Questa repubblica non è un talk show, presidente Mattarella

Sottotitolo: i presidenti americani possono fare tutte le pagliacciate che vogliono quando si travestono da militari poiché il loro ruolo gli conferisce anche il comando delle forze armate. Cosa che non avviene qui, dove il presidente del consiglio non dispone di nessuna autorità estesa anche all’esercito. Non indossare quella giacca ieri sarebbe stata semplicemente educazione, garbo istituzionale, rispetto per il suo ruolo e per quel che rappresenta il presidente del consiglio italiano. Bisognerebbe spiegare ed insegnare a Renzi che qualsiasi azione facciano, qualsiasi cosa dicano e qualsiasi atteggiamento assumano i rappresentanti dello stato inevitabilmente, in virtù del ruolo, coinvolgono i rappresentati cioè noi che non siamo obbligati a riconoscerci tutti in una divisa da militare.

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Erano quasi meglio i moniti di Napolitano che almeno facevano incazzare.
Quelli di Mattarella non fanno niente, perfettamente in linea col personaggio nemmeno si sentono.

 Il presidente Mattarella dice che sono le liti a deludere i cittadini che non vanno a votare, un po’ come se l’attività politica, parlamentare e governativa fosse quella espressa nei talk show da chi, ad esempio salvini, invece di lavorare è sempre in video dalla mattina alla notte. Purtroppo, e invece, in parlamento si fa anche dell’altro, oltre a litigare: ad esempio si prendono iniziative che vengono poi trasformate in leggi che non rispondono affatto alle esigenze, alle urgenze e alle necessità dei cittadini che poi, quando s’incazzano invece di andare a votare preferiscono fare altro. A votare si va per senso civico, di responsabilità, come ci hanno sempre insegnato votare è un dovere; esattamente quello che manca alla politica incapace di rinnovarsi, di ripulirsi, di essere davvero il punto di riferimento del paese. Perché il  problema è sempre il solito: dai cittadini si pretende tutto, soprattutto i loro soldi, i vertici, i cosiddetti referenti e rappresentanti invece sono sempre al di sopra di tutto, anche dei loro stessi fallimenti che poi provocano l’astensione. Quanto è responsabile il presidente del consiglio che invece di presentarsi davanti all’Italia per scusarsi di una campagna elettorale fallimentare che ha costretto la gente a votare la solita brodaglia immangiabile, avariata, se ne va a conferire in quel di Herat vestito da Rambo come se fosse la cosa più urgente da fare? Chi si crede di essere Renzi, De Gaulle?

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Non sono le liti a scoraggiare gli elettori, presidente Mattarella, sono le persone che rappresentano la politica.
La lite quando è finalizzata a raggiungere un punto di accordo è comunque un segno di vitalità propositiva: c’è una parte che dice qualcosa e ce n’è un’altra che tenta di spiegare anche forzando i toni perché quella cosa andrebbe migliorata, o addirittura evitata.
Mentre questi rappresentanti della politica, Matteo Renzi in testa non vogliono questo.
Vogliono fare delle cose che molti non ritengono giuste senza passare per il filtro della discussione, del confronto, del mettersi a disposizione per eventuali ravvedimenti.
Sono arroganti, e la dimostrazione del perché il 50% degli italiani non va più a votare l’ha offerta proprio Renzi ieri quando ha inutilmente parlato di vittoria, benché sapesse perfettamente dei due milioni di persone che ieri l’altro non hanno rinnovato la loro fiducia al partito di Renzi.
L’arroganza è un atteggiamento che non ispira nessuna fiducia già umanamente, figuriamoci poi se viene usata per imporre delle cose facendosi scudo di un consenso che quei numeri stracitati a proposito delle elezioni non hanno confermato ieri come l’altra volta, quella del famoso 40,8 per cento della metà di elezioni “altre” che non avrebbero dovuto dare nessuna autorità né autorizzazione a Renzi, né oggi che quella percentuale si è addirittura dimezzata
Non si cambia la storia di un paese, le sue leggi, le sue regole, finanche la Carta più importante, quella Costituzione grazie alla quale questo paese si regge ancora in piedi col consenso di una persona e mezza su dieci.
Ecco perché come per il 25 aprile penso che anche la festa della Repubblica andrebbe messa in standby finché non verranno ripristinate le sue condizioni originali. Nella Repubblica nata grazie alla Resistenza antifascista e ad un referendum democratico che ha defenestrato un regime che non voleva più non è previsto che a governare sia un parlamento di eletti da nessuno che pone e dispone fregandosene bellamente di quello che pensano i cittadini, gli unici depositari secondo Costituzione di quella volontà sovrana che i governanti sono obbligati a considerare.

E’ cambiato il piazzista ma la merce è sempre la stessa

Il papa ci dica che ne pensa di uno stato che butta via due milioni di euro in un paio d’ore per celebrare se stesso.
Due milioni di euro chissà quanto avrebbero potuto rendere migliore la vita di bambini già nati.
Per esempio.

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Il 2 giugno è la “Festa della Repubblica che ripudia la guerra”

I movimenti per la Pace e il Disarmo lanciano una proposta di legge per istituire la difesa civile, non armata e nonviolenta.
La madre è la Resistenza antifascista, il padre è il Referendum democratico: la Repubblica italiana è nata in un’urna il 2 giugno del 1946.  Perché, per festeggiare il suo compleanno, lo Stato organizza la parata militare delle Forze Armate? E’ una contraddizione ormai insopportabile. 
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“Chi sono io per giudicare un gay?”
Così a luglio dello scorso anno si era espresso il papa che qualcuno ha già santificato da vivo, ma che però di fronte all’ipotesi che la famiglia mondiale possa diventare meno numerosa  – un’ipotesi terrificante per la chiesa  perché verrebbe a mancare la materia prima che ne giustifichi l’esistenza ma che soprattutto la mantenga –  ieri ci ha fatto capire che a lui giudicare piace, eccome.La chiesa per bocca del papa definisce egoista chi per scelta, per mancanza di vocazione alla genitorialità decide che può vivere bene lo stesso senza mettere al mondo appendici di se stess* ma poi fa altrettanto nei confronti di chi un figlio lo vuole ma per motivi naturali non lo può avere.

In quel caso il desiderio di un figlio diventa pretesa, qualcosa di contro natura perché la natura, ovvero Dio, ha deciso che se è così, così deve essere e che volere un figlio a tutti i costi per mezzo della scienza è egoismo perché i figli “non sono un diritto”.

I diritti dei bambini prima di tutto ma poi si ignora che fra quei diritti ci sono anche quelli che attengono al semplice mantenimento in essere della persona a cui non deve mancare nulla, nemmeno di quel materiale tanto inviso ma, purtroppo per le anime belle, quelle che “dove si mangia in due si mangia anche in tre” [e non è vero], necessario.

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L’appello del Papa a fare figli «Sbagliato preferire cani e gatti»

Durante una messa celebrata per gli sposi il Pontefice accusa di egoismo le famiglie sterili per scelta: «Passeranno la vecchiaia in solitudine»

Secondo Bergoglio gli sposi devono essere fecondi. «Ci sono cose che a Gesù non piacciono – avverte il Papa – i matrimoni sterili per scelta, che non vogliono i figli, che vogliono rimanere senza fecondità. Francesco accusa «questa cultura del benessere di dieci anni fa, che ci ha convinto che è meglio non avere i figli, così tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna. Così tu stai tranquillo…».

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Qualcuno dica a Francesco, il papaprogressistaanzichéno che è rimasto un po’ indietro, e che i motivi per cui non si fanno figli non hanno niente a che vedere con una scelta di benessere ma spesso obbligata dal motivo contrario: i figli, COSTANO, e  scegliere di non avere figli  non è frutto di velleità animaliste che fanno preferire il cane e il gatto a uno o più bambini.
E, se anche fosse così, se anche fosse che due persone pensano di essere inadeguate ad avere, allevare ed educare dei figli o semplicemente NON VOGLIONO dei figli, avendo tutto il diritto di non averli, ma sentono di avere più trasporto ad accudire animali domestici prima di tutto chi se ne frega di quel Gesù che si dispiace, visto che non tutti hanno un Gesù di riferimento, in secondo luogo non sono affari del papa sponsor della famiglia nel paese in cui se c’è un ambito ignorato e maltrattato dallo stato è proprio quella famiglia tanto nominata ma niente affatto rispettata, e in ultimo è molto meglio che vadano a prendersi un cane al canile – che è molto più facile di adottare un bambino per chi non può averne uno suo – facendo anche un’opera buona piuttosto che mettere al mondo dei figli che poi non saranno in grado di trasformare in persone fatte e finite.

Al papa qualcuno dica anche che stamattina a vedere il saggio di musica di mio nipote all’asilo c’erano solo due zie e una nonna, perché né suo padre né sua madre potevano, possono chiedere due ore di permesso dal lavoro per andarsi a guardare un bambino di quattro anni che canta, balla e fa suonare il diapason. 
E che i genitori di mio nipote saranno costretti a guardarsi il figlio da una clip su un cellulare.
E che quel Gesù che piange perché non nascono più bambini forse non si limiterebbe a piangere se sapesse che in Italia i figli non si fanno perché i bambini che nasceranno saranno già orfani di genitori che non possono nemmeno andarsi a guardare un saggio e una recita di fine anno scolastico dei loro figli.
E che sarebbe meglio che tutti, papa compreso, parlassero di cose che conoscono, e la smettessero di offendere chi ha problemi molto più seri e nessun tempo per impicciarsi dei fatti degli altri. 

Col 46% di disoccupazione in questo paese,  che coinvolge e travolge soprattutto i giovani, trovo non solo offensivo ma addirittura blasfemo che un papa dica che non si fanno figli perché la gente è impegnata a viaggiare e godersi la vita coccolando cani e gatti.

Non tutti abbiamo avuto la possibilità di vivere in un appartamento di 700 metri quadri al centro di Roma con  vista panoramica mozzafiato comprensivo di  tutti i lussi e i comfort come la loro eminenza cardinal Bertone, che di figli suoi non ne mantiene nemmeno uno.

Spezzeremo le reni all’Italia

Sottotitolo: i ciarlatani dei piani alti quando vogliono giustificarsi di qualcosa che non vogliono e non possono fare, soprattutto in materia di diritti civili  [per i noti motivi contingenti vestiti di rosso e bianco che usurpano il territorio italiano da un periodo insopportabilmente lungo] usano sempre l’alibi del “paese non è pronto”.
Ecco, sarebbe il caso di rispolverare l’odioso luogo comune per qualcosa di utile, perché se c’è qualcosa per cui il paese non è DAVVERO pronto è la repubblica presidenziale.
Quando l’Italia diventerà un paese normale se ne potrà riparlare.
Forse.

VIDEO-INTERVISTA A CAMILLERI: “IL COLLE E LA COSTITUZIONE MANDATA IN VACCA”

“Dal Colle invasione di campo non da Repubblica parlamentare.

Berlusconi, Marchionne, i Riva, l’Italia è nelle mani di queste persone”.

Il ministero della difesa ha stilato una lista della spesa che vale 5 miliardi e mezzo per comprare inutili giocattolini che non servono a nessuno e non dovrebbero servire a nessuno se la Costituzione ha ancora un senso e praticamente niente è la cifra che viene investita in cultura e ricerca. 
Non saremmo ultimi in ogni classifica internazionale, altrimenti.

Missioni di pace dove si spara e si ammazza come nelle guerre vere [altroché quel contributo alla pace e al progresso sociale del quale vaneggia il monarca ipocrita] che costano un mucchio di quattrini allo stato, cioè a noi, alle quali nessuno nella politica, di destra, di centro e di sinistra ha mai detto basta, mentre negli ospedali il diritto ad essere curati è diventato una mera utopia, i soffitti delle scuole continuano a cadere in testa ai ragazzini e per risparmiare si chiudono i tribunali. 

Un esercito di nullafacenti, nel vero senso della parola e non solo perché può vantare delle stellette da mostrare su una giacca ma perché sono tanti, tantissimi, che costa 17 miliardi allo stato, e cioè sempre a noi, unici privilegiati rimasti fuori da ogni “riforma” del lavoro, che possono andare in pensione a cinquant’anni con tutti i loro privilegi e possibilità che ai normali cittadini sono negati tipo andarsene in vacanza a spese dello stato [e dunque sempre nostre], anche dopo la pensione: un militare per lo stato italiano è come un diamante, per sempre, essere curati praticamente gratis e far curare amici, parenti e conoscenti negli ospedali militari.

Dunque come ci insegnano autorevoli personaggi della politica con la cultura non si mangia, con le bombe, gli aerei da guerra e i sommergibili evidentemente sì.

Ma meno male che Napolitano, al sicuro in una struttura, il Quirinale, dove sono impegnate e stipendiate più di duemila persone per un costo totale di circa 250 milioni di euro l’anno [in un paese che muore di crisi e disoccupazione] ha organizzato ieri una parata militare “sobria”, per la modica cifra di due milioni di euro [l’anno scorso la spesa fu di due milioni e seicentomila], e per la prima volta nel cielo di Roma non sono passate quelle frecce tricolori che forse sono l’unica cosa decente di tutto questo apparato inutile e volgare, perché le frecce tricolori “costano troppo”.

Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli.

2 giugno: festa di che?

Sottotitolo: la parata militare non è inopportuna perché c’è la crisi: è inopportuna e basta.
Ed è sempre mancata la volontà di opporsi fino a farne a meno, alla sfilata delle armi in un paese che ripudia la guerra per legge, altrimenti da quel dì che sarebbe stata abolita. Non basta tagliare  il rinfresco e il passaggio delle frecce tricolore per ridare dignità a questo paese.

Il Quirinale costa agli italiani il quadruplo di Buckingham Palace e il doppio della Casa Bianca.
Ma il Re magnanimo oggi rinuncia al rinfreschino…niente brioches per loro così non sono obbligati a darne neanche a noi.

Più che la festa della repubblica a me pare, oggi più che mai, una festa “alla” repubblica.

Non vedo come si possa celebrare questa festa in assenza di quell’ospite d’onore che manca ormai da un sacco di tempo in questo paese e che si chiama democrazia; il convitato indispensabile se si parla di una repubblica, appunto, democratica.
In un paese dove in parlamento non c’è una rappresentanza di popolo scelta dal popolo non si può celebrare né festeggiare proprio niente.
Questa giornata andrebbe messa in standby finché non verrà ripristinato il minimo indispensabile delle condizioni per riparlare di Italia repubblica democratica.

Un colle solo al comando 
Antonio Padellaro, 2 giugno

Ieri, all’ora di pranzo, sui teleschermi degli italiani è apparso sua maestà Giorgio Napolitano. In occasione del 2 giugno, festa della Repubblica, con tono perentorio ha letto, anzi dettato, le disposizioni ai partiti. Sulla legge elettorale, sulle misure contro la crisi. E ha perfino impartito ordini sull’orizzonte temporale dell’attuale governo: entro il 2 giugno dell’anno prossimo l’Italia dovrà darsi “una nuova prospettiva politica”. E così sia (“Vigilerò”). Sembrava perfino ringiovanito, molto diverso da quel Napolitano sofferente che camminando quasi si appoggiava ai suoi collaboratori. Ma questo avveniva prima della rielezione, che deve avere agito sulle giunture presidenziali come un unguento miracoloso. Spero di non rischiare il vilipendio se dico (con vera ammirazione) che ci ha messi nel sacco tutti quanti. A cominciare da chi scrive, convintissimo che ai reiterati e sdegnosi rifiuti di ricandidarsi egli avrebbe tenuto fede da uomo di parola, poffarbacco. Eravamo tutti così sicuri che la sua ultima ora al Quirinale fosse scoccata che alla presentazione del libro L’ultimo comunista , con l’autore Pasquale Chessa e Filippo Ceccarelli, ci divertimmo a rivangare un episodio che già aveva provocato le fulminanti smentite del Colle: il Napolitano poeta, autore – con lo pseudonimo di Tommaso Pignatelli – di ispiratissime liriche in dialetto napoletano. Non sapevamo che nel frattempo il partito della conservazione stava andando a dama attraverso una serie di mosse, ancora tutte da ricostruire. Infatti, due giorni dopo, i sorrisetti si spensero insieme alle speranze di Bersani, di Marini, di Prodi e dei tanti che avevano fatto i conti senza l’oste. Da allora nell’osteria non si sente più volare una mosca. Letta a Palazzo Chigi lo ha imposto lui. Berlusconi non fiata, ossessionato com’è dalle sentenze. Il Pd sembra un collegio di orfanelli. Mentre la speranza sollevata da Grillo rischia d’impantanarsi nell’irrilevanza e nel risentimento. Tutti i giornali (meno uno) sono sull’attenti e non si muove foglia che lui non voglia, a cominciare dalla nomina del nuovo capo della Polizia. Nell’intervista a Silvia Truzzi, Andrea Camilleri parla di “Costituzione mandata in vacca” dopo il Napolitano bis. Ma c’è qualcosa di peggio: un Paese immobile, paralizzato dalla paura di cambiare, che cerca le poche certezze in un passato che non passa mai.

Non bastava lo schifo dell’utilizzatore finale: ci voleva pure quello dell’assaggiatore iniziale.

Ma, l’importante è che l’organizzatore totale abbia potuto partecipare alla delicata fase politica.

I diritti prima di tutto.

L’uomo che non sapeva nulla
Marco Travaglio, 2 giugno

Chissà se la Procura di Milano se ne farà una ragione: a Pigi Battista non è piaciuta la requisitoria al processo Ruby-bis. I pm Forno e Sangermano hanno usato brutte parole, senza nemmeno concordarle con lui. Poi han chiesto 7 anni per Mora, Fede e Minetti, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dagli incarichi scolastici: troppo. Se nemmeno tre eventuali condannati per induzione e favoreggiamento della prostituzione, minorile e non, possono diventare deputati o premier o capi dello Stato, né dirigenti o insegnanti in scuole e asili, dove andremo a finire, signora mia. Cose che càpitano quando i pm si ostinano a pronunciare requisitorie senza consultare il noto giureconsulto del Corriere , che nessuno ha mai visto a un processo, ma li conosce tutti come le sue tasche. Mesi fa Lele Mora era in carcere per bancarotta e lui tuonò: “Sei mesi di galera preventiva per bancarotta appaiono una punizione leggermente esagerata prima ancora di una sentenza”; “i pm usano la galera per indurre l’indagato a conformarsi alla loro versione”; roba da “tortura”, colpa della “ferocia diffusa che chiede provvedimenti esemplari contro l”antipatico’, l’eticamente discutibile ed esteticamente impresentabile, il flaccido malfattore (presunto)”. Poi si scoprì che il malfattore era talmente “presunto” e “in attesa di sentenza” da aver appena patteggiato 4 anni e 3 mesi per la bancarotta da 8,4 milioni della sua LM Management, al cui fallimento aveva sottratto i 2,8 milioni regalati da B. per comprarsi una Mercedes e dirottare il resto su un conto svizzero. Subito sbugiardato, il Battista non batté ciglio. Anzi, passò subito ad assolvere l’altro suo imputato prediletto, Ottaviano Del Turco, ripubblicando per l’ennesima volta il pezzo che scrive dal 2008, quando l’allora governatore d’Abruzzo fu arrestato per tangenti. L’altro giorno ha scritto che: il pover’uomo è ancora “nell’attesa di un processo ancora ai primi passi” (non avendolo mai seguito, non sa che è alle ultime battute); le “prove schiaccianti” (tipo la confessione del corruttore, che ha addirittura fotografato le mazzette prima di consegnarle a Del Turco) annunciate dai pm “non esistono”; e la Procura “non aveva nemmeno controllato le date delle foto scattate dall’accusatore e dei pedaggi autostradali”. Purtroppo l’altroieri il perito del Tribunale ha confermato che le foto delle mazzette collimano con le date dei viaggi in autostrada del presunto corruttore verso casa Del Turco. Ma questa notizia l’ha data solo il Fatto. Battista no: con agile balzo, era tornato ad assolvere l’altro imputato prediletto, Lele Mora. Che, a suo dire, viene processato con Fede e Minetti non per dei reati, ma per “un peccato”, “uno stile di vita”. E viene offeso dai pm con un “linguaggio” sconveniente che “smarrisce il senso delle proporzioni”. In effetti è bizzarro che in un processo per prostituzione l’accusa parli di prostituzione con espressioni come “sistema complesso di prostituzione”, “soddisfacimento del piacere di una persona”, “atti sessuali retribuiti”, e dipinga i presunti papponi “come sentina di ogni vizio, espressione di ogni nefandezza” a fini di “degradazione morale”, anziché elogiarne le virtù etiche e civiche (in fondo il lenocinio è uno “stile di vita” come un altro). Invece quelli di Milano sparano la richiesta “severissima” di condannarli a 7 anni più le interdizioni: la prova che vogliono “una condanna morale”, non “giudiziaria”, una “pena esemplare” e quindi non “giusta”. Non sa, il giureconsulto, che non la Procura, ma il Codice penale, grazie anche alle leggi dei governi Berlusconi del 2006 e del 2008, prevede per questi reati da 6 a 8 anni di carcere con automatica interdizione perpetua dai pubblici uffici e dagl’incarichi scolastici: nemmeno volendo i pm avrebbero potuto chiedere di meno. 
Ma Battista, rispetto ai giornalisti, gode di un privilegio invidiabile: non sapendo nulla, può scrivere di tutto.

Buona Festa della Repubblica. Italiana

Non mi sovviene cosa c’entra il cous cous nel menù del ricevimento per la festa della repubblica italiana. E’ come se il 4 luglio gli americani banchettassero con la pizza napoletana invece del tacchino.

 

Non lo dico per un attacco di nazionalismo sfrenato ma semplicemente per far notare le contraddizioni di chi non sa fare nemmeno un buon uso di soldi – quelli che sono stati  spesi per oggi specialmente – letteralmente rubati alla collettività per far divertire la solita cricca di privilegiati.
 Anche oggi.

 

Seppur declassato a ‘rinfresco rinforzato’, come fanno sapere dal Colle, nella serata di venerdì primo giugno al Quirinale i duemila invitati troveranno il prestigioso catering di Nicolai ricevimenti e un esercito di circa 200 camerieri pronti a versare oltre 5 mila bottiglie di vino e distribuire cibo a tutti. “Un menù essenziale e semplice che comunque rispetta la valenza istituzionale dell’evento”, spiega uno degli assistenti di Giorgio Napolitano a Il Fatto Quotidiano.
Per rispetto dei morti del terremoto il capo dello Stato ha deciso di fare “solo” un rinfresco rinforzato.
Berranno 5 mila bottiglie di vino, ma sobriamente.

http://www.lettera43.it/attualita/colle-menu-sobrio-con-5-mila-bottiglie-di-vino_4367552992.htm

S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche

Quindicimila addetti alla sicurezza per il papa, cento militari nelle zone terremotate. Giusto per capire dov’è la vera emergenza terremoto.
[Luca Bottura]

 Sottotitolo [che non c’entra niente]: I vescovi sanno tutto e parlano [purtroppo] di tutto; di famiglia, di bambini, di sesso, di omosessualità, di fecondazioni, di contraccezione e di tutto lo scibile umano disumano e subumano ma se gli chiedi delle vacanze di Formigoni, ahò, questa gli è sfuggita.
Guardaunpo’.

Preambolo: Il Gran Visir della Menzogna invece di andare tra le popolazioni terremotate a fare davvero il pastore di quel Dio che nessuno ha mai visto né sentito parlare ma lui sì, va a fare il turista in quel di Milano e,  alla modica cifra di 13 milioni di euro, chi avrà stomaco e coraggio sufficienti potrà ascoltarlo raccontare come di consueto le solite balle su argomenti che non dovrebbero riguardarlo né dovrebbe conoscere così approfonditamente da doversene occupare personalmente e con frequenza praticamente quotidiana.
Tirerà fuori il solito repertorio contro la laicità, il relativismo, il logorìo della vita moderna e, in generale su tutto quello che nel corso della Storia ha creato civiltà e contrastato ignoranza,  integralismi e fondamentalismi che, purtroppo per chi non se ne accorge, non riguardano solo altre religioni considerate incivili e retrograde ma molto, e molto da vicino anche quella cattolica.

Quando sento dire – anche da autorevoli giornalisti, direttori e vicedirettori di giornali sempre pronti a fare battaglie per la qualunque –  che sarebbero luoghi comuni senza significato i motivi per i quali la parata quest’anno non si DOVEVA fare in rispetto, oltre che verso i terremotati anche di quegli imprenditori che si sono suicidati  perché le banche non gli hanno concesso  prestiti irrisori rispetto alla cifra che è stata spesa per quella che Marco Travaglio ha ribattezzato “la paratina del 1 giugno e mezzo” mi girano anche i coglioni che non ho.

Insomma ‘sti soldi in Italia,  ci sono o non ci sono? siamo in bancarotta quando, prima, durante, dopo i pasti o quando fa comodo ai tecnici sobri terrorizzare un po’ la gente affinché non venga in mente a nessuno di rivendicare sciocchezzuole quali sono diritti, lavoro, stipendi,  pensioni, ospedali e scuole che funzionino? il comune di Milano dove li ha presi tutti quei milioni di euro per la gita fuori porta del papa? abbiamo o no il diritto di sapere come vengono spesi i soldi che si prende lo stato dalle nostre tasse, visto che c’è sempre più gente che fa fatica non a organizzare feste, festicciole e barbecue in giardino ma a mettere insieme, cioè nella stessa giornata, il pranzo con la cena?
I milanesi devono PRETENDERE che la giunta dia loro conto per filo e per segno di ogni euro speso per la gitarella fuori porta del papa. E alla prima mancanza, assenza di quegli interventi necessari alla cittadinananza e al singolo cittadino nascoste dietro il paravento della crisi , rinfacciare a vita questo immondo e ingiustificabile  spreco di soldi e ricordarsi di tutto alle prossime elezioni.


Più incredibile della parata che comunque si farà, a sprezzo di miserie, povertà vecchie e nuove, di lutti e tragedie nuovi e recenti, è che Napolitano è riuscito nell’impresa di far sembrare gente come Forlani e Leone dei modelli di probità.
Checché ne pensino tutti quelli che in questi giorni hanno tentato di fare l’operazione contraria ricordandoci chi erano Forlani e Leone. Perché chi erano lo sappiamo, cos’hanno fatto anche, ma sappiamo però anche cos’ha fatto Napolitano, oltre ad intestardirsi su questa manifestazione “lacrime e tartine” – che avverrà in concomitanza dei funerali delle vittime del terremoto – e le cose per le quali verrà ricordato dalla Storia.

Soldi in giro non ce ne sono, ma la parata del 2 Giugno pare si farà, perché secondo Napolitano “Non possiamo piangerci addosso”. E la parata, magari diventerà una paratina.
Marco Travaglio spiega come nonostante la sobrietà sbandierata, gli sprechi saranno comunque tanti.

1° Giugno e mezzo
Marco Travaglio, 1 giugno

La Presidenza della Repubblica, nella persona di Sua Eccellenza Giorgio Napolitano che ci tiene tanto perché è l’ultima volta e la profezia dei Maya incombe, comunica di aver deciso di confermare sia la parata militare del 2 Giugno, ribattezzata per l’occasione “1° Giugno e mezzo”, sia il ricevimento al Quirinale con duemila invitati, ma in ossequio alla sobrietà che si deve al Paese in un momento drammatico contrassegnato da attentati, stragi, spread e movimenti tellurici ondulatori e sussultori, impartisce le seguenti, inderogabili direttive . Le illustrissime Autorità civili, finanziarie, militari e religiose invitate alla sobria parata militare all’Altare della Patria e in via dei Fori Imperiali dovranno presentarsi sul palco d’onore in abbigliamento essenziale, prive cioè dei consueti pennacchi, medaglieri, mostrine, galloni, uniformi, palandrane, paramenti, stivaloni, galosce, berretti, cappelli, tricorni, feluche, elmi, corazze, piumaggi, parrucche, parrucchini anche se in catrame, ciglia e unghie finte, tacchi col rialzo, anelli in platino, oro e bigiotteria, pròtesi al silicone, wonderbra, rinforzino e imbottiture da patta in cotonina. Sempre in ossequio alla sobrietà, i carabinieri a cavallo sfileranno a piedi, mentre i militari già appiedati marceranno in ginocchio su distese di ceci. Chi vorrà portarsi comunque il cavallo, dovrà evitare i purosangue e prendere un ronzino da tiro in prestito dalle caratteristiche botticelle romane.
I bersaglieri, dismessi i copricapi con piume e le divise troppo
variopinte, indosseranno il loden e, lasciata a casa la troppo solenne fanfara, avanzeranno non di corsa, ma molto lentamente fischiettando sottovoce. Idem per la banda degli alpini, la cui sobrietà verrà testata da prove del palloncino a sorpresa. I cani da valanga saranno equipaggiati con le consuete borracce, ma prive di sostanze alcoliche: gazzosa e fanta per tutti. I carrarmati avanzeranno privi di cingoli, dotati di sole ruote, spinti a mano da appositi fanti o tirati con apposite funi. Gli aerei cacciabombardieri potranno avere una sola ala. Gli elicotteri da guerra saranno sprovvisti di elica. I cannoni avranno la bocca coperta da un preservativo in ghisa. Quanto al ricevimento al Quirinale, non si terrà nei troppo opulenti giardini del Palazzo, ma nei  giardinetti pubblici siti nelle vicinanze. Al posto dei soliti tavoli imbanditi,
si impiegheranno le più spoglie panchine in pietra, fra l’altro utilissime affinché vegliardi e cariatidi presenti comincino ad abituarsi. Gli invitati — alte e basse cariche dello Stato in servizio o ex, cardinali, arcivescovi, monsignori, sagrestani, imprenditori e prenditori, manager e magnager, banchieri e bancarottieri, pregiudicati, imputati, inquisiti, prescritti, impuniti, colpevoli non ancora beccati, faccendieri, piduisti, pitreisti, piquattristi, massoni, ciellini, opusdeini, papponi, mignotte, poetastri, guitti, schitarranti e pennivendoli di regime, nani e ballerine — sono pregati di non sfoggiare abbigliamenti troppo sgargianti e acconciature vistose. È gradito l’abito loden, anche e soprattutto per le escort.
Vietato l’accesso agli yacht, dunque Formigoni o viene a
piedi o resta a casa.
Abolito per sobrietà il tradizionale catering, ciascuno si porterà il pranzo al sacco in appositi zainetti di tela, gavette e/o giberne metalliche. Resta inteso che le tartine non potranno contenere caviale o salmone canadese o foie gras, ma al massimo patè di olive. Vivamente consigliata, accanto a ogni miliardario, la presenza di un barbone prêt-à-porter, anche per confondere gli ispettori dell’Agenzia delle Entrate di cui non si escludono blitz a sorpresa. I massoni, per questa volta, lasceranno a casa grembiuli e compassi. Per la delegazione dei ladri, come sempre folta e variegata, si raccomanda di astenersi almeno per quel giorno dal borseggiare i vicini di tavolo, anzi di panchina. O, se proprio non riescono a trattenersi, di devolvere sobriamente la refurtiva ai terremotati.

Benedetto XVI arriva a Milano, una visita da tredici milioni di euro – Il Fatto Quotidiano

Al via nel capoluogo lombardo il VII incontro delle famiglie.

  Ma Pisapia insiste: “Sì alle unioni civili”. Nella tre giorni papale saranno impiegati 15 mila uomini tra forze dell’ordine, vigili del fuoco e protezione civile. Oltre 3 milioni dal Comune. Altri dieci tra Regione Lombardia, arcidiocesi, Cei e sponsor.

Un paese a sua insaputa

Sottotitolo: Vorrei solo ricordare a tutti quelli che “la repubblica va celebrata anche – anzi soprattutto – nei momenti di difficoltà”, secondo l’autorevole opinione del Monitore della Repubblica,  che la polemica sull’inutilità offensiva di festeggiare il 2 giugno con una parata MILITARE non è nata ieri né ieri l’altro ma si ripete puntualmente da svariati anni.
E allora se io dico che il pistacchio non mi piace ma poi qualcuno insiste nel propormi il pistacchio nel gelato le cose sono due: o quando parlo non mi sta a sentire oppure non gliene frega nulla di continuare a reiterare un torto nei miei confronti.
A me il pistacchio non piace, e non me lo farei piacere nemmeno se venisse Johnny Depp in persona a dirmi che posso, devo  mangiarlo perché piace a lui che, a differenza di Napolitano piace molto a me.

Ho sempre avuto disgusto per i nazionalisti. Nazionalismo non vuole dire ideale, vuol dire difesa delle peggiori espressioni della nazione: il clientelismo di stato, la difesa dei burocrati e dell’apparato. Dunque del cosiddetto status quo. Quello che ci ha allegramente condotti nel baratro.
 Non sopporto, trovo di un’estrema disonestà che si chieda ad un popolo di “fare” stato, paese, solo in presenza di tragedie e difficoltà ma poi quando quel popolo chiede allo stato quello che gli spetta viene ignorato.
E’ troppo comodo dire agli italiani: “la parata si farà anche se voi non la volevate [e indipendentemente dall’uso che si potrebbe fare di quei soldi: in questo paese c’è davvero l’imbarazzo della scelta]  ma per ovviare all’emergenza del terremoto vi aumentiamo [per il momento, ché mica finisce qui] di nuovo la benzina”.
Ennò, perché qui non c’è proprio niente di statale né tantomeno niente di democratico, c’è piuttosto qualcosa che riporta vagamente a quei bei regimi dove c’è uno che comanda e tutti che subiscono decisioni da cui non possono sottrarsi.
E così non funziona, non può funzionare, ma questo lo sapete pure voi, carissimi [non foss’altro che per quanto ci costate], politici e tecnici.

E lo sa anche Napolitano, estremo difensore di una pagliacciata di cui nessuno sentirebbe la mancanza.


Finanza, via il colonnello Rapetto

Sua la supermulta ai videopoker

Polemico addio su Twitter del colonnello che ha inflitto 98 miliardi di multa alle concessionarie del gioco d’azzardo di Stato. Sue anche le principali inchieste delle Fiamme gialle sul cyber crime. “Cancellati 37 anni di sacrifici, momento difficile e indesiderato”

Per quel che può valere, tutta la mia solidarietà al Colonnello Rapetto, il cui caso ricorda molto quello di Gioacchino Genchi, esperto di intercettazioni  cacciato dalla polizia di stato quando, collaborando con  De Magistris toccò – inevitabilmente –  perché dove ci sono porcherie c’è sempre l'”eccellenza” di mezzo, quei  personaggi cosiddetti  illustri, dunque intoccabili, che poi non erano (sono) altro che la solita feccia che siede in parlamento.

 Il Colonnello si è evidentemente dimesso a sua insaputa.
Ma chi ha fatto in modo che lo facesse sapeva benissimo perché non doveva o poteva più rimanere al suo posto.
Essì,  è proprio una repubblica da festeggiare questa: con tanto di parata.
E chissà di chi sarà stata la mente brillante che dai piani alti delle istituzioni ha pensato che un funzionario che faceva davvero il suo dovere dovesse essere messo in condizioni di doversene andare.
I migliori si cacciano, o se ne vanno di loro “spontanea volontà”, per tutti gli altri c’è sempre un posto da sottosegretario alla sicurezza della repubblica italiana.
Ma probabilmente è giusto così, è giusto che a rappresentare l’Italia sia l’ambiguità  fatta persona (e più persone).
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla lotta all’evasione di questo governo farebbe bene a toglierseli. E’ evidente che ci sono ambiti che non si devono disturbare. 98 miliardi,  l’equivalente di quattro o cinque finanziarie,  a questo stato hanno fatto schifo, molto meglio lasciare che la GdF vada a controllare chi non fa gli scontrini del caffè, e, una tantum, qualche blitz sulle vie dello shopping o nelle località di vacanza; attività meno rischiose, per le quali il posto non lo rischia nessuno e sicuramente più redditizie dal punto di vista mediatico.
Chi pensava che, via berlusconi tolto il dolore, sarà rimasto molto deluso.
Speriamo.

Naturalmente Giorgino tace,  nessun conato di monito per questo: sarà occupato a scegliere il vestito per la festa.

 Un paese a sua insaputa, Marco Travaglio, 31 maggio

Perché un terremoto del quinto-sesto grado Richter, così come un paio di giorni di pioggia, fa strage solo in Italia (oltre, si capisce, al resto del Terzo mondo)? La risposta l’ha data a sua insaputa il neopresidente di Confindustria Giorgio Squinzi, quando ha detto che i capannoni industriali sbriciolati dalle scosse del 20 e del 29 maggio erano “costruiti a regola d’arte”. La questione, il vero spread che separa l’Italia dal mondo normale, è tutto qui: nel concetto italiota di “regola d’arte”.
La nostra regola d’arte è quella che indusse la ThyssenKrupp a non ammodernare l’impianto antincendio nella fabbrica di Torino perché, di lì a un anno, l’attività sarebbe stata trasferita a Terni. Risultato: sette operai bruciati vivi.
Mai la ThyssenKrupp si sarebbe permessa di risparmiare sulla sicurezza nei suoi stabilimenti in Germania, dove le tutele dei lavoratori sono all’avanguardia nel mondo. In Italia invece si può. Perché? Perché nessuno controlla o perché il controllore è corrotto dai controllati. Oltre all’avidità dei singoli, purtroppo ineliminabile dalla natura umana, il comune denominatore di tutti gli scandali e quasi tutte le tragedie d’Italia è questo, tutt’altro che ineluttabile: niente controlli. Salvo quelli della magistratura, che però arriva necessariamente dopo: a funerali avvenuti. Dal naufragio della Costa Concordia al crollo della casa dello studente a L’Aquila, dalle varie Calciopoli ai saccheggi miliardari della sanità pugliese, siciliana e lombarda, dal crac San Raffaele ai furti con scasso dei Lusi e dei Belsito, dalle cricche delle grandi opere e della Protezione civile alle scalate bancarie, dalla spoliazione di Finmeccanica alle ruberie del caso Penati, giù giù fino alle casse svuotate di Bpm e Mps, alle piaghe ataviche dell’evasione, degli sprechi, delle mafie e della corruzione, quel che emerge è un paese allergico ai controlli. Che, se ci fossero, salverebbero tante vite e tanto denaro, pubblico e privato. Ma la nostra regola d’arte è quella di allargare ogni volta le braccia dinanzi alla “tragica fatalità” o alle “mele marce”, per dare un senso di inevitabilità a quel che evitabilissimamente accade. Mancano i controlli a monte perché tutti si affidano alle sentenze a valle. E poi, quando arrivano le sentenze a valle, non valgono neppure quelle. Formigoni, mantenuto dagli amici faccendieri Daccò e Simone che hanno scippato 70 milioni alla fondazione Maugeri, ente privato ma farcito di fondi pubblici dalla Regione di Formigoni, non si dimette perché “non sono indagato”. E perché, anche se lo fosse cambierebbe qualcosa? Qui non tolgono il disturbo né gli indagati, né i rinviati a giudizio, né i condannati. La giustizia sportiva ha definitivamente condannato e radiato Moggi dal mondo del calcio per i suoi illeciti sportivi, revocando alla sua Juventus due scudetti vinti con la frode, poi lo stesso Moggi è stato pure condannato dalla giustizia penale (a Roma in appello e a Napoli in tribunale). Eppure il presidente Andrea Agnelli seguita a elogiarlo come “grande manager” e rivendicare i due scudetti vinti col trucco. E ora difende Conte, “solo indagato”. Perché, se fosse condannato come Moggi cambierebbe qualcosa? Battista sul Corriere minimizza il calcioscommesse: “Un pugno di partite sporcate… se qualcuno imbroglia, non sono tutti imbroglioni”, “non è vero che così fan tutti”, ergo bisogna “essere severi con chi ha violato un codice penale e un codice morale, ma non dissolvere le differenze”.
Bene bravo bis. Peccato che il 7 maggio, quando la Juve ha vinto il 28° scudetto, Battista abbia scritto che è il 30° (“tre stelle, meritate e vinte sul campo, cucite sulla maglia”) e chissenefrega delle sentenze (“nessuno ha mai pensato che una storia gloriosa fosse una storia criminale”), frutto di “processi sommari” perché c’entrava anche l’Inter. Dunque così fan tutti. Ricapitolando: niente controlli prima, niente sentenze dopo.
È il Paese dell’Insaputa.
Arrivederci al prossimo funerale.

La retorica della demagogia

Sottotitolo: Visti gli scandali e tutto il marciume che gira intorno alle sue istituzioni, mi chiedo se non sia il caso di sospendere la religione cattolica per due o tre anni.

Mario Monti: “Gioverebbe fermare il calcio per due o tre anni”

Non credo sia una buona idea quella di togliere per due o tre anni dalla circolazione l’arma di distrazione di massa più potente che esista in Italia, c’è il rischio che poi la gente inizi a preoccuparsi e ad occuparsi davvero delle cose importanti. E questo alla politica non converrebbe.

Chissà perchè a Monti non sia venuta l’idea di sospendere cheneso, gli stipendi dei parlamentari per tre anni e convogliarli verso il risanamento della crisi: nemmeno se ne accorgerebbero e quella sì, sarebbe una saggia decisione condivisa da tutti  senza demagogie, populismi e qualunquismi.

Anche la politica dovrebbe essere l’espressione più alta dei valori positivi, dei principi sani, non solo il calcio.

Anzi, in un’ipotetica classifica la politica dovrebbe stare al di sopra di un  primo posto che non ha mai meritato perché in questo paese ha sempre  fatto tutt’altro che dare un esempio buono, di lealtà, trasparenza e onestà: quindi che si fa, insieme ai campionati sospendiamo sine die anche il parlamento?

Io ci sto.
Quando nella politica accadono fatti deprecabili che sono più o meno gli stessi che avvengono in ambito calcistico quali corruzione, connivenze con criminalità e mafie, mazzette eccetera,  sospendiamo, e ad libitum, i responsabili mandandoli  a fare un periodo di riflessione anche nelle patrie galere quand’occorre, così come succede ai calciatori che si macchiano dell’onta di un reato, anche questo gioverebbe alla maturazione di chi volesse,  eventualmente, occuparsi delle cose di tutti.
Monti ha parlato di un periodo di riflessione circa i fatti deprecabili che avvengono nell’ambito del mondo del calcio. Benissimo:  se i parametri sono questi allora la politica in Italia dovrebbe sospendersi da qui all’eternità.

Ho trovato molto fuori luogo la dichiarazione di Monti circa la sospensione del campionato di calcio a data da destinarsi, non perché me ne freghi un granché del calcio ma perché oggi nessuno ha un pulpito autorevole dal quale poter esprimere critiche e giudizi verso i vari settori della società.

Quindi, o ci mettiamo in testa tutti quanti che la politica, in quanto gestore di tutti i settori, deve essere migliore dei cittadini, che i governanti devono essere migliori dei governati o non ne usciamo.
Ma tutti però, abbandonando se possibile certe ideologie e il famoso giochino di chi ce l’ha più lungo; perché mai come in questo periodo siamo TUTTI nella stessa barca.

Il 2 giugno? Lasciamoli soli con le loro sobrie parate

16 morti, 350 feriti, 8000 sfollati in poche ore e si ciancia ancora del 2 giugno che s’ha da fare. Il 2 giugno, e mi rivolgo a coloro che portano le figliolanze  a Piazza Venezia  a vedere non so cosa, lasciamoli SOLI  a farsi la parata e le commemorazioni.
La parata, da sempre momento molto sentito dalle istituzioni, per fortuna si farà.

Non mi piacciono i furbetti, i manipolatori e i mistificatori: non mi piace chi, a sostegno del suo dire nella discussione politica aggiunge sempre le tre paroline magiche: “demagogia, qualunquismo, populismo” che incutono terrore in tutti quelli che si ostinano a guardare sempre il dito e mai la luna.

E non mi piace che, quando qualcosa è talmente ovvia da apparire quasi fastidiosa per diminuirne il valore si dica: “epperò lo dice anche questo, quello e il tal’altro” scegliendo fra i personaggi peggiori che popolano la nostra scena politica dimodoché ci si debba vergognare di quell’opinione, solo perché è ampiamente  condivisa.

Personalmente, non me ne fotte niente di chi alza la mano per primo, se la risposta all’ interrogazione è quella giusta tutti possono meritarsi il loro 10 e lode.
E non esiste autorevolezza che tenga rispetto alla forza di un’idea, tutte le idee, quando sono buone hanno diritto alla loro dignità indipendentemente da chi le espone.
Napolitano dice che la parata del 2 giugno si farà ugualmente e che sarà dedicata alle vittime del sisma.
Peccato per chi non potrà più rispondere “no, grazie” ma anche  con un bel “chissenefrega delle vostre festicciole ipocrite e costose.”
E peccato anche per chi non ha capito che la protesta contro la passerella inutile del 2 giugno  è anche un pretesto per richiamare l’attenzione sugli altrettanto inutili e innumerevoli sprechi –  sono tanti – di cui pare che questo paese non possa proprio fare a meno.
La polemica sull’inutilità della parata del 2 giugno va avanti da anni, non è certamente nata ieri, quindi oggi nessuno può venirci a dire che chiedere l’annullamento e la sospensione di  questa manifestazione inutile, costosa, palesemente fuori luogo e fuori tempo sia demagogia.

Ma chi lo dice, chi lo ha detto che per celebrare un paese unito (unito?) c’è bisogno di una parata MILITARE?  ne ho sentite di stronzate in queste ore, ma questa è la migliore di tutte.

Vorrei sapere chi ha deciso che per celebrare una repubblica la cui Costituzione peraltro dice che ripudia la guerra – anche se i fatti poi raccontano altro, serva una parata militare.

La civiltà di un paese è tale quando si evolve, si aggiorna, e quando c’è qualcuno che insegna anche a fare a meno di quello che non serve a beneficio di quello che invece è necessario.

Non c’era bisogno di un altro terremoto per capire che a rinunciare a qualcosa in un periodo di crisi non devono né possono  essere sempre i soliti noi (noi, non noti).

Il terrorismo di chi paventa miserie  e spaventa con la  crisi, il fallimento funziona  quando si chiede un lavoro, uno stipendio decente, una pensione dignitosa;  quando però si chiede un uso equo, e sobrio, dei soldi di tutti allora è demagogia.

Il vero populismo e qualunquismo è rifiutarsi di pensare che quei soldi spesi inutilmente, e non solo per la parata militare,   potrebbero invece essere destinati, ad esempio, a rendere migliore e più efficiente  la protezione civile vista la frequenza degli eventi catastrofici che avvengono in Italia, per la messa in sicurezza di edifici e territori,  e la vera demagogia la fa chi pensa che per celebrare una repubblica [che casca e pende a prescindere da quegli  eventi catastrofici] sia necessario far sfilare fucili, mitragliatrici e carriarmati.
Nel 2012.