Sottotitolo: Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa? “E’ ormai diventato un reato indefinito al quale, ormai, non ci crede più nessuno”. Parola del procuratore generale Francesco Iacoviello che ieri nella sua requisitoria davanti alla Cassazione ha chiesto che per il senatore Marcello Dell’Utri (condannato a sette anni in appello) venga rifatto il processo di secondo grado oppure che la sua posizione sia giudicata dalle sezioni unite.
Iacoviello è quello delle cene ad Arcore, quello che ha nascosto le testimonianze dei contatti tra Bontade e Andreotti e una serie di ribaltamenti di processi verso soggetti del tipo di Cesare Previti, Attilio Pacifico, Renato Squillante, Vittorio Metta, Calogero Mannino, Gianni De Gennaro, Spartaco Mortola (quello del G8 e della TAV), Francesco Colucci and so on.
I mafiosi hanno buoni avvocati ma è più importante avere giudici amici. Cosa che non hanno i migranti, i consumatori di marijuana, chi dissente dal sistema come i No Tav, gente che viene trattata da delinquente anche se non lo è.
I giudici si possono criticare eccome, anche senza essere come chi li definisce “cancro, metastasi, pazzi, antropologicamente diversi dalla razza umana.”
I mafiosi sono molto religiosi, ne sanno qualcosa quelle povere statue di Cristi, Madonne e Santi costrette ad essere trasportate alle sagre di paese dalla peggior feccia criminale col beneplacito di parroci e sindaci fra gli applausi e gli inchini dei cittadini che ancora guardano con rispetto ai cosiddetti uomini d’onore, quelli che risolvono i problemi al posto di uno stato che non c’è.
Ora, non per generalizzare né tanto meno per creare una similitudine impropria o un paragone azzardato, ma c’è stato un periodo, un lunghissimo periodo durato qualche secolo in cui non convertirsi al cristianesimo si pagava con le torture e con la vita. Oggi quel periodo è finito; la chiesa usa altri sistemi di suggestione ma di roghi in piazza non se ne accendono più.
Ora che ci penso, nemmeno la mafia ammazza più.
Gli ultimi veri attentati di mafia, i cosiddetti ‘attentantuni’, risalgono a una ventina d’anni fa ormai, segno evidente che anche la mafia ha trovato altri sistemi di suggestione, più moderni, meno evidenti e meno rumorosi di un’autostrada e un palazzo che saltano in aria.
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Trattativa, “fuorionda” di Mannino
“Mettiamoci d’accordo o ci fregano”
Una cronista del “Fatto” ascolta un colloquio riservato tra l’ex ministro e l’Udc Gargani: “Ciancimino jr su di noi ha detto la verità”. Il riferimento è alle le pressioni della sinistra Dc per limitare il 41 bis
DELL’UTRI E LA MAFIA: LA CASSAZIONE ANNULLA LA CONDANNA PER CONCORSO ESTERNO
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SALVATO DELL’UTRI. BOCCIATO FALCONE
La Cassazione annulla la condanna a 7 anni del braccio destro di B. e amico del boss Mangano. Processo da rifare, ma a rischio prescrizione. La Procura generale contro il reato di concorso esterno voluto dal magistrato ucciso dalla mafia: “Non ci crede più nessuno”.
Prima la prescrizione per Mills, ora il salvataggio dell’amico siciliano. E’ questo il salvacondotto di cui parlavano? (Il Fatto Quotidiano)
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Iacoviello ha fortemente criticato i motivi con cui la procura generale del capoluogo siciliano aveva chiesto di annullare per Dell’Utri la condanna a sette anni di reclusione inflittagli dalla Corte d’appello di Palermo, per ottenere una pena più severa e il riconoscimento della sua colpevolezza per gli anni successivi al 1992. Se la condanna fosse stata confermata, per il senatore del Pdl , storico braccio destro di Silvio Berlusconi ed ex presidente di Publitalia, si aprirebbero le porte del carcere. Dell’Utri, che ha già alle spalle una condanna definitiva per false fatturazioni, è nato nel 1941, dunque sarebbe escluso dai benefici che la legge riconosce agli ultrasettantacinquenni rispetto alla detenzione in carcere. Il più importante processo su mafia e politica della seconda repubblica è arrivato dunque a un passo dal traguardo, accompagnato dalla polemica sul presidente della collegio che giudicherà Dell’Utri, Aldo Grassi, legato in passato al collega Corrado Carnevale, che negli anni Novanta si guadagnò la fama di “ammazzasentenze” dopo aver mandato assolti diversi mafiosi condannati nei primi due gradi di giudizio (qui gli articoli di Marco Lillo e di Marco Travaglio sui rapporti fra Grassi e Carnevale). (FQ)
più di un’incongruenza. Del resto, chiunque lo conosca un po’ sa bene che il processo Dell’Utri è il più solido fra tutti quelli celebrati per concorso esterno in associazione mafiosa. Il meno dipendente dai mafiosi pentiti. Il più ricco di prove autonome,
documentali e testimoniali, di intercettazioni, addirittura di ammissioni dell’imputato: insomma il meno legato alle parole e il più ancorato ai fatti.
Se nel nuovo appello Dell’Utri fosse assolto, significherebbe
che non si potrà mai più condannare nessuno per aver servito la mafia dall’esterno, cioè senza farne parte. Una jattura dalle proporzioni incalcolabili, in un paese infestato dalle mafie proprio grazie ai loro rapporti esterni con politici, pubblici funzionari, finanzieri, professionisti, magistrati, avvocati. Eppure ieri il Pg della Cassazione Francesco Iacoviello, ex pm a Ravenna, già celebre per aver chiesto e ottenuto l’annullamento delle condanne di Squillante per Imi-Sir e di De Gennaro per il G8, e la conferma dell’assoluzione di Mannino e della prescrizione per Berlusconi nel caso Mondadori, non si è limitato a criticare la criticabilissima sentenza d’appello che
condannava Dell’Utri fino al 1993 e lo assolveva per il periodo politico.
Ha preso in contropiede persino i difensori e ha liquidato 15 anni di lavoro di investigatori, pm, periti e giudici come cosa da niente, lanciandosi in una sprezzante lezione di diritto ai pm
che hanno indagato Dell’Utri, al gup che l’ha rinviato a giudizio, ai tre giudici del tribunale che l’han condannato a 9 anni e ai tre giudici d’appello che l’han condannato a 7 anni. Già che c’era, ha aggiunto che il concorso esterno non esiste, “è un reato a cui non crede più nessuno”. In realtà al concorso esterno non credono i mafiosi e i loro amici. Ci credono le sezioni unite della Cassazione (9 giudici), che nelle sentenze
Carnevale e Mannino hanno confermato che il concorso esterno esiste eccome, delimitandone i confini.
Ci credono decine di giudici della Suprema Corte, che hanno confermato condanne per concorso esterno di politici (Gorgone e Cito), imprenditori (Cavallari) e funzionari infedeli (Contrada e D’Antone). Devono averci creduto anche quelli del processo
Dell’Utri, altrimenti ieri avrebbero annullato senza rinvio. Ma soprattutto ci credevano Falcone e Borsellino che, non avendo avuto la fortuna di lavorare a Ravenna, configurarono per primi quel reato nella sentenza-ordinanza del processo maxi-ter a Cosa Nostra e poi la mafia li ammazzò anche perché al concorso esterno ci credevano. Il processo Dell’Utri non si basa su “frequentazioni e conoscenze con mafiosi “, come sostiene Iacoviello paragonandolo al caso Mannino.
Di Mannino i giudici ritennero provate le conoscenze e le frequentazioni mafiose, ma non i favori alla mafia. Su Dell’Utri, invece, ci sono montagne di prove sui favori alla e dalla mafia. Anche limitandosi alla carriera pre-politica di manager berlusconiano, è stranoto che B. fosse succube dei mafiosi (al punto di pagarli o di dirsi pronto a pagarli) proprio perché Dell’Utri gli aveva infilato Mangano in casa e mediò per riportare la pace dopo ogni minaccia e attentato. Dire che questo non è concorso esterno e soprattutto che il concorso non esiste è un salto indietro, culturale prima che giuridico, agli anni bui in cui per certi giudici Cosa Nostra era solo un coacervo di bande disomogenee e disorganizzate.
Insomma la Cupola era un’invenzione di Falcone, il “teorema Falcone” che “non capisce niente” e vuole solo “fregare qualche mafioso”, come diceva nel 1994 Corrado Carnevale al collega Aldo Grassi, che non faceva una piega e ieri presiedeva il collegio che ha annullato la condanna di Dell’Utri.
Anni fa Dell’Utri disse che “la mafia non esiste” e un’altra volta concesse: “Se esiste l’antimafia, esisterà anche la mafia”. Non immaginava che un giorno, in Cassazione, avrebbe dovuto chiedere il copyright.
DA ANDREOTTI ALLA DIAZ: IACOVIELLO, IL PG SMONTA-PROVE
Antonio Massari
Nel 2006 riuscì a derubricare la corruzione di Renato SQUILLANTE a “intermediazione tra privati”. Ed è solo un esempio. “È estroso ”, possiede “grande fantasia e preparazione”, è un magistrato che “non ha timore d’assumere posizioni personali”: a sentire i suoi colleghi, soprattutto i più navigati, sono queste le definizioni più utilizzate per Francesco Iacoviello. Ha militato a lungo nel Movimento per la Giustizia, l’“estroso” sostituto procuratore della Suprema Corte che ieri ha provato a smontare l’accusa di concorso esterno alla mafia per Marcello Dell’Utri. Non ha avuto alcun timore, nel bollare il “concorso esterno” come “un reato indefinito al quale, ormai, non crede più nessuno”. Gli apparve difficile da provare – soltanto quattro mesi fa – anche l’accusa d’istigazione alla falsa testimonianza, legata all’inchiesta sui pestaggi nella scuola Diaz di Genova, per il capo della Polizia Gianni De Gennaro, condannato in appello. Iacoviello chiese – e ottenne – l’assoluzione .
Una richiesta che l’avvocato di parte civile, Laura Tartarini, definì “surreale ”. DE GENNARO era accusato di pressioni su Francesco Colucci, all’epoca questore di Genova, affinché ritrattasse la sua testimonianza su Roberto Sgalla, capo ufficio stampa della Polizia, arrivato alla Diaz. Per i pm che avevano svolto le indagini, comprendere se Sgalla era davvero arrivato su ordine di De Gennaro e perché, aveva un’importanza investigativa nella ricostruzione dell’evento. Iacoviello invece fu di parere opposto: “A Genova –disse, secondo un resoconto Ansa – stava succedendo il finimondo, c’erano stati pestaggi, la morte di Carlo Giuliani, mentre noi ci stiamo occupando solo di capire chi ha chiamato l’addetto stampa Sgalla”.
Nel 2004, occupandosi dei rapporti di GIULIO ANDREOTTI con Cosa Nostra – assoluzione con prescrizione per fatti precedenti al 1980 – Iacoviello era convinto che non ci fossero prove sulle relazioni tra il “divo Giulio” e la mafia. Sui fatti precedenti al 1980, invece, invitò la Suprema corte “a rigettare il ricorso della difesa, confermare la prescrizione, ma dando una motivazione diversa da quella della sentenza di appello. In un sistema come il nostro, a verdetto motivato”, disse Iacoviello, “questo ha la sua importanza”. Poi valutò il lavoro della Corte d’appello come una “indagine sociologica”, più che una sentenza “scritta in base alle norme di diritto”, dedita a valutare, più che le prove, gli “stati d’animo” di Andreotti.
Per quanto riguarda l’entourage di SILVIO BERLUSCONI, poi, quella di ieri non è stata una “prima volta”. Già nel 2001 Iacoviello bocciò il ricorso dei magistrati di Milano che impugnarono il proscioglimento di Berlusconi nell’inchiesta sul LODO MONDADORI. Il sostituto pg della Cassazione commentò così: “Il parametro deve essere l’utilità di un dibattimento: il processo ha un costo umano e sociale, che può essere pagato solo se originato dal giudizio di un giudice, non dalle previsioni di un aruspice su un futuribile probatorio”.
Cinque anni dopo si occupa del processo IMI-SIR e, quindi, della condanna a sette anni per CESARE PREVITI e l’avvocato ATTILIO PACIFICO, accusati di aver corrotto Renato Squillante, ex capo dell’ufficio gip a Roma, e l’ex giudice VITTORIO METTA, autore della sentenza sul maxi risarcimento da 1.000 miliardi di lire che lo Stato – l’Imi – avrebbe dovuto pagare alla Sir del petroliere Nino Rovelli. Secondo i pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, Squillante non era corrotto perché aveva “venduto” le sue sentenze, ma perché aveva offerto i propri servigi ad alcuni imputati. Iacoviello derubricò il tutto a una “intermediazione tra privati”, poi chiese la condanna di Previti e l’assoluzione di Squillante. E la ottenne.
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Ciao,
…allora, il mafioso è da capire, lui deve eseguire, ma i media che disinformano, la gente oramai rassegnata a capo chinato che tutto accetta, i servi del potere, beh, quelli non li capirò, ne accetterò mai. E se fosse per me, questi cialtroni sarebbero tutti, ma dico tutti, disoccupati!
Un altra vergogna italiota, peccato che una volta eravamo i peggiori, ora il mondo intero ci sta copiando maledizione, siamo avanti, siamo l’esempio.
Cosa ha a che fare la chiesa in tutto questo? I mafiosi sono molto religiosi, vero? E la chiesa non è stata forse la prima forma di mafia? Ora non voglio generalizzare, ma se non ti convertivi al cristianesimo eri morto…
…e vedi cosa dicono oggi questi cristiani della donna per esempio
http://fintatolleranza.blogspot.com/2012/03/e-poi-ci-chiediamo-perche-siamo-messi.html
Non so se hai letto, salta pure i miei preamboli e vai alle frasi predicate nel 2012 cristo!!!
Ah,
PS: Opus Dei e Dell’Utri, non credi che vadano a braccetto visto che sono la medesima cosa?
Il paragone con la chiesa è calzantissimo, grazie, ora vengo a leggere…
Oggi quel periodo è finito; la chiesa usa altri sistemi di suggestione ma di roghi in piazza non se ne accendono più.
Ora che ci penso, nemmeno la mafia ammazza più.
Gli ultimi veri attentati di mafia, i cosiddetti ‘attentantuni’, risalgono a una ventina d’anni fa ormai, segno evidente che anche la mafia ha trovato altri sistemi di suggestione, più moderni, meno evidenti e meno rumorosi di un’autostrada e un palazzo che saltano in aria.
Ah, va bene, quelli di pontifex andrebbero rinchiusi in un manicomio criminale e dimenticati.
Hai detto bene…chiesa e mafia non uccidono, significa che l’accordo lo hanno trovato, eccome no? Basta vedere chi ci governa, pardon, ci dissangua e “dovrebbe” governarci invece, però nella vita se non ti governi da solo . . .