Sottotitolo: per tutti quelli che “l’appello del Fatto Quotidiano a sostegno della Magistratura palermitana è contro Giorgio Napolitano…”
NO, così come il presidente della repubblica attuale ha pensato che la sua azione poteva servire a mettere al riparo l’istituzione e non la persona che la rappresenta [molto commovente ma non convincente], chiedere con forza la verità circa la trattativa tutt’altro che presunta fra lo stato italiano e la mafia significa ribadire che il popolo italiano e la società civile non chiedono ma PRETENDONO che in uno stato civile, repubblicano e democratico [se le parole hanno ancora un senso] le istituzioni preposte alla lotta contro tutte le criminalità eseguano esattamente il compito di lavorare per sconfiggere tutte le criminalità, e che le istituzioni alte, anche quelle altissime non si permettano mai più di nascondere dietro presunte, quelle sì, ragioni di stato qualsiasi verità utile al ripristino della legalità e offrire riparo e sostegno a chi la mafia non l’ha combattuta ma con essa è scesa a patti.
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Stato-mafia, politica e giornali tacciono
Oltre 44mila firme per i pm sotto attacco
49313 persone in meno di 24 ore hanno già firmato l’appello.
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Se gli italiani fossero stati e fossero così esigenti, rigorosi e severi nel giudizio e nella pretesa della giusta punizione nei confronti della politica quando non fa la politica e cioè gli interessi dei tutti anziché, come avviene puntualmente la sua, nei confronti delle cosiddette istituzioni quando fanno tutt’altro da quel che il loro ruolo impone (gli squadristi della Diaz e gli assassini di Federico Aldrovandi non hanno avuto una punizione così esemplare e con effetto immediato come è accaduto al “povero Schwazer”) così come dimostrano di esserlo verso lo sportivo che tradisce, che sia il calciatore che si fa corrompere per soldi o l’atleta che si dopa e si droga per migliorare le sue prestazioni, questo sarebbe il paese migliore del mondo fatto di gente migliore NEL mondo.
E invece è solo l’Italia: il paese zimbello del e nel mondo.
Il padre di Aldrovandi: “Perché Schwazer espulso e chi ha ucciso mio figlio no?”
“Lui per doping ha dovuto restituire subito tesserino e pistola, gli agenti condannati dalla Cassazione per l’omicidio di Federico sono ancora in servizio.”
Credo che il ministro Severino dovrebbe rispondere a questo padre, magari con la stessa veemenza con cui spesso omaggia gli ottimi comportamenti delle forze dell’ordine.
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Oggi non rido perché non ho voglia, e non ho voglia di essere gentile, nemmeno di far finta che tutti quelli che leggono siano in grado di comprendere o di far la rivoluzione. E per la prima volta, rivoluzione lo scrivo minuscolo, perché è solo una parola, una come tante; una di quelle che abbiamo masticato come una cingomma nella bocca di un bambino, così tanto a lungo che non ha più sapore.
Che peccato lo spreco che facciamo di noi, e delle nostre esistenze, bruciate in fretta come un falò d’estate, di legna troppo secca. L’esistenza che s’impara guardando il piccolo schermo di un telefono, il rifugio che si trova celando la propria identità, scordandosi di sé e delle proprie certezze, che di fronte alla vita che ci hanno inventato, paiono nulla, nemmeno degne d’essere vissute.
Siamo un popolo telecomandato, che s’incanta del dolore altrui ma non lo comprende perché dal dolore fugge; s’incanta degli eroismi altrui perché eroe non lo sarà mai, e neppure saprà di esserlo stato il giorno che guardando suo figlio, cresciuto come “una persona per bene” eroe lo sarà davvero, e anche molto fortunato.
Che tristezza l’ammirazione per Oscar Pistorius, le immagini del giovane sudafricano che abbraccia una bimba, anche lei senza gambe. Che amarezza i telecronisti delle olimpiadi che s’interrogano sulla giustezza della sua partecipazione alle gare dei “normali”. Che dolore le sue parole di felicità per essere “arrivato” fino a là. Tutti concordi a riconoscerne l’eroismo, anche noi italiani, che lui ringrazia sempre per essere stato accolto. Il nostro è un paese così, fatto di brava gente che si commuove. Il nostro paese applaude a Pistorius, ma rifiuta il diritto allo studio a una ragazza disabile, maturata col massimo dei voti e con la lode, da casa sua, dal suo letto, collegata via webcam con chi dalla scuola le insegnava. Costa troppo tenerla all’università: una connessione Internet, un computer e una webcam.
E il giovane Schwazer? Da giorni le sue lacrime accompagnano il pentimento mediatico. La sua fidanzata è una ragazza per bene, e non lo lascerà. Ha sbagliato a gonfiarsi in prossimità delle Olimpiadi. L’errore è tutto suo, confessato e perdonato da tutti gli italiani, tutta brava gente capace di comprendere di tendere la mano. Tutta la gente, ma non lo stato. Povero Schwazer, non potrà più essere carabiniere. Lo stato è severo quando si tratta delle sue istituzioni, e un dopato non può certo rappresentarle, non ne può diventare un eroe. La divisa è la divisa e bisogna sempre onorarla, dopo averla indossata anche per giurare la fedeltà allo Stato e a tutti noi.
Povero Schwazer, che voleva solo vincere una medaglia all’Olimpiade. Se solo avesse desiderato di picchiare un ragazzo, di ucciderlo in caserma o per la strada, pestandolo o sparandogli a un posto di blocco, forse noi non lo avremmo perdonato, ma lo Stato, il nostro, decisamente sì. O fosse morto lui, magari di overdose magari almeno alla brava gente sarebbe dispiaciuto. Solo un po’ che è sempre meglio di nulla.
Rita Pani (APOLIDE)