Non sono Stato loro

“Ragion di stato” come se piovesse. Anche questo, evidentemente, fa parte della strategia finalizzata ad allentare le tensioni sociali.

Prosciolto De Gennaro: non fu coinvolto nell’operazione Diaz.

Il primo caso nella storia di tutti i tempi  [e di tutto il mondo, presumo]  di qualcuno che,  all’epoca dei fatti del G8 di Genova e dei relativi massacri compiuti dalle forze dell’ordine alla Diaz e a Bolzaneto (su ordine di chi,  di Topo Gigio, di Gargamella?) era capo della polizia a sua insaputa.

Nessuna prova contro Gianni De Gennaro ma sugli occupanti della Diaz sono state compiute “inqualificabili violenze”. Si torturava  gente innocente, incolpevole, inerme e senza difese a sua insaputa.

Gianni De Gennaro è stato appena nominato da Monti sottosegretario per la sicurezza della Repubblica Italiana.

Da Portella della Ginestra a Genova, passando per Brescia fino ad arrivare nel cielo di Ustica ma,  quando lo stato, questo stato, non può dare una risposta forse  perché sarebbe fin troppo ovvia, lo fanno per noi, per non considerarci dei perfetti imbecilli, ecco,  non condanna mai nessuno.
Sessant’anni di repubblica durante i quali sono accaduti gli orrori più efferati che però  non hanno mai trovato una risposta e dunque nemmeno giustizia.
Il colpevole non c’è, non si trova,  non confessa e quindi non si può condannare nessuno.
Non è mai  Stato nessuno.

Eppure ci sono paesi dove avere un ruolo comporta davvero maggiori responsabilità, e in caso di violazioni della legge di chi ricopre quei ruoli le pene sono adeguate proprio per evitare che la gente perda fiducia nelle istituzioni.

Qui no, nonostante e malgrado le istituzioni abbiano fatto e facciano di tutto per far perdere la fiducia non solo non succede niente, ma quelle ‘istituzioni’ vengono anche premiate, anziché punite.

Ma se lo dici sei giustizialista, qualunquista, populista, terrorista.

Ecco perché Monti De Gennaro l’ha voluto sottosegretario:  per premio, per non aver commesso il fatto; fosse stato quell’altro lo avrebbe nominato prima della sentenza, affinché non avesse niente da rischiare.

A mafialand ha sempre funzionato così, nel silenzio dei conati di monito, peraltro.
Io penso che uno schifo più schifo di questo non esista in nessuna parte del mondo.

Viene voglia di smettere anche di pensare. Siamo disarmati, non possiamo decidere niente, non possiamo ribellarci alle ingiustizie, non possiamo dire quello che non va bene senza essere accusati di essere contro lo stato, contro la politica, e invece quelli che lo stato l’hanno violentato vengono premiati, promossi, encomiati; sinceramente: quanto ancora si può sopportare tutto questo? c’è da sentirsi male a vivere in questo paese ridicolo, dove c’è paura a condannare qualcuno quando lo merita solo in virtù dell’abito che porta, che sia una divisa, una tonaca o un doppiopetto blu.

Non vorrei sentire più nessuno parlare di Italia come di uno stato di diritto, ci risparmiassero almeno questa indecenza, questa grossolana menzogna, questa falsità.

Pulizia di Stato – Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano – 24 aprile

Gentile dottor Antonio Manganelli, come capo della Polizia lei avrà senz’altro visto il bellissimo film Diaz di Daniele Vicari che sta riscuotendo un buon successo di pubblico nelle sale.
L’ho visto anch’io assieme a mio figlio che — posso assicurarle — non è stato educato all’odio contro le forze dell’ordine. Anzi, personalmente ho sempre pensato e detto che, fino a prova contraria, le forze dell’ordine sono dalla parte del giusto.
Eppure, all’uscita dal cinema, mio figlio che ha 17 anni ha commentato: “Mi è venuta una gran voglia di prendermela con i poliziotti”.
Ho cercato di spiegargli che quel che accadde 11 anni fa al G8 di Genova è un unicum, tant’è che ancora se ne parla, al punto da farci un film.
Che non tutti i poliziotti sono come quelli ritratti da Vicari.
Anzi, la maggior parte prova per quelle scene (purtroppo reali, documentate da testimonianze e filmati e atti processuali) lo stesso orrore che proviamo noi.
E ogni giorno migliaia di agenti rischiano la pelle per un misero stipendio, catturando killer della mafia addirittura con le proprie auto, com’è accaduto ancora l’altro giorno in Calabria, visto che le volanti sono spesso senza benzina o arrugginiscono guaste nei garage per i continui tagli al bilancio dell’ordine pubblico.
Ma temo di non averlo convinto. E lo sa perché? Perché alla fine del film una scritta agghiacciante ricorda che decine di quegli agenti e dirigenti violenti e deviati sono stati condannati in primo e secondo grado per le mattanze alla Diaz e a Bolzaneto (a proposito: si spera che la Cassazione si sbrighi a giudicarli, per evitare che la facciano franca per la solita prescrizione), ma nessuno è stato rimosso dal corpo.
Qualcuno anzi ha fatto addirittura carriera.
Come Vincenzo Canterini che, dopo la condanna in primo grado a 4 anni per la Diaz, divenne questore e ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest.
O Michelangelo Fournier, quello che al processo parlò di “macelleria messicana”, che dopo la prima condanna a 4 anni e 2 mesi ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga.
O Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un ragazzo di 15 anni, condannato in tribunale a 2 anni e 4 mesi per le sevizie di Bolzaneto e a 2 anni e 3 mesi per arresti illegali, e subito dopo promosso capo della Questura di Genova e poi dirigente di quella di Alessandria.
Molti di loro avrebbero subito sanzioni ancor più pesanti se l’Italia avesse recepito il reato di tortura, cosa che non avvenne per la strenua opposizione del Pdl e della Lega, guardacaso al governo nel 2001 e dunque responsabili politici e morali di quel che accadde. Nemmeno il dirigente che portò nella Diaz due molotov ritrovate altrove per giustificare ex post l’ignobile pestaggio di gente inerme fu cacciato dalla polizia.
E nemmeno quello che, come si vede nel film, si ferì da solo per simulare un corpo a corpo con i fantomatici “black bloc” che in quella
scuola, quella notte, non esistevano. Molti altri, nascosti sotto l’anonimato del casco, non sono stati identificati, dunque neppure processati. È difficile non pensare che gli agenti che si sono macchiati di violenze gratuite negli ultimi anni, per esempio in Val di Susa contro i No-Tav, possano essere gli stessi che la passarono liscia per i fatti di Genova, o altri loro emuli, incoraggiati dall’impunità generale. Lei, dottor Manganelli, 11 anni fa non era a Genova e non può essere ritenuto responsabile di quel che accadde. Ma oggi che la verità processuale è sotto gli occhi di tutti, validata dai due gradi di giudizio di merito (la Cassazione deve pronunciarsi solo sulla legittimità delle sentenze) e finalmente immortalata da un film (era già tutto nel documentario Bella ciao di Giusti, Torelli e Freccero, ma la Rai vergognosamente lo censurò), non può chiamarsi fuori. La prego, metta subito alla porta chi si macchiò di quei crimini orrendi.
Ci aiuti a credere ancora nella Polizia di Stato.

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