trattano come “alunni di seconda media e nemmeno troppo preparati” [cit. il noto delinquente], è perché sanno di poterlo fare.

 

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IL PALLONE SGONFIATO – Antonio Padellaro

Per carità, umanamente molto si comprende Matteo Renzi che quella dolce serata allo stadio Franchi di Firenze, scrigno dell’amatissima Viola, chissà quanto l’aveva sognata: farsi passare la palla da Baggio, triangolare con Antognoni e magari insaccarla sotto la traversa, il boato della folla, il primo presidente del Consiglio che corre a esultare sotto la curva, ganzissimo. Del resto, vanitas vanitatum, neppure sarebbe stato il primo leader di multiforme ingegno a esibirsi per l’ammirazione delle masse. Dopo Berlusconi cantautore e poeta, Veltroni romanziere e regista, D’Alema navigatore, cuoco e viticoltore, perché no un capo del governo giovane e prestante, dal tocco fino come non se ne vedevano, sia detto senza ingiuria, dai tempi del duce cavallerizzo, spadaccino e calciatore di caviglia forte? E poi tutto per la giusta causa di Emergency con il plauso di Gino Strada.

E se per una volta si accantonano le divisioni su F-35 e Afghanistan per raccogliere quanti più fondi possibile per curare i bimbi del Sudan, e se la diretta di RaiUno trasforma l’audience in una pioggia benefica di messaggini da 2 euro, che male c’è, meschini che non siete altro? Umanamente comprensibile, ma politicamente molto meno, perché quando si fa notare che la Partita del Cuore disputata a sei giorni dalle Europee (proprio non si poteva rinviare di qualche settimana?) costituisce di fatto un gigantesco spot elettorale, il giocoso Matteo mostra i dentini. E infatti, visto che a dire no alla diretta tv è stato il presidente M5S della Vigilanza Fico, il premier si scatena contro “la rabbia e la paura grillina” verso chi “vuole cambiare l’Italia, restituire speranza, cambiare la protesta in proposta”. Ma in questo modo Renzi conferma che siamo in piena campagna elettorale e che i cuori battono, ma i voti contano. Temiamo tuttavia che lo spirito del tempo soffi dalla sua parte poiché, certo, ci sono le regole da rispettare, ma in Italia chi buca il pallone non è mai simpatico.

 

 

Dis-occupy Italia

Sottotitolo: la deriva della disperazione va sempre a destra.

Perché quando la gente è disperata non cerca il conforto nella riflessione, nell’intellighenzia tipica della sinistra, col pensiero intellettuale non si riempie il frigorifero: vuole soluzioni, e si convince che solo una politica autoritaria sia la soluzione.

Se i treni puntualmente e sistematicamente ritardano, la gente si convincerà che per risolvere il problema sia meglio qualcuno che somigli a quello che “quando c’era lui, anche i treni arrivavano in orario”. 

E nel paese degl’ignoranti storici, degli smemorati, nel paese dove la sinistra ha abdicato alla sua funzione di reggere un sistema democratico con la politica dei diritti, del lavoro, dei valori condivisi, “quelli” così troveranno sempre ampi consensi.

E i treni, continueranno a ritardare.

MA

Non siamo in guerra. 
Non c’è stata nessuna presa del palazzo da parte dei generali.

E’ giusto preoccuparsi, non abbassare la guardia, restare vigili ma soprattutto lucidi.
Restare vigili e lucidi significa non ingigantire i fatti di questi giorni, vuol dire esprimersi in base al contesto, non colorandolo di quell’immaginario con cui molti vestono le loro opinioni per affermarle, per tentare di renderle più credibili e vicine alla loro verità.

O, peggio ancora per dire che c’è un solo colpevole: i colpevoli sono tutti quelli che siedono nei palazzi. 

E quelli che c’erano prima lo sono molto di più di quelli che ci sono entrati adesso, quelli che stanno solo approfittando del disordine.

Perché quelli di prima hanno avuto tempo e modi per evitare anche chi poi inevitabilmente avrebbe approfittato del disordine: quello che è mancato è stata la volontà di evitarlo. 
La verità dei fatti non è mai demagogia, ed io non mi presterò mai al gioco di chi vuole farmi credere il contrario della realtà. 
Noi che scriviamo in pubblico abbiamo delle responsabilità, cerchiamo di non dimenticarcelo.

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Tasse, diritti d’autore e smartphone più cari
Così il governo allontana internet dai cittadini

Questi sono più pericolosi dei forconi.
Perché sono quelli che impongono l’ignoranza, la repressione culturale per legge.
A Boccia non darei le chiavi di casa per farmi annaffiare il giardino quando non sono a casa. Qualcuno però gli dà la possibilità di nazionalizzare la Rete, di mettere l’embargo sulla libera diffusione in Rete come vuole la Carta dei diritti europei.  La realtà è che continuano a volersi occupare di cose che gli sono estranee e che per questo temono, una su tutte la Rete. Questa smania della politica di allungare le mani sul web è irresistibile. Mentre le nazioni moderne hanno individuato subito nella Rete una risorsa loro, i nostri miseri politici italiani la vedono solo come l’unico ambito non controllabile e dunque da indebolire con ogni mezzo. 

C’è solo da augurarsi che Boccia riceva in risposta la pernacchia planetaria che si merita. La nazionalizzazione di Internet ci mancava, e chi ci poteva pensare? naturalmente il pd delle larghe intese.

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CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA:
“Articolo 11
Libertà di espressione e d’informazione
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.”

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Video I forconi: ora i militari, lo dice la legge 

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Ci credono. Gli stracciamenti di vesti che ho visto in questi giorni nemmeno quando l’Italia ha perso i mondiali ai rigori. Tutti i preoccupati di una non legge che di fatto non toglie un centesimo agli amati partiti che sennò morirebbero di inedia poverelli, come se non avessero accumulato abbastanza soldi fino ad ora. Magari imparare a spenderli e non a bruciarli dopo averli rubati sarebbe già una soluzione per cui non serve nemmeno una legge.

Non ci ho dormito stanotte.

Pensavo infatti a quale legge e a quale Costituzione appartiene il codicillo che prevede la presa dello stato manu militari come ci ha riferito ieri l’illustrissima esponente dei forconi di Modena: la forchettona ha infatti detto che “in caso di scioglimento delle camere c’è una legge che istituisce una giunta militare per mantenere l’ordine fino a nuove elezioni”.

Perché io mica me la prendo con lei, qui ormai ognuno può dire quello che vuole: me la prendo con la giornalista che l’ha intervistata e che non ha risposto con la frase fatidica che tutto risolverebbe senza creare ansie e preoccupazioni ingiustificate: “scusi, ma che cazzo dice?”

Che, al contrario, stava lì ad ascoltarla come se avesse chissà quali cose interessanti da dire. Che ha trasformato in un’intervista seria il delirio di una sconosciuta ignorantona a cui bastava rispondere con la verità, e cioè che non c’è nessuna legge che prevede una scemenza simile, che, al contrario, la nostra Costituzione è nata esattamente per evitare uno scenario simile a quello descritto dalla scimunita di Modena, quello della dittatura, dell’uomo solo al potere, per impedire la formazione di qualsiasi regime repressivo. Perché la nostra Costituzione è antifascista, nata sulle ceneri di un paese demolito dalla dittatura fascista di mussolini, è stata scritta col sangue di chi è morto per liberare l’Italia dai nazifascisti. Ecco perché su quella Costituzione non possono mettere le mani i cialtroni dell’ultim’ora. Per toccare la Costituzione ci vogliono buone intenzioni, come quelle che avevano i veri Padri di questa sciagurata patria e le mani pulite.

Ecco perché me la prendo con Repubblica che su questa immensa idiozia ci ha montato perfino un video da far circolare, ché non sia mai l’Italia dovesse perdersi le elucubrazioni di una disagiata mentale.  

Qui, più che l’occupazione manu militari si dovrebbe attuare una dis-occupazione, di politici cazzari, del giornalismo cazzaro che esalta il nulla, le balle, le finte riforme, la finta abolizione dei finanziamenti ai partiti con cui si sta facendo bello Letta in queste ore.

Perché se è vero che a tanta gente basta poco per andare dietro all’incantatore, all’illusionista di turno è anche vero che chi deve non fa nulla per la costruzione, per la diffusione di quella verità che renderebbe più difficile il progetto di demolizione della democrazia iniziato vent’anni fa,  grazie a chi ha pensato che il più cazzaro [e delinquente] di tutti fosse una persona seria e affidabile, uno a cui dare la responsabilità di governare l’Italia.

Irresponsabili tutti, la politica che continua col giochino della presa per il culo e il giornalismo che ci sguazza. 

Solo in un paese a maggioranza di imbecilli possono succedere queste cose. Le proteste vere sono quelle viste in Grecia, in sud America, in nord Africa.

Questa dei forconi è una barzelletta oscena.

Giornata mondiale della lotta all’aids

https://i0.wp.com/www.notiziedizona.it/wp-content/uploads/2012/11/Giornata-mondiale-lotta-aids.jpgPreservativo non è una parolaccia
Omosessualità non è una malattia né una devianza.
L’Aids non guarda in faccia nessuno, etero, lesbiche, omosessuali.
Indossare un preservativo come sistema di prevenzione alle malattie e alle gravidanze indesiderate non è una bestemmia come ci ha appena detto il gran visir della menzogna.
La vera bestemmia è consigliare, suggerire, imporre l’astinenza sessuale come metodo, la vera bestemmia è definire contronatura tutto ciò che non fa parte della nostra natura ma di quella degli altri sì, finché non nuoce alla libertà di nessuno.
La vera bestemmia, di fronte alla quale qualsiasi dio inorridirebbe, è che si possa morire di aids a 15 anni.

Oggi è la giornata mondiale della lotta all’aids, ma non bisogna ricordarselo solo un giorno all’anno che l’aids non è stata mai sconfitta, di aids si muore ancora ma se ne parla sempre meno grazie agl’irresponsabili in gonnella, quelli che s’impicciano di tutto meno che dei fatti loro e sono tanti,  quelli che fanno propagande  assurde, irreali e impraticabili  circa la prevenzione ad una malattia seria, che uccide in tutte le parti del mondo  vaneggiando di astinenza sessuale come unico sistema di contrasto al contagio,  alle gravidanze indesiderate  e ai governi di questo paese che si piegano alle censure imposte anche – soprattutto anzi –  dalla volontà degl’invasori d’oltretevere anche in presenza di fatti gravi e di cui bisognerebbe parlare tutti i giorni e non solo nei giorni dedicati.

In questo paese si pubblicizza tutto, veleni, inutilità consumistiche   fuorché – appunto – sistemi e medicinali contraccettivi e l’uso del profilattico.

Frank La Rue, responsabile della libertà di informazione per le Nazioni Unite ha dichiarato che con Monti l’informazione e la libertà di stampa  in questo paese sono  agli stessi infami livelli di quando c’era berlusconi, segno evidente che ai servi e servetti di regime, di qualsiasi regime va benissimo che l’andazzo sia sempre il solito, il consueto, va benissimo che in questo paese si neghi il diritto dei cittadini di essere informati.

Non lasciamoci quindi sedurre e abbindolare da questi professionisti delle menzogne spacciate per fatti reali, da questi maestri nel celare e occultare le cose importanti, quelle che i cittadini devono sapere per potersi formare delle opinioni sane e non indotte dalla propaganda a beneficio delle cose che non esistono, di balle gonfiate a dismisura per far credere che i colpevoli di quello che succede in questo paese siano sempre quelli di prima: i colpevoli, invece, sono anche quelli di adesso.

E lo sono ancora di più visto che qualcuno, con viva e vibrante soddisfazione ce li ha imposti affinché aggiustassero le cose, non certo per finire di sfasciarle.

Altrimenti, che tecnici sarebbero?

Aids, 34 milioni di contagiati nel mondo
Il 10% è under 15. Vaccino? Una chimera

L’immunologo Aiuti: ‘Impossibile fissare una data’. Il microbiologo Silvestri: ‘Ci vorranno 15-20 anni’
    VIDEO – VIAGGIO NELL’HIV: LA PAROLA PRESERVATIVO E’ ANCORA TABU’ (di F. Martelli)

Libertà di stampa, relatore Onu ignorato
“Il governo dei tecnici come quello di B.”
 

Monti - Berlusconi

Frank La Rue, inviato delle Nazioni unite sui diritti dell’informazione ha chiesto a Monti di assistere alla nomina dei membri Agcom. Ma nessuno gli ha risposto. Ora dice: “Serve ispezione completa”.

Ecoballe
TeatroDeServidi Marco Travaglio, 1 dicembre

Fiato alle trombe e ai tromboni, arriva il decreto “salva-Ilva”. Breve riassunto delle puntate precedenti. I giudici di Taranto accertano che, producendo acciaio con gli attuali impianti “a caldo”, l’azienda inquina e uccide; quindi gl’impianti vengono sequestrati e possono restare accesi solo per essere risanati, ma non per produrre altro acciaio, altrimenti il delitto di disastro colposo e omicidio colposo plurimo continua e la magistratura ha il dovere di impedirlo; se e quando gli impianti fuorilegge — l’arma del delitto — saranno finalmente a norma, cioè smetteranno di avvelenare e ammazzare, potranno tornare a produrre. Il governo dice: l’Ilva s’è impegnata a investire subito 4 miliardi (a fronte di 3 miliardi di utili accumulati in 17 anni) per bonificare gli impianti, quindi può riprendere subito a produrre mentre li risana; se poi non mantiene i patti, il governo gliela fa vedere lui e magari sostituisce i Riva con qualcun altro. È un po’ come se ci fosse un maestro pedofilo che ogni giorno molesta i bambini in classe. I giudici lo arrestano per impedirgli di molestarne altri. Ma il governo fa un decreto per rimandarlo a scuola, a patto che nel frattempo si impegni a curarsi: se poi non si cura e continua a molestare bambini, verrà sostituito. Già: e ai genitori dei nuovi bimbi molestati chi glielo spiega? Il decreto salva-Ilva è ancora peggio. Perché nessuno dei contraenti dell’accordo è credibile. Non lo sono i Riva, che si sono impegnati infinite volte a mettere a norma i loro impianti e non l’hanno mai fatto. Non lo è il presidente Bruno Ferrante, prefetto: a luglio il giudice impose il blocco della produzione nelle aree “a caldo” e ora si scopre che quell’ordine fu violato dall’azienda presieduta da Ferrante, che continuò a produrre (dunque a inquinare), tant’è che il gip ha dovuto sequestrare tonnellate di acciaio che non dovrebbero esistere (corpo del reato). A Servizio Pubblico, l’incredibile Clini ha detto che “il presidente Ferrante s’è impegnato”. Me’ cojoni , dicono a Roma. E naturalmente il governo se l’è bevuta (tanto, quando si scoprirà che è l’ennesima truffa, il governo sarà un altro). Ecco, non è credibile neppure il governo. Uno dei registi del decreto è Passera, che ai tempi di Intesa prestava soldi a Riva e lo reclutava per la cordata Alitalia: un ministro super partes. C’è poi la palese incostituzionalità del decreto che dissequestra impianti sequestrati da un gip con un’ordinanza che, in uno Stato di diritto, può essere ribaltata solo al Riesame e in Cassazione. Non a Palazzo Chigi e al Quirinale. Se una porcata del genere l’avesse fatta B., che osò molto ma non al punto di cancellare sentenze per decreto (ci provò con Eluana, ma fu stoppato dal Colle), avremmo le piazze e i giornali pieni di costituzionalisti, giuristi, intellettuali e politici “democratici” sdegnati che sventolano la Costituzione. Invece la fanno Monti e Napolitano, quindi va tutto bene. Corriere : “Decreto del governo per riaprire l’I lva. Monti: coniugare lavoro e salute” ( impossibile: l’Ilva se produce uccide). Repubblica : “Ecco il decreto per l’Ilva. Monti: nessuna polemica coi pm” (infatti cancella l’ordinanza di un gip). Sole 24 Ore: “Ilva, dissequestro per decreto. Monti: nessun contrasto coi magistrati”. Avvenire : “Decreto per salvare l’Ilva ed evitare un flop da 8 miliardi l’anno”. Messaggero : “Monti sull’Ilva: a rischio 8 miliardi”. La Stampa: “Ilva, un garante per ripartire”. Il Foglio : “Il governo tecnico soccorre l’Ilva (e la siderurgia) per decreto”. Libero : “Decreto per riaccendere l’impianto tutelando la salute” (sì, dei Riva). La fu Unità: “Ilva, decreto per salvare 8 miliardi. Tutela della salute e controllo indipendente del risanamento ambientale”. Altro che corrompere i giornalisti: qui ormai c’è chi viene via gratis.Perepè perepè perepè.

Autorità [di controllati e controllori]

Sottotitolo: «La Bbc non mi piace ma non ci posso fare niente» (Margareth Thatcher)

Preambolo:  secondo la legge i commissari delle varie autorità  devono essere autonomi e indipendenti.  E, soprattutto, competenti.

Morale: dopo ogni puntata di Report viene voglia di espatriare, senza fare nemmeno le valigie,  per non portarsi via nemmeno un granello di polvere proveniente da questo paese.

Report – I Garanti del 07/10/2012

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Le authority sono gli organi indipendenti che regolano il mercato.

Come stanno vigilando sulla più grande operazione europea di fusione tra due compagnie di assicurazione, Fondiaria Sai di Ligresti e Unipol di LegaCoop?

I segretari comunali in Italia sono circa 3.000. Dai piccoli comuni alle grandi città tutti devono averne uno. Sono i più importanti dirigenti comunali e il loro ruolo principale è controllare che i provvedimenti varati dalla giunta siano conformi alle leggi. Il loro stipendio è a carico del comune e in molti casi raggiunge cifre così sproporzionate da farli apparire una vera e propria casta. A Camugnano, un piccolo paese di duemila abitanti in provincia di Bologna sommando stipendio base, indennità e rimborsi, il segretario comunale alla fine costa quasi 110 mila euro all’anno. E simile è la situazione in tanti altri comuni. Fino a raggiungere cifre da capogiro, come a Como: il suo segretario nel 2011 ha dichiarato 234mila euro, il doppio dello stipendio base del capo dell’FBI. In tutto gli stipendi dei segretari costano all’amministrazione ogni anno tra i 150 e i 200 milioni di euro, mentre l’agenzia che gestisce il loro albo, sebbene soppressa, continua a costare ogni anni decine di milioni allo Stato.

In Inghilterra  l’interferenza dei governi, e dunque della politica sulla scelta delle varie authority di controllo  significherebbe “un grave danno di immagine”.

E quindi, semplicemente, non interferiscono per non danneggiare – appunto – la loro immagine.
Perché da noi no?
Perché da noi la politica, tutta, e i governi, tutti, non solo interferiscono ma scelgono e propongono ma più che altro impongono direttamente chi dovrà occuparsi di garanzie ed essere quindi imparziale ma che per ovvii motivi di conflitto di interessi [parlando con pardon] non potrà mai essere né garante e né imparziale?

Dopo aver visto l’ennesima puntata voltastomaco di Report ci vorrà un coraggio da leoni alle prossime elezioni [eventuali, ormai siamo nell’ambito infinito delle ipotesi anche per quel che riguarda proprio l’abc della democrazia] a votare per questa politica amica o conoscente assai stretta delle varie cricche che poi infila in ogni dove,  di amici, parenti e conoscenti o semplicemente di persone funzionali al progetto di chi non vuole civilizzare l’Italia né renderla un paese semplicemente normale,  gente  che poi va, per volere della politica, dunque non potendo poi  fare gli interessi dei cittadini che dovrebbero essere tutelati,  a comporre gli istituti di controllo di tutto quello che è proprio e invece il fondamento della democrazia quali sono appunto gli organi che poi devono, dovrebbero anzi, occuparsi di come viene regolato il cosiddetto ‘mercato’, persone chiamate a ideare e realizzare  le regole e che poi devono vigilare affinché vengano poi rispettate in un mercato che dovrebbe, anzi deve essere trasparente, non qualcosa entro cui nascondere e tutelare invece  gl’interessi  privati di chi gestisce quel mercato.

C’è un interrogativo che dovrebbe battere in testa a tutti come un’ossessione, qualcosa che tutti dovremmo ripeterci tutti i giorni come un mantra: perché tutto quello che in altri paesi è semplicemente un’operazione di civiltà democratica qui da noi diventa invece e puntualmente un esercizio di malaffare, di inciuci sottobanco ma che poi mostrano irregolarità così manifeste e palesi  che dovrebbero far resuscitare pure i morti dall’indignazione,  incentivati, promossi, approvati e condivisi perché VOLUTI da chi dovrebbe fare in modo che accada l’esatto contrario ma che invece lavora attivamente affinché lo schifo rimanga schifo e anche un po’ di più.
Per dirla con un esempio che capirebbe anche un bambino di cinque anni, come fa la moglie di Bruno Vespa, dottoressa Iannini di professione magistrato nominata nientemeno che garante della privacy dal governissimo che fa benissimo, a sorvegliare sulle trasmissioni di suo marito?  come fa a controllare che suo marito durante ogni puntata di porta a porta rispetti davvero le regole, così come vorrebbero le regole?
 Perché tutto quello che oltre gl’italici confini è semplicemente normale e quindi si fa, qui da noi è invece impossibile e dunque NON si fa?
E chissà per quale motivo il molto onorevole indagato Corrado Passera si è rifiutato di rispondere alla Gabanelli sebbene lui fosse il ministro più interessato di tutti rispetto all’argomento di cui trattava Report ieri sera.
Per quale motivo in un paese democratico [?] un ministro si può sottrarre, rifiutarsi  di rispondere alle domande di una trasmissione d’inchiesta ben fatta, che non racconta balle, che fa davvero servizio pubblico [incredibilmente proprio nella tv pubblica, quella pagata coi soldi di tutti, non quindi la dependance di una classe politica inguardabile e indecente] e che quindi merita rispetto.
Lo stesso rispetto che poi esigono e pretendono quelle che qualcuno definisce inopinatamente “istituzioni”.
Di cosa e chi non è dato sapere.
27 aprile 2012:  dicono che i partiti sono morti ma dall’appettito che hanno sembrano vivissimi come nel racconto di Edgar Allan Poe dove il cadavere apparente gratta da dentro la bara. Infatti continuano a lottizzare tutto, perfino le Autorità indipendenti che essendo indipendenti non dovrebbero avere niente a che fare con i partiti. Tanto tutti li credono morti e si preparano alla prossima abbuffata.
Secondo la legge i commissari dell’autorità per le telecomunicazioni devono essere autonomi e indipendenti.
Michele Santoro racconta Antonio Martusciello.

Un paese senza regole

Sottotitolo;  D’Alema: “noi siamo gli aggrediti, non siamo gli aggressori”.

No, voi siete degli incapaci consapevoli, complici di un sistema che ha portato il paese al fallimento, economico, morale, etico, trasformando l’Italia in un caravanserraglio senza regole,  le uniche che valgono sono quelle che si è cucita addosso la politica in sessant’anni di repubblica per rendersi inamovibile, tutte le altre si possono ignorare, aggirare:  le cose sono più semplici di quello che sembrano.

Se i politici, di destra, di centro e di sinistra avessero usato un terzo delle energie che stanno impiegando contro Grillo e il Movimento dei cinque stelle  impedendo a berlusconi l’ascesa in politica con quei sistemi democratici che i costituenti di sessant’anni fa avevano previsto e messo su Carta, o contrastandone le azioni una volta fatto il danno oggi probabilmente staremmo parlando tutti di altro, forse e perché no, di politica.

L’ultima cosa che ha fatto berlusconi da presidente del consiglio prima di dare le dimissioni per il bene del paese e cioè il suo è stata riunirsi coi figli, il socio in affari e malaffari Confalonieri e Ghedini per escogitare il piano che avrebbe ridotto le inevitabili conseguenze sulla “robba”, la sua, ecco, questo chiarisce bene il concetto di “conflitto di interessi”.

 Purtroppo però in Italia i conflitti non riguardano solo berlusconi né tantomeno, come ci raccontano le cronache giudiziarie tutti i giorni,  gli interessi, non conviene a nessuno risolvere l’anomalia berlusconi in Italia.

Meglio lamentarsi poi dell’occupazione delle tv, della disparità di mezzi in campagna elettorale, di un  paese destabilizzato e rincoglionito dalle tv, vaneggiare e delirare che berlusconi vince le elezioni perché ha i giornali e le tivvù e poi non fare un cazzo per togliergli i giornali e le tivvù:  nessuno in tutti questi anni lo ha mai obbligato a fare una scelta fra la politica e l’imprenditoria visto che le due cose in un paese civile e democratico non possono coincidere, il controllato non può fare il controllore; ed è  inutile parlare di degenerazione oggi come ha fatto Bersani riguardo la probabile ricandidatura di berlusconi, Bersani fa parte di  un centrosinistra  che non è in parlamento dall’altra settimana,  lui come tanti altri, tutti quelli della sua parte politica hanno  partecipato attivamente alla degenerazione non avendo mai fatto nulla per togliere potere ad un uomo solo con gli strumenti che una democrazia mette a disposizione.

Per permettere a berlusconi di entrare in parlamento E’ STATA VIOLATA LA LEGGE,  quell’articolo della Costituzione che impedisce ai possessori di media di poter intraprendere carriere politiche, e a farlo è stata PROPRIO  la politica, quelle istituzioni che invece avrebbero dovuto garantire per tutti gli italiani, non per uno solo come invece hanno continuato a fare in questi ultimi vent’anni consentendogli TUTTO,  soprattutto di fregarsene di leggi e regole, di potersi riparare dietro l’immunità per mezzo di leggi fatte su misura per lui rendendolo inattaccabile e impunibile.

Senza una legge sul conflitto di interessi è inutile mantenere questo esercito di finti controllori, tipo l’antitrust, tipo l’agcom, che dovrebbero essere istituzioni “terze” ma  nulla fanno se non glielo ordina la politica perché chi le compone è scelto dalla politica, di destra, di centro e di sinistra.

In un paese NORMALE è altrettanto NORMALE che si regoli il mercato televisivo e delle comunicazioni non permettendo ad una persona sola di prendere possesso di troppa roba, così come è altrettanto NORMALE che non si conceda l’ascesa politica ai possessori di media e TV, specialmente poi se lo dice anche la legge. 
In un paese NORMALE. 
Appunto. 
Chi non ha capito che il problema più grave di questo paese in questi ultimi [quasi] vent’anni è stato proprio la mancanza di una legge seria sul conflitto di interessi, con buona pace di Violante il mediatore e di Fassino, il quale disse che una legge così “non dà da mangiare”, non ha capito NULLA.

E pensare che c’è qualche emerito DEFICIENTE che pensa sia meglio privatizzare la Rai, ché così sarebbe più libera.

Massì, fategli comprare pure la7 al farabutto, mica per niente, solo per il gusto poi di sentire i piagnucolii della cosiddetta opposizione quando si lamenta che  occupa le tv.

 
 L’azienda del biscione è interessata all’acquisto della rete che ospiterà Santoro.
TelecomMedia
Marco Travaglio, 16 settembre
Toh, Mediaset vuole comprarsi La7 da Telecom Italia Media. Direttamente o tramite una testa di legno. Chi l’avrebbe mai detto. Alla vigilia della campagna elettorale in cui si gioca tutto come nel

 ’94, B. vorrebbe neutralizzare la riserva indiana in cui si sono rifugiati gli artisti e i giornalisti cacciati da Mediaset e Rai. Ma sarebbe una notizia se non volesse farlo: vorrebbe dire che non è più lui. Invece è sempre lui, dunque non c’è notizia. Infatti gli unici a stupirsene sono quelli che lo davano per morto, anzi trovavano comodo darlo per morto. Per rimuovere il problema, evitare esami di coscienza e nascondere un fatto imbarazzante: cioè che da nove mesi governano con lui. Stiamo parlando del Pd, dell’Udc, dei fan acritici del governo Monti e dei loro house organ. Avete mai sentito le parole “antitrust” e “conflitto d’interessi” nelle bocche capienti di Bersani, Renzi (il suo spin doctor è Giorgio Gori e ci siamo capiti), Casini, ma pure Vendola? Le avete più lette su Corriere, Stampa, Repubblica, Unità? Nominarle significa infrangere un tabù, agitare il drappo rosso dinanzi al Caimano, rinfocolare l’antiberlusconismo (non sia mai), turbare la quiete dei tecnici. E resuscitare vecchi interrogativi che è meglio lasciar sepolti: perché il centrosinistra nel biennio 2006-2008 e il governo tecnico da novembre a oggi non han neppure tentato di riformare la legge Gasparri? Troppo pericoloso, meglio lasciar perdere. L’ultimo a parlarne, a parte noi del Fatto e il solito Di Pietro, fu Beppe Grillo nel V-Day del 2008, quando lanciò un referendum (poi bocciato dalla Cassazione) contro la Gasparri: il solito populista antipolitico che fa il gioco della destra. Mica come il compagno Violante, che nel 1995 confessò alla Camera di aver “garantito a Berlusconi e Letta che non gli sarebbero state toccate le tv”. Ora la questione non è se B. riuscirà a papparsi La7 (ovviamente per spegnere un piccolo ma pericoloso concorrente delle sue reti e soprattutto un focolaio d’infezione, cioè di informazione più libera o meno asservita del lazzaretto Raiset): se non lo farà, sarà solo perché il suo gruppo è alla canna del gas. La questione è che, a norma di legge Gasparri, potrebbe farlo. Lo spiega, sul sito del Fatto, Nicola D’Angelo, già membro Agcom: “In base all’art. 43 della Gasparri, Mediaset può acquistare La7 in quanto il limite antitrust è che nessun soggetto può avere ricavi superiori al 20% del sistema integrato delle comunicazioni (Sic). Nel calderone infinito del Sic, Mediaset detiene circa il 13%” e anche con La7 resterebbe sotto il tetto. Anche perché la pubblicità non è computabile nel Sic. Del resto, nel 2007, quando Tronchetti-Provera annunciò di voler vendere Telecom (con La7 in pancia) a una cordata messican-americana, il centrosinistra riattaccò la litania dell'”italianità” da difendere, anche a costo di darla a Mediaset, magari in tandem con l’amico Colaninno. Disse Fassino: “Mediaset è un operatore del settore, quindi può fare un’offerta”. Il Foglio svelò “incoraggiamenti dalemiani” a B. tramite il solito Latorre. Entusiasta, ma che sorpresa, anche Violante: “C’è un Berlusconi imprenditore e un Berlusconi politico: se, come imprenditore, investe le sue risorse in un settore di importanza strategica per il nostro Paese, non ci trovo niente di male”. Il 19 aprile B. accolse l’invito all’ultimo congresso Ds di Firenze e naturalmente parlò d’affari, i suoi: “Mediaset è pronta a entrare in Telecom per difenderne l’italianità… Siamo stati richiesti: il mio è un atto di generosità patriottica”. Poi, siccome era all’opposizione, propose un bel governo di larghe intese. E nessuno osò contestarlo. Poi Telecom finì alla cordata italo-spagnola Intesa- Mediobanca-Telefònica.  Ora che Mediaset ci riprova, stupisce soltanto lo stupore dell’Unità, che titola sdegnata “Amici di Berlusconi su La7” e lancia l’allarme per “il pluralismo informativo”. 
Ma mi faccia il piacere.

Commissario “tecnico”

Sottotitolo:  ai tempi di Giordano Bruno non c’erano ancora i bei sistemi di censura democratica che abbiamo oggi. Fosse vissuto in questo bel tempo moderno non ci sarebbe stato bisogno nemmeno di inchiodargli la mandibola e bruciarlo vivo: bastava una leggina bavaglio.

Non v’è chi non veda che dopo i casi Regione Lombardia, Ilva, Mancino-Quirinale, la priorità della giustizia in Italia è la riforma delle intercettazioni. Ma se qualcuno si fosse distratto, ci ha pensato ieri il commissario tecnico Mario Monti a ricordarlo. Insomma: anziché prevenire gli scandali, si continua a preferire prevenire le indagini sugli scandali. Ovvero: quando fra ammirata tecnica e pessima politica non c’è differenza. [Piero Ricca]

Monti annuncia un intervento del governo sulle intercettazioni. “Il caso Napolitano è grave” (leggi)

Scorte di Stato: una spesa da 250 milioni di euro. Ecco quelle “eterne”

La vicenda delle guardie del corpo di Fini in vacanza ha consentito di riaprire la questione del costo della protezione offerta dallo Stato a circa 600 personalità italiane sotto tutela. Un reparto che impegna circa 4 mila uomini e 2mila macchine.

Giusto per rispondere al professor Monti;  se qualcuno vuole il 50% di quello che guadagno senza fare nulla, senza svegliarsi alle sei di mattina, senza macinare migliaia di chilometri ogni anno, senza salire su un ponteggio sotto la pioggia e con quaranta gradi all’ombra, senza saltare i pasti per non sacrificare tempo al lavoro nel mio linguaggio si chiama magnaccia,  se a farlo è lo stato che poi non restituisce nulla in termini di servizi e strutture ma, al contrario toglie diritti, toglie sicurezza ai lavoratori,  toglie e taglia sulle necessità che i cittadini si pagano anticipatamente proprio con le tasse significa che a gestire lo stato fino ad ora sono stati e sono degli emeriti incapaci, disonesti e delinquenti.

Con una pressione fiscale come quella che hanno sempre imposto i governi di tutti i colori questo paese dovrebbe viaggiare come una barca a vela col vento a favore. Ma è chiaro che se, ad oggi, ancora si spendono 250 milioni di euro solo per le scorte, se i cittadini italiani sono obbligati a sovvenzionare con le loro tasse benefit e privilegi ai politici, alle varie caste e sottocaste  come non si fa in nessun altro paese democratico al mondo, se un sottosegretario italiano guadagna quando il presidente degli Stati Uniti a me pare ridicolo che si dia la colpa di tutto all’evasione fiscale.

Per una questione d’immagine, poi.

E già che ci sono ripropongo la domanda che avevo fatto qualche mese fa aggiornata ai fatti di oggi:  è normale che un governo si debba occupare, in un momento tragico come questo, di intercettazioni, è normale che un presidente della repubblica apra uno scontro feroce con la Magistratura,  è normale un governo di uno stato democratico [si fa per dire] che fa la voce grossa coi cittadini onesti,  è normale imporre ai cittadini di dimostrare la propria innocenza – con un centinaio, contati male,  di pregiudicati presenti in parlamento per i quali non è prevista nessuna legge speciale finalizzata a spazzarli via – utilizzando sistemi fascisti, da comunismo sovietico facendo leva sulla debolezza dell’italiano piccino che è ancora convinto che combattere l’evasione significhi andare a controllare e sanzionare il barista che non rilascia lo scontrino del caffè perché, poverino, non sa o fa finta di non sapere che i grandi evasori, quelli che lo stato e i governi di tutti i colori hanno sempre protetto, hanno sistemato i loro patrimoni in altre sedi altrove da qui e che nessun governo italiano di nessun colore li andrà mai a controllare, disturbare né tanto meno, intimorire

Intercettazioni, quando la politica vuole il bavaglio. Dai ‘furbetti’ alla Trattativa

Da destra a sinistra ogni volta che un politico è stato intercettato si è gridato allo scandalo. Commissioni di inchiesta e disegni di legge, la regolamentazione della questione ha messo sempre d’accordo tutti. Ultimo capitolo: il deposito del capo dello Stato di un ricorso alla Consulta. Ecco una cronologia dai “furbetti del quartierino” a oggi.

ZAGREBELSKY AL COLLE: “NO A CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE, BASTA LA LEGGE”

I Monti non tornano –  Marco Travaglio, 18 agosto
Vi eravate mai accorti che “siamo in stato di guerra” contro gli evasori fiscali? No? Ora lo sapete: lo rivela dall’Engadina Mario Monti. Il sospetto è che ci creda poco anche lui, se per l’annuncio ha scelto il settimanale formigoniano Tempi, un modo come un altro per entrare in clandestinità. Sia come sia, il premier ha scoperto che l’evasione “produce un grosso danno”, e sapete perché? Non perché sottrae ogni anno alle casse dello Stato 150 miliardi di euro, costringendo i soliti fessi a pagare al posto di chi non paga. Bensì perché guasta “la percezione del Paese all’estero: la notorietà pubblica del nostro alto tasso di evasione contribuisce molto a indisporre nei confronti dell’Italia quei Paesi da cui potremmo aver bisogno di assistenza finanziaria”, perché “dicono: l’Italia ha un fortissimo debito pubblico che magari richiederà domani di aiutarla a rinnovare; eppure ci sono italiani ricchi o medi che non pagano le tasse”. Cioè: l’evasione non è un male in sé, ma perché si viene a sapere in giro e ci rovina l’immagine. L’importante, comunque, è che ora Monti dichiari “lo stato di guerra” e preannunci “strumenti forti”. À la guerre comme à la guerre. La prima misura draconiana è la conferma di Corrado Passera, indagato per frode fiscale, come ministro dello Sviluppo economico, Infrastrutture, Trasporti, Comunicazioni, Industria e Marina mercantile. Una cura omeopatica. Di fare una legge che mandi in galera gli evasori fiscali, come in tutti i paesi che sono in guerra contro l’evasione o non lo sono più perché l’hanno vinta, non se ne parla neanche. E tantomeno di approvare la legge anticorruzione, ormai dispersa nei cassetti del Parlamento. L’unica vera guerra dei grandi partiti, e dei tecnici al seguito, è quella ai magistrati. Infatti, sempre al samizdat ciellino, Monti confida un’altra scoperta sensazionale: le intercettazioni indirette di Napolitano sul telefono di Mancino nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia sono “episodi gravi”. Purtroppo non spiega perché “gravi”. Perché uno Stato non tratta con la mafia e, nel caso in cui venga scoperto a trattare, il Capo dello Stato non parla al telefono con chi è coinvolto nelle indagini? Perché Mancino ha trascinato il Quirinale nel fango delle sue beghe processuali? O perché i pm hanno stralciato le telefonate Napolitano-Mancino ritenendole irrilevanti, in attesa che il gip ne decida la distruzione dopo averle fatte ascoltare agli avvocati? Se, come sembra, la risposta giusta è la 3, Monti è fortunato, casca male: propri ieri su Repubblica il presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky ha spiegato che i pm di Palermo hanno applicato la legge e l’unica cosa grave è il conflitto di attribuzioni scatenato dal Quirinale contro di loro. Sfugge comunque il nesso fra tutto ciò e il preannuncio di un'”iniziativa del governo” con “novità legislative” in materia perché “è evidente a tutti che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi”.  Ecco, siccome per noi questi “abusi” non sono affatto “evidenti”, gli saremmo grati se ce li volesse illustrare con nomi, cognomi e indirizzi: quali magistrati li hanno commessi, e quando, e dove e perché. Siccome poi chi abusa di intercettazioni commette reato e illecito disciplinare, e il ministro della Giustizia è titolare dell’azione disciplinare, può spiegarci il prof. Monti perché la signora Severino non ne ha avviata alcuna contro i magistrati autori dei presunti abusi? Delle due l’una: o questi abusi non esistono, e allora il premier farà bene a ritirare la sua generica denuncia; oppure esistono, dunque le norme attuali già li prevedono e li sanzionano (altrimenti non sarebbero abusi), e allora che bisogno c’è di una nuova legge per punire ciò che è già punito? È sicuro il premier di sapere quel che dice?  E, se no, perché non tiene la bocca chiusa?
 
 
 

Li manda Picone

Chi aveva il timore  che Monti non si sarebbe occupato della Rai come aveva promesso a Che tempo che fa può smettere di preoccuparsi. E anche di indignarsi a tempo scaduto.

Perché questo è l’unico modo con cui Monti si è occupato, si occupa e si occuperà di tutto.   Affidare tutto ai suoi simili trasformando così tutti i settori importanti di questo paese in tante piccole dittature bancarie.

Quindi, indignarsi è inutile, varrebbe la pena chiedersi piuttosto fin dove a questo signore sarà concesso di arrivare: questa è la vera preoccupazione.

Almeno la mia sì perché faccio fatica a pensare e a credere che solo adesso l’interesse sia quello di far prevalere il profitto, il controllo del bilancio rispetto ad arte, cultura, scienza, informazione e tutto quello che un vero servizio pubblico dovrebbe garantire dopo aver permesso agli stessi funzionari di quell’azienda che oggi si vuole, si deve a tutti i costi salvare,  di fare terra bruciata intorno a queste cose per favorire un delinquente abusivo e i  suoi interessi.  
Ma la politica dov’era, dove è stata in tutto questo tempo? dov’era la politica che avrebbe dovuto contrastare, abbattere, l’enorme conflitto di interessi in cui stiamo annegando tutti?

Grande lettitudine
Marco Travaglio, 10 giugno

 
Dunque, per la gran parte dei giornali, con la nomina di madama Tarantola alla presidenza della “nuova ” Rai e l’indicazione di Gubitosi alla direzione generale, Monti avrebbe scelto “due alieni”, compiuto “un salto di qualità”, percorso “una strada diversa” e “inedita”, “non contaminata dalla lottizzazione”, con “un pacchetto a prova di interferenze politiche”, lanciando “una sfida ai partiti alleati” per “piegarne la resistenza” e “metterli davanti alle loro responsabilità” (Corriere della Sera), “voltando pagina” con la “rivoluzione dei tecnici” (Repubblica), addirittura “cercando l’incidente” coi partiti ignari, scavalcati e dunque furibondi (il Giornale).
Seguono ritratti-soffietto dei due prescelti: la Tarantola sarebbe
“la Thatcher di Bankitalia” (il Giornale), “una lady di ferro” (Repubblica), tutta “disciplina e rigore” (La Stampa), “la signora della vigilanza bancaria” (Corriere); e Gubitosi “il super manager che ama gli scacchi”, “di fede romanista” (Corriere), “schivo ” e di “stile sobrio”, visto che “preferisce il volontariato ai salotti” (La Stampa). Curiosamente, in questo festival della saliva e dell’incenso, è sfuggito a tutti (fuorché al nostro giornale) che la vigilante di Bankitalia s’era lasciata sfuggire sotto il naso le prime imprese truffalde di Gianpiero Fiorani, anche perché legatissima allo sgovernatore Fazio. Ed è pure sfuggito a tutti (fuorché al Fatto ) ciò che scrisse Giovanni Pons un anno fa su Repubblica, e cioè che Gubitosi, vicino all’Opus Dei, “si è fatto presentare al potente sottosegretario Gianni Letta da Luigi Bisignani”, noto piduista e pregiudicato per la maxitangente Enimont da lui riciclata allo Ior, di lì a poco coinvolto nello scandalo P4 per il quale patteggerà 1 anno e 7 mesi di reclusione. Ed è pure sfuggita l’indagine della Procura di Roma che ipotizzava una mega-mazzetta per la vendita di Wind dall’Enel al magnate egiziano Sawiris, operazione in cui si fece il nome di Bisignani in cabina di regia e che fruttò a Gubitosi, all’epoca direttore finanziario di Wind, un’accusa di corruzione poi archiviata perché nessun paese straniero rispose alle rogatorie entro i termini massimi consentiti per indagare. Lasciamo stare gli eventuali reati, che qui non interessano, e concentriamoci sulle amicizie: in un paese normale chi fosse accostato al nome di Bisignani si affretterebbe a smentire, oppure diverrebbe un appestato. In Italia invece la bisignanitudine, così come la lettitudine, fa curriculum. Basta contare i ministri e alti papaveri nominati o conservati al loroposto che hanno avuto e/o hanno rapporti con Letta e Bisignani. Altro che “alieni”, altro che “tecnici”, altro che “meritocrazia”, altro che “sfida ” all’establishment. Tutto continua ad avvenire nelle segrete stanze, all’ombra dei grembiulini e delle tonache color porpora. Fanno quasi tenerezza Santoro e Freccero, che avevano inviato a Monti i loro curricula grondanti di medaglie e di esperienze in fatto di tv: l’aver ideato e condotto programmi di grande successo e diretto reti televisive in Italia e all’estero con risultati eccellenti, lungi dall’essere un merito, è una colpa. Sotto i governi politici come sotto quelli tecnici,che ne sono la prosecuzione con altri mezzi, anzi con gli stessi.
Perché qui, prim’ancora che di nomi, è questione di metodo. La miss Marple uscita dai caveau di Bankitalia e il manager sbucato da quelli di Bank of America-Merrill Lynch, oltre a non distinguere un televisore da un paracarro, sono stati calati dall’alto, fatti scegliere – si dice – a una società inglese di cacciatori di teste (di cavolo) che mai li avrebbe messi a dirigere la Bbc, o France 2 o l’Rtf francese. Perché nel mondo civile prima viene il curriculum con le competenze specifiche, poi arriva la nomina.

Qui invece prima arriva la nomina e poi il curriculum, peraltro privo di competenze specifiche.

Un foglio bianco, con in calce una scritta in piccolo: “Mi manda l’Opus”, “Mi manda Bisi”, “Mi manda Gianni”.

Nomine_Rai

Sottotitolo:  Federico intervista suo padre Bruno.
Vespa (senior) difende la moglie Augusta Iannini (magistrato,  ma con la quale parla poco, altrimenti si sarebbe fatto spiegare la differenza fra assoluzione e prescrizione visto che spesso fa confusione, specie quando si tratta di andreotti e berlusconi ), abituée di casa berlusconi dove si recava per fornire la sua preziosa consulenza (una di quelle che evidentemente le hanno arricchito oltremodo il curriculum) in materia di leggi “ad personam”.
La patetica gag avviene in quel di RTL 102.5 dove lavora il Vespa (junior) che quindi viene pagato dal gruppo di berlusconi.
Ma naturalmente è tutto “italianamente” a posto.

Non ci dobbiamo ancora preoccupare.

Rai, Agcom e Privacy, si chiude la partita.

 

Rai, Monti sceglie Anna Maria Tarantola

Anna Maria Tarantola  è vicedirettore generale della Banca d’Italia e si occuperà soprattutto dei conti del servizio pubblico.

Luigi Gubitosi, vicino all’ Opus dei  si è fatto presentare al potente sottosegretario Gianni Letta da  Luigi Bisignani.

 

 

«MONTI HA UNA BANCA AL POSTO DEL CERVELLO»:

L’intervista esclusiva di Michele Santoro a “Il Manifesto”

 
Le nomine rivelano che Pd e Berlusconi sono legati dal conflitto di interessi. I nomi di Monti sulla Rai dicono che il governo ha una banca al posto del cervello. Grillo? I partiti personali non mi sono mai piaciuti
Quelli che non cambiano e non ascoltano la società
di Norma Rangeri

All’indomani della clamorosa sceneggiata delle Authority, alla vigilia del rinnovo del Cda della Rai, Michele Santoro saluta il pubblico del suo programma sperimentale e fa un bilancio. Numeri buoni sui quali poggiare il futuro, nonostante l’indifferenza della politica (leggi del Pd), nonostante l’incuranza (leggi sufficienza) di Monti. L’intervista può cominciare da qui.

Cos’è questa storia dei ministri consigliati di non partecipare al tuo programma?
I Berlusconi passano, i vizi restano. Lo ripeto:Monti parla di efficienza, innovazione, modernizzazione, creatività, merito e non ha mai messo piede qui, invitando i ministri a fare altrettanto.
Professori ubbidienti come scolaretti. Niente di nuovo, anche Prodi preferiva il salotto di Vespa. Bersani però è sceso nella tua arena.
Sì, ma a un certo punto anche quelli del Pd hanno cominciato a disertare.
Anche noi del «manifesto» abbiamo chiesto a Bersani di potergli rivolgere qualche domanda. Non ha mai risposto.
Quelli del Pd hanno ereditato risorse straordinarie di sacrifici, battaglie, lotte. Non è che D’Alema e Bersani affrontano l’elettorato forti soltanto della loro credibilità personale, lo affrontano anche perché hanno ereditato un pezzo importante di Botteghe Oscure. Senza quella storia sarebbero niente. Se non si confrontano, se non si aprono, sono irresponsabili di fronte alle responsabilità della storia. La leadership non è solo un diritto, è anche un dovere. Io credo nel dialogo critico. Volevo fare anche con voi del manifesto un convegno quando si stava concludendo la stagione di Annozero. Per parlare di quel che si poteva fare sulla libertà di informazione, per discutere con la sinistra di quale offerta politica. E magari, per una volta, loro a sedere per ascoltare come ha fatto Obama. Ma non ascoltano niente, non guardano la televisione, non sentono quello che dice Grillo, snobbano tutto. È insopportabile. E oggi non sono nemmeno seduti sul 35 per cento dei voti come in passato.
Bersani dice che il Pd ha vinto e adesso impazza il dibattito sulle liste civiche, già ribattezzate ciniche, per tentare un argine a Grillo e al grillismo.
Se sono operazioni di facciata, o di un giornale, aumentano la confusione. Bisognerà trovare un modo per sottrarre questo dibattito sul futuro a scelte di tipo organizzativo. Ecco perché non posso accettare la vulgata del «sono tutti uguali». I partiti personali non mi sono mai piaciuti. All’inizio dell’ultima puntata di Servizio Pubblico ho accennato alcune note di Bandiera Rossa, il contrario dell’idea di un uomo solo al comando. E poi c’è eresia e eresia… Rossana Rossanda ha esercitato l’eresia rispetto al Pci con grande responsabilità sentendosi parte di una vicenda più grande.
Non c’è contraddizione con la tua passione per Grillo?
Ma Grillo è forte su alcune questioni, sul conflitto di interessi, sulla democrazia economica, sull’ambientalismo. Per il resto la sua forza deriva dalla debolezza e dalla vigliaccheria degli altri che saranno responsabili del vuoto che si aprirà quando Grillo seguirà la sorte degli altri partiti personali.
Ora però, sulla Rai, Bersani promette che non parteciperà alla spartizione e sprona Monti a fare nomi credibili e indipendenti. Tutto bene?
Intanto ha già partecipato. Più che sceneggiare l’Aventino e dire non entreremo nella spartizione, per essere credibili dovrebbero spogliarsi di quello che hanno e generare una crisi. E poi chiedo: la governance è l’unica chiave? Perché non mettono in campo qualche idea di servizio pubblico? Se il governo proponesse tre nomi di altissimo profilo, scelti con un meccanismo trasparente (quel che chiedevamo io e Freccero), i partiti dovrebbero adeguarsi.
Mentre stiamo finendo l’intervista arrivano le nomine del governo. Il presidente è la vicedirettrice di Bankitalia, Anna Maria Tarantola. Direttore generale Luigi Gubitosi (ex Wind). Per Freccero «due marziani». Per te?
Regole nuove per indicare i nomi: zero. Fantasia: zero. Mi pare che Monti abbia una banca al posto del cervello.
Seppure a parole, però, il Pd ha sposato la linea del «fuori i partiti dalla Rai».
No. Parlano solo di governance e dunque lasciano a Monti l’iniziativa. Dovevano essere loro a provocare questo cambiamento. È giusto che un programma come Servizio Pubblico, così condiviso, sia fuori dalla Rai? Parole chiare non le hanno mai dette.
Se Berlusconi ha perso e il Pd non ha vinto forse è perché non ha mai sciolto davvero il nodo del conflitto di interessi?
Sono d’accordo con il giudizio severo di Arturo Parisi: il Pd è immerso nel conflitto di interessi che lo unisce a
Berlusconi. Le nomine alle Authority rivelano un sistema che lega Berlusconi ai suoi avversari, con l’acquiescenza di Monti e il silenzio del Quirinale.
Perché tanta sordità alle voci della società? Capisco l’orgoglio per questo anno di lavoro, ma anche ma anche tu constati che siete rimasti quelli che eravate. Per ottenere qualcosa bisogna fare un partito?
Quelli che hanno dato vita a Servizio Pubblico sono la società civile nella definizione gramsciana, sono la società che si organizza, è una partecipazione dal basso. Trovo assurdo che di fronte alla risposta insignificante della politica, per far valere le ragioni di questo pezzo di società si debba fare un partito. Già vediamo le conseguenze: la frammentazione è il primo nefasto effetto. E guarda che questo si riflette anche nella televisione.
Quasi una simmetria, un gioco di specchi: la perdita pesante di ascolto delle tv generaliste (Rai1 e Canale5) sembra correre in parallelo a quella dei due maggiori partiti. Le due reti oggi, sommate insieme, fanno l’audience che ieri aveva una sola. Così come oggi Pd e Pdl hanno una percentuale elettorale che ieri avevano singolarmente. La tv è politica.
L’audience di Rai e Mediaset è crollata ma il pubblico è andato su un’offerta moltiplicata e, in ambito televisivo, la frammentazione non è solo negativa, rappresenta l’esplosione di domande prima soffocate. Tuttavia non è la trasformazione virtuosa di un patrimonio industriale, è piuttosto la crisi di un sistema che cerca di conservare l’esistente. Siamo alla morte del servizio pubblico, perché oltre un certo limite, il calo di audience significa abolire il servizio pubblico.
Che, invece, in un momento di crisi economica, di debolezza culturale potrebbe alimentare il cambiamento. In fondo l’industria televisiva e quella del cinema sono un asset strutturale di prima grandezza.
Eppure la fiction ha avuto una fortissima riduzione di budget. È come dire: rinuncio alla mia identità. La Bbc ha prodotto We want sex, le tv americane indipendenti sondano, riflettono le questioni sociali, costruiscono figure di riferimento. Se l’immaginario gioca un ruolo di primo piano allora i nostri eroi popolari dove sono? Noi siamo fermi alla Piovra. O vogliamo parlare della crisi Cinecittà? Il servizio pubblico dovrebbe fare quello che il mercato non fa. Questi tecnici come vogliono modernizzare il paese, con la riforma delle pensioni? La loro idea di società è patetica. La televisione potrebbe essere uno stimolo straordinario, non solo sul piano valoriale, ma anche nel reperimento di risorse. Siamo arrivati al punto che per fare un film il regista deve contrattare anche il cast secondo le indicazioni dei partiti. E guarda Mediaset, un altro malato grave, colpita da questo blob invasivo che pervade tutto.
Da 1 a 10, un pronostico sulla possibilità della Rai di cambiare, e tu di ritornare a viale Mazzini Direi molto bassa, prevedo una gestione di basso profilo, magari mascherata da televisione di qualità, queste balle che poi ci raccontano…
E tu in Rai che faresti?
Darei un profilo forte alle reti maggiori e poi, come dice Freccero, stabilirei un sistema di relazioni con le reti tematiche. L’omologazione non ha pagato. Guarda che cosa è successo alla radio del servizio pubblico, ha perso il primato e molti punti nella classifica delle emittenti.
Andrai a La7 o a Sky?
Qualunque scelta noi facciamo sul piano editoriale, la sottoporremo alla nostra lista di sostenitori. Ti dò qualche numero. Dieci euro donate da centomila persone per un milione di euro, appena sufficiente per quattro puntate, che, invece, sono arrivate a ventisette grazie ai sette milioni di euro di raccolta pubblicitaria. Il sette per cento di ascolti, battendo, nei tempi di sovrapposizione, i programmi di La7, Raitre, Rete4, quasi sempre anche Raidue, spesso Italia1. Un milione e mezzo di accessi sul web e cinquecentomila utenti unici. Il programma più visto in streaming. Oggi una comunità di 25mila donatori (e il 10 per cento sono inglesi) coinvolta nelle scelte editoriali future. Per cominciare faremo un Premio per giovani Reporter.
Chi sono i soci più importanti e Servizio Pubblico dove finirà?
Il socio editoriale più importante, dopo di me, è l’Associazione Servizio Pubblico che gestisce le donazioni. Poi c’è anche il Fatto. Andremo dove avremo una vita più tranquilla. Navigare a vista di puntata in puntata è dura, sono contento di averlo fatto per un anno ma la situazione economica potrebbe peggiorare, si annuncia un anno orribile dal punto di vista pubblicitario, potremmo trovarci sulle spalle anche milioni di euro. Sceglieremo l’editore che ci farà un’offerta, ma resteremo un gruppo indipendente.
Nell’ultima puntata, verso mezzanotte avevate ricevuto un flusso di nuove donazioni.
È il nostro editore. Finché siamo un “noi” Servizio Pubblico può continuare.

Questa, la paghiamo TUTTI

Sottotitolo: La sintesi dei numeri è questa: Rete 4 ha guadagnato grazie a leggi ad personam oltre 2 miliardi di euro ed a noi tocca pagare, di tasca nostra, oltre dieci milioni di euro.L’auspicio è ora che la Corte dei Conti chiami Ministri e burocrati responsabili di questo scempio, a rispondere del danno che, per favorire il signore della Tv, hanno prodotto al Paese. Ad un tempo, c’è da augurarsi, che la vicenda valga a far comprendere a tutti quanto grave e scellerato sia stato il gesto compiuto ieri dai Partiti, nel dar vita, ancora una volta, ad un’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che difficilmente – viste le sue origini – potrà dar prova di reale indipendenza nei prossimi sette anni. [Il Fatto Quotidiano]

Tv, Corte europea condanna Italia a pagare 10 milioni a Di Stefano per Europa 7

Dieci milioni di euro. L’Italia paga il conto di Rete4

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per non avere concesso per dieci anni le frequenze all’emittente televisiva Europa 7 di Francescantonio Di Stefano. La Corte ha riconosciuto all’imprenditore 10 milioni di euro per danni materiali e morali contro una richiesta di due miliardi di euro. L’imprenditore, da anni, si batte, a suon di carte bollate, per farsi riconoscere i suoi diritti. Dopo aver vinto la gara per l’assegnazione delle frequenze ormai dieci anni fa, spendendo circa 15 milioni di euro per mettere insieme gli studi più grandi d’Europa, ma Rete 4 destinata al satellite è tuttora in onda. 

Un po’ di storia sulla vicenda:  Il signore che rubò una televisione, anzi due- 25 Maggio 2003


Il primo aprile scorso il governo Prodi ha varato un decreto legge destinato a recepire tutte le sentenze della Corte di Giustizia europea. Dal pacchetto, però, resta fuori la pronuncia del 31 gennaio 2008, che boccia senza appello le leggi italiane sulla televisione. Il motivo? Dal 1999 Rete 4 va in onda senza concessione. Mentre Europa7, che una concessione ce l’ha, è ferma al palo, visto che il Biscione ha fatto il pieno di frequenze. Se la sentenza sulla tv è l’unica a non essere accolta, spiega Emma Bonino, è “perché non aveva carattere di urgenza”. Giusto. Non c’è fretta. Sono solo 31 anni che le leggi in materia televisiva violano la Costituzione. – 9 aprile 2008

 La multa la farei pagare in buona parte alla banda degli onesti, a quello che ha appena fondato un movimento chiamato “Italia pulita” ma una quota consistente dovrebbero pagarla anche la cosiddetta opposizione e i sostenitori degli inciucioni, i tifosi di una finta opposizione che da 18 anni regge i giochi a berlusconi, lo ha aiutato, salvato, tolto dai guai, fatto diventare “più ricco di 25 volte” [sempre violante in parlamento nel 2002] e che quando poteva intervenire legiferando non l’ha fatto di proposito, altro che la storia dei numeri con la quale hanno incartato anche la questione del conflitto di interessi. 

A tutti quelli che oggi, dopo aver permesso ad un uomo solo di disastrare il paese,  impoverire gli italiani mentre lui diventava sempre più ricco,  si permettono pure di salire in cattedra spacciandosi per democratici, gli unici in grado di guidare il paese.
Se il piddì gente come d’alema e violante se la tiene così da conto significa che non ha nessuna intenzione di rompere col passato,  di riconoscere la compartecipazione di questi ad uno scempio di stato e di civiltà, quindi sono colpevoli anche quelli che non hanno commesso materialmente il fatto, e cioè una delle più gravi ingiustizie di stato che in tutti questi anni è passata sottotono, perché come dicono quelli bravi, e la Bonino lo ha confermato quando era al governo con Prodi: “ci sono cose più importanti a cui pensare, le priorità sono altre”.

E adesso, chi paga, pure io?

Dichiarazione integrale di Violante alla Camera sul conflitto di interessi 28 Febbraio 2002

Il famoso intervento di Luciano Violante alla Camera durante la discussione sulla legge Frattini sul conflitto di interessi di Berlusconi, in cui clamorosamente svela che già nel 1994 a Berlusconi e Gianni Letta era stata data la garanzia che non sarebbero state toccate le televisioni di Berlusconi.

Un giudice a Strasburgo
 Marco Travaglio – 8 giugno

Un giorno qualche economista indipendente, sperando che esista, calcolerà quanto ci è costato Silvio Berlusconi con il suo
monopolio illegale e incostituzionale sulla televisione e sul mercato (si fa per dire) delle telecomunicazioni. Quanto ci è costato e continua a costarci in termini di mancata innovazione, mancati investimenti, mancato sviluppo, mancata banda larga (1 punto e mezzo di Pil), mancata concorrenza, mancata qualità, mancati posti di lavoro, mancato servizio pubblico, mancata pubblicità a giornali e web, mancati introiti per lo Stato dall’affitto delle frequenze (regalate da sempre). Da ieri, a questi danni spaventosi, si aggiungono i 10 milioni di euro di danni morali e materiali che lo Stato deve sborsare per risarcire Francesco Di Stefano che per 10 anni ha atteso invano le frequenze per trasmettere con Europa7 dopo che nel 1999 aveva ottenuto, con regolare concorso pubblico, la concessione. Così ha deciso ieri a Strasburgo la Corte europea dei diritti dell’uomo. Motivo: “Le autorità italiane non hanno rispettato l’obbligo prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo per garantire l’effettivo pluralismo dei media”, calpestando il diritto alla libertà d’espressione e d’informazione e la tutela della proprietà. Avuta la licenza Europa 7 poteva “ragionevolmente aspettarsi” le frequenze per mandare in onda i suoi programmi al massimo entro due anni. Invece non poté farlo fino al 2009 (quando, fra l’altro, di frequenza ne ha avuta una sola, per giunta sottratta alla Rai anziché a Mediaset) perché “le autorità hanno interferito con i suoi legittimi diritti, con la continua introduzione di leggi che hanno via via esteso il periodo in cui le tv che già trasmettevano potevano mantenere la titolarità di più frequenze”. Un capitolo della sentenza, intitolato “L’anomalia italiana”, spiega al mondo e soprattutto all’Italia “quanto è pericoloso il monopolio televisivo per una democrazia matura”. Nessuna scoperta sensazionale: i lettori del Fatto l’anomalia italiana la conoscono bene, leggendo un giornale nato proprio per combatterla. Ma, con i loro tempi biblici, i giudici europei sono arrivati molto prima della nostra casta politica che, salvo rare eccezioni, di quell’anomalia è stata artefice e complice. Dal novembre ’94, quando la Consulta stabilì che le reti Fininvest dovevano scendere da tre a due, si sono avvicendati tre governi Berlusconi, due Prodi, uno D’Alema, uno Amato e due tecnici appoggiati l’uno (Dini) da Lega e centrosinistra, l’altro (Monti) da Pdl, Pd e Terzo Polo. Nel Paese dei finti liberali, nessuno ha osato neppure sfiorare l’anomalia con leggi antitrust e sul conflitto d’interessi. Dopo la sentenza della Consulta, il centrosinistra che aveva vinto le elezioni nel ’96 — previa visita pastorale di D’Alema a Mediaset, accolto dal Gabibbo e da Confalonieri — regalò a Rete4, candidata allo spegnimento sull’analogico e al passaggio sul satellite, una proroga sine die con la legge Maccanico del ’97. Violante spiegò poi alla Camera che “era stato garantito a Berlusconi e a Letta che non gli sarebbero state toccate le tv”. E quando Europa7 vinse la concessione e Rete4 la perse, il governo D’Alema provvide a salvare la seconda con una proroga ad aziendam. Pochi mesi dopo la Consulta tornò a intimare lo spegnimento di una rete Mediaset entro il 31 dicembre 2003 e a quel punto provvide direttamente B. col decreto salva-Rete4 e la legge Gasparri. Nel 2006 il centrosinistra tornò al governo promettendo agli elettori di cancellare tutte le leggi vergogna, poi naturalmente le lasciò tutte in vigore, a partire dalla Gasparri. Ora un paese serio farebbe pagare quei 10 milioni, e tutto il resto dei danni, ai signori Berlusconi e D’Alema e a tutti i ministri delle Comunicazioni degli ultimi 18 anni: Gambino, Maccanico, Cardinale, Gasparri, Landolfi, Gentiloni, Scajola, Romani, Passera. A quando una bella class action?

Meno male che Grillo c’è

Preambolo  [a proposito della tragedia di Brindisi]: che sospirone di sollievo.
Non è stata la mafia, non è stata la FAI, non sono stati i No Tav (ma su questo aspettiamo ancora che non si sa mai), non sono state le BR.
E’ stato, pare, quello della porta accanto, il benzinaio.
Adesso si che possiamo dormire sonni tranquilli.

Sottotitolo: De Gregorio, l’Agcom, la moglie di vespa, il capogruppo del piddì che invece di stare in sede a fare il suo dovere se ne sta tranquillo in vacanza in Grecia il giorno della sfiducia a Formigoni. Ce n’è abbastanza per chiedere asilo politico altrove, in un paese che si meriti almeno questa definizione invece della latrina a cielo aperto che è questa Italia. Ma naturalmente è tutta colpa di Grillo, di Travaglio, dell’antipolitica e pure la mia.

BUONGIORNO
Massimo Gramellini – La dissolvenza della casta
Meno male che Grillo c’è.
Perché chissà che avrebbero fatto i nostri molto onorevolissimi parlamentarideputatisenatori se non ci fosse questa spada di Damocle che spero si sbrighi a cadere sulle loro teste.
Ed è strano che nessuno abbia parlato, di fronte a certe vicende, quelle a cui siamo purtroppo abituati e che danno l’esatta misura della dimensione politica italiana e del suo spessore, di “pericolo di tensioni sociali”.   Dal Quirinale ieri, anziché il severo e consueto conato di monito di Napolitano, l’ottimo presidente, quello definito The King dal Time [forse perché non è il presidente degli States ma soltanto il nostro] sul cattivo comportamento dei suoi disonestissimi discepoli, sulle oscenità accadute in parlamento, a Milano e a proposito delle nomine dell’Agcom è arrivata la lista sobria del menù sobrio della festa sobria del 2 giugno.
Di istruzioni sul perché i cittadini italiani debbano continuare a riconoscersi in questo stato che li prende per il culo a colazione, pranzo e cena tutti i giorni dell’anno senza fare nemmeno finta di vergognarsene, manco a parlarne.
Il migliorista Napolitano non ha sciolto le camere di fronte alle storie boccaccesche di berlusconi che non erano gossip né vita privata  ma un sistema delinquenziale col quale l’ex stava svendendo l’Italia un tanto al chilo e al metro, non lo ha fatto nemmeno quando gli è stato prescritto il reato di corruzione; questo è l’unico paese dove se non arriva il terzo grado di giudizio nessuno è colpevole di niente, in parlamento c’è gente indagata, imputata, inquisita e con condanne già passate in giudicato.
Che altro serve per capire che questo stato è una barzelletta che non fa ridere proprio nessuno?
Pirlamento
 Marco Travaglio, 7 giugno
Vivissimi ringraziamenti alle Camere a ore che ieri, in stereo, hanno ratificato a Montecitorio l’arraffa-arraffa dei partiti sulle cosiddette “autorità indipendenti” e a Palazzo Madama han salvato con 169 voti dagli arresti domiciliari l’ottimo De Gregorio, accusato di una truffa di 23 milioni con un giornale fantasma in combutta con quell’altro statista di Lavitola. Il tutto grazie al voto segreto, che ha moltiplicato i 127 voti del Pdl (unico a esprimersi contro l’arresto) con i franchi tiratori della Lega (22 senatori), dell’armata brancaleone detta Coesione Nazionale (Responsabili e frattaglie varie: 13), ma anche presumibilmente di qualche Udc e Pd (già decisivi sulla responsabilità civile dei giudici).
Se non ci fossero questi partiti, così coerenti e tetragoni perinde ac cadaver (il loro), qualcuno potrebbe abboccare all’illusione che basti un governo tecnico piovuto da chissà dove per riverginare una classe dirigente che pretende di dare lezioni all’Europa , alla Merkel e a quei bizzarri elettori che non votano più o scelgono le liste e i candidati più lontani dalla fogna partitocratica. Completa l’edificante quadretto il voto del Consiglio regionale della Lombardia sul governatore granturismo Formigoni: respinta la mozione di sfiducia di Pd, Idv, Sel, appoggiata dall’Udc. Il capogruppo del Pd Luca Gaffuri ha fatto onore al suo cognome restando in vacanza in Grecia, forse stremato dall’immane sforzo di compilare una mozione contro Formigoni dopo 17 anni di opposizione consociativa.
Da tutte e tre le votazioni esce bene anche la “nuova ” Lega di Maroni, quella della ramazza padana: alla Privacy piazza la consigliera Rai Giovanna Bianchi Clerici, ex deputata e sempre imputata; su De Gregorio dice di votare per l’arresto e poi di nascosto fa il contrario; su Formigoni ribadisce la fiducia, impermeabile agli scandali che fanno della Lombardia la regione leader per consiglieri indagati, davanti a Calabria, Sicilia e Campania. È una fortuna che, di tanto in tanto, i partiti della maggioranza-ammucchiata ABC e i finti oppositori della Lega ricordino agli italiani chi sono, come sono e perché stanno lì: per spartirsi torte, cariche, posti e fondi pubblici, e naturalmente per salvare i rispettivi ladri. Non sia mai che uno finisca in galera o ai domiciliari: come ebbe a dire profetico l’on. avv. Paniz a proposito dell’arresto (ovviamente negato) di Milanese, “si rischia di creare un pericoloso precedente: oggi tocca a lui, domani potrebbe toccare a ciascuno di noi”. Dunque no alle manette per Milanese, per Cosentino, per Tedesco, e magari prossimamente per Lusi. Un malaugurato incidente di percorso portò in cella l’ottimo Alfonso Papa, unico arrestato della storia repubblicana senz’aver sparato un colpo: infatti la casta, anzi la cosca, ancora non s’è riavuta dallo choc. Grillo, negli ultimi giorni, ha abbassato i toni e limitato gli interventi al minimo: per guadagnare voti gli basta tacere e lasciar parlare gli altri. Come a Bossi nel 1992-’93. Solo che all’epoca c’era al Quirinale un certo Scalfaro il quale, quando la Camera disse no all’arresto di De Lorenzo, tuonò: “Un voto intollerabile: giuro che, se gli adempimenti fossero già stati completati, la giornata sarebbe finita con lo scioglimento delle Camere”. Ieri abbiamo atteso un severo monito di Napolitano sul voto pro De Gregorio e sulla grande abbuffata delle Authority (che, se non andiamo errati, richiede anche il suo decisivo “visto”). Ma invano. Dal Colle è uscita solo una decisiva precisazione sulla sobria festa del 1° giugno al Quirinale: “La composizione del buffet definitivamente offerto ai partecipanti al ricevimento è stata la seguente: crostini, canapés, panini, focaccine,
formaggi (mozzarelle e ricotta del coordinamento “Libera “, provola, parmigiano), cus-cus di verdure di “Libera “, frutta, bevande (vini di “Libera “, prosecco, succhi di frutta, acqua minerale)”.
Buon appetito.
Cuore, amore, orrore, dolore – Massimo Rocca, il Contropelo di Radio Capital

La storia non si ripete ma spesso fa rima. E quella di questa ore è una rima baciata. L’assoluzione politica di Formigoni con i voti della lega. L’assoluzione politica di Peter Griffin, da noi noto come Sergio de Gregorio, da parte di una caterva di franchi senatori, la nomina spartitoria dei nuovi componenti delle authority, senza neppure l’ipocrisia formale di un passaggio in commissione parlamentare tanto per vedere che faccia hanno, sono proprio amore e cuore con il finale della prima repubblica. Hai voglia te a lamentarti di Grillo e del populismo che monta i suoi consensi a neve, hai voglia ad immaginare una riedizione di Forza Italia Pulita alla madame Tussauds con le statue di cera di casa Vianello, ma se di fronte ad un’opinione pubblica inferocita, come ti hanno detto le elezioni e come ti ribadiscono i sondaggi, la vecchia politica si chiude così a riccio nella difesa di personaggi squalificati, di cariatidi più o meno celesti, di metodi di controllo, quel riccio finirà schiacciato sotto le ruote del primo che passa e senza nemmeno fare la tenerezza del piccolo spinoso.