S_presunzione di innocenza

Loris, gip: “Veronica ha indole malvagia”

 

Com’era? “gli zingari rubano, i romeni stuprano e i maghrebini spacciano”. Da oggi si potrà dire tranquillamente che lo fanno per indole senza suscitare lo sdegno di nessuno, se lo può dire un gip in sede processuale trasformando un parere, un’opinione – fra l’altro senz’alcun fondo di verità visto che non esiste nessuno violento, criminale “per indole” né tanto meno per “razza” – in un atto da mettere a verbale.
Ci può stare al massimo una predisposizione ma mai motivata da cause naturali, e nemmeno da realtà sociali complicate.Nessuno nasce con l’imprimatur del violento, malvagio, criminale.

La giurisprudenza fatta in casa, à la carte, così come serve quando i processi si svolgono soprattutto fuori dai tribunali: il giudice che si esprime come i tanti ultrà della Rete pur avendo titoli, competenze e una responsabilità che richiederebbe un linguaggio diverso.
Tanto vale allora riabilitare il metodo Lombroso per anni ritenuto attendibile niente meno che dall’FBI: malvagi per indole e criminali per tratti somatici, razza e dna.
Se qualcuno avesse parlato di “indole malvagia” a proposito di un’extracomunitaria o una rom sarebbe venuto giù il mondo, ma se lo fa un giudice durante un processo in cui la presunta colpevole, l’imputata è già stata condannata dai media, dalla folla inferocita e rinnegata da tutta la sua famiglia allora se po’ ffa’. Mai sentito un giudice parlare di indole violenta riguardo ai serial killer, agli uomini che ammazzano le donne. In quei casi si aprono immense praterie di possibilità sui motivi del gesto criminale. L’uomo che ammazza la donna lo fa “per troppo amore”, per motivi “passionali”.
Sei brutt*? Hai gli occhi troppo vicini, la fronte spaziosa, le labbra sottili? Pover* te se la società ti ritiene più pericolos*, indegn*  di chi invece è esteticamente gradevole, proprio come stabilivano le teorie di hitler sulla razza perfetta.
Ilda Boccassini fu massacrata e accusata di razzismo solo perché osò dire che il comportamento di Ruby si poteva imputare alla “furbizia orientale”.
Un po’ come quella di Sherazade nelle “Mille e una notte” che ebbe salva la vita intrattenendo il re cattivo con le sue fiabe fino a farlo innamorare.
Quintali di letteratura e studi di psichiatria e di psicologia buttati nella spazzatura solo perché un giudice non ha resistito all’impeto del giudizio morale e ha voluto dare il suo contributo personale, basato su una sua interpretazione, al linciaggio mediatico di Veronica Panarello.
Bossetti, il presunto assassino di Yara è in carcere dal 16 giugno senza un processo né una condanna.
La sua famiglia è stata massacrata dai media, qualcuno malmenato di persona, lui come di consueto linciato dalle bestie feroci della Rete.
Berlusconi che nel primo grado della sentenza del processo Ruby fu definito “socialmente pericoloso con una naturale propensione a delinquere”, che è un po’ diverso dall’indole: socialmente pericolosi e delinquenti si diventa, non si nasce, è a fare le riforme con Renzi.

Per dire.

Andrea Loris Stival, l’indole malvagia di Veronica e la fabbrica dei mostri – di Eretica, Il Fatto Quotidiano

Oggi scopro che un giudice può permettersi di affibbiare un giudizio morale ad una donna accusata dell’omicidio del figlio. Lasciando da parte il fatto che una persona è innocente fino a prova contraria e che non si processa o condanna attraverso i media, quel che mi sconvolge di questa maniera di porgere l’accusa è il fatto che di Veronica si continua a dare un ritratto che coincide sempre più con quello di una strega. E’ una donna ripudiata dalla famiglia, offesa da chiunque, e a quanto pare non ha il diritto di ottenere un giusto processo privo di un pregiudizio morale. D’altronde come è possibile che un Gip definisca l’indole di una persona. E’ in grado, lui, di realizzare una perizia psichiatrica? Ha una preparazione sociologica, antropologica, per definire le caratteristiche individuali di questa donna? Si può mai dire diVeronica Panarello che avrebbe ucciso il figlio perché è di “indole malvagia” e che perciò bisogna rinchiuderla perché “potrebbe uccidere ancora”?

Quel che io penso è che siamo così disabituati dall’analizzare la violenza, se commessa da una donna, che tutto poi si riduce alla volontà di espellere la mela marcia, quella che avrebbe disobbedito al piano di restaurazione dei buoni sentimenti familiari, dove una donna dovrà essere madre amorevole per qualità innate e non per consapevolezza acquisita. Da qui, penso, dipenda anche la maniera in cui giudichiamo la violenza commessa da un uomo. Accade che uccida moglie e figlio e che di lui si dica che è debole. Lei ha l’indole malvagia e lui non sopporta la separazione. Lei ha indole malvagia e lui, invece, sarebbe il prodotto sociale di quel che ha attraversato in vita, prima di fare una strage e spararsi un colpo in testa.

A questa interpretazione parziale e molto superficiale si aggiunge quella di alcune categorie di femministe che in difesa delle donne proclamano la cattiveria innata dell’uomo. Egli uccide perché è violento dentro. La violenza sta agli uomini come l’istinto materno sta alle donne. Non si rendono conto, queste femministe, che così facendo rafforzano l’idea che la tal donna che uccide un figlio è davvero anormale, diversa, malvagia e che l’uomo che uccide ha in sé una giustificazione, gode di una attenuante: è cattivo dentro, perciò peggio per noi che lo provochiamo. Non dobbiamo fare o dire nulla che possa indispettirlo perché egli è predisposto alla violenza e, soprattutto, ha in mente di picchiare le donne almeno una volta al giorno prima di andare al cesso. Così, per trovare lo stimolo per defecare meglio.

Quel che io so è che le donne vedono rimossa e censurata l’aggressività e la violenza che compiono, perché la società, a cultura patriarcale, le vuole angeliche, deboli, sottoposte alla tutela di paternalisti altrimenti disoccupati. Le vuole tutt’altro che autodeterminate e in grado di intendere e volere. Quel che decidono, se danno un calcio alla compagna di scuola, se schiaffeggiano il proprio compagno, se spintonano il figlio, sarebbe tutto frutto di una tempestiva perdita di sé o, eventualmente, paradosso nel paradosso, quella che compie sarebbe violenza introiettata. Ella è innocente quando subisce violenza e deve essere assolta anche quando la compie.

Poi c’è la violenza di genere, che esiste, riguarda la costrizione delle persone schiacciate nel proprio ruolo di genere. E’ violenza di genere quella compiuta su una persona che per via di stereotipi sessisti si ritiene debba sottostare a quella determinata cultura. Te la deve dare per forza, la fica, la disponibilità, l’obbedienza, la fedeltà eterna. Ti deve cedere la gestione del suo corpo, sicché tu puoi farne quello che vuoi. E c’è la violenza derivante dalla cultura del possesso, che riguarda, ahimè, anche le madri, perché di madri che uccidono i figlioli possiamo contarne un po’ e le ragioni per cui lo fanno, come avviene per i delitti commessi dai padri, riguardano comunque il possesso. Io uccido perché penso di disporre della tua vita. Sei mio e di nessun altro. Sei mia e di nessun altro. Ti ho fatto e ti disfo. Ti ho amata e non ti lascio andare.

A chi si diverte (in tutti questi casi, che non dipendono da ragioni materiali, un furto, la rapina, criminalità, cose altre) a descrivere gli uccisori definendoli mostri non fa che dare una mano a chi di quella fabbrica vive. I mostri servono ai media, alle trasmissioni morbose che guardano fin dentro l’ano per raccontare una vicenda, a chiunque voglia raccontare questi fenomeni in toni emergenziali, assicurando al pubblico la catarsi. Fatti fuori i/le colpevoli voi sarete salvi/e. Il mostro è fuori da voi e il resto è paradiso. Nessuno comprende che il mostro è dentro di noi, lo nutriamo anche con forme di comunicazione sbagliate e le consolazioni che possiamo provare quando ci dicono che lei ha ucciso perché è malvagia terminano il giorno dopo, quando vediamo una persona che conosciamo bene che afferra qualcun@ e gli o le molla un pugno in bocca. Finisce quando leggiamo insulti e pretesa di forca da chi dichiara di difendere le donne dalla violenza.

Sappiatelo, io ho più paura di queste persone, forcaiole, che degli assassini stessi. Chi si sente autorizzat@ a linciare qualcun altr@ “potrebbe uccidere ancora” in mille modi e riterrà perfino di essere legittimat@ a farlo. Dunque, prima di archiviare le faccende di cronaca come fossero giochi con premi per chi lancia le pietre più grosse, vorrei chiedere: abbiamo intenzione di comprendere come fare ad aiutare le persone che uccidono? Perché se aiuti chi uccide salvi le sue prossime vittime. Perché se salvi lui, salverai lei. Perché se salverai lei, salverai i suoi figli. Semplice no? Secondo voi, si può fare?

3 thoughts on “S_presunzione di innocenza

  1. La cosa più terribile è che le affermazioni del Gip circa l’ “indole malvagia” di Veronica Panarello non abbiano suscitato scandalo, ma anzi siano state riportate dai media come ulteriore conferma della colpevolezza di questa donna anziché come un ulteriore tassello del puzzle con il quale i media stanno costruendo la sua colpevolezza molto prima che sia provata.

    E’ certamente deprimente dover notare come meccanismi mentali assolutamente primitivi, quali la ricerca del capro espiatorio o la confusione tra fatti e interpretazioni, siano all’opera ogniqualvolta si danno casi che mobilitano fortemente l’emotività delle persone; ma è davvero incredibile che tali meccanismi siano fagocitati addirittura da chi – per ruolo, per competenza, per consapevolezza del senso del diritto- dovrebbe cercare di contenerli.

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