Luca Abbà resta folgorato e cade da 15 metri. E’ grave. VIDEO1: l’arrampicata sul traliccio. VIDEO2: Dopo la caduta (da Servizio Pubblico).
Cortei in molte città. A Roma occupata la stazione Termini
CRONISTORIA DELLA TORINO-LIONE, VENT’ANNI DI ACCORDI INTERNAZIONALI E PROTESTE
L’obbedienza non è una virtù: è proprio il contrario.
Se tutti i popoli avessero accettato passivamente le decisioni che qualcuno prendeva in loro nome o perché legittimato da un voto popolare oppure perché come nei regimi qualcuno il potere se lo prendeva da sé, non so in che termini oggi si potrebbe parlare di cose giuste e cose che giuste non sono.
La democrazia può anche imporsi con l’illegittimità.
Quando la democrazia viene calpestata, insultata ed offesa, difenderla dovrebbe essere l’imperativo di tutti: un dovere non solo morale.
E mi piacerebbe sapere, specialmente da quelli che…”la violenza nonnonnò” in che modo i cittadini di un paese, di una città e di una nazione dovrebbero potersi ribellare a quello che non ritengono giusto che si faccia in casa loro e molto spesso sulla loro pelle.
Come se non fosse violenza il dover sottostare a scelte che non si condividono.
Come se non fosse violenza mandare le forze dell’ordine a picchiare e intossicare illegalmente uomini, donne e bambini.
Sono trent’anni che quella valle viene devastata in nome e per conto del business e del denaro e bene fa la gente a difendere la sua terra.
Opporsi alla costruzione di uno scempio costoso quanto inutile è il gesto più democratico che un popolo attaccato alla sua terra possa fare.
E gli unici facinorosi violenti in questa situazione sono i politici che – more solito – in modo assolutamente bipartisan come ogni volta che c’è da fare qualche porcata – ne condividono la realizzazione.
Le Grandi Opere in Italia si sono sempre e puntualmente trasformate in occasioni per speculare e gli unici ad averne tratto tutti i vantaggi sono coloro che le hanno ideate e successivamente costruite: se l’opera in sé è stata o è davvero utile (come arrivare in un’ora e mezza da Roma a Milano) i progetti sono sempre stati ideati e realizzati dalle varie cricche degli amici degli amici del potente e del politico.
Tutto ciò che è stato fatto in questo paese, strade, autostrade, ferrovie eccetera è diventato sempre, sistematicamente e puntualmente un affare di famiglia con enormi danni al territorio e un altrettanto enorme sperpero di denaro pubblico.
Per le minoranze, cioè per tutti coloro che si trovano a dover subire le scelte spesso scellerate di altri è naturale e giusto NON fidarsi.
Se i professori hanno tanto a cuore il risparmio, così tanto da aver pensato che per risanare il bilancio dello stato fosse giusto saccheggiare pensioni e stipendi della povera gente dicano NO a questo scempio così come hanno detto NO alle Olimpiadi di Roma. Dimostrassero che è vero che l’obiettivo del governo tecnico è quello di aggiustare e non, invece, finire di sfasciare anche quello che in questo paese è riuscito a sfuggire alle grinfie di una politica disonesta, avida e ingorda.
Non c’è bisogno d’eroi
Luca Abbà non è un eroe. Non è nemmeno un “cretinetti” come scrivono quei servi tristi del giornale. Luca Abbà è una vita umana prima di tutto, poi un combattente. Un vero credente. Sì perché questo mondo è cambiato al punto che ormai, i credenti, sono quelli che ancora combattono per un ideale, per qualcosa in cui credono, e non – come hanno insegnato gli ultimi anni di devastazione culturale – quelli che sperano che il loro Dio ci metta una pezza, anche rimondando le coscienze svendute in cambio di danaro.
Luca Abbà, semplicemente crede che un territorio non debba essere devastato per favorire l’arricchimento della solita mafia, quella che scava, quella che smaltisce i materiali tossici o inquinanti, quella che gonfia i prezzi dei binari, quella che ricicla vecchi treni da demolire e li vende per nuovi. La mafia del marketing, degli spot da rilanciare nelle televisioni appese nelle stazioni, e tutte le mafie di stato o private, che sulla pelle dei cittadini si arricchiranno ancora. Per credere che tutto questo non debba essere favorito non c’è bisogno di essere eroi; semplicemente bisogna essere possessori di una coscienza, meglio ancora se anche civile.
Si è eroi in Italia quando ogni mattina prendi un treno regionale o locale per andare a lavoro. Un treno che si riempie di neve, d’acqua, di polvere e sole, a seconda del tempo che fa. Un treno che ti porta a lavoro – se arriva – con ore di ritardo. O si ferma in mezzo alle campagne innevate d’inverno o assolate d’estate. Si è eroi quando si sceglie di andare dal centro al sud, col treno. O quando scegli di usare il treno per sportati nel sud, o nelle isole – che se vai a piedi, sei sicuro che se non muori almeno arrivi, là dove stai andando.
Chi lotta è un eroe per quelli che vorrebbero essere a sinistra, un coglione per quelli di destra. Questa è storia, anche se una volta forse anche a destra si rispettava l’idea dell’ideale. I giornali, anche di destra erano veri giornali, con gente pagata per scrivere. Una volta i giornali di destra avevano giornalisti che non si sono piegati al mafioso, che non lo hanno servito per garantirgli di mangiarsi il paese intero, e le sue valli, e le sue coste, e le bellezze naturali che potrebbero farci ricchi più dei paesi produttori di petrolio, con il vantaggio che nessuno ci avrebbe mai bombardato per potercele rubare.
Chi oggi lotta, è una persona. È uno che ha compreso che nonostante tutto si ha il dovere morale e civile di non rendersi complici di questo sistema famelico, che tutto vuole e nulla ridà indietro. Chi lotta è l’unico che continua imperterrito ad andare avanti, guardando al futuro, avendo contezza di ciò che potrebbe diventare se fossimo tutti fermi, idioti e schiavi.
La lotta in nome di un ideale, è la base della civiltà. È l’unico modo per uscire dallo stato di imbarbarimento che troppo a lungo abbiamo dovuto sopportare.
Eroico sarebbe per gente come quella merda di feltri o quell’ebete di belpietro, quel coglione di castelli o un leghista pezzente qualunque, comprendere il senso di quel che ho scritto.
Rita Pani (APOLIDE)